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L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
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05/09/2009 21:48

Parte prima

Dio vuole le opere e
la vita interiore




Capitolo I

Le opere e perciò anche lo zelo sono voluti da Dio



E’ attributo della natura divina l’essere generosa. Dio è bontà infinita e la bontà non desidera altro che diffondersi e comunicare il bene di cui gode.

La vita mortale del Signore non è stata altro che una manifestazione di questa inesauribile generosità. Il Vangelo ci mostra il Redentore che semina sul suo cammino i tesori amorosi di un Cuore avido di attirare gli uomini alla verità e alla vita.

Quella fiamma di apostolato, Gesù Cristo la comunicò alla Chiesa che è un dono del suo amore, diffusione della sua vita, manifestazione della sua verità, splendore della sua santità. Animata dallo stesso fuoco, la mistica Sposa di Cristo continua, lungo il corso dei secoli, l’opera d’apostolato del suo divino Modello.

O ammirabile disegno e universale legge stabilita dalla divina Provvidenza! L’uomo deve conoscere la via della salute per mezzo dell’uomo1. Soltanto Gesù Cristo ha versato il Sangue che riscatta il mondo; Egli solo avrebbe potuto conferirgli la virtù di agire immediatamente sulle anime, come fa attraverso l’Eucarestia; ma Egli ha voluto eleggersi dei cooperatori per diffondere i suoi benefici. Per quale ragione? Certamente perché così l’esigeva la Maestà Divina, ma non meno lo spingevano le sue tenerezze verso l’uomo. Se al più grande dei monarchi è conveniente governare solitamente per mezzo di ministri, quale condiscendenza da parte di Dio, nel degnarsi di associare povere creature alle sue opere e alla sua gloria!

Nata sulla Croce, sgorgata dal costato trafitto di Cristo, la Chiesa perpetua col ministero apostolico l’opera benefica e redentrice dell’Uomo-Dio. Questo ministero voluto da Cristo diventa così il fattore essenziale della diffusione della Chiesa tra le nazioni e lo strumento il più ordinario delle sue conquiste.

In questo apostolato figura in prima fila il clero, la cui gerarchia forma i quadri dell’esercito di Cristo; clero illustrato da tanti Vescovi e Sacerdoti santi e pieni di zelo, ed onorato così gloriosamente dalla recente beatificazione del santo Curato d’Ars.

A fianco di questo clero ufficiale, fin dalle origini del Cristianesimo sorsero compagnie di volontari, veri corpi scelti, la cui fioritura perenne e rigogliosa costituirà sempre uno dei fenomeni più evidenti della vitalità della Chiesa.

Nei primi secoli nacquero anzitutto gli Ordini Contemplativi, la cui preghiera incessante e le macerazioni più dure tanto contribuirono alla conversione delle genti pagane. Nel medioevo sorsero gli Ordini Predicatori, gli Ordini Mendicanti, gli Ordini Militari, gli Ordini che si votano all’eroica missione di riscattare i prigionieri dalle mani degli infedeli. I tempi moderni infine hanno visto sorgere una vera moltitudine di Milizie insegnanti, Istituti, Società di Missionari, Congregazioni di ogni specie, che mirano a diffondere il bene spirituale e corporale sotto tutte le forme.

Inoltre, in ogni epoca della sua storia, la Chiesa ha sempre trovato preziosi collaboratori nei semplici fedeli, come quei ferventi cattolici divenuti oggi una legione, gli «uomini d’azione» – per usare l’espressione consacrata – dal cuore ardente che, riuscendo ad unire le loro forze, mettono al servizio della nostra Madre comune, senza alcuna riserva, tempo, capacità, beni, immolando spesso la propria libertà e non di rado versando il proprio sangue.

E’ veramente uno spettacolo mirabile e confortante questa provvidenziale fioritura di opere che nascono a tempo dovuto e sempre meravigliosamente adatte alle circostanze. La storia della Chiesa lo dimostra: ogni nuovo bisogno da soddisfare, ogni pericolo da scongiurare ha visto immancabilmente sorgere l’istituzione richiesta dalle necessità del tempo.

