È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

CON QUALE AUTORITA?

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:35
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.208
Sesso: Maschile
05/09/2009 16:34

I primi collaboratori dei Dodici

Ma vediamo come sono andate le cose seguendo fedelmente la Bibbia e le più antiche testimonianze. Il Nuovo Testamento ci fa assistere fin dall'età apostolica al sorgere e costituirsi d'una gerarchia di governo che prolunga nel tempo la funzione degli Apostoli.

1 - A Gerusalemme, uno dei più noti collaboratori dei Dodici fu Giacomo, detto il minore (cfr. Marco 15, 40). Lo vediamo a capo della comunità di Gerusalemme forse anche a motivo della sua parentela con Gesù. Era infatti figlio di quell'altra Maria (cfr. Matteo 27, 56; Marco 15, 40), sorella o cugina della Madre di Gesù (cfr. Giovanni 19, 25). E' detto, assieme a Cefa (= Pietro) e Giovanni, “colonna della Chiesa” (Galati 2, 9). Al concilio di Gerusalemme formulò le decisioni da prendere dopo che Pietro, parlando per prime>, ebbe esposto la questione (cfr. Atti 15, 6-21). Giacomo è comunemente conosciuto come il primo Vescovo di Gerusalemme. Fu infatti capo di quella chiesa dopo che Pietro fu costretto ad andare altrove (cfr. Atti 12, 17).

2 - Un caso tipico è quello di Barnaba. Non era del numero dei Dodici né ebbe una vocazione miracolosa come Paolo. Fu uno tra i primi convertiti al Vangelo e, dopo questa scelta, si dedicò al servizio del Signore a tempo pieno (cfr. Atti 4, 36-37). Ebbe perciò incarichi di prim'ordine da parte degli Apostoli.

Barnaba fu inviato ad Antiochia in forma ufficiale, quale delegato di Pietro e di Giovanni, per rendersi conto, approvare e incoraggiare la nascita e la crescita di quella comunità: “Vi fu inviato Barnaba. Arrivò, vide quel gran dono di Dio e ne gioì. Poi si diede a esortarli a restar fedeli a Gesù con tutto lo slancio. Era un uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, e una grande moltitudine fu così guadagnata a Gesù” (Atti 11, 22-24).

Episcopi e presbiteri

Nell'opera degli Apostoli avente lo scopo di prolungare nel tempo la loro funzione, accanto alle grandi figure di Giacomo e di Barnaba, appaiono fin dalle origini gli episcopi e i presbiteri.

1 - Gli episcopi  erano dei sorveglianti come indica la parola (greco episkopein = sorvegliare). Ad essi vengono attribuite le funzioni di pascere il gregge di Dio (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3), presiedere le assemblee (cfr. 1 Timoteo 3, 5; 5, 17), esercitare il ministero della Parola con autorità (cfr. 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9).

2 - I presbiteri erano persone anziane chiamate a compiere varie funzioni in seno alle comunità dei cristiani. A Gerusalemme ricevono ed amministrano gli aiuti mandati dai fratelli di Antiochia ai fratelli della Palestina (cfr. Atti 11, 29-30). Sempre a Gerusalemme gli anziani prendono parte al concilio, assieme agli Apostoli e a Giacomo (cfr. Atti 15, 6.21-28).

Fuori della Palestina, nelle chiese fondate da Paolo, i presbiteri o anziani sono incaricati di guidare le comunità locali (cfr. Atti 14, 23). Scrivendo a Tito, Paolo lo esorta a stabilire presbiteri in ogni città (cfr. Tito 1, 5).

Le funzioni o compiti dei presbiteri erano diverse: presiedevano alle comunità in qualità di pastori (cfr. Atti 20, 28), di amministratori (cfr. Tito 1, 6-9; 1 Timoteo 3, 1-7; Atti 11, 29-30), di maestri,  cf. Atti 20, 28.32; 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9). Ad essi spettava pure l'esercizio di determinati riti liturgici come l'unzione degli infermi (cfr. Giacomo 5, 14). Dai più antichi documenti sappiamo che i presbiteri presiedevano alla “celebrazione del sacrificio eucaristico”.

3 - Episcopi e presbiteri spesso coincidono. In Atti 20, 18 sono detti presbiteri quelli che poco dopo Paolo chiama episcopi. Agli uni e agli altri vengono spesso attribuite le stesse funzioni (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3; 1 Timoteo 3, 5; 5, 17; Tito 1, 9).

