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PIETRO E LA PIETRA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:00
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05/09/2009 17:00

Una spiegazione sbagliata

Anche la metafora delle chiavi è spiegata dai geovisti in modo arbitrario e confuso col solo fine di oscurare l'insegnamento del Vangelo. Il loro errore o piuttosto il cumulo dei loro errori è espresso nel modo seguente:

“Le chiavi - essi dicono - sono simbolo della conoscenza come leggiamo in Luca 11,52. Pietro usò la prima chiave il giorno di Pentecoste del 33 E.V. per aprire agli Ebrei l'opportunità di entrare nel regno celeste. Usò poi la seconda chiave tre anni dopo, nel 36 E.V., a favore dei non-giudei incirconcisi Gentili. Non c'era più nessun bisogno che Pietro usasse ulteriormente le chiavi del regno dei Cieli”.

Nel 1980, vale a dire quindici anni dopo aver scritto e stampato il pezzo sopra citato, il Corpo Direttivo di Brooklyn, N. Y. cambiò parere: le chiavi consegnate a Pietro sarebbero tre, non più due! Pietro avrebbe adoperato la terza chiave in occasione del suo sopralluogo nella regione dei samaritani, un po' a nord di Gerusalemme .

La spiegazione esatta

a) In san Luca 11, 52, che i geovisti citano, Gesù, in disputa coi dottori della Legge ,  disse:

“Guai a voi, dottori della Legge, che avete tolto la chiave della scienza”.

Per l'esatta conoscenza del pensiero di Gesù bisogna ricordare che i dottori della Legge presso gli Ebrei si consideravano ed erano considerati come gli autorevoli interpreti della Legge, ossia della Bibbia. Togliere la chiave della scienza equivale a interpretare male la Scrittura. Al contrario avere la chiave della scienza vuol dire essere interpreti autorevoli della Scrittura.

Gesù rimprovera ai dottori della Legge di interpretare male la Scrittura con l'aggravante che, pretendendo di essere i soli a saperla interpretare, impedivano a se stessi e agli altri di conoscere ed accettare il messaggio di salvezza annunziato da Cristo.

b) Alla luce di questo chiaro insegnamento biblico appare evidente il simbolismo della chiave o delle chiavi. Consegnando a Pietro le chiavi del Regno dei cieli, Gesù intendeva costituirlo interprete autorevole delle Scritture. Pietro ha avuto da Cristo la chiave della scienza, ossia della vera conoscenza del pensiero e della volontà di Cristo per insegnarla autorevolmente. Appare pure evidente come questa funzione di Pietro, vale a dire l'uso delle chiavi, non può essere limitato a due o tre casi. La pretesa dei dottori della legge non si limitava ad alcuni casi: essi interpretavano autorevolmente la legge sempre e dovunque ci fosse bisogno. Così la funzione di Pietro non può essere limitata a due o tre circostanze, come fanno erroneamente i geovisti. Egli è stato costituito da Cristo per dare autorevolmente la retta conoscenza della legge di Dio sempre e dovunque finché vi saranno sulla terra creature umane bisognose e desiderose di essere illuminate con la conoscenza della verità che ci salva (cf . 1 Timoteo 2, 4; Luca 22, 32))

c) E’ perciò errato e contro il chiaro insegnamento della Scrittura far consistere il simbolismo nel numero delle chiavi, e non piuttosto nell'uso che della chiave o delle chiavi vien fatto. L'uso è quello di aprire o chiudere, vale a dire dare la conoscenza della legge in ciò che essa dichiara buono e giusto (aprire) e in ciò che essa dichiara ingiusto e illecito (chiudere). Si può aprire o chiudere con una sola chiave o con più chiavi! Si deve aprire o chiudere sempre che le circostanze lo esigono. In effetti si ha lo stesso simbolismo sia in Isaia 22, 22; Luca 11, 52; Apocalisse 3, 7, dove si parla d'una sola chiave, sia in Matteo 16, 18, dove si parla di più chiavi .

d) Deve perciò dirsi artificiosa e faziosa la spiegazione dei tdG, che limitano l'uso a tre sole circostanze nella vita di Pietro, insistendo unicamente sul numero delle chiavi e non sul loro simbolismo, come insegna chiaramente la Bibbia.