Ed anche oggi, a mali di particolare gravità, vediamo opporsi una moltitudine di opere ieri appena conosciute: Catechismi in preparazione alla prima Comunione, Catechismi di perseveranza, Catechismi per i fanciulli abandonati, Congregazioni, Confraternite, Riunioni e Ritiri per uomini e giovani, per signore e ragazze, Apostolato della preghiera, Apostolato della carità, Leghe per il riposo festivo, Patronati, Circoli cattolici, Opere militari, Scuole libere, Buona stampa eccetera: tutte forme di apostolato suscitate da quello spirito che infiammava l’anima di S. Paolo – «In quanto a me ben volentieri sacrificherò del mio, anzi tutto me stesso, per le anime vostre» (2 Cor., 12, 15) – e che vuol diffondere ovunque i benefici del sangue di Gesù Cristo.

Possano queste umili pagine giungere a quei soldati che, pieni di zelo ed ardore per la loro nobile missione, proprio a causa dell’attività svolta, si espongono al pericolo di non essere prima di tutto uomini di vita interiore e che, se venissero puniti un giorno con insuccessi in apparenza inesplicabili, come pure da gravi danni spirituali, potrebbero essere tentati di abbandonare la lotta e ritirarsi scoraggiati sotto la tenda.

I pensieri sviluppati in questo libro furono anche a me di grande aiuto per lottare contro il perdersi nell’azione esteriore. Possano essi evitare ad alcuni le delusioni e guidare meglio il loro coraggio, mostrando a loro che il Dio delle opere non dev’essere mai abbandonato per fare le opere di Dio, e che il motto «Guai a me, se non avrò evangelizzato» (1 Cor., 4, 16) non ci dà mai il diritto di dimenticare quest’altro: «Che giova all’uomo guadagnare fosse anche tutto il mondo, se poi perde la propria anima?» (Mt. 16, 25)

I padri e le madri di famiglia, per i quali il libro Introduzione alla vita devota2 non è ormai sorpassato, gli sposi cristiani che si considerano vicendevolmente obbligati ad un apostolato che esercitano nel tempo stesso verso i propri figli per formarli all’amore e all’imitazione del Salvatore, possono applicare anche a loro stessi l’insegnamento di queste modeste pagine. Possano anch’essi meglio comprendere la necessità d’una vita non solo pia ma anche interiore, per rendere efficace il loro zelo e imbalsamare la loro casa con lo spirito di Cristo e con quella pace inalterabile che, nonostante tutte le prove, sarà sempre la caratteristica delle famiglie profondamente cristiane.


– II –
Dio vuole che Gesù sia
la Vita delle opere


La scienza va giustamente fiera delle sue enormi conquiste. Ma una cosa le fu finora e le sarà per sempre impossibile: creare la vita, far uscire dal laboratorio chimico un chicco di frumento o una larva. Il clamoroso fallimento dei difensori della generazione spontanea ci ha istruito su tale pretesa. Iddio riserva per sé il potere di creare la vita.

Nel regno vegetale od animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, sebbene la loro fecondità si realizzi solo nelle condizioni stabilite dal Creatore. Quando però si tratta della vita intellettuale, Dio la riserva a sé ed è Lui stesso che crea direttamente l’anima ragionevole. V’è tuttavia un altro ordine di cui è ancora più geloso ed è quello della vita soprannaturale, poiché essa è emanazione della Vita divina comunicata all’Umanità dal Verbo Incarnato.

L’Incarnazione e la Redenzione stabiliscono Gesù Cristo come Sorgente, e Sorgente unica, di quella vita divina alla quale tutti gli uomini sono chiamati a partecipare. «Per il Signore nostro Gesù Cristo: per Lui, con Lui ed in Lui» (dalla Liturgia). Il compito essenziale della Chiesa sta nel diffondere questa vita mediante i Sacramenti, la preghiera, la predicazione e tutte le opere che vi si connettono.

Dio non fa nulla se non mediante suo Figlio: «Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui non è stato fatto nulla di ciò che esiste» (Gv. 1, 3). Ciò è vero nell’ordine naturale, ma molto di più nell’ordine soprannaturale, dove si tratta di comunicare la sua vita intima e di far partecipare agli uomini la sua natura trasformandoli in figli di Dio.

