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Chi è venuto dall'Aldilà? (storie autentiche su cui meditare)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:46
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05/09/2009 16:37


CHI E’ VENUTO DALL’ALDILA’?

Tratto da: L'ALDILA’ STUPENDA REALTA’ - Il Paradiso
di P. GNAROCAS N.J. EDITRICE COMUNITÀ Via S. Pietro, 87 - ADRANO (Catania)

Don Teodosio Galotta, salesiano di Napoli, era am­malato così gravemente che i suoi parenti gli avevano preparato il loculo al cimitero con l'iscrizione già fatta.

L'urologo, dott. Bruno, fece questa diagnosi: Neo­plasia prostatica con metastasi ossee e polmonari, una prostata aumentata di volume, di consistenza lignea e di superficie bornoccoluta.

La diagnosi era stata confermata dalle radiografie: Alterazione strutturale del terzo prossimale del femore destro e delle branche ischio-pubiche, specie a sinistra, per lesioni del tipo osteolitico. Nei campi polmonari al­ti, specie a destra, presenza di noduli neoplastici meta­statici.

Descrivendo poi dettagliatamente quanto riscontra­to, il radiologo, pro f. Acampora, aveva aggiunto: L'alte­razione si presenta con scomparsa della normale trabecolatura ossea, sostituita da aree di osteolisi alternate ad aree di addensamento osseo, riproducenti il tipico quadro neoplastico del tipo osteoclastico e in parte osteoclastico. Successivamente si notò una frattura del piccolo trocantere di destra...

L'internista dott. Schettino, nella sua dichiarazio­ne scritta, aveva parlato, in occasione dei due gravi col­lassi periferici, di condizioni fisiche molto precarie e di situazione molto pericolosa per la vita del paziente. Il medico legale a sua volta, dopo aver esaminato tutta la documentazione, disse che si trattava di una diagno­si precisa e non di un sospetto diagnostico o di un enun­ziato nosologico di probabilità.

La notte del 25-10-1976 Don Teodosio Galotta arri­vò alla fine: era quasi in coma. L'assistente toccandogli il polso si lasciò sfuggire: Non si sente più.

Don Galotta, che ancora capiva, al sentire questo, invocò nel suo cuore i due martiri salesiani della Cina: Mons. Versaglia e Don Caravario, aiutatemi voi.

Subito gli comparvero i due martiri e gli dissero: Non temere, ci siamo noi.

All'istante Don Galotta guarì completamente. La do­cumentazione medica è ora a Roma presso la Sacra Con­gregazione per le Cause dei Santi, per la beatificazione dei due martiri.

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Chi è venuto dall'aldilà?

L'episodio qui riportato è uno dei miracoli studia­ti dalla Chiesa per la causa di Beatificazione di Papa Gio­vanni XXIII.

Suor Caterina Capitani, suora delle Figlie della Ca­rità della provincia napolitana, cominciò ad accusare disturbi alla salute alcuni mesi dopo la vestizione. Era il 1962, la Suora aveva 18 anni e lavorava come infer­miera presso gli Ospedali Riuniti di Napoli. Fino a quel tempo la sua salute era stata molto buona. Un giorno avvertì un dolore intercostale noioso, al quale non die­de nessuna importanza. Dopo un paio di mesi però eb­be una emorragia e questa volta si spaventò. Era nella sua stanza. Ebbe un conato di vomito, corse al lavabo con la bocca piena di sangue molto rosso. Poiché le ave­vano insegnato che il sangue molto rosso proviene dal torace, pensò con terrore alla tisi. Con una simile ma­lattia la sua vita di suora sarebbe finita perché la rego­la della Congregazione delle Figlie della Carità esige che le aspiranti religiose siano sane per poter affrontare i sacrifici che il lavoro in ospedale richiede.

Suor Caterina per il momento decise di non dir niente a nessuno. Per alcune notti non riuscì a dormi­re, ma poi, vedendo che l'emorragia non si ripeteva e che il dolore intercostale era scomparso, riprese la vita di sempre.

Per sette mesi non accadde più niente. Poi all'im­provviso, senza alcun sintomo preventivo, ecco un'altra terribile emorragia che lasciò la suora molto spossata.

Cominciarono visite, controlli, esami clinici. Furo­no fatte radiografie del torace, dello stomaco, stratigra­fie. Nessuno riusciva a trovare il perché di quelle emorragie.

Nel 1964 i medici degli Ospedali Riuniti si dichia­rarono vinti e Suor Caterina passò all'Ospedale «Asca­lesi» sotto le cure del professor Alfonso DAvino.

Una eso fagoscopia rivelò una zona emorragica nel segmento toracico: sembrava che tutti i malanni pro­venissero da lì. Allora la Suora fu portata all'Ospedale Pellegrini dell'ematologo professor Giovanni Bile, ma anche egli non riuscì a migliorare la situazione. Restò un'ultima speranza: ricorrere al prof. Giuseppe Zanni­ni, direttore dell'Istituto di semeiotica chirurgica del­l'Università di Napoli, una personalità di spicco nel cam­po medico internazionale. Dopo una lunga visita e un'a­nalisi minuziosa di tutti i referti degli altri medici, il professor Zannini iniziò una nuova cura che durò cin­que mesi. Anche questa volta però la situazione non cambiò, per cui il professore decise di sottoporre la Suo­ra a un intervento chirurgico.

Suor Caterina fu ricoverata nella Clinica Mediter­ranea e tre giorni dopo venne operata. L'intervento du­rò cinque ore. Lo stomaco, all'interno, era completamen­te ricoperto di varici. Una forma ulcerosa strana e rara, provocata forse da un cattivo funzionamento della mil­za e del pancreas che risultavano in pessime condizioni. Il professore fu costretto ad asportarle lo stomaco, la mil­za e il pancreas. Si trattò di un intervento molto delica­to e le probabilità che la Suora uscisse viva dalla sala operatoria erano minime. Il pericolo sembrava supera­to. Le consorelle di Suor Caterina, senza perdere la fidu­cia, continuavano a pregare con fervore Papa Giovanni.

Nei giorni seguenti l'operazione lo stato di salute della Suora andò peggiorando. Durante la prima notte ebbe un collasso, poi un blocco intestinale la gonfiò co­me una botte. Il professore, molto preoccupato, pensa­va che fosse necessario un altro intervento. Ma dopo no­ve giorni le condizioni della Suora migliorarono all'im­provviso, ma fu un miglioramento illusorio.

Tre giorni dopo, mentre la Suora stava sorseggian­do un po' di liquido ed ecco che divenne cianotica e per­se i sensi. Accorsero i medici con l'ossigeno. La visita­rono riscontrandole la pleurite. In seguito alle cure ap­propriate ci fu un miglioramento e dopo dieci giorni fu in grado di uscire dalla clinica.

Ancora una volta però il miglioramento fu brevis­simo: dopo due settimane cominciò a peggiorare. Suor Caterina vomitava succhi gastrici in grande quantità.

Erano così forti che le bruciavano la pelle. Dopo alcuni giorni aveva la parte inferiore della faccia ridotta a una piaga e poiché non riusciva a ingerire niente, veniva nu­trita con flebloclisi. Il professore Zannini, sempre più preoccupato, decise di mandarla a casa, a Potenza, per provare se l'aria nativa potesse giovarle. Ma dopo due mesi la Suora ritornò a Napoli peggiore di quando era partita. Sembrava un cadavere.

Il 14 maggio 1966, dopo una breve crisi di vomito, si era aperto sullo stomaco un buco dal quale uscivano succhi gastrici, sangue e quel poco di succo d'arancia che la Suora aveva bevuto poco prima. Si era formata una perforazione che aveva causata una fistola ester­na. Era in atto una peritonite diffusa. La febbre era sa­lita a 40. La situazione era disperata. Il professor Zan­nini la fece ricoverare immediatamente all'Ospedale del­la Marina. Le ordinò delle medicine in attesa dello svi­luppo della crisi, perché un intervento chirurgico in quelle condizioni era impensabile.

Essendo in pericolo di morte, fu concesso alla Suo­ra di emettere i voti anzitempo e dopo le fu amministra­to l'Olio degli Infermi.

Nel frattempo una consorella le portò da Roma una reliquia di Papa Giovanni, che Suor Caterina mise sul­la perforazione dello stomaco e pregava il Papa di por­tarla con lui in Paradiso. La fine si avvicinava.

Il 25 maggio verso le 14,30 Suor Caterina si assopì. A un certo punto sentì una mano che le premeva la fe­rita sullo stomaco e una voce d'uomo che la chiamava. La Suora pensò che fosse il professor Zannini che ogni tanto veniva a controllare le sue condizioni. Suor Cate­rina si girò verso la parte da cui veniva la voce e vide, accanto al suo letto, Papa Giovanni. Era lui che teneva la mano sulla ferita dello stomaco. Papa Giovanni le di­ce: Non temere, non hai più niente. Suona il campanel­lo, chiama le suore che stanno in cappella, fatti misu­rare la febbre e vedrai che la temperatura non arriverà neppure a 37 gradi.

Mangia tutto quello che vuoi, come prima della ma­lattia. Non avrai più niente. Va dal professore, fatti vi­sitare, fa'delle radiografie e fai mettere tutto per iscrit­to, perché un giorno queste cose serviranno.

La visione scomparve e solo allora mi resi conto che non era stato un sogno. Suor Caterina si sentiva bene, non aveva più alcun dolore. Suona il campanel­

lo, le suore accorrono. La madre superiora pensò su­bito che la suora fosse in preda al delirio che precede la morte.

Trovarono la Suora seduta a metà letto. La guar­davano trasognate. Suor Caterina, non potendo conte­nere la gioia, quasi gridando disse: Sono guarita. È sta­to Papa Giovanni. Misuratemi la febbre, vedrete che non ho più nulla. La febbre arrivò a 36,8. Ora datemi da man­giare perché ho fame.