Nelle tre circostanze, di cui parlano i geovisti, Pietro ha dichiarato autorevolmente sia ai Giudei che ai non-Giudei non già che la porta del Vangelo era aperta anche per loro, ma piuttosto ha spiegato autorevolmente sia agli uni che agli altri che cosa dovevano credere (= aprire) e che cosa dovevano rifiutare (= chiudere) per entrare nel Regno di Dio (cf. Atti 2, 37-41; 15, 7-12) .  La Bibbia non dice che Pietro ha fatto uso d'una sola  chiave, ma fa chiaramente capire che ha esercitato la funzione, che la chiave o le chiavi nel loro simbolismo significano.

Anche in seguito san Pietro continuò a usare le simboliche chiavi, annunciando con autorità il Vangelo sia ai Giudei (cf. Galati 1, 18) sia ai non-Giudei (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5) a viva voce e anche per iscritto (cf. Prima e Seconda Lettera di Pietro) dando precise istruzioni su ciò che i cristiani devono credere e su ciò che devono rifiutare.

Il conferimento del Primato

Nell'ultimo capitolo del quarto vangelo abbiamo il racconto particolareggiato di come avvenne l'effettivo conferimento del Primato a san Pietro, dopo la promessa di cui in Matteo 16, 16-18. Racconta san Giovanni:

“Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci le mie pecorelle". Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene? e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose: "Pasci le mie pecorelle"” (Giovanni 21, 14-17).

Spiegazione:

a) Per far capire bene il suo pensiero Gesù sì serve della metafora del pastore e delle pecore, che esprime simbolicamente l'autorità esercitata sugli uomini mediante un governo capace non solo di dare ai sudditi i mezzi necessari alla vita, ma anche di difenderli contro i nemici. E’ la parabola del buon pastore (Cf. Giovanni 10, 1-6).

b) Anche questa metafora è assai comune nella Bibbia. In Isaia Jahve è descritto “simile a un pa- store che conduce al pascolo il suo gregge, raccoglie nelle sue braccia gli agnelli (  ... ), conduce al riposo le pecore madri” (40, 11; Cf. Ezechiele 34, 10-14). Jahve ha pure voluto affidare le sue pecore ad alcuni suoi servi le guida per mano di Mosè (Cf. Salmo 77, 21), e dopo di lui designa Giosuè come capo (Cf. Numeri 27, 15-20).

c) A imitazione del Padre anche l'Unigenito Figlio si presenta come il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (Cf. Giovanni 10, 11-15); e come il Padre, dispone che il suo gregge abbia una guida in uomini fidati, pieni di amore per lui.

A tale compito sceglie Pietro, malgrado la sua negazione, seguita da un sincero pentimento (cf. Marco 14, 72). Gesù lo ha riabilitato apparendo a lui singolarmente dopo la sua risurrezione (cf. 1 Corinzi 15, 5; Luca 24, 34) e anche assieme agli altri (cf. Giovanni 20, 19-23; Luca 24, 36-53). Ciò che racconta san Giovanni (21, 15-17) non è altro che la conferma e il compimento della promessa fatta a Pietro in Matteo 16, 16-18.

d) Anche altri discepoli di Cristo hanno l'incarico di vigilare sulle singole comunità (cf. Atti 20, 28) come pastori, presbiteri ed episcopi (cf. Efesini 4, 11; 1 Pietro 5, 1 ss.). Ma Simone, il figlio di Giovanni, che ha avuto dal Maestro il nuovo nome di Pietro (= la roccia), ha il compito di vigilare su tutto il gregge di Cristo, sugli agnelli e sulle pecore Egli è il maggiordomo della Casa del Signore, il vicario di Cristo. La missione di Pietro è universale.

Sotto la sua guida il gregge di Cristo sarà condotto a buoni pascoli. Fuor di metafora, questo vuol dire che Pietro assicurerà la sana dottrina in tutta la Chiesa. Arroccata su questa pietra la comunità di Cristo non sarà mai sopraffatta dall'errore e dalle potenze del male (cf. Matteo 16, 18).

