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VIVI O MORTI? - MORTI DICONO I TESTIMONI DI GEOVA, VIVI AFFERMA LA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:19
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05/09/2009 17:18

PARTE     SECONDA

 

L'INSEGNAMENTO

DEL NUOVO TESTAMENTO

Alla scuola del Maestro Divino

La Bibbia, dunque, nella sua Prima Parte o Antico Testamento contiene numerose testimonianze attestanti la sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte. Tuttavia agli antichi Israeliti Dio non fece conoscere nella sua pienezza la dottrina circa il destino dell'uomo subito dopo la morte. Gesù ha portato a compimento questa prima rivelazione. Disse un giorno Gesù:

 

“Non crediate che io sia venuto per abolire la  Legge o Profeti: non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento” (Matteo 5,17).

 

Da parte sua san Paolo insegna:

 

“Dopo avere Iddio, a più riprese e in modi parlato un tempo ai padri per il tramite dei profeti, ora, alla fine dei giorni, ha parlato a noi per il tramite di un Figlio” (Ebrei 1,2, Garofalo).

 

Obiettano i geovisti:

 

“La venuta di Gesù Cristo su questa terra non recò alcun cambiamento. Dio non cambia la sua personalità o le sue giuste norme. Mediante il suo profeta Malachia egli dichiarò: 'Io sono Geova; non sono cambiato' (Malachia 3,6)”.

 

Si risponde:

a) L'affermazione geovista è antiscritturale. La venuta di Gesù Cristo su questa terra ha recato molti cambiamenti. Se ciò non fosse vero, dovremmo annullare tutti gli scritti del Nuovo Testamento.

No, mediante Gesù Cristo Dio ha fatto nuove tutte le cose (cf. Apocalisse 21,5); “le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate delle nuove” (2 Cor. 5,17).

 

b) I tdG tentano di oscurare tanta bellezza biblica con la citazione di Malachia 3,6 strappato dal suo contesto. Dio, mediante il profeta Malachia voleva dire semplicemente che egli era sempre fedele alle sue promesse, anche se gli Israeliti si mostravano infedeli ai loro impegni verso di Lui. Questo significa che Dio in se stesso mai cambia. Ma le parole di Malachia non vogliono affatto dire che non possa cambiare ossia arricchirsi la conoscenza che noi abbiamo di Dio, della sua bontà, delle sue giuste norme ecc., se a Lui piace rivelarsi attraverso il tempo. Questo appunto Dio ha fatto mediante il Figlio.

 

c) Tra le cose che il figlio di dio ci ha fatto conoscere meglio vi è il destino dell'uomo subito dopo la morte. Gesù ha confermato con la sua autorità divina che, secondo la giusta norma o volontà di Dio, la fine dell'uomo non è come quella del cane, ma con l'ingresso gioioso del servo fedele nella Casa del Padre (cf. Matteo 25,21), oppure per chi volontariamente si è separato dall'Amore, come il rifiuto di essere ammessi nella gioia del Regno (cf. Luca 16,23).

Voi siete in grande errore (Mt. 22,29)

In una disputa coi sadducei, che negavano la risurrezione, Gesù rispose e disse più di quanto gli era stato chiesto:

 

“Voi siete in grande errore e non comprendete le Scritture né la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende moglie né marito, ma si è come angeli in cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quel che vi è stato detto da Dio: ' Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?'. Non è il Dio dei morti ma dei viventi” (Matteo 22, 29-32).

 

Due cose afferma Gesù assai chiaramente:

 

La prima riguarda la futura risurrezione. Contro i sadducei che la negavano, Gesù dichiara che i morti risorgeranno (cf. Giovanni 5, 28-29). La dichiarazione di Gesù va riferita alla risurrezione dei corpi alla fine del mondo.

 

La seconda è una esplicita affermazione della sopravvivenza dell'uomo subito dopo la morte o, che è lo stesso, dell'immortalità dell'anima.

 

Commenta La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo:

 

“Gesù cita le parole dette da Dio a Mosè dal roveto (Esodo 3,6) per provare l'immortalità dell'anima. Perché Dio sia Dio di qualche cosa o di qualcuno, la cosa o la persona devono esistere; d'altra parte, se Dio dopo la morte dei patriarchi, continua a dirsi loro Signore (io sono e non io ero) è segno che non li ha abbandonati alle tenebre dell'oltretomba (lo Sceol) e tanto meno alla distruzione completa, ma si riserva di glorificarli nel futuro, con la risurrezione del corpo perché l'uomo sia completo secondo natura”.