La febbre arrivò a 36,8. Con grande voracità ingoiò semolino, polpette, una minestrina, anche un gelato. Era guarita completamente. Della fistola nessuna traccia: la pelle era liscia, pulita e bianca. Allora Suor Caterina raccontò alle sue consorelle l'apparizione di Papa Giovanni.

Da quel giorno Suor Caterina non ha avuto più niente. I medici la visitarono, la sottoposero a decine di radiografie. Dei suoi malanni non c'era più nessuna traccia.

Il giorno dopo il miracolo la suora riprese una vita normale. Sono trascorsi più di 27 anni e ella sta be­nissimo.

Il testimonio più prezioso del miracolo è il profes­sor Zannini, il quale afferma: La guarigione di Suor Ca­terina è un caso di cui non trovo spiegazione nella scien­za medica. Ho operato io l'ammalata, le ho asportato quasi tutto lo stomaco perché affetto da una gastrite ul­cerosa emorragica gravissima. Le lasciai poco più di un centimetro di stomaco. Le asportai anche la milza. Ci fu una convalescebnza difficile, l'ammalata non pote­va nutrirsi. Poi si aprì la fistola, ci fu fuoriuscita di li­quido, peritonite, febbre altissima, stato ansioso grave, condizioni disperate.

Non era possibile intervenire con una nuova ope­razione. Feci delle prove: tutto quello che l'ammalata beveva usciva dalla fistola. Consigliai trasfusioni, pla­sma, antibiotici, più che altro come terapia d'attesa. Non ebbi successo: la fistola s'ingrandì e le condizioni del­l'ammalata peggiorarono. Avevo pensato di far traspor­tare Suor Caterina alle sezione rianimazione degli Ospe­dali Riuniti di Napoli per fare un ultimo tentativo. In­vece ricevetti una telefonata in cui mi diceva che la Suo­ra era migliorata. Andai a trovarla e con mia somma sopresa la trovai perfettamente guarita. Per il momento non venni informato di quello che era realmente ac­caduto. Continuai il mio lavoro di medico sottoponen­do l'ammalata ad esami radiografici, visite, ecc. Nessu­na traccia di malattia. Solo venti giorni dopo la supe­riora m'informò dell'apparizione di Papa Giovanni.

Affermo che non ho mai visto una cosa del genere, né posso immaginare come ciò sia potuto accadere. Non trovo modo di spiegare scientificamente quello che è ac­caduto.

Sono un medico e ho seguito il caso con la freddez­za del medico. Sono stato anche più pignolo e scrupo­loso dopo che mi hanno raccontato dell'apparizione di Papa Giovanni.

Sono pienamente convinto che si tratta di una gua­rigione assolutamente inspiegabile, al di fuori delle leggi fisiologiche e dell'esperienza umana. Il fatto che resi­sta da tanti anni, senza ricadute, la rende ancora più inspiegabile e insieme importante.

(Da « Un uomo mandato da Dio - Biografia di Giovanni XXIII» di Renzo Allegri - Editrice Ancora Milano).

Chi è venuto dall'aldilà?

Il Venerabile P. Domenico di Gesù Maria (+1630) era solito tenere nella sua cella, come si usa nell'Ordi­ne Carmelitano, un teschio vero, sia per ricordare la morte come per avere un richiamo al dovere di carità di suffragi verso i defunti.

Quando arrivò al convento di Roma, nella cella che gli venne assegnata trovò un teschio, da cui una notte udì una voce alta e spaventevole che gridava: «In me­moria hominum non sum - nessuno si ricorda di me». Le parole furono ripetute più volte e udite in tutto il dormitorio del convento. Il Venerabile rimase stupito e timoroso, dubitando che si trattasse di un fenome­no diabolico. Si mise subito a pregare per sapere cosa dovesse fare. Prese poi dell'acqua benedetta e aspergen­dola sopra il teschio, il medesimo pronunciò queste al­tre parole: «Acqua, Acqua, misericordia, misericordia».

Il religioso gli domandò chi era e che misericordia voleva. Il defunto rispose dandogli queste informazio­ni: era un tedesco, venuto a Roma a visitare i Luoghi Santi. Il suo corpo era stato sotterrato da molto tempo nel camposanto, l'anima si trovava in Purgatorio a pa­tire pene intollerabili. Non aveva nessuno che gli faces­se del bene, né chi si ricordasse di lui, e perciò lo prega­va di aspergerlo continuamente con l'acqua benedetta. Gli raccomandò che pregasse per lui il Signore affinché lo liberasse da quelle pene.

Padre Domenico promise. Pregò molto e fece peni­tenze. Pochi giorni dopo il defunto gli comparve in cel­la per ringraziarlo del beneficio della liberazione dal Purgatorio, promettendogli riconoscenza.

(Dai processi di beatificazione del P. Domenico di Gesù Maria)

Chi è venuto dall'aldilà?

A Roma, nel 1873, alcuni giorni prima della festa dell'Assunzione, in una di quelle case, dette di tolleran­za, accadde che si ferisse alla mano una di quelle scia­gurate giovani. Il male, che in sulle prime fu giudicato leggero, inaspettatamente si aggravò tanto che la mise­ra, trasportata all'ospedale, morì nella notte.

Nello stesso istante una delle sue compagne, che non poteva sapere ciò che avveniva nell'ospedale, cominciò a gridare disperatamente, così che svegliò gli abitanti del quartiere, mettendo lo sgomento fra quelle miserabili in­quiline e provocando l'intervento della questura.

La compagna morta nell'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: Io sono danna­ta e se tu non lo vuoi essere, esci subito da questo luogo d'infamia e ritorna a Dio!

Nulla potè calmare l'agitazione di questa giovane, la quale, appena spuntata l'alba, se ne andò via, lascian­do tutta la casa nello stupore, specialmente allorché si seppe della morte della compagna nell'ospedale.

Stando così le cose, la padrona del luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemen­te e, pensano all'apparizione della dannata, si conver­tì e volle un Sacerdote per ricevere i Santi Sacramenti. L'autorità ecclesiastica incaricò un degno Sacerdote, Monsignor Sirolli, Parroco di San Salvatore in Lauro, il quale richiese all'inferma, alla presenza di più testi­moni, la ritrattazione delle sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e la dichiarazione di cessare dall'in­fame industria che esercitava. La donna morì con i Con­forti Religiosi.

Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di que­sto fatto. I cattivi, come sempre, si burlarono dell'acca­duto; i buoni invece ne approfittarono per divenire mi­gliori.

Chi è venuto dall'aldilà?

Nell'anno 1863 fu ricoverata all'ospedale del Cotto­legno la sessantenne israelita Sara Pescarolo. Un Sacer­dote la visitò più volte e fece pregare il Servo di Dio P. Giuseppe Cottolengo (+1842) affinché avesse la grazia del Battesimo. Di questo Sacramento egli parlava va­gamente all'inferma. Ella rispondeva: Adesso no. - Ve­dendola in pericolo di morte «mi feci a parlare schiet­tamente e apertamente sulla necessità del Battesimo per salvarsi - racconta il teste Don Domenico Bosso - e da una parola che proferì mi parve che fosse disposta a riceverlo, per cui mi accinsi ad amministrarglielo, ma essa si alzò dal capezzale furibonda, respingendomi con le mani e dimostrando nel modo più energico la sua vo­lontà contraria. Le feci notare che se io mi ero accinto ad amministrarle il Battesimo, fu perché credevo che fosse disposta a riceverlo, ma vedendo che la cosa non era così, le disse che stesse pure tranquilla che io non glielo amministravo, poiché la religione stessa ci vieta di conferire il Battesimo a chi non lo vuole ricevere, e che mai io avrei usato violenza». Don Bosso si ritirò a pregare. «Dissi con confidenza queste precise parole: "Padre Cottolengo, se siete in Cielo, come lo credo fer­mamente, e se il processo canonico che deve iniziarsi di qui a qualche giorno è di gloria di Dio, e dovrà quin­di avere un buon esito, datemi un segno. Il segno che vi domando è la conversione di quella israelita, ma fa­te in modo che non sia più io a presentarmi a lei per persuaderla a farsi battezzare, ma lei stessa mi faccia chiamare e mi preghi a volerla battezzare!". Con mio stupore l'inferma non solo non morì in quella notte, ma ebbe un piccolo miglioramento...».

L'indomani (sabato) il medesimo Sacerdote fu av­visato che la Pescarolo per ben tre volte l'aveva chia­mato, che voleva parlarli e che voleva essere battezza­ta quella sera stessa. L’ ammalata manifestava a Don Bosso che desiderava sinceramente di essere battezza­ta. Il Sacerdote volle che dichiarasse questa sua volon­tà davanti a due testimoni. Accondiscese e così fu fatto. La domenica successiva, dopo nuova interrogazione alla presenza di tre altri testimoni, fu battezzata, dimostran­dosi tutta contenta. Otto giorni dopo, davanti al rabbi­no, dichiarava fermamente: «Sì, sono io che ho voluto farmi cristiana e nessuno mi ha costretta».

(Dal processo per la beatificazione e canonizzazio­ne di Giuseppe B. Cottolengo).

Chi è venuto dall'aldilà?