«Sono venuto affinchè ricevessero la vita. Io sono la vita. In Lui era la vita» (Gv. 10, 10; Gv. 14, 6; Gv. 1, 4). Che precisione in queste parole! Quanta luce nella parabola della vite e dei tralci, in cui il Maestro sviluppa questa verità! Quanta insistenza per imprimere nello spirito dei suoi Apostoli questo principio fondamentale – Lui solo, Gesù, è la Vita – e questa conseguenza: per partecipare a questa vita e comunicarla agli altri, essi per primi devono essere innestati sull’Uomo-Dio!

Gli uomini chiamati all’onore di cooperare col Salvatore per trasmettere alle anime questa vita divina, devono perciò considerarsi come semplici canali incaricati di attingere a questa unica Sorgente.

L’uomo apostolico che, misconoscendo questi principi, credesse di produrre il minimo vestigio di vita soprannaturale senza attingerla totalmente dal Cristo, farebbe pensare che la sua ignoranza teologica sia pari solo alla sua sciocca presunzione.

Se l’apostolo, pur riconoscendo in teoria che il Redentore è la causa primordiale di ogni vita divina, in pratica però dimenticasse tale verità e, accecato da una folle presunzione che è un’ingiuria verso Gesù Cristo, facesse affidamento soltanto sulle proprie forze, sarebbe un disordine meno grave del precedente, ma sempre insopportabile agli occhi di Dio.

Respingere la verità o farne a meno nell’agire, è pur sempre un disordine intellettuale, sia esso dottrinale o pratico. E’ la negazione di un principio che deve informare la nostra condotta. Il disordine si aggraverà, evidentemente, se la verità, invece di potersi irraggiare, trova il cuore dell’uomo di azione in opposizione al Dio di ogni luce, per colpa del peccato o per tiepidezza volontaria.

Il comportamento di chi si occupa delle opere come se Gesù non fosse l’unico principio di vita, veniva bollato dal cardinale Mermillod come «eresia dell’azione». Con tale espressione, egli condannava l’aberrazione d’un apostolo il quale, dimenticando che il suo ruolo è secondario e subordinato, si attende i successi del suo apostolato unicamente dalla sua attività personale e dalle sue capacità. Non è questo una negazione pratica di una gran parte del Tractatus de Gratia? Ripugna a prima vista una simile conseguenza, ma a ben pensarci è fin troppo vera.

«Eresia dell’azione»! L’attività febbrile che si sostituisce all’azione di Dio; la Grazia misconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù Cristo; la vita soprannaturale, la potenza della preghiera e l’economia della Redenzione relegate, almeno praticamente, fra le astrazioni: sono un caso tutt’altro che immaginario e che la conoscenza delle anime rivela essere frequentissimo, benché in gradi diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto in base alle apparenze ed agisce come se il successo di un’opera dipendesse principalmente da un’ingegnosa organizzazione.

Anche prescindendo dalla Rivelazione, al solo lume della filosofia, non si potrebbe che commiserare un uomo mirabilmente dotato, che si rifiutasse di riconoscere Dio come il principio dei magnifici talenti di cui è dotato.

Cosa proverebbe un cattolico istruito nella religione, vedendo un apostolo che ostenta, almeno implicitamente, la pretesa di comunicare alle anime il sia pur minimo grado di vita divina, facendo a meno di Dio?

«Ah, insensato!», esclameremmo nell’ascoltare un operaio evangelico che osasse dire: «Mio Dio, non suscitate ostacoli alla mia impresa, non venite ad intralciarla, ed io m’incaricherò di condurla a buon fine».

Il nostro sentimento sarebbe soltanto un riflesso dell’avversione provata da Dio alla vista di un tale disordine, alla vista di un presuntuoso che spingesse il suo orgoglio fino a voler dare la vita soprannaturale, produrre la fede, debellare il peccato, condurre alla virtù, infervorare le anime con le sole forze proprie e senza attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e sovrabbondante del Sangue divino, ch’è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e d’ogni vita spirituale.

Per riguardo all’Umanità di suo Figlio, Dio deve confondere questi falsi cristi paralizzando le loro opere di superbia o permettendo ch’esse ottengano soltanto miraggi effimeri.

