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PARADISO

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:36
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05/09/2009 16:36

I giusti erediteranno la terra (Ps. 37, 11)

La speranza d'un futuro paradiso su questa terra faceva certamente parte della religiosità de- gli antichi Israeliti. Essa tuttavia non aiutava a dare una risposta soddisfacente a un interrogativo che agita l'uomo giusto d'ogni tempo: perché Dio permette che i buoni soffrano e i malvagi prosperino?

1 - Gli antichi Israeliti non avevano ancora l'idea d'una ricompensa ultraterrena. Al pio israelita, nella maggior parte dei casi, si prospettava una soluzione terrena. Egli sperava che con l'andare del tempo Jahve avrebbe fatto giustizia su questa terra.

Il Salmo 3,7 (3,6), attribuito a David, presenta questa soluzione:

Non irritarti per i maligni;

non invidiare coloro che operano iniquità. Perché appassiscono in fretta come fieno (...)

Confida in Jahve e opera il bene:

abiterai la terra e pascerai al sicuro. (Ps, 37, 1-3, Garofalo).

 

Il senso è che, a breve scadenza, Jahve punirà il malvagio privandolo della sua terra e premierà il giusto, che prenderà il suo posto:

Ancora un poco e non sarà più l'empio,

ma coloro che sperano in Jahve erediteranno la terra (Ps. 37, 10-11).

 

Ma se dovesse accadere che il malvagio rimanga in prosperità fino alla morte, a soffrire sarà la sua discendenza, mentre la prole del giusto sarà premiata:

Gli empi in eterno saranno puniti e il seme degli empi reciso. I giusti erediteranno la terra

e vivranno per sempre su di essa (Ps. 37, 28-29).

 

Il senso proprio ed immediato delle parole: “i giusti erediteranno la terra >, è che Jahve, con l'andare del tempo, darà al pio Israelita un bel pezzo di terra nella Palestina, nel paese di Canaan, bene sommo per l'antico ebreo, come premio della sua fedeltà a Dio. Questa promessa nel Salmo 37 viene ripetuta sette volte: 3.9.11.22.27.29.34.

 

2 - Tuttavia nelle parole del Salmo 37 si può scorgere una visuale più ampia, che riguarda cioè non il singolo individuo, ma la comunità intera degli Israeliti. Parlando a Israele Jahve dirà: “Il tuo popolo sarà un popolo di giusti, in eterno domineranno la terra” (Isaia 60, 21, Garofalo; cf. 65, 9,).

La terra, di cui qui si tratta, è la terra di Canaan, la futura Palestina, che Dio aveva dato al popolo ebraico (cf. Giosuè 18, 1-3).

In questa prospettiva più ampia le parole del Salmo “I giusti erediteranno la terra” significano che i pii Israeliti si stabiliranno nel paese di Canaan che Dio aveva dato al suo popolo e che né loro né i loro discendenti sarebbero scacciati da esso Sarà Gesù a fare piena luce sulle parole del Salmo. La terra promessa ai giusti rivelerà il suo pieno significato di “patria celeste” (cf. Ebrei 11, 14-16), di “nuovi cieli e nuova terra”. di “dimora di Dio con gli uomini” (Apocalisse 21, 1-3). Questo è l'autentico significato delle parole di Gesù in Matteo: “I miti possederanno la terra” (5,5). Qui come sempre valgono le belle parole del grande Agostino: “Il Nuovo Testamento è nascosto nell'Antico, e l'Antico si rivela nel Nuovo”.

Per queste ragioni e altre ancora, che saranno dette in seguito, quando i tdG spiegano Matteo 5, 5 come se Gesù avesse promesso a loro, e solo a loro, questa terra, questo nostro pianeta colmo di beni materiali, perché possano gozzovigliare per tutta l'eternità, fanno un uso aberrante della Parola di Dio con l'unico scopo di fare seguaci e col numero far denaro.

Speranza migliore

La speranza d'una ricompensa terrena per i giusti non apparve soddisfacente a tutti gli Israeliti. In effetti spesso il giusto soffre tutta la vita né diversa è la sorte dei suoi discendenti. Al contrario il malvagio trionfa e continua a trionfare nei suoi figli e nipoti. Davanti a tale amara esperienza il pio Israelita rimaneva sconcertato e quasi sull'orlo della disperazione:

Certo, Dio è buono per il giusto;

Ma a me per poco non si storpiavano i piedi,

per un nulla scivolavano i miei passi.

Infatti invidiai i millantatori,

vedendo la prosperità dei malvagi (Ps. 73, 1-3, Garofalo).