Tuttavia è da notare che nelle Lettere Pastorali il titolo di episcopo appare solo al singolare e con l'articolo determinativo. Paolo esorta Tito a stabilire presbiteri nelle singole città; poi, subito dopo, dà istruzioni riguardanti l'episcopo (ton episkopon) al singolare.

All'inizio pare che i termini presbiteri ed episcopi siano equivalenti, nel senso che indicano gli anziani che guidano le comunità. Con l'andare del tempo invece i compiti si specificano come appare dalle Lettere Pastorali, e l'episcopo assume la direzione della chiesa locale.

I grandi rappresentanti dell'Apostolo

Come nella Chiesa Madre di Gerusalemme, dove accanto alla figura di Pietro e di Giovanni appare quella di Giacomo, così pure nelle chiese fondate da Paolo emergono figure, il cui ruolo supera di molto quello di un semplice responsabile locale. Tali sono soprattutto Timoteo e Tito.

1 - Timoteo era nato da padre pagano e da madre giudea convertita al cristianesimo (cfr. Atti 16, 1; 2 Timoteo 1, 5).Fu compagno di Paolo nel secondo e terzo viaggio missionario (cfr. Atti 17, 14 ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). A lui Paolo diede incarichi speciali di grande fiducia (cfr. Atti 19, 22; 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9; 1 Tessalonicesi 3, 2-6).Segno di questa stretta collaborazione sono le due Lettere indirizzate da Paolo a Timoteo, oltre a quelle indirizzate dall'Apostolo alle varie chiese anche in nome di Timoteo (cfr. Filippesi 1, 1; Colossesi 1, 1; 1 e 2 Tessalonicesi, esordio).

A un dato momento della sua vita, quasi certamente verso gli ultimi anni, Paolo, prevedendo prossima la sua morte, affida a Timoteo la cura o governo della Chiesa di Efeso:

“Quando partii per andare in Macedonia ti raccomandai di rimanere a Efeso. Restaci ancora, ti prego, perché vi sono alcuni che insegnano false dottrine e tu devi ordinare che la smettano” (i Timoteo 1, 3).

Le parole usate da Paolo hanno tutto il sapore di un affidamento più che di una semplice e ordinaria collaborazione. E' qui indicato chiaramente un caso di successione apostolica, cioè di trasmissione di poteri apostolica per la continuità dell'annuncio genuino del Vangelo conforme alla struttura della Chiesa voluta esplicitamente dal Signore Gesù.

2 - Tito fu pure un immediato collaboratore di Paolo, che lo chiama “mio vero figlio riguardo alla fede comune” (Tito 1, 4). Paolo lo aveva generato in Cristo essendo stato lui lo strumento, di cui Cristo si era servito, per dare a Tito la nuova vita nella fede (cfr. Galati 4, 19; 1 Corinzi 4, 14-1 5; 2 Corinzi 6, 13).

Tito ebbe dall'Apostolo vari incarichi anche delicati (cfr. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6; 8, 6-17; 12, 18; Romani 15, 26). In modo analogo a quanto aveva fatto con Timoteo, Paolo affida a Tito la cura della Chiesa di Creta coi potere di continuare l'opera sua.

“A Creta ti lasciai per questo scopo: perché tu dia l'ultima mano a ciò che resta da fare e faccia in modo che in ogni città ci sia qualche presbitero, secondo le disposizioni che ti ho dato” (Tito 1, 5).

E' chiaro che Tito riceve da Paolo la consegna della sua stessa missione, che comportava non solo la vigilanza e la testimonianza della sana dottrina, ma anche la scelta delle guide o pastori che partecipassero e continuassero la stessa missione.

Abbiamo qui un altro caso di successione apostolica analogo a quello di Timoteo.

 

PARTE SECONDA

LA SUCCESSIONE APOSTOLICA

Verità da ricordare

Ricordiamo ancora alcune verità bibliche:

1 - Il Signore Gesù vuole che il suo Vangelo sia annunziato a tutte le genti e assicura che in quest'opera universale e perenne egli sarà sempre coi suoi inviati o apostoli fino alla fine dei mondo (cfr. Matteo 28, 19-20; Marco 16, 15). In effetti con la scelta dei Dodici e la missione loro affidata Gesù aveva fatto chiaramente capire che quest'opera universale e perenne di salvezza si sarebbe realizzata mediante il servizio di persone qualificate e autorizzate (cfr. Matteo 28, 18-20; Marco 16, 15; Luca 24, 46-49; Giovanni 20, 20-23).

