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INFERNO

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 16:44
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05/09/2009 16:44

Sceol e Ades

4 - L'errore:

“Per indicare il luogo in cui vanno gli uomini quando muoiono, la Bibbia usa nelle Scritture Ebraiche la parola "Sceol" e nelle Scritture Greche "Ades". Che queste parole indichino la stessa cosa è evidente da un confronto fra Salmo 16: 10 e Atti 2: 31. Notate che, citando Salmo 16: 10, dove compare "Sceol", Atti 2: 31 usa "Ades" ("inferno", Edizioni Paoline (EP). Alcuni dicono che Ades sia un luogo di eterno tormento. Ma si noti che Gesù andò nell'Ades. Dobbiamo pensare che Dio tormentasse Cristo in un "inferno" di fuoco? No di certo! Quando morì, Gesù andò semplicemente nella tomba” (p. 82).

La verità:

a) Abbiamo spiegato nella Prima Parte quali siano i significati sia di Sceol sia di Ades. Preghiamo il lettore che cerca sinceramente la verità di tenere presenti quelle nozioni e di accertarsi sulla loro accuratezza con l'aiuto di dizionari biblici e di altri scritti di autori seri e competenti. “Accertatevi dì ogni cosa!” (1 Tessalonicesi 5, 21).

Alla luce di quelle spiegazioni il lettore onesto e sincero capirà subito quanto sia equivoca l'affermazione geovista: “Alcuni dicono che l'Ades sia un luogo di tormento eterno”.

Chi sono questi alcuni? E' un linguaggio molto generico che piace tanto ai tdG perché si presta facilmente alla menzogna e alla calunnia.

La verità è che Sceol e Ades non indicano un luogo di eterno tormento. Solo in un caso, ossia in Luca (16, 23), Ades equivale alla condizione di chi dopo la morte è separato da Dio.

b) A sostegno della loro insinuazione i tdG citano una Bibbia edita dalle EP (Edizioni Paoline). il lettore ha il diritto di domandare: Qual'è questa Bibbia? Infatti le EP hanno pubblicato più di una traduzione della Bibbia e non sempre Atti 2, 31 è reso con la parola “inferno”.

La verità è che quando alcune Bibbie, a cominciare dalla Volgata, rendono Atti 2, 31 con la parola “inferno” o “infernus”, non danno ad essa il significato di “inferno come stato (non luogo) di tormento”.

Perciò deve dirsi assurda e ridicola la domanda geovista: “Dobbiamo pensare che Dio tormentasse Cristo in un inferno di fuoco?”.

Il paragrafo seguente farà capire meglio le cose.

Discese agli “inferi”

Nel cosiddetto “Simbolo Atanasiano” i veri cristiani fanno la seguente professione di fede: “Patì per la nostra salvezza, discese agli ìnferi (ad inferos), il terzo giorno risuscitò dai morti”.

Qual è il significato di questa antica formula di fede?

a) Deve essere bandita, anzitutto, qualsiasi idea che Cristo sia andato ad essere tormentato tra i dannati. Anche se alcune traduzioni del simbolo rendono le parole “ad inferos” con “all'inferno”, tutti sanno ed ammettono che qui “inferno” non significa Geenna, ossia lo stato di pena dei peccatori induriti, ma “soggiorno dei morti”.

Il significato delle parole del Simbolo è che Cristo, dopo la sua morte, comunicò i benefici della redenzione ai milioni di creature umane decedute prima che egli offrisse la sua vita per la salvezza di tutti (cf. Marco 10, 45; Matteo 20, 28; 1 Timoteo 2, 5-6). Oppure che egli, dopo la sua morte e in virtù del suo valore redentivo, ha fatto conoscere la sua signoria da ogni creatura (cf. 1 Pietro 3, 18-19; Filippesi 2, 10; Apocalisse 1, 17-18).

E' perciò una grossa bestemmia dire che “almeno per qualche tempo, Gesù sia stato nell'inferno”, come hanno scritto i tdG , in piena contraddizione con la loro affermazione che stiamo analizzando.

b) Il senso è che Cristo rimase nella tomba, cioè nel regno dei morti (Ade), solo tre giorni a differenza di Davide (cf. ivi verso 29); dopo di che in virtù della potenza divina tornò in vita, risuscitò.

Cristo non poteva essere sotto il potere di satana perché il principe del mondo, cioè il diavolo, dopo la sua passione, non poteva avere alcun potere su di lui (cf. Giovanni 14, 30). In rapporto all'inferno Cristo poteva avere solo potere di giudizio e di condanna come un magistrato che, in base alla sua autorità di giudicare e di condannare, può recarsi, se vuole, anche nel luogo di pena, ma sempre in veste di giudice; mai per essere trattato come un condannato.

