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Trattato della vera Devozione a Maria (di san Luigi Maria Grignon de Montfort)

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 18:17
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05/09/2009 18:13

PRATICHE PARTICOLARI DI QUESTA DEVOZIONE

Pratiche esteriori



226. Benché l'essenziale di questa devozione consista nell'interiore, essa com­porta diverse pratiche esteriori che non bisogna trascurare: «Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle». Le pra­tiche esteriori, fatte bene, aiutano quelle interiori e ricordano alla persona, che agi­sce sempre per mezzo dei sensi, ciò che sta facendo o ciò che deve fare; esse inoltre hanno il vantaggio di edificare il prossimo che le vede, ciò che non si può dire di quelle interiori. Che nessun mondano, o critico, metta qui il naso per dire che la vera devo­zione sta nel cuore, o che bisogna evitare ciò che è esteriore perché ci può essere vanità, o che si deve tener nascosta la pro­pria devozione, ecc. Rispondo loro con le parole del Maestro: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». Questo, come dice san Gregorio, non perché si debbano com­piere le proprie azioni e devozioni esteriori per compiacere gli uomini e ricavarne qual­che lode: sarebbe vanità; invece si compio­no qualche volta davanti agli altri per pia­cere a Dio e così rendergli gloria, senza preoccuparsi dei disprezzi o delle lodi degli uomini. Presenterò in breve alcune pratiche esteriori, che non sono tali perché mancano di interiorità, ma perché hanno degli aspet­ti esteriori e si distinguono così da quelle puramente interiori.



227. PRIMA PRATICA. Quelli e quelle che vorranno entrare in questa particolare devozione, che non è eretta in confraternita, anche se ciò sarebbe auspicabile, dopo aver dedicato almeno dodici giorni per svuotarsi dello spirito del mondo, contrario a quello di Gesù Cristo, come ho già detto nella prima parte di questa pre­parazione al Regno di Gesù Cristo, impiegheranno tre settimane per riempirsi di Gesù Cristo per mezzo della Santa Vergine. Ecco il programma che potranno seguire.



228. Durante la prima settimana rivolgeranno tutte le loro preghiere e opere di pietà a chiedere la conoscenza di se stes­si e la contrizione dei loro peccati e lo faranno in atteggiamento di totale umiltà. Per questo, se lo vogliono, potranno meditare ciò che ho detto circa il nostro cattivo fondo, considerando­si in questi sei giorni della settimana, come delle lumache e lumaconi, rospi, porci, serpi e caproni. Potranno meditare queste tre frasi di san Bernardo: «Pensa ciò che sei stato: un seme corrotto; ciò che sei: un vaso immondo; ciò che sarai: un cibo per i vermi». Pregheranno Gesù Cristo Signore e il suo Santo Spirito di illuminar­li, dicendo: «Signore, che io veda», oppure: «Che io conosca me stesso», o ancora: «Vieni, Spirito Santo», e diranno tutti i giorni le litanie dello Spirito Santo e l'ora­zione che segue, riportate nella prima parte di questo libro. Ricorreranno alla Santa Vergine e le chiederanno questa grande grazia, che deve essere il fondamento delle altre; per questo reciteranno ogni giorno l'Ave stella del mare e le sue litanie.



229. Nella seconda settimana si appli­cheranno in tutte le loro orazioni e nelle azioni della giornata, a conoscere la Santa Vergine. Chiederanno tale conoscenza allo Spirito Santo. Potranno leggere e meditare ciò che abbiamo detto a questo riguardo. Come nella prima settimana, reciteranno con questa intenzione le litanie dello Spirito Santo e l'Ave stella del mare e, in piu, un rosario intero tutti i giorni, o alme­no una corona.



230. Dedicheranno la terza set­timana a conoscere Gesù Cristo. Potranno leggere e meditare ciò che ne abbiamo detto e recitare l'orazione di sant'Agostino, posta verso l'inizio di que­sta seconda parte. Con lo stesso santo, potranno dire e ripetere cento e cento volte al giorno: «Signore, che io ti conosca!», oppure: «Signore, che io veda chi sei!». Come nelle settimane precedenti, reciteran­no le litanie dello Spirito Santo e l'Ave stel­la del mare, aggiungendo ogni giorno le litanie di Gesù.