I Dodici hanno ricevuto questo mandato direttamente dal Maestro (cfr. Marco 3, 14, e paralleli). Ma essi sono morti. Come può essere continuato questo ministero qualificato voluto dal Maestro divino? Come sarà perpetuata la struttura della comunità dei suoi discepoli quale egli ha chiaramente indicata?

2 - Gli Apostoli hanno ben capito questa volontà del loro Maestro. Perciò non solo ebbero la preoccupazione di predicare il Vangelo anche fuori della Palestina, nel mondo allora conosciuto, ma si circondarono di collaboratori, che potessero continuare la loro missione. A questi essi trasmisero anche mediante un gesto visibile e significativo, vale a dire con la imposizione delle mani  l'autorità che essi avevano ricevuto dal loro Maestro. In seguito diedero disposizioni che, quando essi fossero morti, altri uomini fedeli ed esimi, subentrassero al loro posto.

Abbiamo qui delineata quella che si chiama “successione apostolica”, cioè la continuità del ministero o servizio qualificato nella Chiesa mediante uomini collegati ai Dodici senza interruzione, e mediante i Dodici allo stesso divino Fondatore della Chiesa.

Giustifica la Bibbia questa continuità?

Giustificazione biblica

Un assertore esplicito della successione apostolica è, in modo particolare, san Paolo. Non molto tempo prima della sua morte scriveva a Timoteo: “Tu, dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù. Le cose che udisti da me con l'appoggio di molti testimoni, affidale ad uomini fedeli, capaci di istruire altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).

Spiegazione:

1 - Quando Paolo scriveva queste parole ave- va  poca o nessuna speranza di ricuperare la libertà, di poter cioè vivere ancora a lungo. Prevedendo  prossima la sua fine si preoccupa di assicurare la  continuità nella trasmissione del Vangelo mediante ministri fedeli e ben preparati. Timoteo era certamente uno di questi. A lui Paolo, in una Lettera precedente, aveva raccomandato: “Non trascurare il carisma che è in te e che ti fu dato per mezzo della profezia insieme all'imposizione delle mani dei presbiteri” (1 Timoteo 4, 14).

Timoteo, dunque, può essere considerato il primo anello, dopo Paolo, d'una lunga catena, che è la successione apostolica. Questo significano le parole: “Le cose da me udite con l'appoggio di molti testimoni”. Si tratta d'una consegna, d'una trasmissione di poteri. L'espressione allude a un particolare momento nella vita di Timoteo, nel quale ricevette la missione di predicare il Vangelo con autorità. La consegna era accompagnata da un rito, cioè la imposizione delle mani (cfr. 1 Timoteo 4, 14; 6, 12).

2 - Ma Paolo guarda più avanti. Egli vuole che anche dopo Timoteo vi siano nella Chiesa uomini fedeli e capaci di continuare la stessa autorevole missione. Ad essi Timoteo deve trasmettere lo stesso ministero che ha ricevuto da Paolo: “Le cose che udisti da me affidale ad uomini fedeli, capaci”.

Abbiamo qui il secondo anello della stessa catena: come Timoteo si ricollega a Paolo nel servizio qualificato e autorevole della Parola, così altri devono collegarsi a lui e, mediante lui, a Paolo, a Cristo. Questo servizio non è perciò lasciato allo sbaraglio, alla balìa di avventurieri, ma deve essere continuato mediante la trasmissione da parte di coloro che a loro volta l'hanno ricevuto e fedelmente esercitato.

3 - La catena continua. Gli uomini fedeli e capaci, a cui Timoteo ha affidato le cose udite da Paolo, ossia il Vangelo autentico di Cristo, devono fare lo stesso cammino, affidare cioè ad altri, fedeli e capaci, quelle stesse cose, non altre.

Abbiamo qui il terzo anello della catena. E' implicito nel pensiero di Paolo che su questi altri incombe lo stesso dovere, vale a dire di non spezzare la catena, ma continuarla affidando ad altri ancora lo stesso qualificato e autorevole servizio della Parola. E cosi fino alla fine dei tempi.