 

I tre patriarchi, dunque Abramo, Isacco, Giacobbe - secoli dopo la morte - sono raltà viventi, hanno un modo di essere che è vita.

 

Obiettano i geovisti: Gesù non intendeva dire che i tre patriarchi fossero anime viventi nell'oltretomba. Egli voleva solo far capire che, dopola sua morte, Dio “controlla le prospettive di vita futura dell'individuo. Spetta a Dio decidere se ridarà al deceduto lo spirito o forza vitale” (da "E' questa vita tutto quello che c'è?", p.52).

 

Si risponde:

 

a) Si tratta evidentemente d'una spiegazione superficiale, che va direttamente contro la Scrittura. In effetti, i deceduti conservano lo spirito o forza vitale (meglio anima) nella regione dei morti, che gli antichi israeliti chiamavano Sceol, ma Gesù chiamava  “seno di Abramo” (cf. Luca 16,22) o anche Ade (cf. Apocalisse 20,12), o cielo (cf. Matteo 5,12) o paradiso (Luca 23,43).

 

b) Inoltre Dio ha già deciso di dare il corpo risuscitato a tutti indistintamente.

 

“Perché verrà l'ora in cui tutti (greco pantes) coloro che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Giovanni 5, 28-29; Atti 24,15).

Apparvero Mosè ed Elia (Mt. 17,3)

E poi Gesù stesso ha dato una prova tangibile che i defunti sono realtà viventi, non semplici ricordi nella memoria di Dio. Basta ricordare il racconto della Trasfigurazione (cf. Matteo 17, 1-9); Luca 9, 28-36; Marco 9, 2-8; 2Pietro 1, 16-18).

Gesù fa vedere ad alcuni suoi discepoli due grandi personaggi dell'antichità. Uno di essi, Mosè, era vissuto e morto circa milletrecento anni prima di Gesù Cristo. L'altro Elia, visse e morì nel nono secolo sempre avanti Cristo.

Nella Trasfigurazione del Signore, Mosè ed Elia parlano con Gesù. I tre discepoli presenti alla scena sentono le loro voci, capiscono ciò che dicono ( Luca 9, 30-31). I due personaggi apparivano vivi e reali come Gesù col quale conversavano.

 

Obiettano i geovisti:  Si è trattato di un sogno. Infatti Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno (cf. Luca 9,32).

 

Si risponde:

 

a) Veramente il vangelo di Luca dice: “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui” (Luca 9, 32). Alcuni decenni dopo Pietro ricordava questa visione e scriveva: “Siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2 Pietro 1, 16-18).

 

b) Se si fosse trattato d'un sogno o di una allucinazione, non si capirebbe perché “Gesù, mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti” (Marco 9,9; cf. Matteo 17,9). Il Maestro non poteva ingannare i suoi discepoli facendo loro capire che avevano visto, mentre avevano sognato.

 

Dicono pure i tdG: Mosè ed Elia erano in cielo perché del numero dei 144.000

 

Si risponde: Dov'è scritto nella Bibbia che Mosè ed Elia erano di quel numero? E poi non è più vero che i privilegiati membri di quella classe cominciarono ad essere trasferiti in cielo solo nell'anno 1918 dopo Cristo? Come mai Mosè ed elia erano saliti lassù già dai tempi di Cristo?

Il ricco egoista e Lazzaro povero

Dopo la morte del corpo la vita umana non finisce come quella delle bestie. Le bestie dopo la morte non sono giudicate. Gli uomini, sì. Nella parabola del ricco egoista e di Lazzaro povero, Gesù ha puntualizzato ciò che attende gli uomini subito dopo la morte.