 

In tale stato di angoscia il pio Israelita ricorre a Dio per aiuto, per consiglio:

E stimavo di poter capire,

ma non fu che travaglio ai miei occhi.

Finché venni ai santuari di Dio

e penetrai la loro fine (Ps. 73, 16-17, Garofalo).

 

Quale frutto della sua preghiera il giusto riceve dall'alto la luce e il conforto: egli comprende che, oltre ai confini dell'esistenza terrena, lo attende una vita di felicità nella gioiosa comunione con Dio.

Ma io fui sempre con te;

tu hai preso per mano la mia destra. Nel tuo consiglio mi guidi

e poi alla gloria mi prendi

Viene meno la mia carne e il mio cuore?

Rocca del mio cuore e mia porzione è Dio in eterno (,Ps. 73, 23-26).

 

Commenta La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo:

“La grande scoperta spirituale dei salmista è dunque che Dio stesso costituirà la felicità dei giusto, mentre il malvagio ha dinanzi a sé una prospettiva di morte (v. 19). Nel verso 26 viene meno la mia carne e il mio cuore?

Rocca del mio cuore e mia porzione è Dio in eterno, lo sguardo del poeta si spinge oltre la tomba e la consunzione del corpo, verso Dio, in cui la sua vita troverà eterna stabilità. Con questa apertura finale di orizzonte sulla eternità, il salmo raggiunge le più alte vette della spiritualità dell'Antico Testamento”.

“Sublime slancio di fede in una vita immortale, eccitato dalla vista perturbatrice delle ingiustizie di questa vita terrena. Perché prospera l'empio e il giusto soffre? si domanda il salmista. E dalla cruda ambascia che tormenta un tal pensiero si eleva alla confortante dottrina che la morte metterà fine all'apparente ingiustizia, segnando per i cattivi la fine d'ogni bene, per i buoni il principio d'una felicità imperitura”.

La giustizia è immortale (Sapienza 1, 15)

La speranza d'una vita felice in comunione con Dio subito dopo la morte, ossia d'un paradiso non materialistico, assume contorni assai precisi negli ultimi due secoli prima di Cristo. E' come l'aurora che precede il sorgere del sole (cf. Luca 1, 78). Fu durante questo tempo che alcuni saggi di Israele, guidati dallo Spirito Santo, approfondirono la dottrina della retribuzione dei giusti e colsero il vero significato delle promesse divine. Ecco alcuni sprazzi di questa luce.

“La giustizia è immortale” (Sapienza 1, 5, Garofalo), ossia “Chi fa quel che piace a Dio vive per sempre” (Interconfessionale).

“Chi si rende gradito a Dio, da lui è amato e, se vive in mezzo a gente cattiva, Dio do prende e lo fa vivere altrove” (Sapienza 4, 10, Interconfessionale).

“Ubbidire alla sapienza è garanzia di vivere per sempre e questa vita ti permette di stare vicino a Dio. Così, se desideri la sapienza puoi giungere fin sul trono” (Sapienza 6, 18-20, Interconfessionale).

“Le anime dei giusti sono al sicuro nelle mani di Dio, nessun tormento li colpirà. Agli occhi degli stolti la loro morte parve uno sfacelo, la loro scomparsa la fine di tutto (…), ma essi sono nella pace” (Sapienza 3, 1-3, Interconfessionale).

A proposito del libro della Sapienza è stato giustamente osservato da un grande biblista:

“La dottrina della vita subito dopo la morte contenuta nel libro della Sapienza va oltre a quanto avevano scritto e creduto i precedenti autori sacri. L'autore del libro della Sapienza potrà essere stato spinto da influenze esterne (ellenismo) a sviluppare i   precedenti insegnamenti biblici. Tuttavia nel suo cammino era guidato dalla divina Provvidenza, che voleva preparare i giudei della diaspora, e assieme a loro anche i pagani venuti a conoscenza della religione ebraica, alla Rivelazione che nella pienezza dei tempi sarebbe stata ben presto annunziata. Questa Rivelazione avrebbe gettato piena luce sulla dottrina della vita futura e dell'eterna ricompensa, cioè sul Paradiso dei veri discepoli di Cristo”.

 

CAP. III

IL PARADISO DEI VERI CRISTIANI

Nel libri del Nuovo Testamento la parola “paradiso” ricorre solo tre volte. Ma in numerosi altri testi biblici sia dei vangeli che in san Paolo, come pure nell'Apocalisse, è chiaramente contenuta la dottrina d'uno stato di felicità, che ha inizio subito dopo la morte.