4 - In questa chiara esposizione dell'Apostolo sono ben delineati i connotati di quella che si chiama “la successione apostolica”. E' una catena ininterrotta - ripetiamo - che dal Signore Gesù, mediante gli Apostoli da lui scelti, autorizzati, inviati, e mediante i loro legittimi successori, deve continuare fino alla fine del mondo (cfr. Matteo 28, 20). Chi si pone fuori di questa catena non ha nessuna autorità, nessun diritto, nessuna garanzia di annunciare il Vangelo eterno del Figlio di Dio. Il Signore Gesù ha assicurato la sua presenza, cioè la sua assistenza, ai suoi Apostoli, non ad altri, fino alla fine del mondo.

Commenta un biblista:

“La "successione apostolica" è qui chiaramente delineata (...). L'Apostolo si preoccupa che Timoteo stesso si prepari dei collaboratori nell'insegnamento, tra i quali, ovviamente, qualcuno avrebbe dovuto prendere il suo posto quando il discepolo stesso sarebbe morto. "Quelle cose da me udite davanti a molti testimoni, affidale in custodia ad uomini sicuri, i quali siano capaci di ammaestrare anche altri" (2 Timoteo 2, 2). Come Cristo si è creato i suoi rappresentanti legittimi, cioè gli Apostoli, così questi si scelgono e designano dei successori, i quali a loro volta designano altri; e così fino alla fine dei tempi. C'è una "legittimità" di rappresentanza, la quale non può prescindere, oltre che da specifiche doti umane e spirituali, quali l'apostolo ripetutamente enumera, anche da un autentico e ben chiaro rapporto di ascendenza che, in qualche maniera, ricolleghi a colui o a coloro dai quali viene gestita la rappresentanza”.

0 Timoteo, custodisci il deposito (1Timoteo 6, 20)

Noi arriveremo alla stessa conclusione esaminando ciò che Paolo scrive ancora a Timoteo nella prima Lettera: “0 Timoteo, custodisci il deposito” (1 Timoteo 6, 20).

Quando Paolo scriveva questa Lettera, dense nubi si addensavano all'orizzonte della sua vita. Infatti, dopo appena due anni, arriverà per lui il tempo di levare l'ancora (cfr. 2 Timoteo 4, 6), e verserà il suo sangue come offerta a Dio gradita.

In questo contesto, le parole sopra citate a Timoteo, che era stato preposto alla guida della chiesa di Efeso, hanno tutto il sapore di un testamento. Al discepolo, che aveva tutte le caratteristiche di un Vescovo, Paolo raccomanda di custodire il deposito. Nel linguaggio giuridico del tempo deposito era qualcosa consegnata a una persona di fiducia, che contraeva il diritto-dovere di custodire la cosa consegnata nella sua integrità per riconsegnarla a suo tempo sostanzialmente immutata.

Al di là della metafora, le cose sono chiare senza possibile dubbio. Cristo ha affidato il deposito del Vangelo agli Apostoli. Paolo si sentiva ed era Apostolo di Cristo a tutti gli effetti. Come i Dodici egli sentiva di essere un depositario della Parola di Dio. Presentendo vicina la sua fine terrena, affidava tale deposito a persona qualificata e di fiducia quale era appunto Timoteo.

Trattandosi di un deposito, Timoteo a sua volta dovrà fare lo stesso, finché il tesoro depositato si conservi integro fino al ritorno del Depositante, che è Cristo Signore. Si forma così una catena ininterrotta di depositari, che garantiscono la custodia integra kl deposito conforme alla volontà del Padrone.

“Come Paolo ha ricevuto gli insegnamenti che ha tra- smesso ai suoi discepoli (cfr. 1 Corinzi 11, 2 e 23; 15, 1-3; Galati 2, 2.9), così dovrà fare a sua volta Timoteo il deposito (cfr. 1 Timoteo 6, 20) è da custodirsi e insieme trasmettersi. Canale di questa trasmissione è Timoteo insieme ad altri, perché non udì da solo gli insegnamenti di Paolo, ma fra molti testimoni (cfr. 1 Timoteo 6, 12). Timoteo e i testimoni insieme formano come una sola vox populi del cristianesimo che è la vox Dei, ed essi a loro volta trasmetteranno quella unica voce ad uomini fedeli”.

