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Del gran mezzo della Preghiera (di sant'Alfonso Maria de Liguori)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 17:48
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05/09/2009 17:45

CAPO III DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA

I. - PREGARE PER SE STESSO


In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). E' promessa adunque di Gesù Cristo, che, quando, in nome suo, domanderemo al Padre, tutto il Padre ci concederà; ma sempre si intende quando domanderemo con le dovute condizioni. Molti, dice S. Giacomo, cercano e non ottengono, perché malamente cercano (Gc 4,3). Onde S. Basilio, seguendo il detto dell'Apostolo, dice: "Appunto talvolta chiedi, e non ottieni, perché malamente hai domandato, o infedelmente, o con leggerezza, o chiedesti cose non convenienti, o hai desistito" (Const. mon. e. i, vers. fin.). Infedelmente, cioè con poca fede, ossia poca confidenza: con leggerezza; con poco desiderio di avere la grazia: cose non convenienti, cercando beni non giovevoli alla salute: hai desistito, senza perseveranza. Pertanto S. Tommaso riduce a quattro le condizioni richieste nella preghiera, acciocché si ottenga il suo effetto; cioè che l'uomo domandi: per se stesso, le cose necessarie alla salute, devotamente e con perseveranza (Qu. 83, a. 7, ad 2).

Ha Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?

La prima condizione dunque della preghiera è che si faccia per sé; poiché l'Angelico tiene che un uomo non può impetrare agli altri ex condigno (a titolo di giustizia) la vita eterna, e per conseguenza neppure quelle grazie che appartengono alla loro salute; mentre la promessa, come dice, sta fatta non per gli altri ma solamente a coloro che pregano: Ve la concederà (Gv 16,23). Ma ciò nonostante, vi sono molti dottori (CORN. A LAPID., Sylvest., Tolet., Habert et alii) che tengono l'opposto, appoggiati all'autorità di san Basilio, il quale insegna che l'orazione in virtù della divina promessa, ha infallibilmente il suo effetto, anche per gli altri per cui si prega, purché gli altri non vi mettano positivo impedimento. E si fondano sulle Scritture: Orate l'un per l'altro per essere salvati; imperciocché molto può l'assidua preghiera del giusto (Gc 5,16). Orate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano (Mt 5,44). E meglio sul testo di S. Giovanni: Chi sa che il proprio fratello pecca di peccato, che non mena a morte, chieda, e sarà data la vita a quello che pecca non a morte (Gv 5,16). Spiegano quel che pecca non a morte, S. Agostino, Beda, sant'Ambrogio ed altri, purché quel peccatore non sia tale che intenda di vivere ostinato sino alla morte; poiché per costui si richiederebbe una grazia molto straordinaria. Del resto per gli altri peccatori non rei di tanta malizia, l'apostolo promette a chi per essi prega, la loro conversione: chieda, sarà data la vita a quello che pecca (Mt 5,44).

Dobbiamo pregare per i peccatori

Per altro non si mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e sono molto gradite a Dio; e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de' Pazzi; onde le disse un giorno: "Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del demonio; se i miei diletti con le loro orazioni non li liberassero, resterebbero divorati". Ma specialmente ciò lo desidera il Signore dai sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle, Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora perché noi lo plachiamo a favore dei peccatori". E il Signore stesso un giorno disse alla medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la città di rifugio, cioè la Passione di Gesù Cristo, acciocché abbiate dove ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad essa, ed ivi porgete aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse". Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della loro conversione, dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di poter giovare alle tue creature, con mettere la vita per esse, e non poterlo fare!". Del resto ella in ogni esercizio raccomandava i peccatori a Dio, e si scrive nella sua vita, che quasi non passava ora del giorno, che la Santa non pregasse per essi; frequentemente anche si levava di notte, e andava al SS. Sacramento a pregare per i peccatori: e con tutto ciò una volta fu ritrovata a piangere dirottamente, ed interrogata perché, rispose: "Perché mi pare di non far niente per la salute dei peccatori". Giungeva ad offrirsi per la loro conversione patire anche le pene dell'inferno, purché ivi non avesse a odiare Dio; e più volte fu compiaciuta da Dio d'esser afflitta con gravi dolori ed infermità per la salute dei peccatori. Specialmente pregava per i sacerdoti, vedendo che la loro buona vita era cagione della salute degli altri, e la mala vita cagione della rovina di molti; e perciò pregava il Signore, che punisse le colpe sopra di lei, dicendo: "Signore, fammi tante volte morire, e tornare a vivere, sino ch'io soddisfaccia per essi alla tua giustizia". E narrasi nella sua Vita, che la Santa con le sue orazioni liberò molte anime dalle mani di Lucifero. Ho voluto dire qualche cosa più particolare dello zelo di questa santa. Del resto tutte le anime, che sono veramente innamorate di Dio, non cessano di pregare per i poveri peccatori.