231. Al termine di queste tre settima­ne, si confesseranno e comunicheranno, con l'intenzione di darsi a Gesù Cristo, come schiavi d'amore per le mani di Maria. Dopo la comunione, che cer­cheranno di fare seguendo il metodo indicato più avanti, reciteranno la formula di consacrazione, che troveranno ugualmente più avanti; bisognerà scriverla, o farla scrivere, se non è stampata e la fir­meranno il giorno stesso in cui l'hanno pro­nunciata.



232. In quel giorno, sarà bene pagare un qualche tributo a Gesù Cristo e alla sua santa Madre, sia in penitenza della passata infedeltà ai voti del battesimo, sia per affer­mare la propria dipendenza dal dominio di Gesù e di Maria. Questo tributo sarà secon­do la devozione la possibilità di ciascuno; potrebbe essere un digiuno, una mortifica­zione, un'elemosina, un cero; anche se non dessero che uno spillo come omaggio, di buon cuore, sarebbe abbastanza per Gesù, che guarda solo la buona volontà.



233. Almeno ogni anno, nel medesi­mo giorno, rinnoveranno la stessa consa­crazione, osservando le medesime pratiche durante le tre settimane. Anche ogni mese e ogni giorno, potranno rinnovare ciò che hanno fatto, usando poche parole: «Io sono tutto tuo e tutto ciò che ho ti appartiene, amabile mio Gesù, per mezzo di Maria, tua santa Madre».



234. SECONDA PRATICA. Reciteranno tutti i giorni della loro vita, senza però sen­tirsi in obbligo, la piccola corona della Santa Vergine, composta da tre Padre nostro e dodici Ave Maria, in onore dei dodici privilegi e grandezze della Santa Vergine. Questa pratica è molto antica ed è fondata nella Sacra Scrittura. San Giovanni vide una donna coronata di dodici stelle, rivestita di sole e con la luna sotto i suoi piedi; questa donna, secondo gli interpreti, è la Vergine Santa.



235. Vi sono diversi modi per recitar­la bene e sarebbe troppo lungo riferirli; lo Spirito Santo li insegnerà a quelli e quelle che saranno più devoti a questa devozione. Tuttavia, un modo semplice per recitarla è di dire anzitutto: «Degnati di accettare le mie lodi, Vergine Santa; dammi forza con­tro i tuoi nemici». Poi si recita il Credo e quindi un Padre nostro seguito da quattro Ave Maria e un Gloria al Padre; poi un altro Padre nostro, quattro Ave Maria e un Gloria al Padre, e così di seguito. Alla fine si recita: «Sotto la tua protezione ci rtfu­giamo».



236. TERZA PRATICA. E' molto lodevo­le, glorioso e utile per quelli e quelle che si saranno così fatti schiavi di Gesù in Maria, portare come segno della loro schiavitù d'a­more delle piccole catene di ferro, benedet­te con una benedizione propria che si trova qui di seguito. Questi segni esteriori, in verità, non sono essenziali e una persona può benissimo farne a meno, benché infer­vorata di questa devozione; tuttavia non posso che lodare molto quelli e quelle che, dopo aver scosso le catene vergognose della schiavitù del demonio, in cui il pecca­to originale e forse i peccati attuali li avevano imprigionati, si sono volontariamente posti sotto la gloriosa schiavitù di Gesù Cristo e si gloriano con san Paolo di essere in catene per Gesù Cristo, catene mille volte più gloriose e preziose, anche se di ferro e senza splendore, di tutte le collane d'oro degli imperatori.