Modalità nella successione

Gli Apostoli dunque ebbero dei collaboratori, ai quali trasmisero il ministero o servizio qualificato e autorevole di maestri e guide delle comunità. I collaboratori divennero successori. Ma quale fu la forma concreta di questa successione? Chi ne fu il soggetto?

1 - Dai documenti in nostro possesso, soprattutto dagli Atti degli Apostoli e dalle Lettere di san Paolo, appare chiaro che la trasmissione dei poteri dell'Apostolo è personale e individuale, non collettiva e anonima. A Gerusalemme abbiamo il caso di Giacomo. Fin dai primissimi tempi appare come il Vescovo di quella chiesa, attorniato da anziani o presbiteri (cfr. Atti Il, 30; 15, 6-13; 21, 8). Simile corso ebbe luogo nelle chiese di Efeso con la presenza e l'opera di Timoteo (cfr. 1 Timoteo 1, 3), e di Creta con Tito (cfr. Tito 1, 5). Ben a ragione i due collaboratori dell'Apostolo vanno considerati come i primi successori in quelle comunità col potere d'insegnare e di guidare.

La stessa cosa sembra potersi dire della chiesa di Antiochia di Siria. Con ogni probabilità fu Pietro a guidare quella chiesa per un certo tempo (cfr. Galati 2, 11). A lui successe Evodio, a cui tenne dietro come Vescovo Ignazio, che finì la vita col martirio a Roma nel 107 d.C. Il martire Ignazio è il testimone più esplicito della forma monarchico-episcopale delle chiese fin dai suoi tempi, vale a dire fin dalla seconda metà del primo secolo (cfr. infra).

Infine è molto probabile che “gli angeli” delle sette chiese, di cui parla l'Apocalisse nei capitoli 2 e 3 (cfr. anche 1, 20), rappresentino i singoli Vescovi di quelle chiese. E Giovanni scrisse verso la fine del primo secolo.

2 - Tuttavia, almeno in alcune chiese di origine paolina, sembra che la successione si sia attuata in un primo tempo in una forma collegale, sfociata a breve scadenza in quella monarchica, a imitazione delle altre chiese. Le cose si sarebbero svolte nel modo seguente in sintonia con quanto aveva fatto lo stesso Paolo.

Finché visse l'apostolo era lui il responsabile. Ma la cura immediata delle singole comunità era affidata a un consiglio di anziani (cfr. Atti 14, 23; 1 Tessalonicesi 5, 12-13). Tra gli anziani era eletto uno chiamato “episcopo” con funzioni direttive particolari (cfr. Tito I# 5). La figura dell'episcopo è di qualcuno che debba avere qualità non comuni (cfr. 1 Timoteo 3, 1 ss; Tito 1, 7-9). E' significativo il fatto che Paolo, nella Lettera a Tito (1, 7), parli dell'episcopo al singolare.

Dopo la morte dell'Apostolo, assai di buon'ora, prevalse la forma monarchica di successione. L'episcopo divenne Vescovo, imitando il comportamento avuto da Paolo nei riguardi di Timoteo e Tito.

3 - Testimone autorevole di questo sviluppo è certamente il martire Ignazio di Antiochia, già ricordato. Egli visse nella seconda metà del primo secolo e fu quindi contemporaneo dell'autore dell'Apocalisse. Di lui rimangono numerose e chiare testimonianze sulla struttura delle singole chiese, che si accentra nella figura del Vescovo.

“Procurate di fare ogni cosa (...) sotto la guida del Vescovo, che tiene il luogo di Dio”: “Nessuno faccia senza il Vescovo alcuna di quelle cose, che riguardano la Chiesa (...). Dove appare (il Vescovo), ivi sia la comunità, come dov'è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa cattolica         Quello che il Vescovo fa è approvato da Dio”.

In tutte le lettere di Ignazio, anche in quelle indirizzate alle chiese di origine paolina, la figura del Vescovo appare in modo chiaro ed inequivocabile.

“Dato che prima della fine del 1 secolo si trovano chiese sotto un unico Vescovo, si può presumere che uno dei membri del collegio fosse eletto a succedere all'apostolo, dopo la morte di lui, come capo monarchico della chiesa”.