 

5 - L'errore: “Genesi 37: 35 parla di Giacobbe che faceva lutto credendo che l'amato figlio Giuseppe fosse stato ucciso. La Bibbia dice. "(Giacobbe) si rifiutava di essere confortato e diceva- 'Perché scenderò facendo lutto da mio figlio nello Sceol'. Fermiamoci un attimo. Lo Sceol era luogo di tormento?   Giacobbe credeva forse che il figlio Giuseppe fosse finito in un luogo del genere per l'eternità? Voleva raggiungerlo li? Non pensava piuttosto che il figlio diletto fosse morto, nella tomba, per cui voleva morire anche lui?” (p. 82).

La verità:

a) Fermiamoci un attimo: i veri cristiani mai hanno detto che Giacobbe nel suo dolore pensasse a un luogo di eterno tormento. Solo la fantasia settaria dei tdG può indulgere in tali immaginazioni per oscurare la Verità di Dio.

Le parole di Giacobbe: “Voglio scendere in lutto da mio figlio nella tomba (Sceol)”, equivalgono alla nostra frase: “Voglio piangere mio figlio fino alla, mia morte, voglio conservare il lutto per tutta la. vita”. Qui non c'entra affatto qualsiasi riferimento all'inferno. Giacobbe pensava che Giuseppe fosse finito nel ventre d'una belva!

b) Tutto il ragionamento sofisticato dei geovisti si può esprimere nel modo seguente:          “Giacobbe non poteva pensare che lo Sceol fosse un luogo di eterno tormento. Dunque l'inferno non esiste”. Il presupposto di tutto il sofisma è l'insinuazione che Sceol potesse significare           “luogo di eterno tormento”. Questo presupposto è falso'. Dunque tutto il ragionamento è falso e inconcludente.

6 - L'errore:

“Sì, anche i buoni vanno nello Sceol. Pensate per esempio a Giobbe, famoso per la sua integrità e fedeltà a Dio. Poiché soffriva molto, chiese aiuto a Dio. La sua preghiera si trova in Giobbe 14: 13: "Oh mi nascondessi tu nello Sceol, ... mi stabilissi un limite di tempo e ti ricordassi di me!. Riflettete: se lo Sceol fosse un infuocato luogo di tormento, Giobbe avrebbe espresso il desiderio di andarvi e rimanervi finché Dio non si fosse ricordato di lui? Chiaramente Giobbe voleva morire e andare nella tomba per porre fine alle sue sofferenze” (p. 82).

La verità:

L'equivoco continua. Sì, ai tempi di Giobbe non si aveva ancora l'idea dell'inferno. Nel Libro di Giobbe Sceol ha il significato o i significati, di cui ci siamo occupati nella Prima Parte, secondo il contesto. Nel testo citato (14, 13) Sceol vuol dire “scendere nella tomba”, “morire” e finire di soffrire. Questo Giobbe chiedeva a Dio. L'equivoco geovista consiste nel dare alla parola Sceol un significato che non ha e che nessun lettore attento della Bibbia ha mai dato alle parole di Giobbe (14, 13).

 

7 - L'errore: “In tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione con vita, attività e tormento. Al contrario, è spesso collegato con la morte e l'inattività. Per esempio, Ecclesiaste 9: 10 dice: "Tutto ciò che la tua mano trova di fare, fallo con la medesima potenza, poiché non c'è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol, il luogo al quale vai. La risposta è quindi molto chiara. Sceol e Ades non indicano un luogo di tormento, ma la comune tomba del genere umano (Salmo 139: 8). Nello Sceol vanno sia buoni che cattivi” (p. 83).

La verità:

a) Sì, la risposta è molto chiara: in tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione col tormento. E allora, perché tanto parlare di esso come se fosse un luogo di tormento? “Servo malvagio, dalle tue stesse parole ti giudico” (Luca 19, 22). Perché insinui che la parola “inferno”, che in alcune Bibbie traduce Sceol, ha il significato di “luogo di tormento”? Non sarebbe onesto dire chiaramente che in quei casi la parola “inferno” non significa “luogo di tormento”? Non è un inganno insinuare il contrario?

b) Dal fatto, comunque, che Sceol non è messo in relazione con un luogo di tormento, non ne segue che non vi sia un “inferno” come stato di pena. La Bibbia non comprende solo gli scritti dell'Antico Testamento. Tante verità poco chiare o sconosciute agli Ebrei sono state insegnate da Gesù e dagli Apostoli. Tra queste il destino dei malvagi, come appare chiaro dal caso del ricco cattivo (cf. Luca 16, 23). Gesù poi parlò espressamente della Geenna, che nel linguaggio corrente è indicata con la parola “inferno”. L'abbiamo spiegato diffusamente nella Prima Parte.

8 - L'errore:

“Dall'inferno" si può uscire.

Si può uscire dallo Sceol (Ades)? Prendete il caso di Giona. Quando Dio lo fece inghiottire da un grosso pesce per salvarlo dall'annegamento, Giona pregò dal ventre del pesce: "Dalla mia angustia chiamai Geova, ed egli mi rispondeva. Dal ventre dello Sceol ("inferno", versione cattolica di Douay) invocai soccorso. Tu udisti la mia voce". - Giona 2: 2” (p. 83).