Fatta eccezione per tutto quello che agisce sulle anime ex opere operato, e sempre per un riguardo dovuto al Redentore, Dio deve privare l’apostolo pieno di sufficienza delle sue migliori benedizioni, per darle al tralcio che umilmente riconosce di trarre la sua linfa vitale dalla sola Vite divina. Altrimenti, se Dio benedicesse con risultati profondi e duraturi un’attività infetta da quel virus che abbiamo chiamato «eresia dell’azione», sembrerebbe che egli stesso incoraggiasse tale disordine e ne permettesse il contagio.

Capitolo III

Che cosa è la Vita interiore?



Come nella Imitazione di Cristo3, anche in questo libro le espressioni «vita d’orazione» e «vita contemplativa» vengono applicate allo stato di quelle anime che si dedicano seriamente ad una vita cristiana non comune, ma tuttavia accessibile a tutti e, nella sostanza, obbligatoria per tutti.4

Pur senza attardarci in uno studio di ascetica, ci limitiamo a richiamare ciò che ognuno è obbligato ad accettare come assolutamente certo per il governo intimo della sua anima.

Prima Verità. – La vita soprannaturale è, in me, la vita di Gesù Cristo medesimo, mediante la fede, la speranza e la carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, in qualità di Verbo, in unione col Padre e lo Spirito Santo, è la causa efficiente della grazia santificante nelle anime nostre.

La presenza del Signore per mezzo di questa vita soprannaturale non è la presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza d’azione vitale, come l’azione della testa e del cuore sulle altre membra. Azione intima che Dio nasconde di solito alla mia anima per aumentare il merito della mia fede; azione pertanto abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, e che solo la fede mi impone di credere per obbligo; azione divina che preserva il mio libero arbitrio, e si serve di tutte le cause seconde – avvenimenti, persone e cose – per portarmi alla conoscenza della volontà di Dio e per offrirmi l’occasione d’acquistare ed accrescere la mia partecipazione alla vita divina.

Questa vita, iniziata nel Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata dalla Cresima, ricuperata con la Penitenza, sostenuta e arricchita con l’Eucarestia, è la mia Vita cristiana.

Seconda Verità. – Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito, divenendo così un principio di attività superiore che, se non l’ostacolo, mi porta a pensare, a giudicare, ad amare, a volere, a soffrire, a lavorare con Lui, in Lui, mediante Lui e come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione della vita di Gesù in me ed in tal modo io tendo a realizzare l’ideale della vita interiore formulato da san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2, 20).

Vita cristiana, pietà, vita interiore, santità, non sono cose essenzialmente diverse, ma gradi di un medesimo amore; sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.

Quando in questo libro usiamo l’espressione «vita interiore», non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè – se così possiamo esprimerci – «il capitale della vita divina» che è in noi con la grazia santificante; intendiamo piuttosto la vita interiore attuale, ossia la valorizzazione di questo capitale con l’attività dell’anima e la sua fedeltà alle grazie attuali.

Posso pertanto così definire la vita interiore: lo stato di attività di un’anima che reagisce per regolare le sue naturali inclinazioni, e si sforza d’acquistare l’abitudine di giudicare e governarsi in tutto secondo le luci del Vangelo e gli esempi di Nostro Signore.

Ci sono dunque due movimenti. Col primo, l’anima si allontana da ciò che il creato può avere in opposizione alla vita soprannaturale e cerca di essere continuamente presente a se stessa: aversio a creaturis. Col secondo, l’anima va verso Dio per unirsi a Lui: conversio ad Deum.

Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che il Signore le offre in ogni momento; in una parola, vive unita a Gesù e realizza in se stessa le parole: «Se uno rimane in me e io in lui, costui porta gran frutto» (Gv. 15, 4).