E com'è possìbile, che una persona che ama Dio, vedendo l'amore che porta alle anime, e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salute, e il desiderio che ha questo Salvatore, che noi preghiamo per i peccatori; com'è possibile, dico, che possa poi vedere con indifferenza tante povere anime, che, vivono senza Dio, schiave dell'inferno, e non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle infelici per uscire dallo stato miserabile in cui dormono, e vivono perdute? E' vero, che Dio non ha promesso di esaudirci, quando coloro, per cui preghiamo, mettono positivo impedimento alla loro conversione; ma molte volte il Signore per sua bontà, a riguardo delle orazioni dei suoi servi, con grazie straordinarie si è compiaciuto di ridurre a stato di salute i peccatori più accecati e ostinati. Pertanto non lasciamo mai, nel dire o sentir la Messa, nel far la Comunione, la Meditazione, o la visita del Santissimo Sacramento, di raccomandare sempre a Dio i poveri peccatori. E dice un dotto autore, che chi prega per gli altri, tanto più presto vedrà esaudite le preghiere che per se stesso. Sia detto ciò di passaggio, ma ritorniamo a vedere le altre condizioni che richiede S. Tommaso, affinché la preghiera abbia effetto.

II. - CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.

L'altra condizione che il Santo assegna è che si domandino quelle grazie, che bisognano alla salute: cose necessarie alla salute; poiché la promessa alla preghiera non è fatta per le grazie temporali, che non sono necessarie alla salute dell'anima. Dice S. Agostino spiegando le parole del Vangelo, nel nome mio, riferite di sopra, che "non si chiede nel nome del Salvatore, tutto ciò che si chiede contro l'affare della salute" (Tract., 102 in Joan.). Alle volte noi cerchiamo alcune grazie temporali, e Dio non ci esaudisce; ma non ci esaudisce, dice lo stesso S. Dottore, perché ci ama, e vuole usarci misericordia (Ap. S. Prosp. Sent. 212). Il medico che ama l'infermo, non gli concede quelle cose, le quali vede che gli farebbero nocumento. Oh quanti se fossero infermi o poveri, non cadrebbero nei peccati, in cui cadono essendo sani o ricchi! E perciò il Signore taluni che gli cercano la sanità del corpo, o i beni di fortuna, glieli nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perdere la sua grazia, o almeno d'intiepidirsi nella vita spirituale. Del resto con ciò non intendo dire, essere difetto il chiedere a Dio le cose necessarie alla vita presente, per quanto convengono alla salute eterna, come lo chiedeva il Savio, dicendo: Concedimi quel che è necessario al mio vivere (Pro 30,8). Né è -difetto, dice S. Tommaso (2.a, 2.ae, q. 83. a. XVI) l'avere per tali beni una sollecitudine ordinata. Il difetto sta nel desiderare e cercare questi beni temporali, e l'aver per essi una sollecitudine disordinata; come in essi consistesse tutto il nostro bene. Perciò quando noi domandiamo a Dio queste grazie temporali, dobbiamo domandarle sempre con rassegnazione, e colla condizione se sono per giovarci all'anima.

