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PIETRO E LA PIETRA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:00
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05/09/2009 17:00

Pietro a Roma

La venuta di Pietro a Roma e soprattutto il suo martirio in quella città costituiscono le ragioni del Primato romano. Se Pietro non fosse venuto a Roma e non avesse finito lì i suoi giorni, avremmo avuto il Primato, ma non il Primato romano.

Oggi nessuno studioso di qualche valore mette in dubbio la storicità della venuta di Pietro a Roma e del suo martirio sotto Nerone'. Fanno eccezione alcune minoranze tenacemente legate ad antichi preconcetti. Tra questi i tdG.

 

La Bibbia.

a) Si sente ancora dire da qualche accanito avversario del Primato romano che la Bibbia ci parla solo del viaggio di Paolo a Roma. Dunque Pietro non è stato a Roma.

Questo modo di ragionare è proprio di alcuni settari, che vorrebbero trovare nella Bibbia la risposta a ogni problema. No! La Bibbia non è un trattato di storia e tanto meno di scienze naturali.

Per quanto riguarda la venuta di Pietro a Roma, se nella Bibbia vi è un racconto particolareggiato ed esplicito solo del viaggio di Paolo, è illogico dedurre che Pietro non sia stato a Roma. Vi sono altri documenti, altre fonti per accertarsi.

b) Tuttavia abbiamo nella Bibbia una prova irrefragabile della presenza di Pietro a Roma, di cui sono convinti la maggior parte degli studiosi biblici di diversa estrazione e scuola. Tale prova è data dalle parole con cui lo stesso Pietro chiude la sua Prima Lettera:

“Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pietro 5, 13).

Babilonia indica la località dove Pietro scrisse la sua lettera. Qual'è questa località?

Questa località è Roma perché il nome di Babilonia sta al posto di quello di Roma. Questo modo di chiamare Roma era corrente presso i Giudei al tempo in cui san Pietro scrisse la sua Lettera. In effetti, dopo la conquista romana della Palestina (63 a.C.), Roma era diventata per i Giudei il simbolo della città che si erge contro Dio come l'antica Babilonia di Nabucodonosor (2 Re, cap. 25). Allora nel mondo giudaico si cominciò a chiamare Roma Babilonia. I cristiani seguivano questa terminologia.

Una conferma ci è data dall'Apocalisse, dove l'autore parla spesso di Babilonia la grande (cf. 14, 8;,16, 19; 17, 5; 18, 2), la città-donna “ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù” (179 6), seduta sui sette colli (cf. 17, 9). Tutti ammettono che col nome di Babilonia Giovanni voglia indicare Roma “la città grande, che regna su tutti i re della terra” (17, 18).

c) Né d'altra parte è possibile pensare all'antica Babilonia di Nabucodonosor. E questo per due motivi principalmente.

Non vi è anzitutto la minima traccia nella Bibbia e nella storia che Pietro sia stato in Mesopotamia, nell'antico impero di Nabucodonosor. Al contrario, abbiamo chiari segni nella Bibbia dei suoi spostamenti verso Occidente (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5). Roma era il centro propulsore della vita del mondo. Come Paolo (cf. Romani 1, 15-17), Pietro capiva che a Roma bisognava consolidare il Vangelo .

In secondo luogo, quando Pietro scriveva la sua Prima Lettera, la Babilonia di Nabucodonosor non esisteva più. Nell'anno 275 avanti Cristo gli abitanti dell'antica città erano stati trasferiti altrove, a Seleucia, le mura e le fortezze di Babilonia smantellate, la sua vita ridotta agli estremi. Un secolo e mezzo dopo si ebbe il colpo di grazia. I resti di quella che era stata la grande Babilonia furono rasi al suolo per opera di Parti nel 126 avanti Cristo. La rovina fu completa.

Si era avverata la volontà di Jahve che aveva preannunciata la rovina totale di quella città (cf. Geremia 25, 12; Isaia 21, 9-10).

 

2. - La tradizione.

La prova biblica della presenza di Pietro a Roma è più che convincente. Se dovesse rimanere qualche dubbio, le numerose e chiare testimonianze della tradizione valgono ad eliminarlo.