Terza Verità. – Io mi priverei di uno dei più potenti mezzi per acquistare la vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede precisa e certa di questa presenza attiva di Cristo in me, e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, anzi vivissima, che penetri sempre più l’atmosfera delle mie facoltà. Se Gesù diventasse la mia luce, il mio ideale, il mio consigliere, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma tutta la mia vita, allora io acquisterei tutte le virtù. Soltanto allora potrò sinceramente recitare quella mirabile preghiera di san Bonaventura proposta dalla Chiesa ai Sacerdoti come ringraziamento dopo la santa Messa: «Transfige, dulcissime Domine Jesu...»5

Quarta Verità. – In proporzione all’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere in ogni momento mediante una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù Cristo in me, infusione che è prodotta:

1) in occasione di atti meritori, cioè virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazioni di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione, preghiera, Messa, atti di devozione verso Maria Santissima, eccetera;

2) dai Sacramenti ed in special modo dall’Eucarestia.

E’ dunque certo – e questa conseguenza mi schiaccia con la sua sublimità e profondità, ma più ancora mi dà gioia e coraggio – è dunque certo che per mezzo di ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, Voi stesso, che vi presentate oggettivamente a me in ogni istante. Sotto quelle apparenze, Voi nascondete la vostra sapienza ed il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione per accrescere la vostra Vita in me.

O anima mia, Gesù si presenta ogni volta a te per mezzo della grazia del momento presente, della preghiera da dire, della Messa da celebrare o da ascoltare, della lettura da fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinunzia, di lotta, di confidenza, di amore da compiere. Oseresti tu voltare la faccia o sottrarti?

Quinta verità. – Causata dal Peccato originale ed accresciuta da ciascuno dei miei peccati attuali, la triplice concupiscenza depone in me germi di morte, opposti alla vita di Gesù. Ora, nella stessa misura con cui tali germi si sviluppano, essi diminuiscono l’esercizio di questa vita e possono anche arrivare, ahimé, a sopprimerla.

Tuttavia, né inclinazioni, né sentimenti contrari a questa vita, né tentazioni per quanto violente e prolungate possono recarle danno, finché la mia volontà oppone resistenza. Anzi, e questa è una verità consolante, in proporzione del mio zelo, essi contribuiscono ad aumentarla come ogni altro elemento di lotta spirituale.

Sesta Verità. – Senza l’uso fedele di mezzi determinati, la mia intelligenza si acciecherà e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù alla crescita o perfino al mantenimento della sua vita in me. Allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita ed io m’incammino verso la tiepidezza della volontà6. Per dissipazione, per mollezza, per illusione o per acciecamento, vengo a patti col peccato veniale, e siccome questo dispone facilmente a cadere nel peccato mortale, divento quindi incerto della mia salvezza.

Se io avessi la disgrazia di cadere in questa tiepidezza (e a maggior ragione se cadessi più in basso) dovrei prendere ogni mezzo per uscirne: cioè

1) ravvivare il timor di Dio, riflettendo profondamente sul mio fine, sulla mia morte, sul giudizio di Dio, sull’inferno, sull’eternità, sul peccato, eccetera;

2) ravvivare la compunzione mediante la conoscenza amorosa delle vostre piaghe, o misericordioso Redentore. Con lo spirito sul Calvario, mi getterò ai vostri santi piedi, perché il vostro Sangue vivo, colando sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio acciecamento, sciolga il ghiaccio della mia anima e scuota il torpore della mia volontà.

Settima Verità. – Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:

1) se tralascio di accrescere la sete di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in tutto a Dio ed il timore di dispiacergli in qualche modo. Ora questo avviene certamente se non faccio più uso dei mezzi che sono la preghiera del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Ufficio, gli esami di coscienza, particolare e generale, la lettura spirituale, oppure se per mia colpa essi non m’apportano più alcun profitto;

2) se non ho più quel minimo di raccoglimento che mi permetta, durante le mie occupazioni, di conservare il mio cuore in una purità e generosità sufficiente perché non sia soffocata la voce di Gesù, che mi mette in guardia dai fattori di morte che si presentano e m’invita a combatterli. Questo raccoglimento mi verrà a mancare, se io non uso i mezzi atti ad assicurarlo: e cioè vita liturgica, giaculatorie specialmente in forma di supplica, comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio, ecc.

Se manca questo raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella mia vita, senza che nemmeno me ne renda conto. Per nasconderli, o perfino per non lasciar trasparire uno stato ancor più lacrimevole, l’illusione si servirà dell’apparenza di una pietà più speculativa che pratica, dello zelo per le opere d’apostolato ecc. Il mio accecamento sarà colpevole perché, con la mancanza del necessario raccoglimento, io ne avrò posta e mantenuta la causa.