La contestazione geovista

Per contestare la verità biblica del Primato di Pietro i tdG strumentalizzano, com'è loro uso, alcuni testi della Scrittura, strappandoli dal loro contesto e dando ad essi un significato che non hanno. Tra questi vi sono le parole di Gesù, di cui in Matteo 20, 20-28 (cf. Marco 10, 35-45):

“Allora gli si avvicinò la madre dei fìgli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli disse: "Che cosa vuoi?". Gli rispose: "Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?". Gli dicono: "Lo possiamo". Ed egli soggiunse: "Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato. preparato dal Padre mio".

Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostra schiavo"”.

Inoltre i tdG strumentalizzano le parole di Luca 22, 24-27.

“Sorse anche una discussione, chi di loro poteva essere considerato il più grande. Egli disse: (... ) "Ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve"”.

Basandosi erroneamente su questi due testi biblici i tdG sono d'avviso che gli altri Apostoli di Cristo non considerarono Simon Pietro come “il masso di Roccia”, su cui Cristo disse di voler edificare la sua congregazione ".

La verità

a) Chiunque abbia conoscenza dei vangeli e li legga senza una mentalità settaria ricorderà che non sempre i discepoli di Gesù capivano subito e bene ciò che il loro Maestro aveva detto o fatto (cf. Matteo 15, 16; 13, 36 ecc.). Più d'una volta Gesù spiega pazientemente il suo pensiero e infine li assicura che lo Spirito Santo chiamerà alla loro memoria ciò che egli aveva detto e insegnerà ogni cosa (cf. Giovanni 14, 26; 16, 12-14).

b) Stando così le cose, può darsi che le parole di Gesù a Pietro, di cui in Matteo 16' 16-18, abbiano forse causato qualche animosità tra i discepoli e qualche ambizione anche nei loro parenti, ancora incapaci di entrare nel nuovo ordine di idee e di cose prospettato da Gesù. Fino alla vigilia della sua passione Cristo ha detto proprio a Pietro: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo” (Giovanni 13, 7).

c) Nella risposta che Gesù dà ai fìgli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, Gesù non nega che nella sua comunità vi debba essere chi governa e chi è governato, e ammette pure che vi possa esser qualcuno che si senta portato al governo. Ammonisce tuttavia che tra i suoi discepoli, ossia nella comunità dei credenti, chi sta a capo deve comportarsi come uno che serve (cf. Luca 22, 26).

In questa medesima risposta vi è una cosa degna di nota. Gesù ricorda che nella Chiesa la funzione o le funzioni di governo non sono conseguite mediante l'ambizione, ma sono un dono di Dio, effetto di una disposizione dall'alto. Questo è il significato della parola di Gesù: “Non sta a me concedere, che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio” (Matteo 20, 23). Il Regno di Dio è governato dalla volontà del Padre che si manifesta mediante l'opera del Figlio. Tra Padre e Figlio vi è perfetta armonia perché il Padre è nel Figlio come il Figlio è nel Padre (cf. Giovanni 14, 10). Tutto ciò che il Padre ha è suo, dei Figlio (cf. Giovanni 16, 15).

d) Dopo il conferimento effettivo del Primato (cf. Giovanni 21, 15-17), soprattutto dopo che lo Spirito Santo diede agli Apostoli la conoscenza esatta della verità e la forza per professarla (cf. Giovanni 14, 26; Atti 1, 8) Pietro è riconosciuto come guida indiscussa di tutta la comunità e di fatto esercita la sua funzione. La vita dell'intera Chiesa gravita intorno a lui. Tutti guardano a Pietro come alla Roccia, su cui Cristo intendeva edificare la sua Chiesa.

La verifica

Ecco alcuni fatti comprovanti: - Pietro è sempre il primo negli elenchi degli Apostoli (cf. Matteo 10, 2-4, Marco 3, 16-19; Luca 6, 13-16; Atti 1, 13).

- Pietro propone e dirige l'elezione di uno che prenda il posto di Giuda, il traditore (cf Atti 1, 15).

- Pietro è il portavoce ufficiale di tutta la comunità il giorno di Pentecoste. Tutti avevano ricevuto la forza dello Spirito Santo, ma Pietro parla a nome di tutti ai Giudei convenuti a Gerusalemme (cf. Atti 2, 14).

- Pietro risponde ai capi del popolo e agli anziani per giustificare il suo operato e quello degli altri Apostoli (cf. Atti 4, 8).