237. Benché in passato non ci sia stato nulla di più infame della croce, ora questo legno è l'oggetto più glorioso del cristianesimo. Lo stesso è per le catene della schiavitù. Non c'era nulla di più igno­minioso tra gli antichi, e ancora oggi tra i pagani; ma tra i cristiani non c'è nulla di più illustre che queste catene di Gesù Cristo, perché ci liberano e preserva­no dai legami infami del peccato e del demonio; perché ci mettono in libertà e ci legano a Gesù e a Maria, non per costrizione e per forza, come dei forzati, ma per carità e amore, come dei figli: «Io li attirerò a me, dice Dio per bocca di un pro­feta, con catene d'amore». Queste pertan­to sono forti come la morte, e in un certo senso più forti, per coloro che saran­no fedeli a portare fino alla morte queste insegne gloriose. Infatti, ben­ché la morte distrugga i loro corpi riducendoli in polvere, non distruggerà affatto i legami della loro schiavitù, i quali, essendo di ferro, non si corromperanno facilmente e forse nel giorno della risurre­zione dei corpi, al grande ultimo giudizio, queste catene legheranno ancora le loro ossa, entreranno a far parte della loro gloria e saranno mutate in catene di luce e di glo­ria. Felici dunque mille volte gli illustri schiavi di Gesù in Maria, che porteranno le proprie catene fino alla tomba!



238. Ecco le ragioni per portare que­ste catene. Anzitutto è per ricordare al cri­stiano i voti e gli impegni del suo battesi­mo, della rinnovazione perfetta che ne ha fatto con questa devozione e dello stretto obbligo che ha assunto di rimanervi fedele. Poiché l'uomo si lascia condurre più spesso dai sensi che non dalla pura fede, egli dimentica facilmente i suoi obblighi verso Dio, se non ha qualcosa di esteriore che glieli ricordi; queste catenelle servono meravigliosamente al cristiano per rammentargli le catene del peccato e della schiavitù del demonio, da cui il santo batte­simo lo ha liberato, e la dipendenza da Gesù Cristo, che egli ha votato nel santo battesimo e ratificato con la rinnovazione dei propri voti. Una delle ragioni per cui sono così pochi i cristiani che pensano ai propri voti del santo battesimo e che vivo­no da dissoluti, come se nulla avessero pro­messo a Dio, come i pagani, sta nel fatto che essi non portano nessun segno esterio­re che glielo faccia ricordare. 239. In secondo luogo è per mostrare che non si arrossisce della schiavitù e della servitù di Gesù Cristo e che si rinuncia alla funesta schiavitù del mondo, del peccato e del demonio. In terzo luogo è per essere garantiti e preservati dalle catene dcl pec­cato e del demonio. Infatti, o portiamo catene di iniquità, oppure catene di carità e di salvezza.



240. Ah! mio caro fratello, rompiamo le catene dei peccati e dei peccatori, del mondo e dei mondani, del demonio e dei suoi seguaci; gettiamo lontano da noi il loro giogo funesto: «Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami» «Mettiamo i nostri piedi, mi servo delle parole dello Spirito Santo, nei suoi ceppi gloriosi e il nostro collo nelle sue catene». Curviamo le spalle e portiamo la Sapienza, che è Gesù Cristo, e non mostriamoci infastiditi dalle sue catene: «Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi, il collo nella sua catena». «Piega la tua spalla e portala, non disdegnare i suoi legami». Nota che prima di dire que­ste parole, lo Spirito Santo prepara l'anima, affinché non abbia a rigettare il suo impor­tante consiglio. Le dice infatti: «Ascolta, figlio, e accetta il mio parere; non rigettare il mio consi­glio».



241. Mio caro amico, lascia che io mi unisca allo Spirito Santo per darti il medesimo consiglio: «Le sue catene sono legami di salvezza». Poiché Gesù Cristo dalla croce deve attira­re a sè ogni cosa, per amore o per forza, egli attirerà i cattivi con le catene dei loro pec­cati, per incatenarli alla sua ira eterna e alla sua giustizia vendicatrice, come dei forzati e dei demoni; ma i veri credenti li attirerà con le catene della carità, soprattutto in questi ultimi tempi: «Attirerò tutti a me». «Io li traevo con legami di bontà, con vin­coli d'amore».



242. Questi schiavi d'amore di Gesù Cristo, o incatenati di Gesù Cristo, possono portare le proprie catene, o al collo, o al polso, o sui fianchi, o ai piedi. Il Padre Vincenzo Caraffa, settimo generale della Compagnia di Gesù, morto in concetto di santità nell'anno 1643, come segno della sua servitù portava un cerchio di ferro ai piedi e diceva che la sua sofferenza stava nel non poter trascinare pubblicamente la propria catena. La Madre Agnese di Gesù, di cui abbiamo parlato, portava una catena di ferro ai fianchi. Altri l'hanno portata al collo, in penitenza per le collane di perle che avevano portato nel mondo. Altri le hanno portate ai polsi, per ricordarsi, quando lavoravano con le mani, di essere schiavi di Gesù Cristo.