Ottava Verità. – La mia vita interiore sarà proporzionata alla custodia del cuore: «Con ogni cura custodisci il tuo cuore, perché da ciò procede la vita» (Pv. 4, 23).

La custodia del cuore altro non è che l’abituale o almeno frequente sollecitudine di preservare tutti i miei atti, man mano che si presentano, da tutto ciò che potrebbe viziarli nel loro movente o nella loro esecuzione.

Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma anche energica e basata sul ricorso filiale a Dio. Questo è più un lavoro del cuore e della volontà che non della mente, la quale deve rimanere libera per compiere i suoi doveri. Lungi dal contrastare l’azione, la custodia del cuore la rende più perfetta, regolandola secondo lo spirito di Dio e mettendone a fuoco i doveri di stato.

Tale esercizio lo si può praticare in ogni momento; è come lo sguardo del cuore sulle azioni presenti ed un’attenzione moderata sulle diverse parti di un’azione che si sta compiendo. E’ l’osservanza esatta del motto «Age quod agis» (fai con cura quel che devi fare). Simile a vigile sentinella, esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che passa nel suo interno – impressioni, intenzioni, passioni, inclinazioni – insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole, azioni.

La custodia del cuore esige un certo raccoglimento che non può realizzarsi in un’anima dissipata. Soltanto con la frequenza di questo esercizio se ne acquista l’abitudine.

«Quo vadam ed ad quid?» Dove sto andando e a che scopo? Cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto? Cosa mi consiglierebbe? Cosa mi chiede in questo momento? Tali sono le domande che vengono spontaneamente in mente all’anima avida di vita interiore.

Per l’anima che va a Gesù mediante Maria, questa custodia del cuore acquista un carattere ancor più facilmente affettivo e ricorrere a questa buona Madre diviene un bisogno incessante del suo cuore.

Nona Verità. – Gesù Cristo regna nell’anima quando essa aspira ad imitarlo seriamente, in ogni cosa e con affetto. In questa imitazione vi sono due gradi:

1) L’anima si sforza di diventare indifferente alle creature in se stesse, siano esse conformi o contrarie ai suoi gusti. Sull’esempio di Gesù, in tutte le cose non accetta altra legge che la volontà di Dio: «Sono disceso dal Cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha inviato» (Gv. 6, 38).

2) «Cristo non cercò la propria soddisfazione» (Rom. 15, 3). L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’ «agendo contra» di cui parla Sant’Ignazio nella celebre meditazione sul Regno di Cristo7, è l’azione contro la natura per andare di preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore per le sofferenze e le umiliazioni. Allora l’anima, secondo la parola di San Paolo, conosce veramente Cristo: «Didicistis Christum» (Ef. 4, 20).

Decima Verità. – In qualunque stato io mi trovi, se voglio pregare e diventare fedele alla sua grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisca la sua intimità e mi permetta di sviluppare la sua vita in me. Allora, nel progredire, l’anima non cesserà di possedere la gioia anche in mezzo alle prove e si realizzeranno in lei quelle parole di Isaia: «Allora la tua luce spunterà come l’aurora, presto verrà la tua guarigione, ti preverrà la tua giustizia e la gloria del Signore ti proteggerà. Allora tu pregherai e il Signore ti risponderà; appena alzerai la voce, egli dirà: Eccomi! (...) E il Signore ti darà eterno riposo e inonderà la tua anima di splendori, e darà vigore alle tue ossa, e tu sarai come un giardino irrigato e come una fontana di acqua viva alla quale non mancheranno mai zampilli» (Is. 58, 8-11).


Undicesima Verità. – Se Dio mi chiede di applicarmi non solo alla mia santificazione, ma anche alle opere di apostolato, dovrò prima di tutto formarmi nell’anima questa ferma convinzione: Gesù deve e vuole essere la vita di queste opere.

