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Del gran mezzo della Preghiera (di sant'Alfonso Maria de Liguori)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:48
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05/09/2009 17:38

CAPO I DELLA NECESSITA DELLA PREGHIERA

I.- LA PREGHIERA E' NECESSARIA ALLA SALUTE, DI NECESSITA DI MEZZO.


Fu già errore dei pelagiani il dire, che l'orazione non è necessaria a conseguire la salute. Diceva l'empio loro maestro Pelagio, che l'uomo in tanto solamente si perde, in quanto trascura di riconoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa! diceva Santo Agostino: “Pelagio d'ogni altra cosa voleva trattare, fuorché dell'orazione” (De natura et orat. c. XVII), ch'è l'unico mezzo, come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza dei santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: “Se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera, e gli sarà concesso” (Gc 1,5). Sono troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate ed orate per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Chiedete ed otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole bisogna, chiedete, orate, come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano precetto e necessità. Vicleffo diceva, che questi testi s'intendevano non già dell'orazione, ma solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare: ma questo fu suo errore e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessio, “non potersi negare senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti è necessaria per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture, essere l'orazione l'unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute” (De Iust. 1, 2, c. 37, dub. 3, n. 9). La ragione è chiara. Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare alcun bene. Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse: niente potete compire, ma niente potete fare. Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene. Anzi scrisse l'Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di farlo (2 Cr 3,5). Se dunque non possiamo neanche pensare al bene, tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre Scritture. Lo stesso Dio è quegli che fa in tutti tutte le cose (1 Cr 12,6). Farò che camminiate nei miei precetti, ed osserviate le mie leggi, e le pratichiate (Ez 36,27). In modo che, siccome scrisse san Leone I: “Noi non facciamo alcun bene, fuori di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare”. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6, can. 3, disse: “Se alcuno avrà detto, che senza una preventiva ispirazione, ed aiuto dello Spirito Santo, l'uomo può credere, sperare, amare o pentirsi, come bisogna, per ottenere la grazia della giustificazione, sia scomunicato” (Sess. 6, can. 3).

L'autore dell'Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore altri ha provveduto di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano così conservare il loro essere; ma l'uomo poi l'ha formato in tal stato, che esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18). Sicché l'uomo è affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua grazia. Ma questo aiuto della grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: “Crediamo che niuno giunga a salute, se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non è da Dio aiutato; niuno meriti aiuto, se non per mezzo della preghiera” (De Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra che tale soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? E' vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla fede, alla penitenza, dice S. Agostino, che Dio le concede anche a coloro che non pregano; tuttavia il santo tiene poi per certo che le altre grazie (e specialmente il dono della perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De Dono pers. c. 16). Ond'è che i teologi comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo, Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera agli adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo veduto, ma anche di mezzo. Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. Lo stesso insegna san Tommaso dicendo: “Dopo il battesimo poi è necessaria all'uomo una continua orazione, affine di entrare in cielo; poiché quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, ciò nondimeno rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il mondo e i demoni, che ci guerreggiano esternamente” (3 p. q. 39, art. 5).

La ragione dunque, che ci fa certi, secondo l'Angelico, della necessità che abbiamo della preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e vincere: Colui che combatte nell'agone non è coronato, se non ha combattuto secondo le leggi (1 Tm 2,5). All'incontro senza l'aiuto divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto divino solo per l'orazione si concede; dunque senza orazione non v'è salute. Che poi l'orazione sia l'unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che il Signore tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che per l'orazione (2, 2.ae, q. 83, 2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: “Gli uomini pregando meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare” (Lib. i. Dial. cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad 1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie i alla salute per mezzo della preghiera, dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete" (Matth. 7,7). Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta con dire: “Chiedete ed otterrete”. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l'umore è necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria a noi l'orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: “siccome il corpo senza dell'anima non può vivere, così l'anima senza l'orazione è morta, e manda cattivo odore” (De or. D. l. i.). Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l'orazione cibo dell'anima perché “senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l'orazione, dice S. Agostino, non può conservarsi in vita l'anima” (De sal. doc. c. 28). Tutte queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano l'assoluta necessità, ch'essi insegnano d'esservi in pregare per conseguire la salute.