243. QUARTA PRATICA. Avranno una speciale devozione per il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo, il 25 marzo, che è il mistero tipico di questa devozione. Essa infatti è stata ispirata dallo Spirito Santo: 1°. per onorare e imitare la misterio­sa dipendenza che il Figlio di Dio ha volu­to avere da Maria, a gloria di Dio suo Padre e per la nostra salvezza; tale dipendenza appare in modo particolare in questo miste­ro, nel quale Gesù Cristo è come prigionie­ro e schiavo nel seno della divina Maria e da lei dipende in ogni cosa; 2°. per ringra­ziare Dio delle grazie eccezionali che ha fatto a Maria e particolarmente di averla scelta come sua degnissima Madre: scelta che è avvenuta in questo mistero. Ecco i due fini principali della schiavitù di Gesù Cristo in Maria.



244. Ti prego di osservare come io dica di solito: schiavo di Gesù in Maria, o schiavitù di Gesù in Maria. In verità, come molti hanno fatto finora, si può anche dire: schiavo di Maria, o schiavitù della Santa Vergine; ma credo sia meglio dirsi schiavo di Gesù in Maria, come il Tronson, supe­riore generale del Seminario di San Sulpizio, famoso per la sua rara prudenza e per la pietà consumata, lo ha consigliato a un ecclesiastico che lo consultava a questo proposito. Ecco il perché.



245. 1°. Poiché viviamo in un secolo pieno di orgogliosi, con tanti intellettuali pieni di sè, spiriti forti e critici, che trovano a ridire anche sulle pratiche di pietà più solide e meglio motivate, per non dare loro occasione di critica senza necessità, è meglio dire schia­vitù di Gesù Cristo in Maria, o dirsi schia­vo di Gesù Cristo, piuttosto che schiavo di Maria. Così facendo, la presente devozione prende nome da Gesù Cristo, suo fine ulti­mo, piuttosto che da Maria, che è il cammi­no e il mezzo per arrivare a questo fine; ma in realtà si può usare l'una o l'altra espres­sione, senza scrupolo, come faccio io. Per esempio, se uno viaggia da Orléans a Tours, passando per Ambo i se, può ben dire che va ad Amboi se, o che va a Tours; che è in cam­mino per Amboise, o per Tours; la differen­za tuttavia è che Amboise rappresenta la strada dritta per andare a Tours, e che in effetti è Tours il fine ultimo e il termine del viaggio.



246. 2°. Poiché il mistero principale che si vuol celebrare e onorare in questa devozione è il mistero dell'Incarnazione, nel quale Gesù Cristo appare in Maria, fatto uomo nel suo grembo, è più appropriato dire schiavitù di Gesù in Maria, di Gesù che abita e regna in Maria, come dice quella bella preghiera recitata da persone illustri: «O Gesù vivente in Maria, vieni e vivi in noi, nel tuo spirito di santità... ».



247. 3°. Questo modo di esprimersi sottolinea meglio l'intima unione che c'è tra Gesù e Maria. Essi sono così intimamente uniti, che l'uno è tutto nell'altro: Gesù è tutto in Maria, e Maria è tutta in Gesù; o piuttosto, ella non esiste più, ma è Gesù solo che è in lei; si potrebbe più facilmente separare la luce dal sole, che Maria da Gesù: tanto che Gesù Cristo Signore può essere chiamato Gesù di Maria, e la Vergine Santa può essere detta Maria di Gesù.