E quando vediamo che il Signore non ce le concede, teniamo per certo ch'egli ce le nega per l'amore che ci porta, e perché vede che ci sarebbero dannose alla salute spirituale. Molte volte noi chiediamo a Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio neppure ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che allora Dio ciò permette anche per nostro maggior bene. Non sono le tentazioni ed i mali pensieri, che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi. Quando l'anima nella tentazione si raccomanda a Dio, e col suo aiuto resiste, oh, come avanza allora nella perfezione, e viene a stringersi di più con Dio! e perciò il Signore non l'esaudisce. Pregava san Paolo istantemente per essere liberato dalle tentazioni d'impurità: Mi è stato dato lo stimolo della carne, un angelo di Satana che mi schiaffeggia. Sopra di che tre volte pregai il Signore, che me ne fosse tolto (2Cr 12,7-8). Ma il Signore gli rispose: Basta a te la mia grazia. Sicché anche nelle tentazioni dobbiamo pregare Dio con rassegnazione, dicendo: Signore, liberatemi da questa molestia, se è espediente il liberarmene: e se no, almeno datemi l'aiuto per resistere. E qui fa quel che dice S. Bernardo, che quando noi cerchiamo a Dio qualche grazia, Egli o ci dona quella, o qualche cosa più utile di quella. Dio molte volte ci lascia a patire nella tempesta, al fine di provare la nostra fedeltà, e per nostro maggior profitto. Sembra, che allora Egli sia sordo alle nostre preghiere; ma no, stiamo sicuri, che Dio allora ben ci sente e ci aiuta di nascosto, fortificandoci con la sua grazia a resistere ad ogni insulto dei nemici.

Ecco come Egli stesso ce ne assicura per bocca del Salmista: M'invocasti nella tribolazione, ed io ti liberai: ti esaudii nella cupa tempesta: feci prova di te alle acque di contraddizione (Sal 80,7). Le altre condizioni finalmente, che assegna S. Tommaso alla preghiera, sono che si preghi devotamente, e con perseveranza. Devotamente, s'intende con umiltà e confidenza; con perseveranza, senza lasciar di pregare sino al la morte. Or di queste condizioni, cioè dell'umiltà, confidenza e perseveranza, che sono le più necessarie alla preghiera, bisogna qui di ciascuna distintamente parlare.

III. - PREGARE CON UMILTÀ.

Quanto l'umiltà sia necessaria alla preghiera.


Il Signore ben guarda le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal 101,18). Altrimenti non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi, e agli umili dà la grazia (Gc 6,6). Dio non sente le orazioni dei superbi, che confidano nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro propria miseria; ed in tale stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno. Ciò piangeva Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato umile (Sal 118,67). E lo stesso avvenne a S. Pietro, il quale quantunque fosse stato avvisato da Gesù Cristo, che in quella notte tutti essi discepoli dovevano abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per me in questa notte (Mt 26,31), egli nondimeno invece di conoscere la sua debolezza, e di domandare aiuto al Signore per non essergli infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse, che se tutti l'avessero abbandonato, egli non l'avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti fossero per patire scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33). E ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima di cantare il gallo l'avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si vantò dicendo: Quand'anche dovessi morire teco, non ti negherò (Ibid. 35). Ma che avvenne? Appena il miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu rimproverato per discepolo di Gesù Cristo, egli tre volte infatti lo negò con giuramento, dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid. 72).