I miei sforzi, da soli, non sono nulla, assolutamente nulla: «Senza di me non potere far nulla» (Gv. 15, 5); essi non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco costantemente all’azione vivificante di Gesù mediante una vera vita interiore. Essi diventeranno allora onnipotenti: «Tutto posso, in Colui che mi dà forza» (Fil. 4, 13). Ma se questi sforzi provenissero da un’orgogliosa autosufficienza, dalla fiducia nei miei talenti e dal desiderio del successo, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio. Non sarebbe infatti una sacrilega follia da parte mia, se volessi rubare a Dio, per farmene bello, un poco della sua gloria?

Ben lungi dal rendermi pusillanime, tale convinzione sarà la mia forza. E come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà, tesoro per l’anima mia, sicurezza dell’aiuto di Dio e caparra di successo per le mie opere!

Penetrato dall’importanza di questo principio, mi esaminerò coscienziosamente nei giorni di ritiro, per verificare se non si è indebolita la convinzione che la mia azione è nulla quando è sola ma è forte quando è unita a quella di Gesù Cristo, se escludo spietatamente ogni compiacenza, ogni vanità ed ogni ripiegamento su me stesso nella mia vita di apostolo, se mi mantengo in un’assoluta diffidenza di me stesso, e se prego Dio di vivificare ogni mia opera e di preservarmi dall’orgoglio, ch’è il primo e principale ostacolo al suo aiuto.

Questo credo della vita interiore, una volta divenuto per l’anima la base della sua esistenza, le assicura fin da questa vita una partecipazione alla felicità celeste.

Vita interiore, vita di predestinati. Essa corrisponde al fine che Dio si è proposto nel crearci8, ma corrisponde anche al fine dell’Incarnazione:

«Dio inviò nel mondo il Suo Figlio unigenito, affinché viviamo per Lui» (1 Gv., 4, 9).

E’ uno stato di beatitudine: «Il fine della creatura umana consiste nell’unirsi a Dio; in questo infatti consiste la sua felicità» (San Tommaso d’Aquino).

Al contrario delle gioie mondane, se fuori ci sono le spine, dentro ci sono le rose. «Come sono da compiangere i poveri mondani!», esclamava il santo curato d’Ars. Essi portano sulle spalle un mantello foderato di spine e non possono fare una mossa senza pungersi. I veri cristiani invece portano un mantello foderato di pelle di coniglio. «Si guarda la Croce, ma non si vede l’unzione» (San Bernardo).

E’ uno stato celeste in cui l’anima diventa un cielo vivente9. Con santa Margherita Alacoque si può dire: «In ogni tempo posseggo e in ogni luogo porto il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio».

E’ il principio della beatitudine: «Una certa qual anticipazione dell’eterna beatitudine»10. La grazia è il Cielo in germe.


– IV –
Quanto sia misconosciuta
questa vita interiore


San Gregorio Magno, che fu tanto esperto amministratore ed apostolo zelante quanto grande contemplativo, con questa semplice espressione: «Secum vivebat» – egli viveva presso di sé – caratterizza lo stato d’animo di san Benedetto mentre gettava a Subiaco le basi della sua Regola, divenuta ben presto una fra le più potenti leve d’apostolato di cui Dio si è servito sulla terra.

Della maggior parte dei contemporanei bisogna dire il contrario. Vivere presso di sé, in se stesso, voler governare se stesso, non lasciarsi governare dalle cose esteriori, ridurre l’immaginazione, la sensibilità, perfino l’intelligenza e la memoria al ruolo di servi della volontà e conformare costantemente questa volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre meno, in questo secolo di agitazioni che ha visto nascere un nuovo ideale: l’amore dell’azione per l’azione.

Per eludere questa disciplina delle facoltà, tutti i pretesti sono buoni: affari, sollecitudine per la famiglia, igiene, buon nome, amor patrio, prestigio della categoria, pretesa gloria di Dio, fanno a gara per impedirci di vivere in noi stessi. Questa specie di delirio della vita esteriore giunge anche ad esercitare su noi una irresistibile attrattiva.

Come stupirsi, allora, se la vita interiore è misconosciuta?

Ma dire misconosciuta è troppo poco; essa viene spesso disprezzata e ridicolizzata proprio da coloro che più di tutti dovrebbero apprezzarne i vantaggi e la necessità. Per protestare contro le pericolose conseguenze d’un’ammirazione esclusiva per le opere, fu necessaria la citata memorabile lettera inviata da Leone XIII al Card. Gibbons, arcivescovo di Baltimora.