La tradizione! ? La pronuncia di questa parola provoca un sorriso di scherno nei tdG. Essi accusano altezzosamente la Chiesa Cattolica di aver sostituito la tradizione cioè insegnamenti umani, alla Parola di Dio. Fate come i farisei - ci dicono - contro i quali si scagliò Cristo perché seguivano le loro tradizioni “an- nullando la Parola di Dio” (Marco 7, 13) .

L'accusa dei geovisti è superficiale e settaria. Perciò, a beneficio di quanti vogliono conoscere la verità, crediamo opportuno fare alcune precisazioni sulla tradizione.

 

Che cos'è la tradizione?

a) Non è certamente quel che Cristo a ragione rimproverava ad alcuni scribi e farisei  (cf. Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13), sostituire cioè insegnamenti umani alla Parola di Dio. Questa non è tradizione, ma profanazione degli insegnamenti divini. Quando i tdG affermano che la Chiesa Cattolica segue questo tipo di tradizione, dicono una cosa non vera, faziosa, atta a creare pregiudizi e odio contro i cattolici.

 

b) Tradizione vuol dire trasmettere a viva voce parole e fatti, della cui storicità non vi può essere un ragionevole dubbio. In questo senso, i detti e i fatti di Gesù furono tradizione, furono cioè trasmessi a viva voce prima di essere messi in iscritto e diventare Bibbia (cf. 1 Corinzi 11, 23; 15, 3; Lúca 1, 1-2). In questo senso san Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica di mantenere “le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” (2 Tessalonicesi 2, 15). Nessuno oserebbe dire che con la parola tradizione san Paolo intendesse riferirsi a insegnamenti umani contrari alla Parola di Dio. Egli parlava di detti e fatti trasmessi da lui prima a viva voce e poi per iscritto.

c) Ciò che dice san Paolo ai Tessalonicesi ci aiuta a capire meglio il concetto di tradizione, che vuol dire trasmettere a viva voce per un certo periodo di tempo e poi per iscritto. Sarebbe perciò sbagliato pensare che tradizione equivalga a trasmissione orale. Ciò che prima era trasmissione orale si fissa poi in documenti scritti o dì altra natura diversa dalla viva voce (monumenti ecc.). In questo modo la tradizione è diventata Scrittura, in questo modo diventa pure storia.

Analizzando la tradizione che diventa storia, abbiamo che alcuni fatti o detti a principio sono tra- smessi a viva voce da testimoni oculari o auricolari degni di fede. Poi, a distanza anche molto ravvicinata, sono fissati in qualche altra forma non soggetta alla caducità della memoria (lettere private, iscrizioni, monumenti ecc.). Verrà poi lo storico di professione che vaglierà criticamente questi documenti occasionali e farà della vera storia.

d) E questo il caso della tradizione attestante la presenza di san Pietro a Roma e il suo martirio sotto Nerone.

Certo noi non abbiamo il registro anagrafico attestante l'arrivo e il domicilio d'un oscuro galileo nella capitale dell'impero. E neppure abbiamo il verbale della sua incarcerazione, processo, condanna a morte, esecuzione e sepoltura.

Ma è innegabile che non poche persone - i cristiani di Roma - abbiano visto e udito Pietro nella città dei Cesari. Alcuni certamente hanno potuto seguire le vicende della sua gloriosa fine. Ne hanno curato la sepoltura come permetteva la legge del tempo e venerata la tomba con amore e fedeltà.

Questi fatti con l'indicazione del tempo (anni, mesi, giorni) dovettero senza dubbio rimanere vivi nella memoria di quei testimoni. Certamente ne hanno parlato spesso tra loro e con i cristiani di altre comunità vicine e lontane. Li hanno narrato ai loro figli e ne scrissero anche nelle loro lettere.

Sono testimonianze occasionali, ma degne di fede. Non c'è motivo di dubitare che quei cristiani non dicessero la verità. Si può dire perciò che quel- la tradizione, passata a breve distanza di tempo in documenti scritti pervenuti fino a noi, ci dia la certezza storica.

I documenti della tradizione

Ricordiamo ora solo alcuni documenti di quella tradizione.