“C'era un uomo ricco, il quale vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno banchettava splendidamente. Un povero di nome Lazzaro, giaceva al portone di lui, coperto di ulcere e bramoso di sfamarsi con ciò che cadeva dalla tavola del ricco: ma perfino i cani venivano a leccargli le ulcere. Or accadde che il mendico morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Nell' Ade fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro nel seno di lui. Allora gridò: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere la punta di un dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché spasimo in questa fiamma". Ma Abramo disse: "Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro, similmente, imali; ora, invece qui egli è consolato e tu spasimi. Oltre a tutto ciò, fra voi e noi sta scavata una grande voragine, perché chiunque voglia di qui passare dalla vostra parte non lo possa, né di costì si venga a noi"” (Luca 16, 19-26, Garofalo)

 

 

La vera spiegazione:

 

Ricordiamo anzitutto che la parabola è un racconto immaginario e simbolico. Essa tuttavia serve a inculcare verità reali in una forma semplice e chiara perché siano recepite più facilmente dagli uditori. Nel cap.16 di san Luca, dov'è inserita questa parabola, Gesù intende dare una lezione sull'uso, buono e cattivo, delle ricchezze, e sulle conseguenze eterne secondo il giudizio di Dio, che conosce i cuori (verso 15).

 

In questo contesto Gesù insegna:

 

- Che i beni terreni usati egoisticamente attirano il castigo di Dio. I beni materiali appartengono a tutti e non sono un privilegio dei più furbi (Leggere le belle parole di Amos 8, 4-10; Luca 6,20; Giacomo 2,1-11).

 

- Che i sofferenti, gli ammalati, gli emarginati sono i prediletti di Dio.

 

- Che una ricompensa grande e senza fine sarà data subito dopo la morte a coloro  che hanno sofferto con fede e amore.

 

- Che una punizione atrocissima  ed eterna attende subito dopo la morte quelli che in questa vita hanno chiuso egoisticamente il cuore alla giustizia sociale e alla bontà.

 

 Notate bene. Gesù pone il povero Lazzaro nel seno di Abramo, ossia riunito ai padri nella gioia di Dio, e il ricco tra i tormenti dell'inferno, ora al presente,  subito dopo la morte (Luca 16,23)

Una spiegazione falsa e settaria

Scrivono i tdG: “Considerate: E' ragionevole o scritturale credere che un uomo sia nel tormento semplicemente perché  è ricco?”

 

Si risponde: Nella parabola il ricco è condannato non semplicemente perché era ricco, ma perché aveva chiuso egoisticamente il suo cuore alla necessità, cioè ai diritti altrui. La sua condanna è scritturale. In Luca 6, 24-25 Gesù dice: “Guai a voi ricchi, guai a voi sazi, perché avrete fame”.

 

Scrivono ancora: “E' scritturale credere che uno sia benedetto con la vita celeste solo perché mendicante?”.

 

Si risponde: Di Lazzaro è detto che i cani venivano a leccargli le ulcere e li lasciava fare. Ma a lui neppure delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco era permesso sfamarsi. Era povero e buono. Di questi poveri Gesù dice: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Luca 6,20).

 

E ancora: “Considerate anche questo: Si trova l'inferno letteralmente a una tale distanza dal cielo che vi potreste fare un'effettiva conversazione?”.

 

La risposta: Poche righe prima (ivi, p.42) l'anonimo testimone di Geova afferma che Gesù pronunciava una parabola o illustrazione, cioè usava espressioni simboliche, non letterali. Ora lo stesso anonimo scrittore afferma che bisogna prendere le cose letteralmente.  Vi può essere serietà in chi cade in contraddizioni così stridenti? Affermare e insieme negare la stessa cosa?

 

Hanno pure detto: Nel ricco vanno identificati i farisei e la classe sacerdotale che non credettero a Gesù, e in ultima analisi gli ecclesiastici della cristianità, che non vogliono accettare oggi gli errori dei testimoni di Geova.

 

Si risponde: Secondo il contesto, cioè nel cap.16 di san Luca, Gesù condanna il cattivo uso delle ricchezze. Nel ricco egoista vanno identificati tutti coloro che sono attaccati egoisticamente al denaro e chiudono il cuore ai diritti degli altri. Tali ricchi egoisti possono appartenere a qualunque classe sociale. Ve ne possono essere anche tra le file dei tdG.