 

PARTE TERZA

TRADIZIONE E SUCCESSIONE

Concetto cattolico di Tradizione

1 - Per Tradizione noi cattolici non intendiamo quello di cui i tdG e altri settari malignamente ci accusano, vale a dire la sostituzione di insegnamenti umani alla Parola di Dio. L'uso che essi fanno di alcuni testi biblici come Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13, per dare un'apparenza di verità alla loro calunnia, è completamente errato. Nei testi citati Gesù rimprovera i farisei di anteporre al comandamento di Dio, quale l'onorare i genitori, precetti umani quali il lavarsi le mani prima del cibo o al ritorno dal mercato, come, pure lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame (cfr. Marco 7, 4; Matteo 15, 2). E' semplicemente ridicolo attribuire alla Chiesa Cattolica l'insegnamento per tradizione di questi e simili precetti. Al contrario, la Chiesa Cattolica si basa sulla Tradizione per conoscere in modo completo e fare osservare fedelmente e in modo esatto la Parola di Dio. Questo concetto di Tradizione è perfettamente giustificato dalla Bibbia.

2 - La parola “tradizione” (greco paràdosis) significa “trasmissione”. In questo senso i detti e i fatti di Gesù, cioè il Vangelo (per limitarci solo al Nuovo Testamento) furono trasmessi da Lui a viva voce ai suoi discepoli, soprattutto ai Dodici, e da questi ad altri. E' fuor di dubbio che quanti udirono Gesù o furono testimoni delle sue opere non scrissero subito la cronaca di quegli eventi per farla leggere ad altri. Il “servizio stampa” era ancora lontano secoli e millenni. Quei discepoli si imprimevano nella memoria i detti e i fatti del Maestro, che poi riferivano ad altri a viva voce. Il Vangelo fu Tradizione prima che prendesse forma scritta (cfr. 1 Corinzi Il, 23; 15, 3; Luca 1, 1-2).

Gli scritti che vennero dopo non erano destinati a riportare tutta la Tradizione (cfr. Giovanni 20, 30-31; 21, 24-25). Questo è talmente vero che lo stesso Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di “mantenere le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15).

3 - Da ciò ne segue che il contenuto della Tra, dizione, vale a dire dei detti e dei fatti di Gesù, che è Parola di Dio, ci può essere pervenuto anche per altri canali che non siano i vangeli e gli scritti apostolici. Infatti alcuni discepoli immediati degli Apostoli ci hanno lasciato testimonianze scritte di ciò che avevano udito da loro. Noi possiamo considerare queste testimonianze come autentici insegnamenti di Gesù e degli Apostoli.

A questo tipo di Tradizione, che è Parola di Dio, appartengono non pochi detti riguardanti la successione apostolica. Tale dottrina - come abbiamo dimostrato - è contenuta nella Bibbia. Ma anche fuori della Bibbia abbiamo numerose testimonianze della stessa verità. Sono gli scritti di alcuni eminenti testimoni delle prime generazioni cristiane.

Testimoni e testimonianze

1 - San Clemente Romano

Tra i discepoli immediati degli Apostoli, nel caso specifico di san Pietro, va annoverato Clemente Romano. Fu terzo successore di san Pietro a Roma, dopo Lino, ed Anacleto, dall'anno 92 all'anno 101 Era Cristiana. Clemente conobbe molte cose, cioè insegnamenti di Pietro e forse anche di Paolo. Poi ebbe occasione di mettere queste cose per iscritto. Uno di questi scritti è giunto fino a noi e contiene un'esplicita testimonianza della successione apostolica. Eccola:

“Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore Gesù Cristo; Gesù Cristo fu mandato da Dio. Il Cristo dunque viene da Dio, e gli Apostoli da Cristo. Ambedue le cose procedettero dunque ordinatamente dalla volontà di Dio. Ricevuto quindi il loro mandato, resi sicuri dalla risurrezione dei Signore Nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella Parola dì Dio, con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la Buona Novella, l'avvicinarsi del regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie (= le prime  conversioni) e le costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questa non era cosa nuova, poiché da gran tempo la Scrittura parlava di vescovi e diaconi. Così dice infatti la Scrittura in un luogo. "Stabilirò i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede”.