(«Io sarò alle tue spalle a proteggerti») Rachelina Ambrosini, una ragazza di eccezionale bontà, moriva il 10 marzo 1941 a soli 15 anni e 8 mesi. Dopo la morte continuò a farsi viva. Ecco alcuni episodi. Umberto Mirra da Campanarello (Avellino), nel 1941 è alle armi, si ammala di polmonite e viene condotto all'ospedale di Salerno. Una notte gli appare Rachelina vestita tutta di bianco e gli dice: «Non aver paura, stai già bene e fra poco andrai a vedere la tua famiglia». La predizione si avverò pienamente. - Lo stesso anno il Mirra è trasferito dalla Sicilia all'alta Italia per prepa­rarsi ad andare in Russia. Una notte gli appare di nuo­vo Rachelina e gli dice: «Non aver paura, per te c'è chi ci pensa; parti contento; tornerai sano e salvo». In Rus­sia, nel 1942, sta per iniziarsi un'azione bellica e Um­berto è molto preoccupato. Rachelina gli appare la ter­za volta: «Perché sei così malinconico e hai tanta pau­ra? I Russi sono già andati via; tu e i tuoi compagni an­date senza timore. Già te lo dissi che tornerai a casa sa­no e salvo». E infatti - conclude la relazione - sono tornato a casa mia».

A Domenico Colantuoni, soldato a Cava dei Tirre­ni, e disperato perché deve partire per la Sicilia, la «san­tina», come egli la chiama, batte sulla spalla - mentre in pieno giorno si è addormentato - e gli dice: «A che pensi? Su, su, non preoccuparti che io sarò alle tue spal­le a proteggerti». Infatti invece che in Sicilia viene man­dato a Salerno. Qui per un po' le cose vanno bene, ma poi incominciano i bombardamenti e i pericoli.

Una notte, mentre dopo una delle solite incursio­ni, il Colantuoni prende un po' di sonno, torna Racheli­na. Altro che festa con quella musica! E lei a insistere: «Stai contento che io ti proteggo».

Di lì a un po' arriva il sergente e gli ordina di anda­re con altri a tagliare dei rami d'albero per mascherare un po' le tende. Colantuoni si alza e obbedisce. Mentre ritornano, ecco gli aeroplani nemici, i compagni cerca­no rifugio sotto un'altra ripa; Domenico, senza saper per­ché, rimane distaccato da loro e si arrangia come può. Cade una bomba: quelli che sono sotto la ripa vengono travolti, Colantuoni rimane completamente illeso -.

Antonio Villani narra, sotto vincolo di giuramen­to, il seguente episodio: «Nel 1942, trovandomi nello spaccio cooperativo del mio reggimento (4 carristi), udii un collega di armi raccontare quanto appresso. Trovan­domi accampato in località esposta alle offese del ne­mico, una notte, mentre riposava, gli appare una giovi­netta e gli dice di allontarsi da quel luogo perché vi sa­rebbero cadute delle bombe. Il soldato non dette impor­tanza e continuò a dormire. Una seconda volta compar­ve la fanciulla che gli ripeté con insistenza di allonta­narsi di lì e mettersi in salvo se non voleva rimanere ucciso. Il soldato, impressionato, avvertì i compagni, ma questi scoppiarono a ridere e lo motteggiarono, per cui anche egli, sebbene con l'animo turbato, rimase sotto la tenda con loro. Ed ecco che l'apparizione ritorna per la terza volta e gli dice: «Non vuoi proprio salvarti? Io ti confermo, che fra pochi minuti il campo sarà bom­bardato». Allora il sodato, sgomento, le domandò: «Ma tu chi sei?». L'apparizione rispose: «Sono Rachelina Am­brosini, figlia del Dott. Alberto». Il suo aspetto era di un angelo. Il soldato si alzò di scatto esclamando: «Chi mi vuol seguire, mi segua, e uscì dalla tenda seguito da altri due soldati. Gli altri rimasero. Ma non erano tra­scorsi che pochi minuti quando apparecchi nemici ro­vesciaraono sul campo proiettili d'ogni calibro seminan­dovi la distruzione e la morte» (I. Felici - Il volo di un Angelo - Ediz. Paoline).



Chi è venuto dall'aldilà?

San Leopoldo Mandic è il famoso Cappuccino con­fessore a Padova, morto nel 1942. Le sue apparizioni do­po morte, numerose e ben documentate, costituiscono (come quelle degli altri santi) altrettanti indizi della so­pravvivenza. Le guarigioni istantanee di malattie orga­niche seguite in parecchi casi alle apparizioni indicano che non si tratta di allucinazioni. Ecco il racconto di una pe rsona guarita.

Il fatto che, in certe apparizioni, il Santo sia stato creduto persona corporea vivente in questo mondo, che sia stato toccato, che abbia portato oggetti fisici, fa pen­sare ad un corpo parasomatico. Ecco il caso di Teresa Pezzo:

«Ero da molto tempo affeta da gravi disturbi al fe­gato. Si tentarono varie cure, ma tutto inutilmente, tan­to che il 22 ottobre 1946, nonostante il persistere della febbre, venni sottoposta a gravissimo intervento chirur­gico di oltre tre ore. Dopo parecchi giorni passati tra la vita e la morte, mi ripresi alquanto e andai a Bovolone presso lo zio Arciprete, monsignor Bartolomeo Pezzo. Per un po' di giorni tutto andò bene, ma il 4 dicembre dovetti rimettermi a letto perché mi ritornarono fortis­simi i dolori, la febbre risalì oltre i 40, ricominciò il vo­mito quasi continuo, tanto che non potevo ritenere nem­meno una goccia d'acqua. Si aggiunse un gonfiore du­ro e voluminoso al di sopra del taglio dell'operazione; i dolori continui e acutissimi si estendevano alla gam­ba e al braccio destro. Divenni così debole che non potevo quasi più parlare. Il medico curante dichiarò che si era ritornati allo stato di prima dell'operazione e for­se peggio.

Dietro esortazione di un padre cappuccino, di pas­saggio da Bovolone, il giorno 8, domenica, cominciai la novena di Padre Leopoldo e posi una sua reliquia sulla parte ammalata. Martedì notte, mi addormentai alle 11.30. Sonava mezzanotte quando all'improvviso mi ap­parve Padre Leopoldo. Era identico alla sua immagine, ma senza stola e molto più bello. La stanza, quantun­que la luce fosse spenta, era illuminata a giorno. Il Pa­dre si avanzò sino quasi al mio letto. Tra noi due av­venne il dialogo seguente:

"Mamma! Mamma!" gridai io tra gioia e lo spavento.

"Non aver paura!" disse Padre Leopoldo. "Tu ti ac­costi tutte le mattine alla santa comunione a letto, non è vero?".

"Sì, Padre".

"Domani" continuò Padre Leopoldo mettendomi una mano sulla spalla "alle 8 vai in chiesa, ascolta la santa messa e fai la comunione, perché sei guarita. E ogni giorno dovrai recitare una corona di Gloria Patri. Questo per tutta la vita".

"Sì, Padre, anche due!".

"Brava! Tu hai sofferto molto nella tua vita, specie in questo ultimo periodo, ma questo, cara, lo troverai nella eternità! Tu devi sempre fare del bene al mondo e, se ti giungerà qualche brutto momento, dolori e ma­lattie, sopporta tutto con rassegnazione e soffri tutto per amore di Dio" .

"Padre, che grazia!".

"Quando termini la novena?". "Lunedì ".

"Allora tornerò lunedì a mezzanotte perché ho mol­te cose da dirti. Intanto ti dò la benedizione".

«Mi benedisse e scomparve dicendo: "Sia lodato Ge­sù Cristo!" ».

«Scomparso Padre Leopoldo, mi scossi. Credevo di aver sognato, ma mi trovai perfettamente guarita. Non più dolori al fegato, scomparso il gonfiore, i dolori alla gamba e al braccio, cessata la febbre.

La zia, che dormiva in camera con me, aveva senti­to tutte le parole mie, ma non quelle di Padre Leopol­do, e non aveva visto nulla.

La mattina mi alzai, scesi frettolosa le scale, men­tre il giorno prima non potevo nemmeno reggermi in piedi, andai in chiesa alla Messa delle 8, feci la santa comunione, rimasi a lungo in preghiera e poi, ritorna­ta in canonica, mangiai con un appetito formidabile sen­za sentire alcun disturbo. Ero perfettamente guarita.

Il fatto suscitò nel paese una grande impressione, perché a tutti era nota la mia dolorosa condizione, e si accese una vivissima attesa della nuova apparizione pro­messa. Gran numero di persone m'incaricarono di pre­sentare a Padre Leopoldo domande su diverse cose. Alla mezzanotte tra il 16 e il 17 dicembre, Padre Leo­poldo mi comparve di nuovo, circonfuso di luce, in mo­do da illuminare la stanza a giorno. Mi parlò di molte cose riguardanti la mia vita spirituale e mi raccoman­dò in modo particolare di pregare. Poi rispose alle do­mande che gli presentavo. Io scrivevo le risposte man mano che Padre Leopoldo parlava, e le scrivevo alla lu­ce della visione perché la lampada era spenta. La zia che dormiva nella stessa camera e un sacerdote fuori dalla porta udivano le mie parole, ma non vedevno nulla e non sentivano le parole del Padre. Appena questi scom­parve, io accesi la lampada esclamando: "Che bellezza!

Che bellezza!': Tenevo in mano il foglio che avevo scrit­to sotto dettatura di Padre Leopoldo, con la penna for­nitami dallo stesso Padre.

Mia zia mi disse poi che durante la visione cera per lei nella stanza buio perfetto, mi aveva sentito far scor­rere velocemente la penna sulla carta, ma che quando Padre Leopoldo scomparve e si accese la lampada, essa vide in mano mia il foglio scritto, ma non la penna con cui l'avevo scritto.

Rileggendo le risposte di quel foglio, rilevai una co­sa molto importante: Padre Leopoldo si lamenta quasi con tutti che pregano poco e male, e insiste con tutti che preghino di più se vogliono che Dio li benedica». Valdi­porro (Verona), 28 dicembre 1946: Teresa Pezzo.



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05/09/2009 16:40

Chi è venuto dall'aldilà?