Se Pietro si fosse umiliato, e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non lo avrebbe negato. Dobbiamo tutti persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi sull'abisso di tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci lascia, noi certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze più orrende: Se Dio non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille peccati, ed ora starei nell'inferno (Sal 93,17); così diceva il Salmista, e così deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san Francesco di Assisi, quando diceva, ch'esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma, padre mio, gli disse il compagno, questo che dite, non è vero; vi sono molti nel mondo che certamente sono peggiori di voi. Sì che è troppo vero quel che dico, rispose il Santo, perché se Dio non mi tenesse le mani sopra, io commetterei tutti i peccati. E' di fede che senza l'aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera buona, e neppure avere un buon pensiero. “Gli uomini, dice S. Agostino, senza la grazia, nulla possono fare di bene o col pensare, o con l'operare” (De correct. et grat. c. II). Come l'occhio non può vedere senza la luce, così diceva il Santo, l'uomo non può fare alcun bene senza la grazia. E prima già lo disse l'Apostolo: Non perché noi siamo idonei a pensare alcuna cosa da noi come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio (2 Cr 3,5). E prima dell'Apostolo lo disse già Davide: Se il Signore non edifica egli la casa, invano si affaticano quelli che la edificano (Sal 126,1). Indarno si affatica l'uomo a farsi santo, se Dio non vi mette la sua mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno vigila colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce l'anima dai peccati, invano attenderà ella a custodirsi con le sue forze.

E perciò si protestava poi il santo Profeta: Dunque non voglio sperare nelle mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7). Onde chi ritrovasi fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori peccati di quelli che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore, sono quel che sono (1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve lasciar di tremare e temere di cadere in ogni occasione: Per la qual cosa chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12). E con ciò il santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di caduta, chi si tiene sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro luogo dove dice: Imperocché se alcuno si tiene di esser qualche cosa, mentre non è nulla, questi seduce se stesso (Gal 6,3). Onde scrisse saggiamente sant'Ambrogio “che in molti la presunzione di esser fermi è di ostacolo alla loro fermezza; nessuno certamente sarà fermo, se non chi si crede infermo” (Serm. 76, n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di non aver timore, è segno che costui fida in se stesso, e nei suoi propositi fatti; ma questi con tal confidenza perniciosa da sé medesimo viene sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà. E così parimenti bisogna che ciascuno si guardi di ammirarsi con qualche vanagloria dei peccati degli altri; deve allora più presto tenersi in quanto a sé, per peggiore degli altri e dire: Signore, se voi non mi aveste aiutato avrei fatto peggio. Altrimenti permetterà il Signore, in castigo della sua superbia, che cada in colpe maggiori e più orrende. Pertanto ci avvisa l'Apostolo a procurarci l'eterna salute; ma come? sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì, perché quegli che molto teme di cadere, diffida delle sue forze, perciò riponendo la sua confidenza in Dio, a Lui ricorrerà nei pericoli; Dio lo soccorrerà, e così vincerà le tentazioni, e si salverà.

S. Filippo Neri, camminando un giorno per Roma, andava dicendo: “Sono disperato”. Un certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: “Padre mio, sono disperato di me, ma confido in Dio”.

Così bisogna che facciamo noi, se vogliamo salvarci; bisogna che viviamo sempre disperati delle nostre forze; poiché così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: “Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce”. Questa dunque per concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice sant'Agostino, il conoscere che niente egli è, niente può (In Ps. 70). Perciò così non cesserà di procurarsi da Dio con le preghiere quella forza che non ha, e che gli bisogna per resistere alle tentazioni e per fare il bene, ed allora farà tutto col soccorso di quel Signore, che non sa negare niente a chi lo prega con umiltà. La preghiera di un'anima umile penetra i cieli, e presentandosi al trono divino, di là non parte senza che Dio la guardi e l'esaudisca (Ecli 35). E siasi quest'anima resa rea di quanti peccati si voglia, Dio non sa disprezzare il cuore che si umilia (Sal 50,19). Quando il Signore è severo con i superbi e resiste alle loro domande, altrettanto è benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto disse un giorno Gesù a S. Caterina da Siena: “Sappi o figlia, che chi umilmente persevera a chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù" (Ap. Blos in concl. c. 3).

Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria

Giova qui addurre un bell'avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano di farsi sante, il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d'Osma, nell'annotazione che fa sulla lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e gli dà conto di tutti i gradi d'orazione soprannaturale, con cui il Signore l'aveva favorita. All'incontro il citato prelato scrive che queste grazie soprannaturali, che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad altri santi, non sono necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse vi sono giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto dice di esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali doni soprannaturali, mentre la vera ed unica strada per diventare un'anima santa è l'esercitarsi nelle virtù, nell'amare Dio; al che si arriva per mezzo dell'orazione, e col corrispondere ai lumi ed aiuti di Dio, il quale altro non vuole che vederci santi (1 Ts 4,3). Quindi il suddetto pio scrittore, parlando dei gradi dell'orazione soprannaturale, di cui scriveva la Santa, cioè dell'orazione di quiete, del sonno e sospensione delle potenze, dell'estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita spirituale; saggiamente scrive e dice, che in quanto all'orazione di quiete, ciò che noi dobbiamo desiderare e domandare a Dio è, che ci liberi dall'attacco e dal desiderio dei beni mondani, che non danno pace, ma apportano inquietudine ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben li chiamò Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore dell'uomo non troverà mai vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è Dio, per lasciare luogo al di Lui santo amore, affinché egli solo tutto lo possieda.

Ma ciò l'anima da sé non può farlo; bisogna che l'ottenga dal Signore con replicate preghiere. In quanto al sonno e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la grazia di tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare la divina bontà e per ambire l'amor divino, ed i beni eterni. In quanto all'unione delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non pensare, di non cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché tutta la santità e la perfezione dell'amore consiste nell'unire la nostra volontà con la volontà del Signore. In quanto all'estasi e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall'amor disordinato di noi stessi e delle creature per tirarci tutti a sé. In quanto al volo di spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati da questo mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano sulla terra, ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo di questi beni temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre volando, senza fermarci sulla terra a cercare i gusti mondani. In quanto all'impeto di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e la fortezza di farci violenza quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici, per superare le passioni, per abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni e tedii spirituali. In quanto finalmente alla ferita d'amore, siccome la ferita con il suo dolore rinnova sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci talmente il cuore col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della sua bontà, e dell'affetto che ci ha portato; e con ciò viviamo continuamente amandolo e compiacendolo con le nostre opere ed affetti. Ma tutte queste grazie non si ottengono senza l'orazione; e con l'orazione, purché ella sia umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.

IV. - PREGARE CON FIDUCIA.

Eccellenza e necessità della fiducia


L'avvertimento principale che ci fa l'Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l'orazione, siccome prende la forza di meritare dalla carità, così all'incontro ha efficacia di impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le divine misericordie (Serm. III, De annunt.). Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). Oh, le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio! Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). Sì, perché dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice il medesimo Dio: Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e lo glorificherò (Sal 90,14-15). Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi lasceranno di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno, anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e voleranno come aquile (Is 40,31).

Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere, cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15). E dove mai s'è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11). Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal 30,1). E che forse, dice sant'Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta, chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10). Sicché costui sarà talmente d'ogni intorno cinto e guardato da Dio, che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi. Perciò l'Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). Quale sarà la nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la fiducia, grandi saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo, che la divina misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal 32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando la sua confidenza: Va', e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt 8,13). E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza, gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa violenza a Dio, ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).

Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16). Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l'aiuto a perseverare, se godiamo la sua amicizia. A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura. Chi all'incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di esaudire le sue domande. “Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio, perché l'hai domandata senza confidenza” (Const. Monac. c. 2). Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev'essere ferma come un monte, che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore, se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate, state sicuri di averla e così l'otterrete (Mr 11,24).

Fondamento della nostra fiducia

Ma dove, dirà taluno, io miserabile debbo fondare questa confidenza certa di ottenere quel che domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate ed avrete (Gv 16,24). Come possiamo dubitare, dice sant'Agostino, di non essere esauditi, quando Iddio che è la stessa verità promette di concederci ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il Signore non ci esorterebbe a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm. 105). Ma questo è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo replica nelle sacre Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed otterrete quanto desiderate. E perché noi lo preghiamo con la confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato nell'orazione del Pater noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie necessarie alla nostra salute (che già nel Pater noster tutte si contengono), lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster. Mentre vuole, che noi chiediamo a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il figlio povero o infermo cerca il sostentamento o la medicina al suo proprio padre. Se un figlio sta per morire di fame, basta che lo palesi al padre, e questi subito lo provvederà di cibo. E se ha ricevuto qualche morso di serpe velenoso, basterà che presenti al padre la ferita ricevuta, perché il padre applichi il rimedio che già tiene. Fidati dunque alle divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti, ma stabili e fermi, come dice l'Apostolo (Eb 10,23).