II. - SENZA LA PREGHIERA E' IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI.

L'orazione inoltre è l'arma più necessaria per difenderci dai nemici: chi di questa non s'avvale, dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo di ritenere che Adamo cadde perché non si raccomandò a Dio allora che fu tentato (P. I. q. 94, a. 4). E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli angeli ribelli: “Che cioè ricevendo invano la grazia di Dio, senza pregare non seppero rimanere fedeli” (Epist. adversus Pelag. haeret.). San Carlo Borromeo in una lettera Pastorale (Litt. pastor. De or. in com.) avverte, che tra tutti i mezzi che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla preghiera: ed in ciò ha voluto che si distinguesse la sua Chiesa e Religione dalle altre sette, volendo che ella si chiamasse specialmente casa d'orazione. La casa mia sarà chiamata casa d'orazione (Mt 21,13). Conclude S. Carlo nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio, il progresso e il complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre, nelle miserie e nei pericoli, in cui ci troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio e dalla sua misericordia impetrare colle preghiere la nostra salvezza (2 Cron 20,12). E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non esser preda dei nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie: “Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi (Sal 24,15). Sicché altro egli non faceva che pregare dicendo: “A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di me, perché io son solo e son povero” (Ibid. 24,16). “Gridai a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti” (Sal 118,146). Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi. Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell'orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia assolutamente impossibile agli uomini l'osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse che alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che hanno.

E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli possibili. E' vero, dice S. Agostino, che l'uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni precetti con le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può con la preghiera ottenere l'aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: “Iddio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché tu lo possa” (De nat. et grat. cap. XLIII). E' celebre questo testo del Santo, che poi fu adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi immediatamente soggiunse il santo Dottore: “Vediamo in che modo... (cioè, come l'uomo può fare quel che non può). Per mezzo della medicina potrà quello che non può per la sua infermità” (Ibid. cap. LXIX). E vuol dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza; poiché pregando noi, Iddio ci dona la forza a far quel che noi non possiamo. Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci l'osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con l'aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con l'orazione l'aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16).

E in altro luogo: “La legge fu data affinché domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge” (De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: “La legge è buona per chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge?” (Serm. 156). E risponde: “riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto onde conseguire la salute” (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l'aiuto divino che sana la nostra debolezza. Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: “Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta umiltà alla sua misericordia” (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia l'aiuto a resistere. Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con l'inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L'unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: “L'orazione è il presidio della pudicizia” (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: 'Tosto ch'io seppi come non poteva essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap 8,21).

La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente l'otterrà. Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze, lo possiamo nondimeno con l'aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né dicasi, che sembra un'ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è sua (De perfect. iust. c. III). Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare (S. 55. in app.). Ed all'incontro, dice S. Francesco d'Assisi, che senza orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un'anima. A torto dunque si scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l'avete, perché non la cercate (Gc 4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l'Apostolo, e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma fedele è Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta Primasio: “Con l'aiuto della grazia farà provenire questo, che possiate sopportare la tentazione”. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi gli domandiamo l'aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto" (Fil 4,13). “Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe restato vinto dai nemici” (Serm. De Moyse).

III. - DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.

E' utile ricorrere alla intercessione dei Santi?


Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all'intercessione dei Santi, per ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile l'invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (In Decr. de invoc. Ss.). Tale invocazione era condannata dall'empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è lecito e profittevole l'invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per noi pure pregate il Dio nostro... (Bar 1,13). E S. Paolo: '"Fratelli, pregate per noi" (1 Ts 1,25). E Dio medesimo volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo... e Giobbe mio servo farà orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza (Gb 42,8). Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l'invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare all'onore che a Dio si deve, ma duplicarlo, com'è l'onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi. Che perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, “perché con le orazioni di molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l'orazione di un solo”. Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già pregano per tutti coloro che ne sono degni? Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché ricorre con devozione al Santo medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S.).

E' conveniente ricorrere alle anime del Purgatorio?

Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni dicono che le anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell'autorità di S. Tommaso, il quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che si preghi per esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri Dottori, come il Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l'affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l'Angelico, di non essere le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non essere in stato di pregare, altro il non poter pregare. E' vero, che quelle anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni; nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio. Se mai un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma perché egli non può pregare per gli altri? E non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l'affetto che gli porta il padre?

Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia, non v'è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come si è detto, che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi. Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita. Anzi attestava, che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo delle anime del Purgatorio.

Dell'obbligo di pregare per le anime del Purgatorio

Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime! Se vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or è certo che i nostri prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita, nulladimeno non lasciano d'essere nella comunione dei Santi, dice S. Agostino. E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all'altra vita in grazia, è un'estensione di quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi viventi (In Ps. 37). Ond'è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi. Ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle. Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? E' certo, che le loro pene sono immense. “Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l'uomo in questa vita” (In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell'inferno. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio, che affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento.