Una sera afosa di luglio, uno dei più noti professio­nisti di Milano, l'istologo A.P. (si tace il nome per vo­lontà del protagonista della vicenda) lasciò la clinica per recarsi nel suo studio. Qui visitò un'ammalata, e men­tre stava stendendo una breve relazione, entrò l'infer­miera dicendo con voce strana: Professore, c'è di là una bambina. -Andò in anticamera a vedere. «In piedi, con­tro la porta d'ingresso - narra il professore - c'era una bambina di dieci anni circa, magrolina, pallida d'un pal­lore quasi mortale e nel cui volto brillavano due occhi immensi, febbrili che si guardavano fissi. Un abitino a fiori di percalle, e due treccine brune ornate da due no­dini rossi, ma d'un rosso tanto vivo da dare fastidio. Le chiesi: "Che vuoi piccola? sei sola?..."

Mi guardò fissamente, poi con una voce del tutto imprevista, opaca, disse: - la mamma è tanto malata ! - E... dov'è la tua mamma? - In via Pioppette. - Non so perché rispondo: Vengo subito -.

Vado in studio, depongo il camice e torno in anti­camera. La bambina non c'era più. Chiedo: Dov'è an­data? - È uscita, dice l'infermiera.

Spinto da una oscura urgenza mi precipito sul pia­nerottolo. Nulla. Scomparsa. Rimango un attimo perples­so, poi un'ansia sempre più mi pervade, afferro la bor­sa, scendo, salto in macchina e vado in via Pioppette, nel quartiere più antico di Milano: Porta Ticinese. Ma lì giun­to mi accorgo che non conosco il nome della donna né il numero di casa... Come seguendo un richiamo mi infi­lo in un portone. C'è uno stambugio con una vecchia che accarezza un gatto. Chiedo se per caso nella casa c'è una donna ammalata che ha una bambina così e così. Vedo la vecchia sbarrare gli occhi e dire che sì, è la Caterina Terrani e abita al secondo piano. Salgo le scale e mi tro­vo davanti a una porta socchiusa. Non so perché, entro... Su un letto c'è una donna di una magrezza spaventosa, che ad un primo sguardo pare morta. Mi accosto, respi­ra, ma il polso è quasi nullo e il cuore batte tanto debol­mente da denunciare uno stato preagonico. Non mi per­do in congetture, faccio subito un'iniezione di adrenali­na, poi mi siedo, in attesa... Della bambina nessuna trac­cia. Guardo la donna e scopro su quel volto terreo, già bagnato dal freddo sudore dell'agonia, una parvenza di colore; vedo le palpebre vibrare, la bocca dischiudersi, la testa girare come in cerca di respiro. Mi accosto. Il pol­so ha ripreso un poco, il cuore batte più regolarmente. Provoco con breve massaggio una ripresa cardiaca.

Dopo un po' quella donna quasi morta apre gli oc­chi e mi guarda stupita. Dice con la voce appannata: Ma lei chi è? - Sono il dottore... - Sbarra gli occhi e ri­prende: Il dottore? Ma... chi le ha detto di venire qui? Sa, dottore, io sono in questo letto da ieri pomeriggio... - Aggiungo: È venuta da me una bella bambina con due treccine e un vestito a fiori, e... -

La donna spalanca la bocca, si alza sui gomiti, mi guarda con gli occhi sbarrati, atterriti... M'afferra un braccio, lo stringe, parla spasmodicamente: Lo sapevo, lo sapevo! Ho tanto pregato la Madonna che non mi fa­cesse morire senza prima aver portato la mia Marina al cimitero... Dottore venga, venga di là. -

Non so come trova la forza di alzarsi e mi trascina a una tenda... Al di là della tenda c'è una stanzetta pic­cola, immersa in un'ombra cupa, appena rischiarata da una candela. Su un misero giaciglio è stesa, nella im­mobilità della morte, una bambina dall'apparente età di dieci anni, dalle treccine brune ornate da due nastri rossi... Mi chino per guardarla bene. È lei, la bimba che è venuta nel mio studio. La guardo senza essere nem­meno spaventato; mi sento schiacciato dal senso oscu­ro del mistero. Avverto il mormorìo della madre: Ma­donna santa, grazie per aver ascoltato le mie parole. La mia bimba mi ha salvato. Io non so come ciò sia avve­nuto. - Poi si volge a me e dice: Dottore, quando ieri è morta la mia Marina, io ho avuto un colpo al cuore e, dopo averla composta, sono caduta su quel letto. Ca­pivo che stavo morendo e mi disperavo, sola com'ero, per non poter fare ciò che era necessario per la mia bam­bina. E pensavo: O se la mia Marina fosse viva in que­sto momento. Adesso lei, dottore, è qui e... - S'inginoc­chia, si raggomitola e comincia a piangere tutte le la­crime del suo disperato dolore e della sua gioia incon­cepibile.

Sono passati parecchi anni. Caterina Terrani, an­cora vivente, è terziaria presso un convento alla perife­ria di Milano. Per quanto riguarda una spiegazione al fatto, io dico che si tratta di un autentico miracolo... - (Da «Raggio di sole», Luglio-Agosto 1967, dell'Unio­ne Cattolica Ammalati).



Chi è venuto dall'aldilà?

Il mattino di giovedì, 2 aprile 1985, moriva a Ro­ma, nel Convento dei Frati Minori in Via Merulana, Pa­dre Emanuele Chiettini, Frate di santa vita.

Alle 10 di quel giorno egli è atteso invano al suo con­fessionale. Viene ricercato, non si trova. Si telefona al Monastero delle Clarisse di Via in Selci, dove da 38 an­ni era solito celebrare la S. Messa di buon mattino. Si risponde che anche quel giorno il Padre Emanuele ave­va già celebrato il Sacrificio Eucaristico e poi era an­dato via.

Dopo diligente ricerca, Padre Chiettini viene trovato morto in un recondito angolo di un corridoietto pochis­simo frequentato, chiamato «delle botteghe oscure».

L'indomani va a celebrare la S. Messa, al posto del defunto, il Padre Alessio Benigar che trova le Suore ad­dolorate per l'improvvisa scomparsa di P. Chiettini.

Dopo la celebrazione della Messa, Suor Celina, Ab­badessa del Monastero, riferisce al Padre Alessio che cir­ca le 9.15 del giorno precedente, mentre si trovava nel­la sua cella, fu colpita come da un lampo improvviso, quasi un flash fotografico, accompagnato da un lieve scatto. Alla sua richiesta del significato di quel segno, Padre Alessio disse a lei e alle Suore: «Non piangete, non siate tristi! Padre Emanuele è vivo, è felice! L'ho visto io tutto luminoso con questi miei occhi, così come ora vedo voi. Non ho mai visto nulla di simile in vita mia! Mi ha detto: "Sono felice!" ».

Padre Emanuele Chiettini era già in Paradiso. (Dall'Osservatore Romano del 4 maggio 1985).



Chi è venuto dall'aldilà?

(«Sono N. N... Se non mi avessero ucciso»)


«In un paesello dell'Italia centrale viveva la fami­glia "Berardi" benestante, dedita ai lavori dei campi e di sentimenti profondamente cristiani. Una figlia, che chiamerò Marcella, era cresciuta sana ed esuberante di vita. A tredici anni per la prima volta avvertì un males­sere misterioso, che tale le rimarrà per ben dieci anni...».

Così Mons. Corrado Balducci inizia il racconto di un caso di possessione diabolica, nelle sue varie vicen­de e tentativi di esorcismo, nel libro «La possessione dia­bolica - Ediz. Mediterranea, Roma». Questo racconto fu pubblicato nella rivista «Famiglia mese, n. 4,1975», dal­la quale se ne riporta un tratto.

Nella povera donna si erano insediati dieci spiriti. In seguito ai diversi esorcismi, nove di essi furono cac­ciati. L'ultimo spirito aveva dichiarato: «Io sono forte e potente; io non uscirò!».

Più volte il Sacerdote aveva scongiurato lo spirito a manifestare il suo nome, ma si rifiutava sempre. Un pomeriggio, nella chiesa gremita di gente, durante le preghiere di rito l'esorcista chiese: Dimmi, chi sei? - Tra lo spavento e il terrore dei presenti, si udì un grido: Sono NN - e pronunziò il nome di un uomo conosciu­tissimo in paese, vittima qualche anno prima di un at­tentato (lo chiamerò Pallante).

La stessa sera a tarda ora il Parroco, mentre esor­cizzava privatamente in casa Berardi, interrogò così: «Dì, mi conosci? - E lo spirito: Mi hai portato al cimi­tero; tu quella notte pregasti per me e per la mia fami­glia: ormai però le tue preghiere erano inutili... io ero dannato.

In altra circostanza Pallante parlò così al Sacerdo­te: Se non mi avessero ucciso così presto, tu forse mi avresti convertito! Ti prego, porta via quella croce po­sta sul luogo del delitto, e passando di lì non dire più quelle preghiere, mi dai pena. Ho fatto questa fine per­ché ho ricevuto fin da bambino una cattiva educazio­ne. Prega per mia sorella (la fattucchiera) che non ven­ga in questi luoghi di tormento. Certo dovrei uscire da questa ragazza, perché i miei hanno ricevuto del bene dalla sua famiglia: l'anno scorso mia moglie è venuta qui a raccogliere le ulive (tutto rispondeva a verità).

E ancora: Povera figlia mia; quando saprà che so­no io, quanto dovrà soffrire. Questa notte si è svegliata, ha preso la mia fotografia, piangendo mi ha baciato e mi ha detto: Papà, papà, se sei tu, esci da quella ragaz­za perché qui tutti mi dileggiano.

Se dunque - interruppe l'esorcista - tu ci hai co­nosciuto, se tante volte siamo stati insieme, perché non ci fai del bene? Lascia in pace questa ragazza.