- Pietro vigila sul corretto comportamento dei nuovi discepoli e punisce severamente Anania e sua moglie perché avevano mentito allo Spirito Santo (cf. Atti 5, 1-11).

- Pietro è messo in carcere e la preghiera di tutta la Chiesa sale incessante a Dio per la sua liberazione (cf. Atti 12, 5).

- Pietro in modo particolare ha il potere di fare miracoli: guarisce i paralitici (cf. Atti 3, 6; 9, 34); risuscita i morti (cf. Atti 9, 39-41). Perfino l'ombra della sua persona opera meraviglie (cf Atti 5, 12-16).

- Pietro parla come capo al concilio di Gerusalemme e quanto egli dice determina le decisioni prese da quell'assemblea con l'assistenza dello Spirito Santo (cf. Atti cap. 15).

- Pietro, a preferenza degli altri Apostoli, è consultato da Paolo che vuole assicurarsi dell'autenticità del Vangelo (cf. Galati cc. 1 e 2).

Sapevate tutto questo? E ora che lo sapete giudicate da voi stessi quanto sia inesatto e fazioso ciò che di Pietro hanno scritto i tdG:

“Pietro ebbe eccellenti privilegi come apostolo di Gesù Cristo, è vero. Ma in nessun luogo egli indica di pensare che fosse il principale degli apostoli. Né leggiamo in nessun luogo che gli altri apostoli e discepoli riconoscessero Pietro come un "papa", rendendogli onore come tale”

La Bibbia dice tutto il contrario!

L'episodio di Antiochia (Gal. 2, 11-14)

L'episodio di Antiochia (cf. Galati 2, 11-14) è il cavallo di battaglia di tutti i tradizionali avversari del Primato di Pietro. I tdG non potevano non sfruttarlo per creare sempre confusione ed oscurare la verità di Dio. Hanno scritto:

“In un'occasione Paolo ritenne necessario rimproverare Pietro (Cefa) perché aveva seguito una condotta non in armonia con la vera fede cristiana. Il fatto che Pietro sbagliava mostra che non era considerato un capo "infallibile" degli apostoli e della chiesa”.

La risposta:

I. - Va detto anzitutto che san Paolo ha sempre considerato san Pietro come una figura di primo piano nella vita della Chiesa.

- Lo chiama abitualmente col nome di Cefa, vale a dire col nome di una funzione primaria e fondamentale affidata a Pietro da Cristo stesso, come già abbiamo spiegato.

- Paolo si premura di visitare Cefa a Gerusalemme per confrontare la propria dottrina con quel- la del Primo tra gli Apostoli. Nota espressamente che non vide altri Apostoli, eccetto una visita a Giacomo, fratello del Signore, che guidava la comunità locale di Gerusalemme (cf. Galati 1, 18-19).

- In seguito per Paolo. ciò che Pietro fa o dice è normativo e determinante (cf. 1 Corinzi 9, 5). Alla assemblea di Gerusalemme Paolo ascolta Pietro che parla per primo e solo dopo riferisce le sue esperienze missionarie (cf. Atti 15, 6-12).

- Ai cristiani di Corinto Paolo ricorda in particolare l'apparizione del Risorto a Cefa come una prova sicura della fede da lui predicata (cf. 1 Corinzi 1 5, 5).

 

2. - Veniamo ora all'episodio di Antiochia. Onestà esige che sia visto nella sua giusta luce e riferito con la massima fedeltà alla Parola di Dio. Ed ecco come sono andate le cose:

- Pietro si trovava ad Antiochia dove c'erano state le prime conversioni dei pagani al Vangelo (cf. Atti 11, 19-24). Egli aveva sempre patrocinato la causa dei pagani (cf. Atti cc. 10, 11, e 15). Ad Antiochia Pietro usava prendere i pasti coi cristiani venuti dal paganesimo, non curante delle antiche usanze giudaiche.

- Nel frattempo arrivarono ad Antiochia alcuni cristiani d'origine giudaica, osservanti ancora di alcune usanze legali. Pietro allora si astenne dalla comunanza di mensa con gli ex pagani. Il suo comportamento indusse anche altri a fare lo stesso.