E' poi contro la Scrittura affermare che i farisei e la classe sacerdotale rifiutarono l'insegnamento di Gesù. Sappiamo infatti dal libro degli Atti che folti gruppi di sacerdoti si sottomettevano l'uno dopo l'altro alla fede (Atti 6,21). Molti delle decine di migliaia convertiti al Vangelo, di cui parla san Giacomo (cf. Atti 21,20), erano certamente farisei; alcuni di essi presero parte al concilio di Gerusalemme (cf. Atti 15,5).

Questa è la verità contro l'errore e la calunnia dei tdG.

Il caso del buon ladrone   (Luca 23,40-43)

La verità: Luca, l'evangelista della misericordia divina, ci ha conservato le parole che Gesù morente disse al buon ladrone. Questi aveva rivolto a Gesù una preghiera: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: 'In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso'” (Luca 23, 42-43). Con questa sua chiara risposta Gesù assicura che quella preghiera veniva esaudita: in quello stesso giorno, subito dopo la morte, sarebbero stati insieme in un nuovo modo di essere, in uno stato felice di vita: in paradiso.

 

Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:

 

“Al tempo di Gesù, negli scritti non canonici, paradiso era usato sia nel significato generale di giardino recinto, sia per indicare il paradiso terrestre o una regione del cielo (cf. 2 Corinzi 12,4); Apocalisse 2,7) o luogo dove vanno le anime dopo la morte. Qui designa il luogo dove erano raccolte le anime dei giusti in attesa della redenzione e dove Gesù sarebbe disceso (cf. Atti 2, 24-31: 1 Pietro 3, 18-20 ecc.), in attesa del trionfo della risurrezione, al quale seguirà il definitivo ritorno in cielo”.

 

Dunque, quello stesso giorno, il corpo del ladrone sarebbe finito chissà dove. Eppure egli, il suo io spirituale e immortale, sarebbe sfuggito alla morte del corpo e avrebbe continuato a vivere con Cristo.

 

L'errore: Questa indubbia dichiarazione di Gesù sull'immortalità dell'anima crea una seria difficoltà ai tdG. Per superbia, spostano arbitrariamente la punteggiatura, cioè la virgola, e fanno dire a Gesù: “Veramente io ti dico oggi: Tu sarai con me in Paradiso”.

 

Questa spiegazione è sbagliata e da scartarsi:

 

a) Va notato anzitutto che nel testo originale di san Luca (testo critico), ricuperato scrupolosamente e scientificamente dai migliori studiosi della Bibbia, la virgola è posta prima e non dopo “oggi”. I tdG dicono che la loro traduzione della Bibbia  è una versione fedele del testo critico, di cui riconoscono sia l'autenticità che l'integrità generale. Vi sarebbero solo occasionali scostamenti. Nel caso di Luca 23, 42-43 hanno introdotto uno scostamento sostanziale al testo critico e hanno dato ai loro seguaci una infedele traduzione. Una cosa dicono ma un'altra fanno. Quanta ipocrisia!!!

 

b) In secondo luogo è risaputo che le espressioni Io ti dico, In verità ti dico e simili, senza determinazioni di tempo (come oggi), sono formule di stile biblico paragonabili alle altre Dice il Signore, Oracolo di Jahve ecc. Usandole, gli autori sacri vogliono mettere l'autorità di chi parla.

Nel caso presente, san Luca intende mettere in evidenza la maestà di Gesù. Benché apparentemente sconfitto, Egli parla da sovrano che distribuisce favori ed assegna posti a chi lui si rivolge. Gesù ha perciò usato la formula biblica abituale: Sono io a dirtelo! Te l'assicuro io! Senza aggiunta. Egli ha detto: “Io ti dico: oggi sarai con me in Paradiso” (Luca 22,43).

 

Obiettano i geovisti:  Quel giorno Gesù non andò in paradiso. Quindi non poteva promettere al ladrone di essere con lui in paradiso.

 

La risposta: Quel giorno Gesù “discese agli inferi”, ossia andò col suo spirito nell'Ade o regno dei defunti (cf. Atti 2,31) per annunciare la liberazione ai morti dell'antichità: “Cristo morto una volta per sempre per i peccati (…) per ricondurvi a Dio (…); in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1 Pietro 1, 18-19). Il buon ladrone era con Lui.

Io sono la risurrezione e la vita (Gv. 11,25)

Un esempio della maggior luce apportata da Gesù sul destino dell'uomo dopo la morte si ha nel dialogo tra lui e Marta, la sorella di Lazzaro, che Gesù risuscitò da morte (cf. Giovanni 11, 1-44).