Sicché, secondo dice il Crisostomo, questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso. Ond'è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser private d'un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi in questa vita. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della minor pena, che v'è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto all'asprezza, sono le stesse che quelle dell'Inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne. Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall'altra parte non possono aiutarsi da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai lacci di povertà (Gb 36,8). Sono già destinate al regno quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche con le loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano interamente la divina giustizia. Così appunto disse dal Purgatorio un monaco Cistercense al sacrestano del suo monastero: “Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni, perché io da per me niente posso ottenere”.

E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura, cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare. All'incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l'acquisto dei gran meriti che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante anime, le quali all'incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni l'anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché questi troveranno misericordia (Mt 5,7), con molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre per essersi cibato del miele, contro l'ordine da lui dato. Ma il popolo si presentò al re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele (1 Re 14,45). Or così appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che un'anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell'anima dirà a Dio: Signore, non permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene.

E se Saul concesse la vita a Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le preghiere di un'anima che gli è sposa. Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in questa vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell'altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi degli altri. Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch'egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime del Purgatorio e specialmente... ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.

L'invocazione dei Santi è necessaria

Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all'eresia, come tengono il Suarez, l'Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel canonizzare i Santi, principalmente come insegna l'Angelico (Quodlib. 9, art. 16, ad. l), è guidato dall'istinto infallibile dello Spirito Santo. Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all'intercessione dei Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di esporre una dottrina dell'Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano (in 4 sent. d. 15, q. 4, a. l). In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino per noi (in 4 sent. dist. q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire il sentimento del santo bisogna riferire l'intero suo testo): “E' l'ordine divinamente istituito nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio. “E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l'ordine della divina legge richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi. Il che appunto avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi. E perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al procedimento della bontà di lui verso di noi; (Siccome i benefici di Dio ci provengono mediante i suffragi dei Santi), così fa d'uopo che noi siamo ricondotti a Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi.

E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi”. Si notino quelle parole: l'ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i benefici del Signore; così fa d'uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi. Sicché secondo S. Tommaso, l'ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute. Ed all'opposizione che si fa l'Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare l'ordine retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde. E secondo quest'autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi siamo tenuti di ricorrere anche all'intercessione dei Santi, per osservare l'ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl'inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.

Della intercessione della Madonna

E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell'intercessione della divina Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto il Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini (Expos. in salut. Ang.). E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: “Per te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi” (In adv. Dom. 1, 2). Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l'accesso al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così non abbiamo l'accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch'è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che Gesù Cristo ci ha meritati. E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto da Dio due pienezze di grazia. La prima è stata l'Incarnazione nel suo seno del Verbo eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo delle preghiere d'essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunse il Santo: “Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in noi è qualche speranza, qualche grazia' qualche salute, riconosciamo ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie. Orto di delizie, affinché d'ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè, delle grazie” (Serm. De Aquaed.).

Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell'intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole Dio. Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli scrisse, che Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità, affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond'è che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio, ch'ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell'altro. E perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza, e la speranza nostra. Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: “Fa' ricorso a Maria; lo dico francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre”. E poi soggiunse: “Questa, o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza” (Serm. De Aquaed.). La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo, se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria. La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria.

E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando cerca, e le sue preghiere non possono essere respinte. E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant'Efrem: “Noi non abbiamo altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima” (De Laud. B. M. V.). San Ildefonso: “Tutti i beni che la divina Maestà decretò di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani. Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie” (De Cor. Virg. c. 15). S. Germano: “Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei Cristiani?” (De Zon. B. V.). S. Pier Damiani: “Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine commiserazioni” (De Nat. S. I.). S. Antonio: “Chi domanda senza di essa tenta di volare senza ali” (P. 4 tit. 15. c. 22). San Bernardino da Siena in un luogo dice: “Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano”. In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano (Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi conchiude: “Perciò si è che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e come vuole”. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: “Tutta la divina natura essendo stata nell'utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un oceano della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione sopra tutte le effusioni delle grazie”.

Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo dell'intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di Alessandro, il quale scrisse: “Dio vuole che tutti i beni aspettiamo da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo come conviene” (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.). E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: “Questo è il volere di Colui che il tutto volle darci per Maria” (Serm. De Aquaed.). E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: “Quasi dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre. Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di Maria. O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei” (Theol. ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell'intercessione di Maria, acciocché ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo. Parlando poi S. Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita (1 part. q. 25. a. 6. ad 4.). Onde a ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere di tutto il Paradiso insieme.

Conclusione

Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell'inferno, l'aversi potuto salvare con tanta facilità, quant'era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.


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