E ancora: “Anche gli Apostoli nostri conobbero, per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci sarebbero stati contrasti a riguardo della dignità episcopale. Per questa ragione, prevedendo perfettamente l'avvenire, istituirono coloro che abbiamo detto (cioè vescovi e diaconi); e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel ministero. Coloro dunque che furono stabiliti dagli Apostoli, oppure in seguito da altri uomini esimi con l'approvazione di tutta la Chiesa (... ), costoro noi crediamo che non sia giusto scacciarli dal loro ministero”.

Osservazioni:

a) La testimonianza di san Clemente Romano in materia di successione apostolica è di un valore incalcolabile sia per la sua antichità sia per la forma assai esplicita in cui è affermata. La Lettera è stata scritta “dalla chiesa di Roma alla chiesa di Corinto” verso l'anno 96 Era Cristiana. Sappiamo da sant'Ireneo che la Lettera deve essere attribuita a Clemente, che guidava in quel tempo la chiesa di Roma. Di lui scrive Ireneo: “La predicazione degli Apostoli risuonava ancora nelle sue orecchie e il loro insegnamento era ancora sotto i suoi occhi”.

b) Clemente fa risalire a Gesù Cristo l'origine della successione apostolica. Fu Lui a voler assicurare la trasmissione del vero Vangelo mediante una catena ininterrotta di persone qualificate e autorizzate. Questo vale sempre. Ma vale specialmente quando lupi rapaci si intromettono nel gregge di Cristo (cfr. Atti 20, 29-31), arrogandosi un potere che nessuno ad essi ha mai dato. Così era. avvenutovi tempi di Clemente, così avviene in altre epoche della storia, anche ai nostri giorni. Gesù ha ammonito: “Guardate di non lasciarvi ingannare (...). Non seguiteli” (Luca 21, 8).

c) E' da notare infine che la chiesa di Corinto, a cui Clemente indirizzava la sua Lettera, era una chiesa di origine paolina. Anche in quella chiesa la guida della comunità era affidata a persone fedeli e capaci che fossero legate agli Apostoli mediante il filo ininterrotto della successione.

2 - Sant'Ireneo Appartiene alla terza generazione cristiana. Nacque verso la metà del secondo secolo, probabilmente nell'anno 140 d.C., a Smirne (nella odierna Turchia), e chiuse la sua vita col martirio a Lione in Francia, dov'era Vescovo, nell'anno 203 d.C.. Nella sua prima gioventù fu discepolo di san Policarpo (69 - 155), Vescovo di Smirne, che a sua volta era stato alla scuola di Giovanni, l'autore del quarto vangelo. Sant'ireneo fu anche a Roma, dove poté conoscere direttamente molte cose riguardanti quella chiesa.

L'opera principale di Ireneo è lo scritto Adversus Haerescs (contro le eresie), in cui parla anche della successione apostolica. Basandosi sui testi della Scrittura, Ireneo dimostra che gli eretici sono in errore perché sono fuori della successione .

“Così tutti coloro che vogliono conoscere la verità possono osservare in ogni chiesa la tradizione degli Apostoli, manifestata in tutto il mondo. Noi possiamo enumerare coloro che dagli Apostoli furono stabiliti vescovi nelle chiese, e i loro successori fino ad oggi. Essi non hanno insegnato nulla, nulla hanno conosciuto che somigli alle fantasticherie di costoro (degli eretici) ...”.

Continua Ireneo: “Ma poiché sarebbe troppo lungo, in un volume come questo, enumerare la successione di tutte le chiese, noi esaminiamo la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; e dimostreremo che la tradizione, che essa ha dagli Apostoli, e la fede, che ha annunciato agli uomini, sono giunte fino a noi attraverso la successione di Vescovi”.

Segue l'elenco dei successori di san Pietro nel governo della chiesa di Roma. Da questi dati di fatto Ireneo tira le conseguenze:

“Tali essendo le nostre prove, non c'è, bisogno di andare a cercare altrove la verità, che è facile trovare nella Chiesa, perché gli Apostoli come in uno scrigno vi hanno deposto tutta la verità nella sua pienezza affinché chiunque lo voglia, possa attingervi la bevanda di vita (cfr. Apocalisse 22, 17). Questo è l'ingresso alla vita. Tutti gli altri sono ladri e briganti (cfr. Giovanni 10, 1.8-9). Bisogna perciò evitarli, ed amare invece d'un amore sommo tutto ciò che è della Chiesa, e apprendere la tradizione della verità”.

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:52. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com