Appena incontrata quella donna che piangeva la morte del fratello, Gesù le dice: “Tuo fratello risorgerà” (Gv. 11,23). E poiché Marta, da buona giudea, era abituata all'idea della risurrezione futura, risponde prontamente a Gesù: “So che mio fratello risorgerà nell'ultimo giorno” (Gv. 11,24).

Ma Gesù rettifica quell'idea, completa quella speranza e dice a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà; anzi, chi vive e crede in me non morirà mai” (Gv. 11,26).

Sì, Gesù è la Vita, ora, presentemente: Io sono la Vita. Egli dà la vita ora, al presente a quanti si legano a lui con la fede: “Chiunque vive e crede in me non morirà mai. Credi tu questo?” (gv.11,26).

 

Che cosa chiede Gesù a quella donna?

 

Un atto di fede non nella futura risurrezione in cui Marta già credeva, ma accettare una nuova idea, che quella donna nn riesce a capire. E' comunque sicura che il Maestro dice la verità: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo” (Gv. 11,27).

 

Cos'è questa nuova idea?

 

Lazzaro, suo fratello, che ha creduto nel Figlio di Dio, non è morto. Chiamandolo d'oltretomba, Gesù dà la prova che le sue parole sono verità e vita

Errori e verità

1 - L'errore: In Giovanni 11,26 Gesù non dire “non morirà mai”, ma “non morirà in eterno” che è ben di verso. Così traducono anche alcune Bibbie cattoliche. ora l'espressione “non Morirà in eterno” (greco eis tòn aiona) fa pensare più a una morte completa, totale, senza sopravvivenza, ma con la speranza, anzi la certezza della risurrezione.

La verità:

Sì, è vero che alcune traduzioni della Bibbia anche cattoliche, rendono la frase greca eis tòn aiona con le parole “in eterno”; ma molte altre Bibbie cattoliche e non cattoliche, traducono “non morirà mai” (iamais, never). Anche la Bibbia dei tdG traduce così! Il mio corrispondente da Cagliari non conosce neppure la propria Bibbia!

2 - L'errore: “Jn Giov. 11,25-26, oltre alla speranza della risurrezione, Gesù indicò qualcos'altro per coloro che sarebbero stati in vita quando l'attuale mondo malvagio avrebbe avuto fine. Quelli con la speranza di essere sudditi terreni del Regno di Dio avrebbero avuto la prospettiva di sopravvivere senza mai morire”.

La verità:

Questo è contrario alla Bibbia. Infatti, specie nel vangelo di Giovanni, Gesù ripetutamente afferma che, per chi crede in Lui, la vita eterna non comincia in un futuro indeterminabile, ma è già Posseduta ora, al presente. In Giov. 3,15 Gesù dice: Affinché chi crede abbia (greco éke, al presente) la vita eterna”. E in Giov. 5,24 leggiamo: < chi ascolta la rnia parola e crede a colui che mi ha mandata>, ha la vita eterna (... ), è passato dalla morte alla vita” (cf. 1 Giov. 3,14). Parimenti in Giov. 8,51 Gesù afferma: , In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte”.

 

 

3 - L'errore: in tutti questi testi di Giovanni, Gesù vuol dire che “le persone,  che esercitano fede nel riscatto di Cristo sono da Dio considerate carne nella via della vita eterna.

 

La verità:

In tutti questi testi di Giovanni, Gesù parla di un fatto compiuto, d'un passaggio dalla morte alla vita già avvenuto, d'una vita eterna già posseduta, non di una via alla vita eterna. Dio considera tutte queste persone già in Possesso d'una vita, su cui la morte non ha più Potere.

b) Si ricordi pure che in Apocalisse 20,4-5, Giovanni parla di una prima risurrezione per “quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua ecc.”. Risurrezione vuol dire “passaggio già avvenuto dalla morte alla vita”. Si tratta evidentemente di una risurrezione spirituale, distinta da quella del corpo che avverrà alla fine dei tempi. Tutti costoro hanno già la vita eterna e continuano ad averla anche dopo la morte. Tutti, non soltanto uno sparuto numero di 144.000!