248. Il tempo non mi permette qui di fermarmi a spiegare le eccellenze e le grandezze del mistero di Gesù che vive e regna in Maria, cioè dell'Incarnazione del Verbo. In due parole, voglio solo dire che abbiamo qui il primo mistero di Gesù Cristo, il più nascosto, il più alto e il meno conosciuto. E' in questo mistero che Gesù, in accordo con Maria e nel suo grembo chiamato per questo dai santi: la sala dei segreti di Dio ha scelto tutti gli eletti. In questo mistero egli ha operato tutti i misteri della sua vita che sono venuti in seguito, poiché li aveva accettati: «Entrando nel mondo, Cristo dice: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà... Perciò questo mistero è una sintesi di tutti i misteri; esso contiene la volontà e la grazia di tutti gli altri. E infine, questo mistero è il trono della misericordia, della liberalità e della gloria di Dio. Trono della sua misericordia verso di noi, poiché non ci possiamo avvicinare a Gesù, né par­largli, se non per mezzo di Maria; non pos­siamo vedere Gesù, né parlargli, se non mediante Maria. Ora Gesù ascolta sempre la sua cara Madre e concede sempre la sua grazia e la sua misericordia ai poveri pec­catori: «Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia». E' il trono della sua liberalità verso Maria poiché, mentre questo nuovo Adamo dimorava in questo paradiso terrestre, ope­rava tante meraviglie nel segreto, che né gli angeli, né gli uomini possono comprende­re; ecco perché i santi chiamano Maria la magnificenza di Dio, come se Dio non fosse magnifico che in Maria. Ed è il trono della gloria che Gesù rende al Padre suo: è infatti in Maria che Gesù Cristo ha placato in modo perfetto il Padre suo, irritato con­tro gli uomini; ed ha riparato in modo per­fetto la gloria che il peccato aveva portato via; con il sacrificio che gli fece della sua volontà e di se stesso, gli rese più gloria che non tutti i sacrifici dell'Antica Legge; insomma gli ha reso una gloria infinita che mai il Padre aveva ancora ricevuto da parte dell'uomo.



249. QUINTA PRATICA. Avranno una grande devozione per l'Ave Maria e ameranno recitare questo angelico saluto, di cui pochi cristiani, anche istruiti, conoscono il valore, il meri­to, la grandezza e l'importanza. Per mostrarne il valore, la Vergine Santa ha dovuto apparire più volte a dei grandi santi, altamente illuminati, come a san Domenico, san Giovanni da Capistrano, al beato Alain de la Roche. Essi hanno poi riempito interi volumi, esponendo le mera­viglie e l'efficacia di questa preghiera nella conversione delle anime; hanno scritto con profondità e hanno predicato in pubblico che la salvezza del mondo è iniziata con l'Ave Maria, e che la salvezza di ciascuno è legata a questa preghiera; una preghiera che ha procurato il frutto di vita a una terra secca e sterile e che, se recitata bene, fa germogliare nelle anime la parola di Dio e porta il frutto di vita, Gesù Cristo; e che l'Ave Maria è una celeste rugiada che bagna la terra, cioè l'anima, perché porti frutto a suo tempo, e che un'anima che non sia irro­rata da questa preghiera o rugiada celeste, non porta nessun frutto e non produce che rovi e spine, e va incontro alla condanna.



250. Ecco ciò che la Santa Vergine ha rivelato al beato Alain de la Roche, come è scritto nel suo libro De Dignitati Rosarii, riferito poi da Cartagena: «Sappi, figlio mio, e fallo conoscere a tutti, che un segno probabile e vicino di dannazione eterna sta nell'avere avversione, o nell'essere indifferenti, o negligenti, nella recita del Saluto angelico, che ha salvato il mondo intero». Sono parole consolanti e terribili nello stes­so tempo: si esiterebbe a crederle se non fossero garantite da questo santo uomo, e da san Domenico prma di lui, e poi da altri illustri autori, lungo l'esperienza di diversi secoli. Si è sempre notato infatti che coloro che portano il segno di condanna come gli eretici e i falsi credenti, gli orgogliosi e i mondaini, odiano o disprezzano l’Ave Maria e il Rosario. Gli eretici accettano ancora e recitano il Padre Nostro, ma non l'Ave Maria, nè il Rosario; li aborriscono: porte­rebbero addosso più volentieri una serpe, che una corona del Rosario. E così gli orgo­gliosi: pur essendo cattolici, ma avendo le stesse inclinazioni di Lucifero, loro padre, disprezzano l'Ave Maria, o ne sono indiffe­renti, e considerano il Rosario come una devozione da donnette, buona solo per gli ignoranti e per quelli che non sanno legge­re. Al contrario invece, si è visto che, per esperienza, quelli e quelle che portano i grandi segni della salvezza, amano, gustano e recitano con gioia l'Ave Maria; e più essi sono di Dio, e maggiormente amano questa preghiera. E' ciò che la Santa Vergine dice ancora al beato Alain, dopo le parole riferite sopra.