Come è certo intanto, che Dio è fedele nelle sue promesse, così deve essere certa ancora la nostra confidenza, che egli ci esaudisca quando lo preghiamo. E se qualche volta, ritrovandoci forse noi in stato di aridità, o disturbati da qualche difetto commesso, non proviamo nel pregare quella confidenza sensibile che vorremmo sentire, sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà di esaudirci. Anzi allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più diffidati da noi, e solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega. Oh, come piace al Signore in tempo di tribolazioni, di timori e di tentazioni il nostro sperare, anche contro la speranza, cioè contro quel sentimento di diffidenza che proviamo allora per causa della nostra desolazione. Di ciò l'Apostolo loda il patriarca Abramo: il quale contro alla speranza credette (Rm 4,18).

Dice S. Giovanni, che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare le grazie in tutti coloro che in lui confidano. Con questa confidenza tanti martiri, tante verginelle, tanti fanciulli, nonostante lo spavento dei tormenti che loro preparavano i tiranni, hanno superato i tormenti e le sofferenze. Talvolta, dico, noi preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non lasciamo allora di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe: Quand'anche mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi dicesse: Dio mio, ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò di pregarvi, e di sperare nella vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo quel che vorremo dal Signore. Così fece la donna Cananea, ed essa ottenne tutto ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo la sua figlia invasata dal demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà di me, Signore, figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio (Mt 15,22). Il Signore le rispose ch'egli non era stato mandato per i Gentili, come ella era, ma per i Giudei. Ma quella non si perdette d'animo, e ritornò a pregare con confidenza: Signore, voi potete consolarmi, mi avete da consolare. Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è bene darlo ai cani. Ma, Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano le briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo la grande confidenza di questa donna, la lodò, e le fece la grazia, dicendo: O donna, grande è la tua fede: ti sia fatto, come desideri. E chi mai, dice l'Ecclesiastico, ha chiamato Dio in suo aiuto, e Dio l'ha disprezzato e non l'ha soccorso? (Ecli 2,12). Dice S. Agostino, che la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo a nostro bene: nello stesso punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende a noi la grazia che domandiamo (Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che vanno unite insieme le nostre suppliche con la misericordia di Dio: Benedetto Dio, il quale non ha allontanato da me né la mia orazione, né la sua misericordia (Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci troviamo pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci esaudisce (In Ps. 45).

Ed io, dico la verità, non mai mi sento più consolato nello spirito, e con maggior confidenza di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui mi raccomando. E lo stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché gli altri segni della nostra salvezza sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza, è verità certa ed infallibile, com'è infallibile, che Dio non può mancare alle sue promesse. Quando ci vediamo deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà, per eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Non diciamo, come dicono alcuni: Non posso, non mi fido. Con le forze nostre non possiamo certamente niente, ma col divino aiuto possiamo tutto. Se Dio dicesse ad uno: prendi questo monte sulle tue spalle, e portalo, perché io ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un infedele, se rispondesse: io non lo voglio prendere, perché non ho forza di portarlo? E così, quando noi ci conosciamo miseri ed infermi quali siamo, e ci troviamo più combattuti dalle tentazioni, non ci perdiamo d'animo, alziamo gli occhi a Dio, e diciamo con David: Con l'aiuto del mio Signore io vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei nemici (Sal 117,7). E quando ci troviamo in qualche pericolo di offendere Dio, o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio dicendo: Il Signore è la mia luce e mia salute: che ho io da temere? (Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci illuminerà, e ci salverà da ogni danno.


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