La verità:

a) Ancora equivoci, sempre, tanti equivoci nella penna geovista. Per sventarli, ricordiamo il caso di Giona con piena fedeltà alla Bibbia. Giona si venne a trovare nel ventre del pesce, ossia in grande pericolo di morte, nella morsa della morte, nelle grinfie della potenza della morte.

Ora - certamente ve ne ricordate - Sceol ha anche il significato di morte (cf. pp. 7-8). Qui non c'entra affatto l'“inferno” come luogo o stato di tormento!

In quelle tragiche  circostanze  Giona  si rivolse al Signore perché lo liberasse dalla morte: “Quando mi sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te       ...” (Giona 2, 8). Si trattava dunque di pericolo di morte, non d'inferno come luogo d'eterno tormento. Giona uscì da quel pericolo sano e salvo, non dallo Sceol e tanto meno dall'inferno.

b) Per puntellare il loro contorto ragionamento i tdG citano la versione cattolica detta di Douay, che traduce Sceol con la parola hell (inferno): “I cried out of my affliction to the Lord, and he heard me. I cried out of the bell of hell, and thou hast heard my voice” (Giona 2, 3).

Questa citazione non ha alcun valore probativo. La Bibbia detta di Douay è stata tradotta nel 1609, ossia 378 anni fa. Allora, come del resto anche adesso, la parola hell (inferno) poteva avere (e può avere), secondo il contesto, anche il significato di morte o pericolo di morte. E' il terzo significato della parola ebraica Sceol (cf. pp. 7-8). E' chiaro che in Giona 2, 3 hell (inferno) ha appunto questo significato.

A conferma vale il fatto che le traduzioni odierne, eccetto qualche raro caso, traducono Giona 2, 3, senza usare la parola hell. Perché i geovisti non citano queste versioni più aggiornate nello stile?

 

9 - L'errore:

“Cosa voleva dire Giona con le parole "dal ventre dello Sceol" ("inferno", Douay)? Certo il ventre di quel pesce non era un infuocato luogo di tormento, ma sarebbe potuto diventare la tomba di Giona. Infatti Gesù Cristo disse riguardo a sé: “Come Giona fu nel ventre del grosso pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e tre notti”. - Matteo 12: 40” (pp. 83-84).

La verità:

a) Se il ventre dello Sceol non era un infuocato luogo di tormento, ma solo una potenziale tomba di Giona, il caso di Giona non prova che si possa uscire dall'“inferno”. Prova solo che Dio può liberare da una morte incombente. Qui l'inferno come stato di pena non c'entra affatto. Volercelo fare entrare equivale a ingannare, pur sapendo di ingannare.

b) Il caso di Gesù è molto diverso da quello di Giona. Gesù non venne fuori né dal ventre di un grosso pesce né da un pericolo di morte e tanto meno da un “luogo di eterno tormento”.

Gesù fa riferimento al caso di Giona non perché vi sia identità tra lui e Giona, ma solo per spiegare, mediante un'analogia, come egli dopo' tre giorni sarebbe certamente risuscitato. Come Giona effettivamente dopo tre giorni era stato liberato dal pericolo di morte, così egli dopo tre giorni sarebbe effettivamente tornato da morte a vita.

 

10 - L'errore:

“Gesù rimase morto nella tomba per tre giorni. Ma la Bibbia dice che "non fu abbandonato nell'Ades ("inferno", EP)... Questo Gesù ha Dio risuscitato" (Atti 2: 31, 32). Similmente, per comando di Dio, Giona fu tirato fuori dallo Sceol, cioè da quella che avrebbe potuto essere la sua tomba. Questo accadde quando il pesce lo vomitò sull'asciutto. Sì, si può uscire dallo Sceol! Infatti la rincuorante promessa contenuta in Rivelazione (Apocalisse) 20: 13 è che 'la morte e l'Ades (I"'inferno", EP) daranno i morti che sono in essi!'. Che differenza fra l'insegnamento biblico circa la condizione dei morti e ciò che hanno insegnato molte religioni!” (p. 84).

La verità:

a) Che differenza tra ciò che insegna la Bibbia con molta chiarezza e la grande confusione degli insegnamenti geovisti a danno sempre della gente ignorante!

Cominciamo col dire o col ripetere che il caso di Gesù non è simile a quello di Giona. Gesù andò veramente nel “regno dei morti” (Ades); Giona fu solo in pericolo di morte. Anche se qualche Bibbia edita dalle EP traduce Atti 2, 31 usando la parola “inferno”, non intende dire che Gesù sia andato nel ventre di un grosso pesce o la luogo di eterno tormento. Non sarebbe stato onesto fare questa precisazione? Né il caso di Giona, dunque, e tanto meno quello di Gesù è una prova che si possa uscire dall' “inferno”, come i tdG intendono dimostrare.