Da parte mia - riprese lo spirito - sarei pronto a farti del bene... ma non posso - e qui lo spirito, per­dendo per un istante la sua abituale asprezza, con voce pacata continuò - Pensa: anima dannata vuol dire dia­volo, e diavolo portare al male!

Un altro giorno l'esorcista, nella chiesa sempre gre­mita di gente, interrogò lo spirito: Si soffre all'Inferno? C'è il fuoco?

L'ossessa che balzando indietro dette in un gran so­spiro e disse: Pensa, una goccia di quel fuoco sarebbe sufficiente per incenerire ciquemila persone!

- Ma Dio che ti ha condannato è ingiusto? - No, è giusto.



Chi è venuto dall'aldilà?

È noto il rigore dei Processi di Canonizzazione. La Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli alta­ri e dichiararlo Santo, esamina la sua vita e specialmen­te i fatti rilevanti. Il seguente episodio, scrupolosamen­te autentico, fu inserito nei Processi di Canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario del­la Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso.

Un giorno questo Sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi co­stumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, si diede a fare schiamazzi e cenni inverecondi dalla finestra.

Il Santo dovette interrompere la predica, perché la donna non la smetteva più. Fu inutile ogni protesta. Il giorno seguente il Santo ritornò a predicare sul­la stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della don­na disturbatrice, domandò cosa fosse capitato.

Gli fu risposto: È morta questa notte improvvi­samente.

La mano di Dio l'aveva colpita. - Andiamo a ve­derla! - disse il Santo.

Accompagnato da altri, entrò nella camera dell'in­felice e vide il cadavere disteso. Il Signore suole glorifi­care i suoi Santi con i miracoli e ispirò al suo fedele Ser­vo di richiamare a vita la defunta.

San Francesco di Girolamo guardò con orrore il ca­davere e poi con voce solenne esclamò: Caterina, in no­me di Dio, alla presenza di costoro, dite dove siete! - Per virtù di Dio, si aprirono gli occhi del cadavere, le sue labbra si mossero convulse: Nell'Inferno... Io sono per sempre nell'Inferno! –



Chi è venuto dall'aldilà?

Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventino­ve anni, molto ricca e assai mondana. Tra i damerini che frequentavano la sua casa, si notava un giovane Lord, di condotta poco edificante.

Una notte, verso le dodici, la donna stava a letto leg­gendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spen­ta la candela per addormentarsi, si accorse che una stra­na luce, proveniente dalla porta, si diffondeva nella ca­mera, crescendo sempre più. Meravigliata, spalancò gli occhi non sapendo spiegarsi il fenomeno. La porta del­la camera si aprì lentamente ed apparve il giovane Lord, complice dei suoi disordini.

Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò al polso e disse in inglese: «C'è un Inferno, dove si brucia!».

Il dolore che la poveretta sentì al polso fu tale che svenne. Rinvenuta mezz'ora dopo, chiamò la camerie­ra, la quale entrando nella stanza sentì un forte puzzo di bruciato. La cameriera constatò che la padrona ave­va al polso una scottatura così profonda da lasciar ve­dere l'osso, avente la superficie di una mano di uomo. Osservò ancora che dalla porta il tappeto aveva le im­pronte di passi d'uomo e che ne era bruciato il tessuto da una parte all'altra.

Il giorno seguente la signora seppe che la stessa not­te il giovane Lord era morto.

L'episodio è narrato da mons. Gastone De Sègur nel suo opuscolo sull'Inferno, il quale così chiude il suo di­re: Non so se quella donna si sia convertita, ma so che vive ancora. Per coprire agli sguardi altrui le tracce della sua scottatura, porta al polso sinistro, in forma di brac­cialetto, una larga fascia d'oro, che non depone né gior­no né notte, per cui viene chiamata «la signora del brac­cialetto».



Chi è venuto dall'aldilà?

(Vi è un Inferno e io vi sono dentro)


Il dotto e pio Mons. Gastone di Segur, nel suo noto opuscolo sull'Inferno, narra un episodio straordinario accaduto a Mosca poco prima dell'orribile campagna bellica del 1812.

- «Mio nonno materno, il conte Roctopchine, go­vernatore militare di quella città, era in stretta relazione col generale conte Orloff, celebre per il suo valore, non meno che per la sua empietà. Una sera dopo cena, il conte Orloff e un suo amico, il generale V..., volter­riano al pari di lui, si burlavano volgarmente della reli­gione e soprattutto dell'Inferno.

- Ma pure - disse Orloff - e se vi fosse poi qual­cosa al di là della tomba?

- Ebbene - riprese il generale..., - qualora così fosse, quello di noi due che morirà per primo verrà ad avvisare l'altro. Restiamo d'accordo?

- Benissimo - rispose Orloff...

Alcune settimane dopo scoppiò una terribile guer­ra, una di quelle tanto temute, quali Napoleone sapeva allora suscitare. L'esercito russo fu chiamato alle armi, e il gen. V..., ricevette l'ordine di partire immediatamen­te per prendervi una posizione importante. Erano tra­scorse due o tre settimane da che egli aveva lasciato Mo­sca, quando un mattino assai per tempo, mentre mio nonno stava alla toeletta, si vide all'improvviso aprire bruscamente la porta della stanza ed entrarvi il conte Orloff, in veste da camera, con i capelli irti, gli occhi stralunati, pallido come un cencio.

- Ecchè, Orloff ? Voi qui a quest'ora? In questa ma­niera? Che avete? Che cosa vi è accaduto?

- Mio caro - risponde Orloff - io credo d'impaz­zire: ho veduto il gen. V...

- Il gen. V...? E dunque arrivato?

- Oh no! - rispose Orloff gettandosi sopra un di­vano e prendendosi violentemente la testa fra le mani. - No, no, non è ritornato, ed è appunto questo che mi spaventa.

Mio nonno non capiva nulla e procurava di calmarlo.

- Raccontatemi dunque - disse - ciò che vi è ca­pitato e che cosa significhi questo.

Allora sforzandosi di dominare la sua emozione, il conte Orloff racconta quanto segue: «Mio caro Roctop­chine, non è trascorso ancora molto tempo da quando il gen. V... e io ci siamo giurati a vicenda che il primo che fosse morto di noi due, sarebbe venuto a dire all'al­tro se vi sia qualche cosa al di là della tomba. Ora que­sta mattina, mentre me ne stavo tranquillamente a let­to, desto da lungo tempo, senza pensare affatto a lui, sento aprirsi le cortine del letto e mi vedo dinanzi, a due passi, il gen. V., diritto, pallido, con la destra al petto che mi dice: Vi è un Inferno e io ci sono dentro... Dopo di che scomparve. Sull'istante sono corso da voi: io per­do la testa.

Mio nonno prese a calmarlo come meglio poté, ma non fu facile; cercò di convincerlo di allucinazione, di fantasmi, tentò di fargli credere che forse dormiva..., che si danno talora casi straordinari che non si sanno spiegare...

Dieci o dodici giorni dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno, insieme alle altre notizie, la morte del gen. V... La mattina stessa di quel giorno me­morando in cui il conte Orloff lo aveva veduto e senti­to, all'ora stessa che egli era apparso in Mosca, l'infeli­ce generale, uscito a esplorare la posizione del nemico, era stato trapassato da una palla di fucile ed era cadu­to fulminato» (De Segur G. - L'En fer - Parigi 1876).» -



Chi è venuto dall'aldilà?

Giuseppina Berettoni, anima privilegiata morta a Roma nel 1927, fu pregata dalla Presidente del Circolo delle Donne Cattoliche Carlotta Marchi, vedova Conte­stabile), a far visita a un suo nipote gravemente amma­lato, ma purtroppo sprezzante di Dio e dei Sacramenti. Nel tardo pomeriggio del 31 maggio 1906 ella si presentò alla clinica e si trovò a colloquio con il Direttore, il quale con un sorriso canzonatorio le chiese: Lei deve es­sere una bizzoca che vuole convertirlo! Ma che? Non ci riuscirà, perché un tipo... - Poi cercò di licenziarla, ma essendo troppo tardi e non potendo ritornare a casa, Giuseppina si mostrò così persuasiva che il Direttore le concesse di rimanere, anzi le disse: «Veda, tutti i giorni io porto via questa chiave; ma ora la consegno a lei, co­sì, dopo la visita all'infermo, potrà passare qui la notte; potrà riposare su quella poltrona».

Partito il professore rimase sola e si mise a recitare il rosario, poi si presentò al malato. Con serie riflessio­ni e intercalando segrete preghiere a Dio in brevi inter­valli Giuseppina ottenne la conversione del giovane, il quale fece chiamare un Padre Cappuccino, si confessò e ricevette il Viatico e l'Estrema Unzione.

Ritiratasi nello studio del Direttore, Giuseppina si avvide che in angolo c'era uno scheletro umano, ritto, con tutte le sue ossa congiunte da fili metallici. Di chi sarà stato? E dove si troverà l'anima di costui? - si do­mandava. Ed ecco che all'improvviso quello scheletro riprende vita, si muove, parla e dice:

- Eccomi! Tu mi hai chiamato.

- Ma io non ti ho chiamato - risponde Giuseppi­na Berettoni, terrificata.

- Noi - riprende a dire lo scheletro - quantun­que dannati, dobbiamo fare la volontà di Dio. Sappi che da 74 anni io sono dannato all'Inferno. Questo domani lo dirai al Direttore.

- Egli non mi crederà, come glielo posso provare? - Vedrà che non sto nella posizione in cui ero. - Questo non basta.

- Ne avrai la prova - e così dicendo lo scheletro torna nell'angolo da dove si era mosso, mettendosi in posizione alquanto diversa.

Il giorno seguente il Direttore si diresse al suo stu­dio, desideroso di riprendere la conversazione.

- La scienza - disse a un certo punto - mi ha di­mostrato molte cose. Io non credo ai miracoli!