- Perché lo fece? Certamente non perché egli pensasse che la Legge mosaica fosse ancora necessaria alla salvezza. Paolo glielo riconosce (cf. Ga- lati 2, 14-16). Per Pietro come per Paolo le usanze legali non avevano valore. Solo la fede in Cristo salva. in quanto a dottrina Pietro non sbagliava. Non è perciò affatto vero che egli “aveva seguito una condotta non in armonia con la vera fede cristiana”.

- Perché lo fece? Per motivi di coscienza, “di coscienza non sua, ma degli altri” (cf. 1 Corinzi 10, 29). Pietro temeva di turbare la coscienza dei nuovi arrivati giudeo-cristiani non ancora maturi nella fede e soggetti perciò a crisi di coscienza.

- Paolo non vide un errore, nel comportamento di Pietro, ma solo il pericolo che altri potessero cadere in errore. Pietro infatti non aveva apostatato dalla fede, ma solo simulava, agiva cioè in modo diverso da ciò che pensava per rispetto della coscienza altrui. Era in buona fede, ma il suo comportamento, a parere di Paolo, era sbagliato, non il suo pensiero e la sua dottrina.

- L'intervento di Paolo non mirava dunque a correggere un errore dottrinale di Pietro, ma solo a farlo riflettere sulle conseguenze pericolose per gli altri della sua troppa prudenza.

Qui non c'entra l'infallibilità. Pietro non si pronunzia e non decide su un punto dottrinale in forma definitiva e con tutto il peso della sua autorità.

Solo a queste condizioni vi può essere insegnamento infallibile (cf. intra, Parte III)

 

3. - Ridotto alle sue giuste proporzioni l'episodio di Antiochia prova proprio l'opposto di ciò che dicono i tdG e tutti gli avversari del Primato di Pietro.

Infatti:

- San Paolo vede in Cefa non una comune pietra della Chiesa di Dio e neppure un Apostolo come gli altri, ma Qualcuno, il cui comportamento è determinante per la vita della Chiesa.

- La funzione di guida suprema non esclude che altri aiutino Pietro con una critica costruttiva a compiere bene la sua missione, a conoscere cioè sempre meglio quale sia la mente e la volontà del Signore per  la edificazione della Chiesa.

- Sia ricordato infine che al tempo dell'episodio di Antiochia l'idea del Primato di Pietro non era ancora sufficientemente chiara neppure in san Paolo. Si aspettava il ritorno del Signore e si pensava meno ad approfondire le strutture della Chiesa.

Alcuni decenni dopo si cominciò a capire meglio il lungo cammino che doveva fare la Chiesa prima del ritorno del Signore, e la dottrina del Primato di Pietro assieme alla sua successione fu meglio capita e formulata. Ne fa fede il racconto dell'ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni (cf. Giovanni 21, 15-17).


PARTE Il

PIETRO NON MUORE

Verità da ricordare

I. - Capo della Chiesa è Cristo. Questa è stata la perenne fede dei cattolici con piena fedeltà alla Bibbia che dice. “Egli (Cristo) è il Capo del corpo, cioè della Chiesa” (Colossesi, 1, 18). “Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa” (Efesini 1, 22; 4, 15; 5, 23). Recentemente questa dottrina è stata riaffermata più volte dal Concilio Vaticano II: “Capo di questo Corpo (= la Chiesa) è Cristo”.

Insinuare che secondo l'insegnamento cattolico il Papa e non Cristo sia Capo della Chiesa, equi- vale a insinuare l'errore, a ingannare la gente.

2. - Cristo non ha successori. “Egli è, il Primo e l'ultimo, e il Vivente” (Apocalisse 1, 17-18; cf. 22, 13). Il Vivente non muore mai. E’ sempre presente. Non lascia mai il posto vuoto perché sia occupato da altri. “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Matteo 28, 20).

Il Papa non è successore di Cristo, ma suo vicario o rappresentante.

3. - Cristo ha nella Chiesa rappresentanti qualificati.

Dopo la sua Ascensione il Vivente è invisibile. Un giorno riapparire (cf. Atti 1, 9-11). Nel tempo della presenza invisibile, che è il tempo della Chiesa pellegrina sulla terra, Cristo ha voluto che ci fossero suoi rappresentanti qualificati. Non successori, ma rappresentanti.

A quest'ufficio Cristo ha destinato uomini, non angeli. I primi furono scelti da lui direttamente perché “stessero con lui e per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Marco 3, 14-15). Li chiamò Apostoli (cf. Luca, 6, 13), cioè inviati.