b) Ma a questo punto l'anonimo redattore del libro geovista tenta di fare un'abile sterzata. Mentre aveva iniziato dicendo: “Dall'inferno si può uscire”, ora conclude dicendo: “Sì, si può uscire dallo Sceol!”. Dunque, ci si può legittimamente domandare:  non  era  questione          dell'“inferno”, anche se qualche Bibbia usa la parola “inferno”! Dunque il termine inferno, che si trova nella Bibbia edita dalle EP, non significa “luogo di eterno tormento”!

c) Prendiamo atto, infine, della consolante promessa dell'Apocalisse 20, 13 che “la morte e l'Ades daranno i morti che sono in essi!”. Se queste parole, nella spiegazione che danno i geovisti, significano che dallo Sceol si può uscire, ne segue che con la morte l'uomo non torna in uno stato di inesistenza come insegnano gli stessi geovisti. E' vero dunque il contrario, e cioè che dopo la morte la vita dell'uomo continua come insegna la Bibbia e come sempre ha insegnato la Chiesa Cattolica.

Geenna e lago di fuoco

11 - L'errore:

“Ma qualcuno obietterà: 'La Bibbia però parla di fuoco dell'inferno e del lago di fuoco. Non è una prova che c'è un luogo di tormento?'. E' vero che alcune traduzioni della Bibbia, come quella di Eusebio Tintori, parlano di "fuoco dell'inferno" e dell'essere gettati "nell'inferno, al fuoco inestinguibile" (Matteo 18: 9; Marco 9: 44, 45). In totale nelle Scritture Greche Cristiane ci sono Il versetti in cui questa versione cattolica usa "inferno" per tradurre la parola greca Geenna. Mentre Ades non è altro che la tomba, la Geenna è davvero un infuocato luogo di tormento?” (p. 85).

 

La verità:

a) La prima cosa da precisare è che non solo la versione cattolica di Eusebio Tintori, ma molte altre versioni anche non cattoliche traducono la parola greca Geenna con “inferno”. La ragione è che nella lingua corrente (italiana, inglese, francese ecc.) la parola “inferno” significa principalmente lo “stato di pena dei dannati”, ed è usata abitualmente per tradurre Geenna.

b) Va pure precisato che a parlare di “essere gettati nel fuoco inestinguibile” non sono alcune traduzioni della Bibbia, come quella cattolica di E. Tintori. Infatti, di “fuoco che non si estingue” ne parla il testo biblico originale (cf. Marco 9, 48). Forse ai geovisti interessa gettare un po' di acqua sul fuoco ed insinuare che del “fuoco inestinguibile” parlano solo le versioni cattoliche. Ma si tratta d'una astuzia puerile, che non è difficile sventare.

 

12 - L'errore:

“E' chiaro che la parola ebraica "Sceol" e la parola greca "Ades" indicano la tomba. Ma cos'è la Geenna? Nelle Scritture Ebraiche la Geenna è "la valle di Innom". Come ricorderete, Innom era il nome della valle appena fuori delle mura di Gerusalemme dove gli israeliti sacrificavano i loro figli nel fuoco. A suo tempo il buon re Giosia rese quella valle non idonea per tale mostruoso rito (11 Re 23: 10). Fu trasformata in un immenso carico di rifiuti” (p. 85).

La verità:

a) Come ricorderete, la parola ebraica “Sceol” e la parola greca “Ades” non indicano principalmente la tomba. li loro significato fondamentale è quello di “regione dei morti”. Possono indicare tomba e anche morte (cf. pp. 3-12). La indicazione geovista tende a minimizzare la verità biblica e negare la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte, come abbiamo spiegato precedentemente (cf. pp. 8-9).

b) Monca e dimezzata è pure la nozione che i geovisti danno della Geenna. Essi che si vantano di conoscere la Bibbia meglio di tutti, hanno dimenticato in questo caso di informare i loro lettori che la valle di Hinnòn, fin dai tempi di Isaia, era divenuta simbolo del castigo divino per i ribelli negli ultimi tempi:

“Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti” (Isaia 66, 24).

E Geremia:

“Perciò verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn, ma valle della Strage” (7, 32; cf. 19, 6).

 

13 - L'errore:

“Perciò ai giorni in cui Gesù era sulla terra la Geenna era l'immondezzaio di Gerusalemme. Per incenerire le immondizie vi si tenevano accesi fuochi con l'aggiunta di zolfo. Un dizionario biblico (Smith's Dictionary of the Bible, Volume 1) spiega: "Divenne il comune immondezzaio dove si gettavano i corpi dei criminali e degli animali, ed ogni altra specie di sudiciume". Non vi si gettava nessuna creatura vivente” (p. 86).