- Ciò mi stupisce, essendo lei così erudito - rispo­se Giuseppina - Sappia che io ho visto dei miracoli e che io stessa sono stata guarita all'istante da una piaga al braccio; di questo lei può accertarsi all'ospedale S. Giacomo.

- Allora è lei che ha fatto bizzoco il Direttore di quell'ospedale?

- Può darsi che io vi abbia contribuito - rispose Giuseppina - Ma ora guardi là, - disse puntando il dito verso l'angolo - quello scheletro appartiene a uno che da 74 anni sta all'Inferno.

- Adesso lei vuole tenermi una seduta di spi­ritismo.

- Io non fo dello spiritismo, perché proibito dalla Chiesa; tuttavia glielo assicuro perché lo so.

-A questo punto lo scheletro cominciò a muover­si in direzione del professore. Questi spaventato e scon­volto, uscì dallo studio e si rifugiò in Cappella, con me­raviglia delle Suore che mai prima di allora ve lo ave­vano visto entrare.

Due giorni dopo si recò a far visita a Giuseppina, ancora profondamente impressionato da quello strano evento. Ella lo incoraggiò e gli consigliò di recarsi a farsi un corso di esercizi spirituali a Genova.

Partì il 4 giugno. Pochi giorno dopo, nella notte tra l’11 e il 12, il professore si trovava nella sua camera, sve­glio, scoraggiato e agitato. Improvvisamente gli si pre­senta Giuseppina.

- Cos'è? È possibile! Lei... com'è entrata qui?

- Colui che le fece quel favore - rispose Giuseppina - ha fatto che io venissi a consolarla, perché lei si trova in grande afflizione.

Era avvenuto un caso di bilocazione, non raro nel­la vita di Giuseppina Berettoni.

Terminata la sua missione, Giuseppina si ritrovò ne suo letto a Roma. Il 15 luglio il professore, accompa­gnato dal figlio maggiore, andò a far visita alla sua ami­ca e benefattrice e si trattenne in colloqui per due ore. Il figlio del convertito, anche lui medico, vivamen­te impressionato dal cambiamento così avvenuto del pa­dre, si diede lui pure a una vita seriamente cristiana. Entrò poi in un convento e volle per umiltà essere fra­tello laico.

(Antico P. - Giuseppina Berettoni - Centro Giusep­pina Berettoni - Via S. Erasmo, 14 - Roma 1978).



Chi è venuto dall'aldilà?

(Maria Santissima a Fatima)


Il 13 maggio 1917 la Vergine Santissima appare a due ragazzine, Lucia di 11 anni e Giacinta di 7, e a un ragazzetto di 9 anni, Francesco, tre pastorelli semplici e buoni che recitavano sempre le preghiere.

Verso mezzogiorno, interrompendo i loro innocen­ti trastulli, i fanciulli recitarono come al solito il santo rosario. Dopo ritornarono ai loro giuochi. A un tratto un lampo li abbagliò. Spaventati guardarono il cielo: non v'era nemmeno una nube e il sole era splendente. Temendo qualche vicino temporale, radunano le peco­re e si avviano per ritornare a casa. A metà della china, ecco un nuovo lampo più abbagliante del primo... Dop­piamente atterriti affrettano il passo, ma un po' più avanti si fermano interdetti e attoniti per la meraviglia. Dinanzi a loro scorgono una bellissima Signora più splendente del sole.

Si svolse subito un piccolo dialogo tra la Signora e Lucia: «Di che paese siete?» domanda la ragazzina. - «Il mio paese è il Cielo» - rispose la Signora.

... Viene dal Cielo... dal Cielo... - rifletté Lucia: «al­lora mi sapreste dire se io andrò in Cielo?» - «Sì, vi

andrai» - rispose la Signora - «E mia cugina Giacin­ta?» - «Anche lei» - «E mio cugino Francesco?» - «Egli pure...» -.

Incoraggiata dalla bontà della Celeste Signora, Lu­cia volle sapere ancora la sorte di due ragazze, sue ami­che e morte da poco e ne ebbe in risposta che la più gio­vane (di 16 anni) era già in Paradiso, l'altra (sui 20 anni) era in Purgatorio... -.

Nella terza apparizione del 13 luglio la Madonna mostrò ai tre fanciulli l'Inferno. Scrive Lucia: «Vedem­mo come un mare di fuoco. Immersi in quel fuoco i dia­voli e le anime, in forma umana, come brace trasparente e nera o bronzea, che fluttuavano nell'incendio e veni­vano trasportate, assieme a nuvole di fumo, dalle fiam­me che uscivano da loro stesse. Esse cadevano da ogni parte, uguali al cadere delle scintille nei grandi incen­di, senza peso né equilibrio tra grida e gemiti di dolore e disperazione che suscitavano orrore e facevano trema­re di paura. I demoni si distinguevano per le forme or­ribili e schifose di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni roventi».

Spaventati e come per chiedere aiuto, alzammo gli occhi alla Madonna, che ci disse con bontà e tristezza: «Avete visto l'Inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori!… ».



Chi è venuto dall'aldilà?

Nella Casa Provinciale dei Preti della Missione, in Via dei Vergini 51 a Napoli, si conserva, visibile al pub­blico, un quadro rappresentante Gesù Crocifisso in carta incollata su tela, incorniciata da un piccolo telaio di le­gno. Lo straordinario sta nel fatto che porta nella parte inferiore le impronte di due mani incise a fuoco. Qual è l'origine di quelle impronte?

In Firenze un giovane aveva una relazione disone­sta con una donna sposata. Il padre del giovane ne era dolente e più volte aveva rimproverato il figlio, anzi ave­va pregato i Padri Lazzaristi Missionari di Firenze per richiamarlo al dovere, ma inutilmente. Un'improvvisa malattia colpì la donna e in pochi giorni le aprì la tom­ba. Il giovane fu sul unto d'impazzire per il dolore e il padre, approfittano di un corso di esercizi spirituali che si tenevano nella Casa dei Missionari in S. Iacopo SoprArno, invitò il figlio a parteciparvi. Costui vi an­dò e fu accolto con cordialità.

La sera del primo giorno di esercizi, mentre gli al­tri esercitandi sono scesi a refettorio per la cena, il no­stro giovane manca al suo posto. Avrà preso sonno?, pensa il direttore, e va alla sua camera, bussa, senza ri­cevere risposta, bussa ancora, nulla. Apre e trova la ca­mera piena di fumo che subito lo investe. Pensa a un incendio e chiede aiuto. Accorrono diversi confratelli e, attraverso il fumo in parte dileguato per la porta la­sciata aperta, scorgono il giovane disteso sul pavimen­to e senza segni di vita. Trasportatolo sul letto e appre­state le cure necessarie, riescono a farlo rinvenire. Il di­rettore cerca per la camera la causa del supposto incen­dio e con grande meraviglia s'imbatte sull'inginocchia­toio bruciato in quattro parti, cioè là dove si appoggia­no le ginocchia e i gomiti, e vede nel quadro del Croci­fisso le impronte di mani infuocate come fossero state di ferro rovente. Non si rende conto dell'accaduto fin­ché il giovane, rinvenuto, non gli ha spiegato come po­co prima della cena, mentre stava ancora in camera, gli era apparsa l'amante tutta di fuoco. – E’ per causa tua - gli aveva gridato minacciosa - che sono all'inferno! Stà bene in guardia. Dio ha voluto che io te ne dessi l'av­viso; e perché tu non abbia a dubitare della realtà della mia apparizione, te ne lascio il segno. - Inginocchiata­si al genuflessorio e toccato il quadro vi lascia le im­pronte di fuoco che ora si vedono. Il giovane si conver­te. Essendo le due famiglie molto conosciute in Firen­ze, il Superiore, per riguardo al loro onore, cercò di oc­cultare il fatto. Il Padre Scaramelli, Superiore della Ca­sa, tenne presso di sé il quadro e il genuflessorio, fin­ché chiamato all'ubbidienza a Napoli portò con sé il qua­dro, lasciandolo alla Casa in Via dei Vergini.

Così è narrato nel «Petit Pré spir. De la Congr. de la Mission (Parigi 1880)».

Una narrazione più breve si trova nella vita di S. Alfonso de'Liguori scritta dal Tan­noia. Il quadro si conserva a Napoli; l'inginocchiatoio fu fatto scomparire. Sull'episodio il Padre Mario Sor­rentino condusse uno studio critico (Annali della Mis­sione, 1962), arrivando a questa conclusione: «Pensia­mo di poter affermare la verità del fatto come viene co­munemente narrato».



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05/09/2009 16:42

Chi è venuto dall'aldilà?

Domenico Savio


San Domenico Savio, alunno salesiano morto nel 1857 e santificato nel 1954, dopo la sua morte apparve a San Giovanni Bosco. Questi narrava così l'apparizio­ne ai suoi giovani e ai Superiori della Congregazione: «Mi trovavo a Lanzo ed ero nella mia stanza. D'un tratto mi vidi sopra una collina. Il mio sguardo si per­deva nell'immensità di una pianura. Essa era divisa da larghi viali in vastissimi giardini. I fiori, gli alberi, i frut­ti erano bellissimi, e tutto il resto corrispondeva a tan­ta magnificenza.

Mentre contemplavo tanta bellezza, ecco diffonder­si una musica soavissima. Erano centomila strumenti e tutti davano un suono differente l'uno dall'altro. A questi si univano i cori dei cantori.