1. - San Clemente Romano. Fu vescovo di Roma, terzo successore di san Pietro, verso la fine del primo secolo. Poco dopo il 90 Clemente scrisse una lettera ai cristiani di Corinto per ristabilire l'ordine e la pace in quella chiesa sconvolta dalla contestazione. Per quanto riguarda ciò che a noi interessa Clemente scrive:

“Ma lasciando da parte gli esempi dell'antichità, veniamo agli atleti che furono vicinissimi a noi (...). Mettiamoci dinnanzi agli occhi i buoni Apostoli: Pietro, che per una iniqua gelosia dovette sopportare non una o due, ma molti travagli e, resa testimonianza, raggiunse il posto a lui dovuto nella gloria. Per la gelosia e la discordia Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza (...). A questi uomini che vissero santamente s'aggiunse una grande moltitudine di eletti, i quali, soffrendo a causa della gelosia molti oltraggi e tormenti, divennero esempio bellissimo in mezzo a noi”.

Osservazione:

Contro questa testimonianza si obietta da alcuni che Clemente non specifica la località; potrebbe perciò non trattasi di Roma.

Si risponde. - Si noti, prima di tutto, che Clemente unisce nella morte i due Apostoli Pietro e Paolo. Ora nessuno dubita del martirio di Paolo a Roma. Non vi è perciò motivo di dubitare di quello di Pietro nella stessa Roma e nelle stesse circostanze.

- Ai due grandi atleti Clemente associa una grande moltitudine, che soffrendo pure a causa del- la gelosia “divenne esempio bellissimo in mezzo a noi”. Qui lo scrittore della lettera si pone tra coloro che hanno sofferto, come un testimone di questi eventi. E poiché Clemente visse e scrisse a Roma, quel in mezzo a noi indica in modo abbastanza chiaro che Roma era stato il teatro di quel bellissimo esempio di cristiana testimonianza.

2. - Sant'Ignazio martire. Quasi contemporaneo di Clemente sant'Ignazio fu vescovo di Antiochia ìn Siria. In viaggio verso Roma per subirvi il martirio Ignazio scrisse una lettera ai cristiani di questa città per scongiurarli dì non impedirgli ìl martirio col loro interessamento presso le autorità. Scrive Ignazio:

“lo non vi dò ordini come Pietro e Paolo...”.

Dunque Pietro e Paolo avevano dato ordini, avevano ammaestrato i cristiani di Roma.

Obiettano i geovisti:

“Ignazio non afferma che Pietro e Paolo fossero stati a Roma; dice solo che avevano dato dei comandi a quei cristiani. Comandi si possono dare anche per iscritto”.

La risposta:

Di Paolo sappiamo che ha istruito i cristiani di Roma sia mediante uno scritto, che è appunto la sua Lettera ai Romani, sia a viva voce durante la sua prigionia a Roma (cf. Atti 28, 2-28). Ma di Pietro non esiste né mai è esistito alcuno scritto indirizzato alla Chiesa di Roma. Al contrario, egli scrisse da Roma una lettera ai cristiani delle province romane. Pietro ha dovuto impartire ordini ai cristiani di Roma a viva voce, di presenza, come testimonia esattamente il santo martire Ignazio.

3. - Sant'Ireneo. Nato nel vicino Oriente, emigrò in Europa e divenne vescovo di Lione in Francia. Era un uomo di virtù non comune e di grande amore per la verità. Fu a Roma negli anni 177-178 d.C., dove poté accertarsi delle cose che lasciò scritte. Nell'opera che ha per titolo Contro le eresie Ireneo scrive:

“Per conoscere la norma apostolica noi interrogheremo la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da tutti, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo ( ... ). Dopo aver fondato ed edifìcato quella chiesa, i beati Apostoli ne trasmisero il governo episcopale a Lino”.

Due cose Ireneo afferma in modo inequivocabile. La prima è che i veri fondatori della Chiesa di Roma furono i beati Apostoli Pietro e Paolo anche se al loro arrivo a Roma vi abbiano trovato dei cristiani. La Seconda è l'importanza dottrinale che Ireneo attribuisce alla Chiesa di Roma per conoscere la norma apostolica bisogna interrogare quella Chiesa.

La tomba di Pietro

Ai nostri tempi si è avuta una conferma del coro di voci dell'antichità attestante la presenza e il mar- tirio di Pietro a Rorna. Sono i risultati positivi delle esplorazioni riguardanti la sua tomba in Vaticano.

a) Da numerose testimonianze antiche si sapeva che sul colle Vaticano era venerato un sepolcro: quello di Pietro. Verso la fine del secondo secolo il presbitero Gaio, in polemica con l'eretico Proclo, scriveva:

“Se  tu vai al Vaticano o sulla via di Ostia, io ti posso mostrare i trofei dei fondatori di questa Chiesa”.