La verità:

a) Ai tempi di Gesù, la Geenna era solo il simbolo della futura pena dei ribelli a Dio. Un dizionario biblico, dopo aver ricordato il significato letterale della Geenna. Scrive:

“Le minacce di giudizio pronunciate contro questa valle esacrata (cf. Geremia 7, 32; 19, 6; Isaia 31, 91- Isaia 66, 24) hanno suggerito alla letteratura apocalittica, a partire dal sec. Il a.C., di localizzare nella valle di Hinnom l'inferno di fuoco, che si sarebbe dischiuso dopo il giudizio finale. Ben presto il termine géhinnom passò a designare lo stesso inferno di fuoco della fine dei tempi.    Il Nuovo Testamento rispecchia questo stadio di evoluzione semantica”.

b) In effetti, “Per il Nuovo Testamento la ghéenna è una realtà pre-esistente (Mt. 25, 41), un abisso infuocato (Mt. 13, 42.50). Essa è il luogo della punizione definitiva, dopo l'ultimo giudizio, eterna nella sua durata (Mt. 25, 41.46; 23, 15.33) E' da distinguere quindi dall'ade, che accoglie le anime dei defunti nel periodo che precede la risurrezione delle anime”.

Non è quindi una località geografica, a sud di Gerusalemme, come faziosamente vorrebbero far intendere i geovisti. Non fu mai l'immondezzaio della città.

c) A sostegno della loro tesi i tdG citano un dizionario biblico. E' da notare che the Smith's Dictionary of the Bible è stato pubblicato a Boston nel 1889, circa un secolo fa ed è ormai superato. Citandolo i tdG hanno il vantaggio che tale dizionario è ormai fuori commercio e difficilmente può essere consultato. Ma questa non è serietà!

 

14 - L'errore: “Conoscendo l'immondezzaio della loro città, gli abitanti di Gerusalemme capirono cosa voleva dire Gesù quando disse ai malvagi capi religiosi: "Serpenti, progenie di vipere, come sfuggirete al giudizio della Geenna?” (Matteo 23: 33).Chiaramente Gesù voleva dire che quel capi religiosi sarebbero stati tormentati. Quando gli israeliti bruciavano vivi i loro figli in quella valle, Dio disse che non gli era mai venuto in mente di fare una cosa così terribile! Perciò è chiaro che Gesù si servì della Geenna, come appropriato simbolo di distruzione completa ed eterna. Voleva dire che quei malvagi capì religiosi non meritavano la risurrezione. Gli ascoltatori di Gesù erano in grado di capire che chi, come le immondizie, finiva nella Geenna, sarebbe stato distrutto per sempre” (p. 87).

La verità:

a) Gli abitanti di Gerusalemme conoscevano la Bibbia assai meglio dei tdG. Essi sapevano che la Geenna non era l'immondezzaio della loro città, ma solo simbolo della pena dei ribelli a Dio negli ultimi tempi, secondo le chiare profezie di Isaia (66, 24) e di Geremia (7, 32 19, 6). Una pena eterna (Mt. 25, 41.46; 23, 15.33), non una distruzione.

b) Gesù minacciava questo castigo non solo ai malvagi capi religiosi, ma a tanti altri (cf. Matteo 5, 20-22.29-30; 10, 28; 25, 31-46; Marco 9, 42-47; Luca 17, 1-2). I maestri geovisti si limitano a menzionare solo i malvagi capi religiosi, dimostrando ,così una assai scarsa conoscenza della Bibbia. Ma questo comportamento prettamente settario, abituale nei tdG, mira solo a denigrare i ministri delle religioni, specialmente il clero cattolico.

c) Certamente Dio aveva condannato l'immolazione di creature innocenti al dio Moloch nella valle della Geenna. Ma che c'entra questo con la punizione dei ribelli? In effetti, lo stesso Jahve ha castigato col fuoco gli abitanti di Sodoma e Gomorra (cf. Genesi 19, 23-28), e “farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo; vento bruciante toccherà loro in sorte” (Salmo 11, 6; cf. Ezechiele 10, 2; 38, 22; 2 Pietro 3, 12 ecc.).

d) Com'è possibile che Gesù volesse intendere che quei malvagi capi religiosi non meritavano la risurrezione? Gesù ha esplicitamente affermato il contrario, ha detto cioè che tutti, buoni e malvagi, dovranno risorgere (cf. Giovanni 5, 28-29; Atti 24, 15; Apocalisse 20, 13). La risurrezione non è meritata dagli uomini; è una disposizione di Dio. Sarebbe comodo per i malvagi non risorgere! San Paolo dice proprio il contrario, tirando le logiche conseguenze:

“Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, che domani morremo” (1 Corinzi 15, 32).

e) A parere dei geovisti quei malvagi capi religiosi sarebbero stati tormentati mediante una distruzione completa ed eterna. Com'è possibile essere tormentati, se si è distrutti in modo completo? Chi non esiste più, non può essere tormentato.

La Bibbia comunque non parla mai di distruzione completa ed eterna. Parla sempre di rovina, perdita eterna (cf. pp. 27-28).

 

15 - L'errore: “Cos'è allora "il lago di fuoco" menzionato nel libro biblico di Rivelazione (Apocalisse)? Ha un significato simile a quello della Geenna. Non indica un tormento cosciente, ma la morte o distruzione eterna. E' la Bibbia stessa a dirlo, in Rivelazione 20: 14: "E la morte e l'Ades ("l'inferno", EP) furono scagliati nel lago di fuoco. Questo significa la seconda morte, il lago di fuoco". Sì, il lago di fuoco significa "la seconda morte", la morte da cui non c'è risurrezione. E' evidente che questo "lago" è simbolico, perché vi sono gettati la morte e I'”inferno" (Ades). La morte e I"'inferno" non possono essere bruciati in senso letterale. Ma possono essere eliminati e distrutti, come infatti avverrà” (p. 87).