 

4  -  L'errore: Lazzaro risuscitato non disse nulla della vita d'oltretomba. Quindi non è vita d'oltretomba.

 

La verità:

 a)I vangeli non ci hanno conservato tutti i fatti sulla vita di Gesù, Se fossero stati scritti uno per uno, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere                                 (cf. Giovanni 21, 24-25).

b) Tanto meno i vangeli sono stati scritti per soddisfare a curiosità di uomini cavillosi, ma “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita eterna nel suo nome” (Giovanni 20,21). Gesù risuscitò Lazzaro non perché egli, un uomo come tutti gli altri, prendesse il posto di Gesù nel rivelarci la vita d'oltretomba, ma perché i testimoni del miracolo, presenti e futuri, “credano che tu mi hai mandato” (Giovanni 11,42).

L'insegnamento di san Paolo

1 - Scrisse ai Filippesi:

“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno (...) Sono stretto in questa alternativa: ho il desiderio d'andarmene per essere con Cristo, che è cosa -di gran lunga migliore; ma il rimanere nella carne è più necessario a riguardo di voi” (Filippesi 1,21-24).

Spiegazione:

 San Paolo guarda alla morte come a un guadagno, non come a una non-esistenza e neppure come a una vita inconscia e tenebrosa. Se dipendesse da lui, egli sceglierebbe, preferirebbe di andarsene per essere con Cristo. Questo stato, o modo di essere, che egli considera molto migliore (verso 23), è una esistenza con Cristo, che succede direttamente alla morte senza attendere la risurrezione dei corpi.

L'essere con Cristo ricorda certamente le parole di Gesù al buon ladrone: “In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso” (Luca 23,43).

2 - In termini simili scriveva ai Corinzi:

“Preferiamo piuttosto sloggiare da questo corpo per andare nella patria, presso il Signore” (2 Corinzi 5,8).

Spiegazione:

Qui come in Filippesi 1,21-24 Paolo intravede una unione del cristiano con il Cristo immediatamente dopo la morte individuale. Questa attesa di una beatitudine dell'anima separata risente dell'influsso greco, che d'altra parte era già sensibile nel giudaismo contemporaneo'. La novità di questa fede deriva da una rivelazione radicalmente nuova del significato della vita e della salvezza".

Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo.

“Le anime dei giusti (in questo caso quella di Paolo), subito dopo la morte, senza aspettare la risurrezione dei corpi saranno ammesse alla presenza di Dio e alla sua visione. Questa concezione supera quella ebraica dello Sceol dove le anime sarebbero restate fino alla risurrezione finale vivendo una vita grama”.

Anime sotto l'altare (Apocalisse 6,9)

Leggiamo nell'Apocalisse, capitolo 6, versetti da 9 a 11:

“Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della Parola... Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto di pazientare ancora un poco fìnché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro”.

Spiegazione:

Per capire questa visione di Giovanni bisogna tener presente che egli poco prima (Apocalisse 6, 1-8) descrive la dolorosa realtà della vita qui sulla terra. In contrasto con ciò che avviene sulla terra è rivelato a Giovanni quel che accade in cielo. Nel santuario celeste egli vede le anime (psychai) dei fedeli che hanno subìto il martirio per amore di Cristo. Esse sono attualmente e realmente ai piedi dell'altare celeste. La loro vita, con la morte, non fu spazzata via dall'esistenza.

Falsa spiegazione

L'errore:

 I tdG sono del parere che Giovanni voleva dire che “gli uomini avevano ucciso i loro corpi umani, ma non avevano potuto uccidere le loro anime, cioè il loro diritto o titolo alla vita celeste nel regno di Dio.

La verità:

a) San Giovanni ha visto anime (psychai), non titoli di futura gloria. In nessun vocabolario greco è detto che la parola psychè significa titolo o diritto. Essa significa vita reale. In questo caso, vita umana trasferita in cielo, cioè anime nello stato di gloria.

b) L'autore ispirato parla di vita celeste già raggiunta, non di diritto alla vita futura. Come il “Testimone fedele e verace” (Apoc. 3,14) ha compiuto sulla croce il sacrificio di sé al Padre ed è ora assiso sul trono (Apoc. 7,17), così anche i martiri cristiani sono già nel santuario del cielo vicinissimi a Dio (Apoc. 7,9-17).

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