Si tratta di Pietro e di Paolo. Il primo, sepolto sul colle Vaticano; il secondo, lungo la via ostiense dove oggi sorge la grande basilica.

b) I cristiani, fin dal primo secolo, conoscevano bene la tomba di san Pietro e per quanto era loro possibile la decorarono e la fecero oggetto di grande venerazione. San Girolamo c'informa che san Pietro fu sepolto in Vaticano dov'è venerato da tutto il mondo. E san Paolino da Nola aveva l'abitudine di recarsi ogni anno a Roma per venerare la tomba dei due Apostoli.

Quando Costantino - assai prima che vivessero Girolamo e Paolìno - fece costruire l'antica Basilica in Vaticano era ben risaputo che in quel sito era stato sepolto e venerato da secoli l'apostolo Pietro.il problema del sepolcro di Pietro non si poneva. La cosa era certa.

c) In questi ultimi anni si è voluto fare un sondaggio, una verifica, se le cose stessero veramente così. Le esplorazioni fatte sistematicamente negli anni quaranta (1939-1949) hanno rivelato :

- che in quella località vi era stato originariamente un cimitero;

- che una tomba era stata particolarmente curata tanto da diventare tomba monumentale;

- che intorno a questa tomba sono rimaste tracce numerosissime attestanti l'accorrere di devoti fin dai tempi più antichi.

Quali tracce? Molti graffiti (invocazioni scritte) e soprattutto un'ingente quantità di ex-voto: 1900 monete, lasciate come obolo da pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Sono state identificate 231 monete dell'impero romano e 27 di quello bizantino, e tantissime altre di tempi posteriori.

 

d) Si domanda:

Perché proprio quel luogo è stato meta di tanti pellegrinaggi e oggetto di tanta venerazione?

Perché tra le altre tombe fu decorata una in modo particolare?

Perché questo fenomeno non si è verificato in nessun'altra città dell'impero romano?

Perché solo a Roma sul colle Vaticano? L'unica spiegazione fu e rimane la presenza di Pietro a Roma e il suo martirio nella città e  terna. Dio ha privilegiato la Chiesa di Roma con la guida e la morte del Primo Apostolo, mostrando così che a quella Chiesa spetta l'eredità della funzione primiziale di Pietro, la Roccia.


PARTE III

L'INFALLIBILITA PONTIFICIA

Che cosa è l'infallibilità

La dottrina cattolica dell'infallibilità pontificia è insegnata dalla Bibbia come diremo dopo è stata solo formulata, non inventata dai Concili. La prima volta dal Concilio Vaticano I. In questi ultimi anni il Concilio Vaticano Il l'ha confermata e riproposta .

Per un'esatta comprensione della dottrina della infallibilità pontificia riteniamo opportuno fare al- cune precisazioni:

I. - Infallibilità non significa impeccabílità. La Chiesa Cattolica, basandosi sulla Bibbia, ritiene che il Papa non può insegnare errori in materia di fede e di morale, ma non ha mai detto che i Papi siano assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze morali. Se noi cattolici usiamo chiamare il Papa Santo Padre, l'aggettivo santo non intende attribuirgli uno stato di perfezione morale, ma è un titolo di grande rispetto e stima, anche per le sue doti morali, oltre che per l'altissima funzione di cui Dio l'ha rivestito. Nella Bibbia tutti i cristiani sono detti santi. Il titolo poi di padre è pienamente giustificato dalla Scrittura".

Nella storia del Papato, vi sono stati Romani Pontefici moralmente perfetti, veri modelli di bontà, di carità e di zelo, fino a testimoniare col martirio la loro fedeltà a Cristo. E ve ne sono ancora e ve ne saranno. Dio assiste la sua Chiesa. Ma non sono mancati dei Papi con limiti morali qualche volta anche gravi. Non sono stati certamente i più.

Stando così le cose, chi volesse insinuare che i cattolici, professando la infallibilità del Papa, in- tendono dire che egli sia impeccabile, o ignora la vera dottrina biblico-cattolica oppure agisce in mala fede.