251. Io non so come e perché questo succeda, ma so che è vero; e anch'io non ho un miglior segreto per conoscere se una persona è di Dio, che quello di verificare se ama dire l'Ave Maria e il Rosario. Dico: se ama recitarla, perché può succedere che un'anima sia nella impossibilità naturale o anche soprannaturale di farlo, ma la ama sempre e la ispira agli altri.



252. Anime dei veri credenti, schiave di Gesù in Maria, sappiate che dopo il Padre nostro, la preghiera più bella di tutte è l'Ave Maria. E' il complimento più perfetto che possiate rivolgere a Maria, poiché è quello che l'Altissimo le rivolse, per mezzo di un arcangelo, per conquistarne il cuore; e fu così efficace sul cuore di lei, a causa dei segreti incanti di cui è pieno, che Maria diede il proprio consenso alla Incarnazione del Verbo, malgrado la sua profonda umiltà. E' ugualmente per mezzo di questo compli­mento che voi conquisterete il suo cuore infallibilmente, se lo direte come si deve.



253. L'Ave Maria recitata bene, cioè con attenzione, devozione e semplicità, è al dire dei santi il nemico del demonio, che mette in fuga, e il martello che lo schiaccia; è la santificazione dell'anima, la gioia degli angeli, la melodia dei veri cre­denti, il cantico del Nuovo Testamento, il gaudio di Maria e la gloria della santissima Trinità. L'Ave Maria è una celeste rugiada che rende feconda l'anima; è un bacio casto e amoroso che viene dato a Maria; è una rosa rossa che le viene presentata, una preziosa perla che le viene offerta; è una coppa di ambrosia e di nettare divino che le si porge. Sono tutte immagini usate dai santi.



254. Vi prego quindi vivamente, per l'amore che vi porto in Gesù e Maria: non vi basti recitare la piccola corona della Santa Vergine, ma dite il Rosario ogni gior­no, anche intero se ne avete il tempo; nel­l'ora della vostra morte, benedirete il gior­no e l'ora in cui mi avete dato retta; infatti, dopo aver seminato benedicendo Gesù e Maria, raccoglierete benedizioni eterne in cielo: «Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà»



255. SESTA PRATICA. Per ringraziare Dio delle grazie che ha dato alla Santa Vergine, diranno sovente il Magnificat, sul­l'esempio della beata Maria d'Oignies e di molti altri santi. E' l'unica preghiera e la sola composizione della Vergine Santa, o piuttosto di Gesù in lei, perchè era lui che parlava per bocca di lei. E’ il più grande sacrificio di lode che Dio abbia ricevuto sotto la Legge della grazia: il più umile e colmo di riconoscenza da una parte, e dal­l'altra il più sublime e alto di tutti i cantici; contiene misteri così grandi e nascosti, che neppure gli angeli conoscono. Gersone, un pio e dotto professore, dopo aver impie­gato gran parte della propria vita a scrivere trattati pieni di erudizione e di fede sulle materie più difficili, verso la fine della vita intraprese tremando la spiegazione del Magnificat, come a coronamento delle proprie opere. In un volume in folio da lui composto, egli ci riferisce molte cose meravigliose a proposito di questo bel cantico divino. Tra l'altro, dice che la Santa Vergine medesima lo recitava sovente e in particolare dopo la santa Comunione. come ringraziamcnto. Il dotto Benzonio, ugualmente spiegando il Magnificat, riporta molti miracoli operati in forza sua e afferma che i demoni trema­no e fuggono quando sentono queste paro­le del Magnificat: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore»



256. SETTIMA PRATICA. I fedeli servi­tori di Maria devono molto disprezzare, odiare e fuggire il mondo corrotto. Possono servirsi delle pratiche per il disprezzo del mondo, che abbiamo esposto nella prima parte.



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