Gli Apostoli sono perciò rappresentanti qualificati di Cristo, Capo della Chiesa. San Paolo li chiama “collaboratori di Dio” (I Corinzi 3, 9) e suoi ambasciatori “Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2 Corinzi 5, 20).

La successione apostolica

Si domanda:

La rappresentanza qualificata di Cristo nella Chiesa doveva finire con la morte dei Dodici?

a) Leggendo attentamente la Bibbia la risposta deve essere negativa. San Paolo ci ricorda che Cri- sto, “ascendendo in cielo (...) ha distribuito doni agli uomini (...). E’- lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo (= la Chiesa)” (Efesini 4, 7-13). Questa struttura, data alla Chiesa dal suo divin Fondatore, non può cambiare. Deve durare fino alla fine dei tempi, fino cioè alla seconda venuta del Signore.

b) Gli apostoli capirono bene questa volontà del loro Maestro. Non solo perciò si circondarono di collaboratori, ai quali affidarono le loro responsabilità (cf. Atti 6, 2-6; 11, 30; 14, 23 ecc.), ma diedero disposizioni che alla loro morte altri uomini qualificati prendessero il loro posto.

Le notizie più dettagliate le abbiamo da san Paolo.

Dovendosi assestare dalle chiese da lui fondate lascia alla loro guida persone ben provate e di fi- ducia: Timoteo ad Efeso (Cf. 1 Timoteo 1, 2), Tito a Creta (Cf. Tito 1, 5). Egli vuole che le persone poste alla guida delle comunità  siano  trattate con molto rispetto e carità a motivo del loro lavoro                      (Cf. 1 Tessalonicesi 5, 12-14).

Più tardi, prevedendo prossima la morte (Cf. 2 Timoteo 4, 6-8), san Paolo dà chiare disposizioni affinché il ministero qualificato continui ininterrottamente. Scrive a Timoteo: “Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo e le cose che hai udito da me trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare altri a loro volta” (2 Timoteo 2, 1-2).

c) Che le cose siano andate proprio così ce l'assicura Clemente Romano, morto a Roma nel 95 d.C. durante la persecuzione di Traiano. Egli era stato alla scuola dei santi Pietro e Paolo e verso la fine dei primo secolo scrisse una Lettera alla Chiesa di Corinto dov'è detto tra l'altro:

“Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore Gesù. Gesù Cristo fu mandato da Dio. Ricevuto il loro mandato andarono ad annunziare la Buona Novella. Predicando per le campagne e per le città sceglievano ottime persone tra i primi convertiti e le costituivano vescovi e diaconi (... ) e diedero ordine che quando costoro fossero morti altri uomini provati succedessero nel loro ministero”.

La successione nel Primato

Anche Pietro ebbe i suoi successori nella funzione di pascere tutto il gregge di Cristo (cf. Giovanni 21, 15-17). Non poteva essere diversamente.

a) Cristo aveva promesso di edificare la sua Chiesa sull'uomo-roccia, ossia su Pietro (cf. Matteo 16, 18). Anche dopo la morte di Pietro, Cristo continua ad edificare la sua Chiesa. Vi deve essere dunque qualcuno che continui la funzione di fondamento visibile affidata a Simone, l'uomo-roccia.

Pietro come persona fisica è morto (cf. Giovanni, 21, 19). Ma è volontà di Cristo che come fondamento visibile della vera Chiesa Pietro continui a vivere in coloro che hanno ereditato la sua funzione primaziale. Il Primato di Pietro continua nei suoi successori.

b) Chi sono? La risposta è sicura. Sono coloro i quali hanno raccolto il mantello di Pietro come Eliseo quello di Elia (cf. 2 Re 2, 13), vale a dire i Vescovi di Roma, che per divina disposizione hanno ereditato la missione e la funzione qualificata di Pietro.

Cefa, il Primo degli Apostoli, colui al quale Cristo affidò la cura di tutto il suo gregge, finì i suoi giorni a Roma con un glorioso martirio. Fu Dio a disporre che la vita della sua Chiesa prendesse questa svolta. Il Vescovo di Roma dunque succede a Pietro anche nella guida di tutta la Chiesa. Il Primato petrino si perpetua nel Primato romano.

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