Mentre estatico ascoltavo la celeste armonia, ecco apparire una quantità immensa di giovani che veniva verso di me. Alla testa di tutti avanzava Domenico Sa­vio. Tutti si fermarono davanti a me alla distanza di otto-dieci passi... Allora brillò un lampo di luce, cessò la musica e si fece un grande silenzio. Domenico Savio si avanzò solo di qualche passo ancora e si fermò vici­no a me. Come era bellissimo! Le sue vesti erano singo­lari; la tunica bianchissima, che gli scendeva fino ai pie­di, era trapuntata di diamanti ed era intessuta d'oro. Un'ampia fascia rossa cingeva i suoi fianchi, ricamata di gemme preziose così che una toccava quasi l'altra. Dal collo gli scendeva una collana di fiori mai visti, sem­brava che fossero diamanti uniti. Questi fiori risplen­devano di luce. Il capo era cinto di una corona di rose. La capigliatura gli scendeva ondeggiante giù per le spal­le e gli dava un aspetto così bello, così affettuoso, così attraente che sembrava... sembrava un Angelo.

Io ero muto e tremante. Allora Domenico Savio disse:

- Perché te ne stai muto e sgomento?

- Non so cosa dire - risposi - Tu dunque sei Do­menico Savio?

- Sono io! Non mi riconosci più? - E come va che ti trovi qui?

- Sono venuto per parlarti. Fammi qualche inter­rogazione.

- Sono naturali tutte queste meraviglie che vedo? - Sì, abbellite però dalla potenza di Dio.

- A me sembrava che questo fosse il Paradiso! - No, no!Nessun occhio mortale può vedere le bel­lezze eterne.

- E voi dunque cosa godete in Paradiso?

- Dirtelo è impossibile. Quello che si gode in Pa­radiso non vi è uomo mortale che possa saperlo, finché non sia uscito di vita e riunito al suo Creatore.

- Orbene, mio caro Savio, dimmi quale cosa ti con­solò di più in punto di morte?

- Ciò che mi confortò di più in punto di morte fu l'assistenza della potente e amabile Madre del Salvato­re, Maria Santissima. E questo dillo ai tuoi giovani: che non dimentichino di pregarla finché sono in vita!». (Vita di S. Giovanni Bosco - Lemoyne).



Chi è venuto dall'aldilà?

Un Sacerdote mi diceva: Sono vecchio. Ho viaggia­to in Europa, in Asia e in Africa. Ho conosciuto tanti Religiosi e Prelati. Ma l'uomo più santo che io abbia av­vicinato è stato Mons. Marengo, il Vescovo della Diocesi di Carrara. Per il molto lavoro a bene del prossimo forse abbreviò i suoi giorni ed il 22 ottobre 1921 mori­va, compianto dai fedeli e chiamato «santo» innanzi tempo.

Erano trascorsi sette anni e il Rev.mo Don Fascie, membro del Capitolo Superiore dei Salesiani, venuto a Trapani nel 1929, così mi narrava:

«Si è verificato in questi ultimi mesi un'apparizio­ne di Mons. Marengo. Nell'Istituto delle Figlie Maria Ausiliatrice, a Nizza, verso l'imbrunire, la Suora porti­naia era nel cortile. Il portone era chiuso. Con sua me­raviglia vide sotto i portici, a passeggiare, un Reveren­do, slanciato nella persona, ma col capo chino e medi­tabondo.

- Ma chi sarà costui? - si domandò la Suora. - E come sarà entrato, se il portone è chiuso? L'avvicinò e riconobbe Mons. Marengo. - Eccellen­za, e voi qui?... Non siete morto?... -

- Mi avete lasciato in Purgatorio!... Ho lavorato tanto per questo Istituto e non si prega più per me! - In Purgatorio?... Un Vescovo così santo?... - Non basta essere santi davanti agli uomini; bi­sogna essere tali davanti a Dio!... Pregate per me!... - Ciò detto, sparì.

La Suora corse ad informare la Direttrice e l'indo­mani tutte e due si diressero alla volta di Torino per nar­rare il fatto al Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Fi­lippo Rinaldi, oggi Servo di Dio.

Don Rinaldi indisse pubbliche preghiere nel San­tuario di Maria Ausiliatrice, onde intensificare i suffra­gi. Dopo una settimana Mons. Marengo riapparve nel­lo stesso Istituto, dicendo: Sono uscito dal Purgatorio!. Ringrazio della carità!.. Prego per voi!

(Dal libretto «I nostri morti» di Don Giuseppe To­maselli).



Chi è venuto dall'aldilà?

In una nobile famiglia cattolica del Belgio... un bambino di circa sette anni era moribondo. La madre addoloratissima se ne stava presso il letto, aspettando l'ultimo respiro del figlio. Era il 7 febbraio 1878 alle 5 e tre quarti pomeridiane, al tocco dell’Ave Maria. A un tratto il bambino si anima, si solleva, fissa gli occhi al cielo e stende le braccia esclamando: Mamma, che ve­do! - Che cosa vedi, figlio mio? - disse la madre. - Pio IX che va su su! Oh quanto è bello! Tutto lumino­so! -

La signora credendo che il bambino delirasse pro­curava di calmarlo, ma un istante dopo il bambino esclamava di nuovo: Oh mamma, che bella cosa! La Ma­donna quanto è bella e sorridente! Ha una corona pre­ziosa in mano. Ecco va incontro a Pio IX, gli pone la corona sul capo. -

Dopo essere rimasto un istante a contemplare così giocondo spettacolo, il bambino volgendosi alla madre, che era rimasta sbalordita, le disse: Mamma, sono gua­rito. La Madonna e Pio IX mi hanno benedetto e guarito.

Il bambino era guarito difatti e pieno di vigore. La pia signora che ignorava lo stato allarmante della salu­te del Pontefice, fuori di sé dallo stupore, mandò un do­mestico all'ufficio del telegrafo per chiedere se si aves­sero notizie da Roma. Purtroppo fu risposto: È giunto pocanzi un dispaccio il quale dà l'infausta notizia che il Santo Padre è spirato alle 5 e tre quarti pomeridiane. (Dai Processi di beatificazione del Servio di Dio Pio

IX).



Chi è venuto dall'aldilà?

Interessante è il fatto avvenuto nel 1946 nella per­sona dell'ingegnere Enzo Crozza, domiciliato a Torino, in via Ilarione Petitti, 34.

Quest'ingegnere, ammalatosi nel 1942, si era fatto assistere in famiglia nelle ore notturne da una Suora del Cottolengo, certa SuorAngela Curti. Nel 1944 la Suo­ra moriva nel Cottolengo. L'ingegnere non ne sapeva nulla.

Il Signor Crozza fu operato di appendicite nella sua abitazione nel 1946 e, memore delle delicate cure di Suor Angela Curti, mandò la moglie al Cottolengo per invi­tarla a venire ad assisterlo. Mentre la moglie faceva le scale, incontrò la Suora.

E voi, qui?... Venivo proprio in cerca di voi! - Ho saputo che vostro marito sta male e son venuta a curarlo! -

Per quindici notti consecutive Suor Angela vegliò al capezzale dell'ingegnere. Veniva la sera e partiva al mattino. Finita la sua missione, si licenziò senza chie­dere alcun compenso.

Quando il Signor Crozza si ristabilì discretamente, andò al Cottolengo con la moglie per ringraziare anco­ra una volta la Suora. Quale non fu la sua meraviglia a sentirsi dire: Cercate di Suor Angela?... Ma da due an­ni è al cimitero!... È morta qui! - Eppure la Suora che mi assisteva era lei, in carne e ossa! E non sono io solo a constatare il fatto, ma tutta la famiglia!... -

Come spiegare questo avvenimento? O Suor Ange­la era entrata in Paradiso e veniva in aiuto a persona cara, oppure era in Purgatorio e il Signore le permette­va di compiere ancora qualche atto di carità.



Chi è venuto dall'aldilà?

Un miracolato dalla Beata Assunta Pallotta (+1905) depose:

«Da circa otto mesi me ne stavo a letto per parali­si... Mi raccomandavo a tanti Santi del Paradiso, ma ave­vo una particolare devozione per la Serva di Dio Maria Assunta Pallotta.

Una sera, non posso precisare, ma mi pare nel mag­gio o giugno del 1923, verso le ore otto, standomi io be­ne sveglio nel mio letto, sentii bussare alla porta della camera. Credendo che fosse qualcuno di casa, dissi: Avanti, chi è? - Sentii una voce che mi disse: Sono io, Leoni. -

Contemporaneamente vidi spalancarsi la porta e comparirmi dinanzi la figura di Suor Maria Assunta Pal­lotta nel suo candido abito monacale, cinta il capo di una corona di fiorellini bianchi.

La Serva di Dio introdusse il discorso: Come stai, Leoni? - Risposi: Male! Son tanti mesi che sono qui in­chiodato in questo letto. - La Serva di Dio riprese: Pro­cura di alzarti. - Ed io: Non posso alzarmi. - Ma pro­vaci, che Dio ti ha fatto la grazia. Tu però hai un brutto vizio: bestemmi un po' troppo. - E poiché io volevo scu­sarmi allegando l’abitudine e le circostanze, lei conchiu­se: Bisogna correggersi! - (E difatti ho cercato di correggermi). Ciò detto si ritrasse chiudendo la porta e scomparve.

Allora io provai subito ad alzarmi, e difatti potei scendere dal letto e affacciarmi alla finestra. Mi pare­va di essere rinato.

Il giorno appresso mi alzai, uscii per il paese con meraviglia di tutti. L'indomani potei recarmi in cam­pagna al mio roccolo, alla distanza di due chilometri.

Da quel giorno cammino sempre con relativa speditez­za e facilità.

Il Parroco ne fece un referto. Il medico curante, Dott. Guerriero Consorti, era partito da Force poco tem­po avanti la mia guarigione per assumere la direzione dell'Ospedale di Ancona.

(Dai Processi di beatificazione della Serva di Dio Maria Assunta Pallotta).



Chi è venuto dall'aldilà?