 

2. - Nella formula o definizione della infallibilità sopra citata è degno di nota il verbo sancisce, usato dal Vaticano Il per qualificare l'atto dell'insegnamento infallibile del Papa. Nel vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli il verbo sancire significa “dare carattere stabile e decisivo”. Non vuol dire inventare e imporre un'idea propria, bensì confermare con la propria autorità- una dottrina, una decisione, una sentenza, alla quale si è pervenuti mediante i debiti canali, per le vie legittime.

 

Nel caso dell'infallibilità pontificia il Papa sancisce, cioè dà carattere stabile e decisivo, a une dottrina contenuta nella Bibbia e conosciuta mediante uno studio accurato e coscienzioso, suo di altri, del Sacro Testo. In effetti, il magistero infallibile del Papa non è superiore alla Parola d Dio, ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio.

 

3. Vi sono perciò condizioni ben determinati che assicurano il credente sull'esercizio o meno de magistero infallibile del Papa. Ordinariamente  riducono a quattro e sono contenute nella formulazione della infallibilità pontificia del Concilio Vaticano I. Esse sono:

a) Che il Papa sancisca non come maestro privato (biblista, teologo, giurìsta ecc.), o anche come Vescovo di Roma, ma nell'esercizio del suo supremo ministero o servizio ecclesiale, ossia come supreimo pastore e maestro della Chiesa.

b) Che intenda insegnare a tutta la Chiesa,  non a una singola parte di essa, escludendo altre come quando dà insegnamenti o emana disposizioni, generalmente a carattere temporaneo, per il bene d'una singola diocesi o nazione o anche continente.

c) Che faccia ben capire che voglia far uso del carisma dell'infallibilità, ossia che intenda sancire con atto definitivo una dottrina di fede e di morale. Nello stile pontificio una tale evidenza risulta ordinariamente dai termini usati come definire e simili.

d) Che sancisca sempre verità riguardanti la fede e la morale, ossia insegnamenti dati dallo Spirito Santo mediante i Profeti, Gesù Cristo e gli Apostoli. L'infallibilità pontificia non è stata data da Dio per sancire verità di carattere scientifico come la biologia, l'astronomia, la fisica, la storia ecc..

Prove bibliche dell'infallibilità

Si domanda:

Giustifica la Bibbia l'infallibilità pontificia? La risposta deve essere affermativa.

a) Cristo ha promesso che egli avrebbe edificato la sua Chiesa sulla fede di Pietro (cf. Matteo 16, 18).

Cristo continua ad edificare la sua Chiesa nel tempo sulla fede e l'insegnamento dei Romani Pontefici che succedono a Pietro. Dunque la fede e l'insegnamento dei Romani Pontefici non possono essere infetti d'errori, altrimenti Cristo edificherebbe la  sua Chiesa sull'errore.

b) Se l'uso delle chiavi (cf. Matteo 16, 19), ossia il potere d'interpretare autorevolmente le Scritture, non sì è esaurito con l'opera di Pietro, ma è ereditato dai suoi successori nel Primato, ossia dal Papi, ne segue che la loro interpretazione delle Scritture sarà sempre corretta; altrimenti il loro servizio di aprire o chiudere sarebbe nocivo alle esigenze del Regno di Dio.

c) Parimenti se Cristo ha assicurato Pietro che tutto ciò che avrebbe legato o sciolto sulla terra, sarebbe stato legato o sciolto anche nei cieli cioè da Dio (cf. Matteo 16, 19), ne segue che anche le decisioni del successore di Pietro nella sua specifica funzione di Capo della Chiesa, avranno una corrispondente sanzione da parte di Dio, e non possono perciò essere decisioni errate.

d) Gesù ha affidato a Pietro tutto il suo gregge affinché, in qualità di pastore legato a Cristo da un grande amore, lo guidi a pascoli sicuri e lo difenda da eventuali lupi rapaci (cf. Giovanni 21, 15-17). Anche i successori di Pietro devono assicurare al gregge di Cristo pascoli sicuri e difenderlo dai nemici. Questo sarebbe impossibile se il loro insegnamento fosse infetto da errori: i Papi, nella funzione di Pastori universali, non possono errare in materia di fede e di morale.

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