Dall'analisi di queste testimonianze noi possiamo ricavare con certezza non solo l'esistenza di questo stato di felicità, ma anche conoscere in qualche modo la sua natura, possiamo cioè avere qualche idea di che cosa esso sia. La Bibbia ci autorizza a chiamare  “Paradiso” questo stato di felicità subito dopo la morte (cf. Luca 23, 43).

In questo terzo capitolo parleremo prima della esistenza del Paradiso e poi della sua natura, seguendo fedelmente la Bibbia.

 

1 - Esistenza del Paradiso

Oggi sarai con me in Paradiso (Luca 23, 43)

Nei vangeli la parola “Paradiso” si trova solo in san Luca, nella risposta che Gesù, prossimo a morire, dà al peccatore pentito:

“E diceva: " Gesù, ricordati di me quando verrai nella tua maestà regale". E Gesù gli disse: "In verità ti dico: oggi sarai con me in Paradiso "” (Luca 23, 43, Garofalo).

Spiegazione:

1 - Il peccatore pentito riconosce in Gesù il Messia promesso, l'atteso re di Israele. Da buon giudeo pensa che questo re inaugurerà il suo regno in un avvenire indeterminato. Egli chiede di essere ammesso in questo futuro regno messianico, benché peccatore.

 

2 - Rispondendo Gesù chiama il suo regno “Paradiso” e fa chiaramente capire che è una realtà imminente e non su questa terra. Infatti sia lui sia il buon ladrone stavano per lasciare questa vita terrena. Malgrado ciò, Gesù assicura che quello stesso giorno si sarebbero trovati insieme in Paradiso.

 

3 - In che modo? Certo non in virtù d'una immediata risurrezione del corpo per trovarsi su questa terra mutata in “giardino di Dio”. Questo non avvenne. Si può dunque dedurre che in quello stesso giorno avrebbero iniziato insieme uno stato di vita gioiosa. Gesù chiama Paradiso questo nuovo stato di vita.

“In tal modo Gesù offre più di quanto il. ladrone pentito gli avesse chiesto, poiché gli promette che in quello stesso giorno sarà con lui in Paradiso. In questo senso il Paradiso è il luogo in cui vengono raccolte dopo la morte le anime dei giusti, cioè il Paradiso presente, già esistente

Con la promessa del perdono il 'giorno futuro’diventa il ‘già oggi' dell'adempimento”.

Discese agi'ìnferi (Atti 2, 27.31)

La Bibbia giustifica queste affermazioni.

1 - Nel suo primo discorso il giorno di Pentecoste san Pietro afferma che Dio non abbandonò nell'Ade o inferi l'anima del suo Santo, cioè di Gesù né permise che il suo corpo andasse in corruzione (cf. Atti 2, 27.31). Qui l'apostolo Pietro afferma due cose ben distinte: una è che il corpo di Cristo non andò in corruzione; fu infatti risuscitato. L'altra, che la vita o anima di lui non rimase - nell'Ade o inferi. Da questo si deduce che subito dopo la morte Cristo, senza il suo corpo, andò con la sua vita o anima nel regno dei morti (Ade, inferi).

 

2 - Che cosa era l'Ade o inferi? Non era certamente il sepolcro. Era il regno dei morti. “Lasciamo da parte ogni localizzazione " sotterranea ", ogni immagine di voragine, d'abisso, di pozzo; ogni idea di tenebre, di ombre, di sonno, e diciamo solo che gli inferi (Ade, Sceol) erano l'incontro di tutti i defunti, lo stato (non il luogo) in cui ciascuno entrava, quando raggiungeva " i suoi padri ".

Sono questi gli inferi (Ade) in cui Cristo, appena spirato in croce, raggiunse gli spiriti, le anime dei milioni, dei miliardi di uomini e donne morti prima di lui fin dall'inizio della specie umana e che aspettavano la manifestazione della salvezza”

 

3 - E che cosa andò a fare Gesù Cristo nell'Ade? “San Pietro' nella sua prima Lettera, citando interamente un inno battesimale primitivo (3, 118-4, 6), ci dice la ragione di questa discesa. L'inizio e la fine dell'inno, infatti, si riferiscono alla discesa di Gesù negli inferi:

“Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare ala salvezza agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere, quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorno di Noè, mentre si fabbricava l'arca  Infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito”. Gesù irrompe in questo mondo dei morti (...). Trionfa sulle potenze sataniche (cf. Filippesi 2, 10), strappa loro l’umanità perduta, introducendola nella gloria dei cieli, in cui egli stesso entra alla testa di tante creature umane”.