Verso l'autunno del 1917 si trovava in quel tempo a S. Giovanni Rotondo (Foggia) la sorella di Padre Paolino, superiore del convento dei Cappuccini, Assunta di Tommaso, la quale era venuta a visitare il fratello e dor­miva nella foresteria.

Una sera, dopo cena, Padre Pio e Padre Paolino an­darono a salutare la sorella, che si tratteneva vicino al focolare. Quando furono colà Padre Paolino disse: P. Pio, tu puoi restare qui vicino al fuoco, mentre noi andia­mo un po' in chiesa a recitare le preghiere. -

Padre Pio, che era stanco, si mise a sedere sul letti­no con la solita corona in mano, quando viene preso da una sonnolenza che subito gli passa, apre gli occhi e ve­de un vecchio avvolto in un piccolo cappotto che stava seduto vicino al fuoco. Padre Pio, al vedere costui, di­ce: Oh! Tu chi sei? e che cosa fai? - Il vecchio rispon­de: Io sono..., sono morto bruciato in questo convento (nella stanza n. 4, come mi raccontava don Teodoro Vin­citore...) e sto qua per scontare il mio purgatorio per que­sta mia colpa...­

Padre Pio promise che il giorno dopo avrebbe ap­plicato la Messa per lui e che non si facesse più vedere là. Poi l'accompagnò fino all'albero (l'olmo che esiste ancor oggi) e là lo licenziò.

Padre Paolino lo vide per più di un giorno un po' timoroso, e gli domandava che cosa gli fosse accaduto quella sera. Egli rispondeva che si sentiva poco bene. Finalmente un giorno confessò tutto. Allora Padre Pao­lino andò al Comune (anagrafe) ed effettivamente tro­vò nei registri che nel convento era morto bruciato nel­l'anno x un vecchio di nome Di Mauro Pietro (1831-1908). Tutto corrispondeva a quanto aveva detto Padre Pio. Da allora il morto non comparve più.

(P. Alessandro da Ripabottoni - P. Pio da Pietralci­na - Centro culturale francescano, Foggia, 1974, pp. 588-589).



Chi è venuto dall'aldilà?

Nel suo libretto «I nostri morti - La casa di tutti» il salesiano Don Giuseppe Tomaselli scrive quanto se­gue: «Il 3 febbraio 1944, moriva una vecchietta, prossi­ma agli ottant'anni. Era mia madre. Potei contemplare il suo cadavere nella Cappella del cimitero, prima del­la sepoltura. Da Sacerdote allora pensai: Tu, o donna, da quando io posso giudicare, non hai mai violato gra­vemente un solo comandamento di Dio! E riandai col pensiero alla sua vita.

In realtà mia madre era di grande esemplarità e de­vo a lei in gran parte la mia vocazione sacerdotale. Ogni giorno andava a Messa, anche nella vecchiaia, con la corona dei suoi figli. La Comunione era quotidiana. Mai tralasciava il Rosario. Caritatevole, sino a perdere un occhio mentre compiva un atto di squisita carità verso una povera donna. Uniformata ai voleri di Dio, tanto da chiedermi quando mio padre era disteso cadavere in casa: Che cosa posso dire a Gesù in questi momenti per fargli piacere? - Ripeta: Signore, sia fatta la tua volontà! -

Sul letto di morte ricevette gli ultimi Sacramenti con viva fede. Poche ore prima di spirare, soffrendo trop­po, ripeteva: O Gesù, vorrei pregarti di diminuire le mie sofferenze! Però non voglio oppormi ai tuoi voleri; fa' la tua volontà!... - Così moriva quella donna che mi portò al mondo.

Basandomi sul concetto della Divina Giustizia, po­co curandomi degli elogi che potessero fare i conoscen­ti e gli stessi Sacerdoti, intensificai i suffragi. Gran nu­mero di Sante Messe, abbondante carità e, ovunque pre­dicavo, esortavo i fedeli a offrire Comunioni, preghiere e opere buone in suffragio. Iddio permise che la mam­ma apparisse. Da due anni e mezzo mia madre era mor­ta, ecco all'improvviso apparire nella stanza, sotto sem­bianze umane. Era triste assai.

- Mi avete lasciata nel Purgatorio!... - Siete stata sinora in Purgatorio? -

- E ci sono ancora!.. L'anima mia è circondata da oscurità e non posso vedere la Luce, che è Dio... Sono alla soglia del Paradiso, vicino al gaudio eterno, e spa­simo dal desiderio di entrarvi; ma non posso! Quante volte ho detto: Se i miei figli conoscessero il mio terri­bile tormento, ah, come verrebbero in mio aiuto!...

- E perché non veniste prima ad avvisare? - Non era in mio potere. -

- Ancora non avete visto il Signore? -

- Appena spirata, ho visto Dio, ma non in tutta la sua luce. -

- Cosa possiamo fare per liberarvi subito? -

- Ho bisogno di una sola Messa. Dio mi ha permes­so di venirla a chiedere. -

- Appena entrate in Paradiso, ritornate qui a darmi notizia! -

- Se il Signore lo permetterà!... Che luce... che splendore!... - così dicendo la visione si dileguò. Si ce­lebrarono due Messe e dopo un giorno riapparve, dicen­do: Sono entrata in Paradiso! -.



Chi è venuto dall'aldilà?

Una devota di S. Gemma Galgani depose:

«Nel 1906, da circa dieci mesi ero sofferente di for­te dolore al capo, nel quale sentivo come tanti carboni accesi, in maniera che mi sembrava che mi bollisse il cer­vello; mi si bruciò anche tutta la bocca, in maniera che non potevo mangiare e dovevo contentarmi soltanto di bevande diacce, e qualche volta anche d un po' di mine­stra, ma diaccia. Il dottor Lippi Castruccio mi fece quat­tordici visite, e dopo aver sperimentato molti mezzi per farmi guarire, alla fine mi disse: Carina mia, se fosse una rapa o una mela potrei spaccarla e vedere quello che c'è dentro; ma io non so più cosa farti; rassegnati alla vo­lontà di Dio. - Allora io, alzando gli occhi al Cielo e con le mani giunte, dissi: Gemma, se è vero che tu sei in Pa­radiso, dammi questo segno, fammi la grazia, guarisci­mi. Detto così, mi sentii guarita all'istante.

Avevo promesso a Gemma che se avessi ottenuto la grazia della guarigione, l'avrei pubblicata immedia­tamente in suo onore. Però non la pubblicai subito per­ché volevo accertarmi se me l'aveva fatta completa. Non ho avuto più nulla e ho ripreso i miei sonni e le mie abi­tudini senza sentire mai più il minimo dolore di capo, e già sono passati sedici anni dalla grazia ricevuta.

Il medico aveva diagnosticato che la mia malattia fosse una meningite progressiva e tanto grave che ritro­vandomi un giorno per la strada, meravigliato nel ve­dermi, disse: Oh che fai? Ti credevo nella tomba. Gra­zia speciale!

Il Padre Germano; direttore spirituale di S. Gem­ma, nei processi per la beatificazione della medesima (nei quali è contenuta la relazione del miracolo), fa que­sta precisazione: Dall'inizio della malattia, dicembre 1906, ai primi di ottobre dell'anno successivo non potè mai dormire più di un'ora circa il giorno.

Questa è la pura verità - attestò la miracolata nel certificato che rilasciò al medesimo Padre - e la con­fermo con giuramento, io Isolina Serafini.

(Dai Processi di beatificazione della Serva di Dio Gemma Galgani).

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05/09/2009 16:46



Nel libro segue e termina con la Lettera dal Purgatorio, detta "Lettera di Annet" che troverete qui:
cristianicattolici.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...





[SM=g27998]


Anima afflitta, cui l'inesorabile falce della morte ha strappato dal fianco quella cara creatura che tanto tu amavi, e che vai piangendo sconsolata, oh! rasciuga il tuo ciglio, rasserena la fronte, ti conforta e spera! Quell'essere caro non è perduto, no, ma vive ancora e tu puoi ancora essergli utile ed usare con lui tutte le tenerezze dell'amor tuo: esso forse ha bisogno di te.... ma non ti chiede, no, lacrime e ge­miti, che nulla gli valgono, per quanto legittimi e sacri; ma a te chiede l'aiuto delle tue preghiere, de' tuoi pietosi suffragi. Se tu la vedessi soffrire, che non faresti per quell'anima cara a consolarla e sol­levarla dalle sue pene? E tu possiedi un tesoro che può apportare a' tuoi cari immenso sollievo e van­taggio; è il tesoro delle preghiere, delle indulgenze, delle pratiche divote che la Santa Chiesa mette in tua mano a suffragare le Anime benedette del Pur­gatorio. Non lagrime, dunque, ma preghiere e suf­fragi.

E tu, cui il tempo ha attutito il dolore della per­dita de' tuoi cari, la cui memoria non torna che da quando a quando fugace e labile al tuo pensiero; e che a dispensarti dal suffragarli, ti vai illudendo della speranza ch'essi già sieno felici e beati nel gaudio eterno del Paradiso, pensa che ben diversi da quelli degli uomini sono i giudizii di Dio e che, da speciali rivelazioni, nelle vite dei Santi, si sa di Anime rilegate in Purgatorio per anni ed anni ed anche per secoli.

E dato pure che essi più non abbisognassero de' tuoi suffragi, pensa quante e quante Anime nel Pur­gatorio soffrono indicibili tormenti, che tu puoi soc­correre con poco dispendio e con grandissimo tuo me­rito e spirituale vantaggio. In quel carcere di espia­zione ti troverai un giorno tu pure, se Iddio ti userà misericordia. Ti sovvenga la parola di Gesù Cristo, “Beati i misericordiosi perchè troveranno miseri­cordia” e - Quella misura che avrete usato col pros­simo sarà poi usata verso di voi.

Milano, il 2 novembre 1901. P. ANGELO DT GESU’ MARIA, Carmelitano Scalzo.

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