La verità:

a) il “lago di fuoco” ha un significato non simile, ma identico a quello della Geenna. Ora la Bibbia dice che la Geenna non è uno stato di distruzione completa ed eterna come abbiamo dimostrato, e non lo è neppure il “lago di fuoco”. Ecco la testimonianza di un grande biblista:

“Nell'Apocalisse di solito il binomio fuoco e zolfo indica la dannazione eterna (...). Per indicare l'inferno, cioè la Geenna, oltre ad abisso, si usa l'immagine del lago sulfureo di fuoco (cf. Apocalisse 14, 10; 19, 20; 20, 10.14; 21, 8 (...) ed è suggerita evidentemente dal ricordo del castigo dei Sodomiti e della concezione del Mar Morto quale luogo di punizione degli spiriti cattivi”.

b) Che cosa è dunque la “seconda morte? Certo è detta seconda in relazione alla prima morte, cioè al passaggio dalla vita terrena a quella d'oltretomba. Come dopo la prima morte gli uomini non andavano distrutti, ma si radunavano nell'Ade (o Sceol), non tornavano cioè alla inesistenza, ma continuavano ad esistere, così dopo il giudizio finale di Dio, coloro che non saranno trovati scritti nel libro della vita non saranno distrutti, ma gettati nel lago di fuoco e di zolfo (Cf. Apocalisse 20, 15). Questa è la seconda morte, che non è quindi uno stato di distruzione, ma un modo nuovo di essere. Gettare (greco ballein) non vuol dire distruggere.

c) Il fatto poi che “la Morte e l'Ade sono scagliati nel lago di fuoco”, non annulla, anzi conferma la tremenda verità della “seconda morte”. Come altre volte nel corso dell'Apocalisse e anche in altri testi del N.T., Morte e Ades sono personificazioni di potenze avverse (Cf. Apocalisse 6, 8; 1 Corinzi 15, 26. 55). Giovanni parla di loro come se fossero due persone e può benissimo dire che “furono scagliati nel lago di fuoco”, senza perciò stesso voler indicare una “distruzione completa ed eterna”. Giovanni vuol dire che la Morte e l'Ade sono puniti come il diavolo e come il falso profeta (Apoc. 20, 10) e non avranno più nessun potere sull'uomo.

 

16 - L'errore:

“Ma la Bibbia dice che il Diavolo sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco', dirà qualcuno. (Rivelazione 20: 10). Cosa significa questo? Al tempo in cui Gesù era sulla terra, i carcerieri erano a volte chiamati "torturatori". In una delle sue illustrazioni, Gesù disse di un certo uomo: "E il padrone, sdegnato, lo consegnò ai torturatori, fino a che non avesse pagato tutto il debito". (Matteo 18: 34 EP). Quelli gettati "nel lago di fuoco' subiscono la "seconda morte", dalla quale non c'è resurrezione, per cui è come se fossero incarcerati per sempre nella morte. Rimangono in essa come sotto custodia di carcerieri per tutta l'eternità. Ovviamente i malvagi non possono essere tormentati in senso letterale, perché, come abbiamo visto, una volta morta la persona non esiste più. E' inconscia” (pp. 87-88).

La verità:

a) Notate subito l'astuta manovra geovista. Dovevano spiegare che cosa significa che “il diavolo sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco”, ma preferiscono parlare di quelli che subiscono la seconda morte, per cui è come se fossero incarcerati per sempre.

b) Noi vorremmo sapere se il diavolo e non altri, sarà tormentato per sempre nel lago di fuoco; se egli appartiene ai torturatori o ai torturati; se per essere torturatori o torturati, anche in senso non letterale, bisogna avere qualche esistenza o essere distrutti in modo assoluto.

 

17 - L'errore:

“Il Ricco e Lazzaro. Cosa intendeva allora Gesù quando in una delle sue illustrazioni disse: "Il mendicante morì e fu portato dagli angeli nella posizione del seno di Abraamo. Morì anche il ricco e fu sepolto. E nell'Ades alzò gli occhi, esistendo egli nei tormenti, e molto lontano vide Abraamo e Lazzaro nella posizione del seno con lui"? (Luca 15: 19-31). Poiché, come abbiamo visto, l'Ades è la tomba del genere umano e non un luogo di tormento, è chiaro che Gesù stava pronunciando un'illustrazione, un racconto. Come ulteriore conferma che non si tratta di episodio letterale, ma di una illustrazione, considerate questo: si trova l'inferno letteralmente a portata di voce dal cielo, tanto che si possa fare un'effettiva conversazione? Inoltre, se il ricco era in un ardente lago letterale, come poteva Abraamo mandare Lazzaro a rinfrescargli la lingua con una semplice goccia ,d'acqua sulla punta del dito? Cosa voleva dunque illustrare Gesù?”.