In questo immenso corteo di anime redente c'era anche il buon ladrone. Quel peccatore pentito, morendo, non tornò nella non esistenza, come affermano i tdG, ma cambiò condizione o stato di vita, entrando nel Paradiso, come aveva assicurato Gesù.

 

4 - Contro  questa spiegazione i tdG strumentalizzano Giovanni 20, 17 dove Gesù dice alla Maddalena: “Non trattenermi perché non sono asceso ancora al Padre mio”. Sarebbe perciò impossibile che quello stesso giorno sia andato in Paradiso col buon ladrone.

La verità è che in Giovanni 20, 17 Gesù si riferisce al suo ritorno al Padre col suo corpo glorificato, il giorno dell'Ascensione (cf. Atti 1, 11)., Il senso delle parole dette alla Maddalena è che il Risorto si sarebbe fatto vedere ancora. Non c'era motivo di preoccuparsi. La Maddalena doveva andare subito dagli Apostoli ad annunziare la sua risurrezione.

Al contrario, in 1 Pietro 3, 18-4, 6 si parla di ciò che Cristo fece subito dopo la morte, quando in spirito ,cioè senza corpo, andò ad annunciare la liberazione al miliardi di anime che l'attendevano negli inferi. Dopo di che risuscitò.

L'esperienza di san Paolo (2 Corinzi 12, 1-4)

La parola Paradiso ricorre pure in san Paolo (2 Corinzi 12, 1-4). L'Apostolo la usa nel raccontare, con grande umiltà, una sua esperienza straordinaria, che egli annovera tra le visioni e rivelazioni, di cui Dio l'aveva gratificato.

“Bisogna dunque vantarsi! Veramente non sarebbe conveniente; pure   passerò alle visioni e rivelazioni del Signore. So di un uomo in Cristo, il quale, quattordici anni fa, fu rapito se col corpo o fuori del corpo non lo so: lo sa Iddio  fino al terzo cielo. E so che tale uomo - fosse col corpo o senza corpo lo ignoro: lo sa Iddio - fu rapito in paradiso e udì  parole ineffabili, che non è permesso a uomo ripetere” (2 Corinzi 12, 1-4, Garofalo).

Spiegazione:

 1 - Notiamo anzitutto che la parola Paradiso usata da san Paolo deve avere lo stesso significato che in san Luca 23, 43, e viceversa. San Luca infatti era compagno di san Paolo nella diffusione del Vangelo. Tra i due vi sono sicuramente somiglianze di linguaggio e identità di dottrina. Qual è il significato della parola Paradiso in san Paolo?

 

2 - Paolo dice che fu rapito al “terzo cielo”, e aggiunge subito che fu rapito in  paradiso. Paradiso dunque e terzo cielo indicano la stessa cosa. Ora presso gli Ebrei al tempo di Paolo il terzo cielo o cielo empireo era immaginato come la dimora di Dio. Il paradiso, dunque, corrisponde a una regione del cielo, non alla terra. E così pure in Luca 2.3, 43. Nel linguaggio biblico il Paradiso è la dimora di Dio con gli uomini come dirà san Giovanni i(cf. Apocalisse 21, 3).

 

3 - Nel Paradiso san Paolo udì parole ineffabili, che cioè non si possono ripetere con linguaggio umano. Questa espressione “udire parole” è un ebraismo, ossia una proprietà della lingua ebraica, dove per parole bisogna intendere cose e per udire, vedere. San Paolo vuol dire che nel Paradiso vide cose che è impossibile descrivere con linguaggio umano. Sono al di là dell'esperienza di questa vita.

Se Paolo avesse visto giardini ricchi di alberi e di frutta e di uccelli colorati e cinguettanti, avrebbe potuto descriverli con parole umane. E così pure se avesse visto tavole imbandite di pietanze succulente e di bevande inebrianti... Nulla di tutto questo! E neppure vide gente banchettante e tutta dedita al piaceri della gola e del ventre. Questo paradiso lo immagina il Corpo Direttivo dei tdG a uso e consumo dei suoi avidi seguaci. La Bibbia lo ignora.

Apocalisse 2, 7

“Chi ha orecchio ascolti ciò che lo spirito dice alle Chiese. "A colui che vince, gli darò a mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2, 7, Garofalo).

Spiegazione:

 1 - Il Paradiso, che appare qui la terza volta .nel Nuovo Testamento, è presentato come il premio dei vittoriosi, di tutti coloro che rimangono fedeli a Cristo fino alla morte (cf. Apocalisse 2, 10.'17. 26; 3,5.12.21). Unica dunque sarà la ricompensa di quanti seguiranno Cristo in questa vita. La Bibbia non fa distinzione tra alcuni destinati al cielo e altri alla terra.