Per evitare il lavoro della vita interiore, l’uomo di chiesa giunge al punto di misconoscere l’eccellenza della vita con Cristo, in Cristo, per mezzo di Cristo, dimenticando che, nel piano della Redenzione, tutto si fonda sulla vita eucaristica, tanto quanto poggia sulla rocca di Pietro. Relegare in second’ordine ciò che è essenziale, è appunto quanto inconsciamente compiono i partigiani di quella spiritualità moderna chiamata Americanismo.

Costoro non giungono a considerare le chiese come templi protestanti, per loro il tabernacolo non è ancor vuoto, ma la vita eucaristica non sarebbe più sufficiente né adatta alle esigenze della civiltà moderna; la vita interiore, che deriva necessariamente dalla vita eucaristica, avrebbe ormai fatto il suo tempo.

Per le persone imbevute di tali teorie – e sono una legione – la Comunione ha perduto quel vero senso che aveva per i primi cristiani. Credono ancora nell’Eucaristia, ma non ci vedono più un elemento di vita così necessario tanto per loro che per le loro opere. Non c’è perciò da stupirsi se, non esistendo più per essi l’incontro intimo con Gesù-Ostia, la vita interiore sia considerata come un ricordo del medioevo.

In verità, a sentir parlare questi uomini d’azione delle loro opere, ci sarebbe quasi da credere che l’Onnipotente, il quale creò il mondo come per gioco e dinanzi al quale l’universo non è che polvere e nulla, non possa fare a meno del loro collaborazione! Molti cristiani ed anche alcuni sacerdoti e religiosi, attraverso il culto dell’azione, giungono inavvertitamente a formarsene una specie di dogma che ispira la loro condotta e le loro azioni e li spinge ad abbandonarsi sfrenatamente ad una vita esteriore.

Si vorrebbe poter dire: «la Chiesa, la diocesi, la parrocchia, la congregazione, le opere di apostolato hanno bisogno di me... Io sono più che utile a Dio». Anche se non si arriva ad esprimere apertamente simile vanità, ci sono però nascosti nel fondo del cuore la presunzione che ne è la base e l’attenuazione di fede che l’ha generata.

Sovente si ordina al nevrastenico di astenersi, magari per molto tempo, da ogni occupazione; ma questo è per lui un rimedio insopportabile, appunto perché la sua malattia lo mette in un’agitazione febbrile che diventa come una seconda natura e lo spinge a cercare instancabilmente nuovi dispendi di forze e nuove emozioni che aggravano il suo male.

Altrettanto avviene spesso all’uomo di azione riguardo alla vita interiore. Egli la disprezza, anzi ne sente maggior ripugnanza appunto perché solo nella sua pratica si trova il remedio del suo stato morboso; anzi, cercando di stordirsi sempre più con una valanga di lavori crescenti e disordinati, egli scarta ogni possibilità di guarigione.

La nave corre a tutto vapore; ma se il pilota si compiace della velocità, Dio invece giudica che quella nave, priva di un saggio timoniere, sta andando all’avventura e rischia di rovinarsi. «Adoratori in spirito e verità»: ecco ciò che Nostro Signore innanzitutto reclama. L’Americanismo invece pretende di dare maggior gloria a Dio puntando principalmente ai risultati esteriori.

Questo stato d’animo dimostra che, se oggi sono ancora apprezzate le scuole, i dispensari, le missioni e gli ospedali, è sempre meno compresa l’abnegazione nella sua forma intima, cioè nella penitenza e nella preghiera. Colui che non sa più credere al valore dell’immolazione nascosta, non si accontenterà di trattare da vili e visionari quelli che la praticano nella solitudine del chiostro, – i quali invece non dimostrano minor ardore per la salvezza delle anime che i più infaticabili missionari – ma giungerà a ridicolizzare anche quegli apostoli che ritengono indispensabile sottrarre qualche momento alle occupazioni, anche a quelle più utili, per andare a purificare e riaccendere il loro zelo davanti al Tabernacolo e così ottenere dall’Ospite divino i migliori risultati alle loro fatiche.





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