La verità:

a) L'Ades era “il regno dei morti”. In seguito, basandosi sulle profezie di Isaia e di Geremia, gli Ebrei cominciarono a distinguere nell'Ades una sezione riservata ai cattivi. Gesù accetta e conferma questa dottrina. Il ricco cattivo è condannato a questa sezione dell'Ades, cioè all'inferno (cf. p. 12).

b) Certo si tratta d'una illustrazione o, come si dice meglio, di una parabola. Le immagini e le parole non vanno prese alla lettera, altrimenti dovremmo pensare che quando Gesù, p.c., parla della Parola di Dio come di un seme, la Parola di Dio, andrebbe cercata tra i solchi della terra (cf. Matteo 13, 3-23).

Tuttavia, con le immagini e le parole delle parabole, sono insegnate realtà e verità oggettive, non immaginarie. Il ricco cattivo, ossia coloro che in lui sono rappresentati, incorrono in una situazione di reale sofferenza dopo la morte, anche se non bisogna pensare a un fuoco letterale e a una distanza tra cielo e terra misurabile in metri.

c) Le considerazioni fatte dai tdG sono dunque contraddittorie e inconsistenti. Infatti, se si tratta d'una illustrazione, che senso ha domandare se l'inferno si trova letteralmente a portata di voce dal cielo? E che senso ha parlare di lago letterale, di lingua, di goccia d'acqua? In simili banali contraddizioni cadono spesso e volentieri i tdG e perciò si rendono ridicoli! Non sanno quel che dicono!

 

18 - L'errore: “Il ricco dell'illustrazione rappresentava gli arroganti capi religiosi che respinsero Gesù e in seguito lo uccisero. Lazzaro raffigurava la gente comune che accettò il Figlia di Dio. La morte del ricco e di Lazzaro rappresentava il cambiamento nella loro condizione. Questo cambiamento, ebbe luogo quando Gesù alimentò spiritualmente la trascurata classe di persone rappresentata da Lazzaro, così che questa ottenne il favore del più grande Abraamo, Geova Dio. Nello stesso tempo i falsi capi religiosi 'morirono' in quanto all'avere il favore di Dio. Essendo stati rigettati, subirono tormenti quando i seguaci di Cristo ne smascherarono le opere empie (Atti 7: 51-57). Quindi questa illustrazione non insegna che alcune persone morte sono tormentate in un letterale inferno di fuoco”.

La verità:

a) Per capire che cosa voleva insegnare Gesù bisogna tener conto del contesto, cosa che non fanno i tdG. Nel cap. 16 di san Luca, di cui fa parte la parabola del ricco cattivo e di Lazzaro, Gesù intende dare una lezione sull'uso, buono o cattivo, del denaro, e sulle conseguenze eterne secondo il giudizio di Dio, che conosce i cuori (verso 15).

Secondo questo contesto, il ricco cattivo non rappresentava gli arroganti capi religiosi, ma le persone attaccate disordinatamente al denaro, tra cui anche i farisei (verso 14). Questi non erano tutti capi religiosi. Molti erano gente comune. Anche ai geovisti piace molto il denaro.

b) Gesù parla del futuro giudizio di Dio nei riguardi di chiunque faccia un uso egoistico del denaro. Dopo la morte la situazione sarà capovolta:

il povero diventa felice, il ricco cattivo avrà in sorte una sofferenza eterna. Non è dunque la classe dei capi religiosi in quanto tale a cui Gesù si rivolge, ma la classe dei ricchi egoisti. In quanto alla classe dei capi religiosi, sappiamo che “un gran numero di sacerdoti aderì alla fede - (Atti 6, 7), mentre molta gente comune rifiutò di convertirsi al Vangelo (cfr. Atti 23, 9).

c) La nostra spiegazione della parabola del ricco cattivo e di Lazzaro, basata sulle norme più elementari di una sana esegesi, mette a nudo la strumentalizzazione che della Bibbia fanno i tdG, col solo scopo di gettare fango sui ministri delle religioni, soprattutto sui sacerdoti cattolici.

Seconda serie di errori

1 - L'errore:

I tdG sono del parere che i morti non possono soffrire. Dopo la morte infatti “non sono consci di nulla” (cf. Qoélet 9, 5). Inoltre nel giorno della morte “periscono i pensieri dell'uomo” (cf. Salmo 146, 4).

La verità:

Nell'uno e nell'altro testo sfruttato dai tdG non si parla assolutamente dell'inferno, se cioè l'uomo dopo la morte possa o non possa soffrire. Il pensiero sia di Qoélet sia del Salmista è che dopo la morte l'uomo in genere e in specie l'uomo potente o prepotente non possono fare nulla di ciò che avviene in questa vita.

2 - L'errore:

La Bibbia dice che anche i buoni vanno all'inferno. Come prova i tdG citano il caso di Giobbe (14, 13) e quello di Gesù (Atti 2, 25-27).