2 - Questo Paradiso consiste nel dono di mangiare dell'albero della vita. Questa espressione ricorda Genesi 2, 9, (cf. supra p. 9), dove l'albero della vita è simbolo d'immortalità. Paradiso dunque significa uno stato d'immortalità, una condizione opposta a tutto ciò che non è vita. Chi ha la pienezza della vita, non ha bisogno di cibi succulenti e di vini prelibati!

3 - Come nella visione di Paolo (cf. 2 Corinzi 12, 3-4), questo Paradiso non è limitato alla nostra terra. E' detto infatti “paradiso di Dio”. E' la dimora di Dio con gli uomini (cf. Apocalisse 21, 4). Dio si trova dovunque, ma la sua dimora appropriata è nei cieli come sarà spiegato. Questo vuol dire che il vero Paradiso consiste nella piena comunione con Dio, non nell'abbondanza di beni materiali, come sperano i tdG.

Felicità subito dopo la morte

Come già abbiamo accennato, vi sono numerosi altri testi nel Nuovo Testamento dov'è contenuta la dottrina del Paradiso dei veri cristiani, anche se non ricorre la parola “paradiso”. Sono quei testi biblici dov'è affermato senza il minimo dubbio che per i discepoli di Cristo subito dopo la morte vi é uno stato di felicità. Ne esaminiamo solo alcuni.

1 - Nella parabola di Lazzaro povero e buono, e del ricco egoista Gesù dice: “Or accadde che il mendìco morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Luca 16, 22).

L'espressione “seno di Abramo” ricorda il banchetto celeste, che rappresenta la felicità dei giusti come diremo. Abramo è presentato come il capotavola perché padre di tutti i credenti (cf. Genesi 17, 1-8; Luca 19, 9; Romani 4, 11-12). Partecipare al banchetto di Abramo significa godere della stessa felicità di cui gode Abramo. A Lazzaro povero, ma virtuoso e giusto, viene assegnato un posto d'onore, vicino al capotavola (cf. Giovanni 13, 23,).

In questa parabola Gesù insegna chiaramente che ai giusti è riservato uno stato di felicità subito dopo la morte. Nulla vieta di chiamare Paradiso questo stato di felicità.

 

2 - Alla stessa conclusione si arriva analizzando correttamente le parole di san Paolo ai Filippesi (1, 21-23):

“Per me, infatti, il vivere è Cristo, e il morire un guadagno (...). Ho desiderio di andarmene per essere con Cristo, che è cosa di gran lunga migliore” (Filippesi 1, 21-13, Garofalo).

Spiegazione:

a) Qui san Paolo parla certamente di morte (greco apothnesco = morire) Il ed afferma che egli considera la sua morte come un guadagno, ossia come un modo di essere migliore rispetto alla vita presente. Poi ribadisce e spiega il suo pensiero dicendo che “desidera andarsene per essere con Cristo”, “che è cosa assai migliore”, rispetto alla vita presente (cf. 2 Timoteo 4, 6). La parola “andarsene” (greco analysai) equivale a “essere disciolto dal corpo”, cioè “morire” (cf. 2 Corinzi 5, 8).

“Il verbo greco analysai, usato qui da san Paolo, nel Nuovo Testamento significa “andarsene” e designa la morte, velandone delicatamente l'aspetto orribile; in questo caso equivale a “decedere”, cioè morire. Lo stesso significato ha in 2 Timoteo 4, 6, dove Paolo parla della sua partenza verso il porto sospirato del cielo, cioè della morte e riunione con Cristo”.

b) Paolo sa che dopo la morte desiderata sarà con Cristo. La morte infatti non potrà separarlo da Cristo (cf. Romani 8, 38). Egli dunque afferma che quelli che muoiono nel Signore ottengono subito dopo la morte un modo di essere che è un guadagno, cioè un modo di essere assai migliore, rispetto a questa vita. Subito dopo la morte il discepolo di Cristo ottiene una più intima e più gioiosa comunione di vita col suo Maestro e Redentore (cf. Luca 213, 43). E' il Paradiso, di cui lo stesso Paolo ebbe un saggio durante la sua vita terrena (cf. 2 Corinzi 12, 1-4).

c) E' bene notare che qui Paolo non parla di risurrezione. Egli parla solo di fine di questa vita, cioè della sua morte. Tra la morte dunque e la futura risurrezione, in cui Paolo credeva (cf. Atti 24, 1'5), vi è un modo di essere preferibile alla vita presente. Questo insegna chiaramente san Paolo in Filippesi 1, 21-25.

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