La verità:

Nell'uno e nell'altro testo non si tratta dell'inferno propriamente detto o Geenna, anche se qualche versione rende Giobbe 14, 13 e Atti 2, 25-27 con la parola inferno. Sia in Giobbe che in Atti si parla di Sceol o Ade, che non è la Geenna. Il significato è che Giobbe, nella sua sofferenza, vorrebbe essere lontano, nascosto nello Sceol, per non essere colpito dal dolore, “finché non passi la tua (= di Dio) ira” (Garofalo). Il testo di Atti 2, 25-27 l'abbiamo già spiegato (cf. p. 38).

 

3 - L'errore:

I geovisti si domandano perché c'è confusione su ciò che la Bibbia dice riguardo all'inferno. La colpa sarebbe dei traduttori della falsa religione, che hanno usati i termini delle lingue originali senza coerenza.

La verità:

Consigliamo le persone oneste, che cercano la verità sinceramente, di esaminare i singoli termini (Sceol, Ades, Geenna, Inferi, Inferno ecc.) usati dai traduttori e accertarsi se essi corrispondono o mene ai termini originali, al concetto cioè che i termini originali vogliono esprimere. Da questa analisi onesta e oggettiva troverà che solo i tdG nella lore unica traduzione della Bibbia e nell'uso che fanne di quei termini, hanno creato e creano volutamente confusione per inoculare astutamente i loro errori.

4 - L'errore:

A parere dei geovisti, non vi è punizione eterna perché la Bibbia parla solo e sempre di stroncamento, cioè distruzione assoluta dell'uomo dopo la morte. Come prova, citano Matteo 25, 26; 2 Tessalonicesi 1, 9; Giuda 7.

La verità:

a) In Matteo 25, 46 il testo greco ha kòlasis, che significa fondamentalmente diramatura, potatura, come quando sono tagliati i rami di un albero; e significa anche correzione, castigo, pena. Non è perciò questione di stroncare o distruggere in senso assoluto, ma di privare qualcuno di qualcosa. L'albero potato è privato dei rami, ma non è distrutto. Continua a vivere. Su questa base linguistica, nessun traduttore rende kòlasis con la parola stroncamento, ma con supplizio (Garofalo, CEI), punizione (Luzzi; Interconfessionale), eccetto naturalmente i tdG e i loro degni associati (p. e. l'Emphatic Diaglott).

b) Parimenti in 2 Tessalonicesi 1, 9 il termine originale greco è òlethros, imparentato con òllumi (= rovinare). Perciò il significato basilare di òlethros è rovina e vuol dire che coloro i quali si sono rifiutati di obbedire al Vangelo, saranno puniti con una rovina eterna .

c) In Giuda 7 si legge che “Sodoma e Gomorra e le città vicine (... ). stanno là come esempio, subendo il castigo di un fuoco eterno” (Garofalo).

Il senso è che quelle città rase al suolo per sempre assieme ai loro abitanti erano un monito perenne e un esempio della punizione che Dio poteva infliggere ai peccatori del tempo in cui Giuda scriveva. Identico significato in Luca 17, 29.

Non possiamo, comunque, escludere che Giuda, autore ispirato, poteva avere in mente qualche altro castigo al di là del fatto storico e della morte perché poco prima (verso 6) aveva illustrato il suo pensiero con un altro esempio, quello degli angeli che non hanno mantenuto la loro dignità e perciò furono messi sotto custodia nel regno delle tenebre, avvinti in catene eterne.

 

5 - L'errore:

Per i malvagi non esisterebbe una punizione eterna perché “il salario che il peccato paga è la morte” (Romani 6, 23), e anche perché “colui che è morto è stato assolto dal suo peccato” (Romani 6, 7).

La verità:

a) La morte di cui parla Paolo (Rom. 6, 23), non è la distruzione o stroncamento eterno. E' la morte spirituale, la inimicizia con Dio, la rovina dell'uomo che pecca, in contrapposizione alla vita nuova o prima resurrezione, che è data all'uomo che ubbidisce al Vangelo (cfr. Apocalisse 20, 5). Questa morte spirituale ha come conseguenza la esclusione dal Regno di Dio.

b) Parimenti in Romani 6, 7 l'apostolo non parla di morte fisica, ossia della fine della vita terrena. Il suo pensiero è che col battesimo “siamo diventati un essere solo con Cristo nella somiglianza della sua morte” (Romani 6, 5). In altre parole, il battesimo ci fa morire al peccato, ci affranca o ci assolve dai peccati commessi fino ad allora. Ma la vita fisica continua con la possibilità di peccare ancora. Tant'è vero che san Paolo poco dopo esorta i battezzati a non peccare più: “Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale” (Romani 6, 12).

Se fosse vera la spiegazione dei tdG, ne seguirebbe che al punto di morte il giusto si troverebbe nelle stesse condizioni del peccatore; il discepolo fedele di Gesù Cristo, al punto di morte, non avrebbe nessun vantaggio riguardo al criminale, perché la morte libera, assolve dal peccato. La spiegazione geovista è aberrante!

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