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L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
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05/09/2009 21:56

Parte seconda

Unione della
vita attiva e
della vita interiore




Capitolo I

Priorità, riguardo a Dio, della vita interiore sulla vita attiva



In Dio è la vita, tutta la vita, Egli è la Vita stessa. Ma non è nelle opere esterne, come la creazione, che l’Essere infinito manifesta questa vita nella sua maggiore intensità, bensì in quella che la teologia chiama operazione ad intra, cioè in quell’attività ineffabile il cui risultato è la generazione eterna del Figlio e l’incessante processione dello Spirito Santo. Qui sta, per eccellenza, la sua opera essenziale e perpetua.

Consideriamo la vita mortale di Gesù Cristo, perfetta esecuzione del piano divino. Trent’anni di raccoglimento e di solitudine, poi quaranta giorni di ritiro e di penitenze, sono il preludio alla sua breve carriera evangelica; ma poi quante altre volte ancora, durante i viaggi apostolici, Lo vediamo ritirarsi sulle montagne o nel deserto per pregare: «Si ritirava in un luogo deserto e pregava» (Lc. 5, 16), o passare la notte in orazione: «Si ritirò sul monte per pregare e passò tutta la notte pregando Dio» (Lc. 6, 12).

Fatto ancor più significativo: quando Marta vorrebbe che il Signore, condannando la pretesa oziosità della sorella, proclamasse la superiorità della vita attiva, la risposta di Gesù – «Maria ha scelto la parte migliore» (Lc. 10, 42) – consacra la preminenza della vita interiore. Quale conclusione dobbiamo trarne, se non il ben fermo proposito di farci sentire la preponderanza della vita d’orazione rispetto alla vita attiva?

Ad imitazione del Maestro, gli Apostoli, suoi fedeli seguaci, si riserveranno anzitutto l’ufficio della preghiera, e poi, per dedicarsi al ministero della parola, lasceranno ai diaconi le occupazioni più esteriori: «Noi invece ci occuperemo totalmente dell’orazione e del ministero della predicazione» (At. 6, 4).

A loro volta i Papi, i santi Dottori ed i teologi affermano la superiorità essenziale della vita interiore sulla vita attiva.

Anni addietro1 una donna di fede, di virtù e di gran carattere, superiora generale d’una delle più importanti Congregazioni insegnanti dell’Aveyron, veniva invitata dai superiori ecclesiastici a favorire la secolarizzazione delle sue religiose.

Bisognava sacrificare le opere alla vita religiosa, oppure abbandonare questa per conservare quelle? Perplessa, non sapendo come conoscere la volontà di Dio, parte segretamente per Roma, ottiene un’udienza da Leone XIII, gli espone il suo dubbio e la pressione che le viene fatta in favore delle opere.

L’augusto vegliardo, dopo essersi raccolto per pochi istanti, rispose in tono categorico: «Prima di tutto il resto, prima di tutte le opere, conservate la vita religiosa a quelle tra le vostre figlie che hanno veramente lo spirito del loro santo stato e l’amore per la vita d’orazione. Se voi non potrete conservare sia la vita religiosa che le opere, Dio saprà suscitare in Francia altri operai, se necessario. In quanto a voi, con la vostra vita interiore, con le vostre preghiere, con i vostri sacrifici, sarete più utili alla Francia rimanendo religiose, anche se lontano, che non restando sul suolo della patria, ma prive della vostra consacrazione a Dio».

In una lettera indirizzata ad un noto Istituto totalmente consacrato all’insegnamento, San Pio X dichiarò nettamente il suo pensiero con le seguenti parole:

«Sappiamo che va diffondendosi un’opinione, secondo la quale voi dovreste porre in primo piano l’insegnamento ai fanciulli e soltanto in secondo la professione religiosa: così lo esigerebbero lo spirito e i bisogni del tempo. Noi vogliamo assolutamente che tale opinione non trovi il benché minimo credito, sia presso di voi sia presso gli altri Istituti che, come il vostro, hanno lo scopo di educare. Resti pertanto ben stabilito, per quanto riguarda voi, che la vita religiosa importa assai più che la vita ordinaria e che se voi avete verso il prossimo il grave obbligo d’insegnare, ben più gravi sono gli obblighi che vi legano a Dio».

Ma ragione d’essere della vita religiosa, il suo fine principale, non è forse l’acquisto della vita interiore? «La vita contemplativa – dice il Dottore Angelico – è semplicemente migliore di quella attiva e le è preferibile». San Bonaventura accumula i comparativi di maggioranza per mostrare l’eccellenza di questa vita: «Vita più sublime, più sicura, più ricca, più soave, più stabile».

Vita più sublime

Mentre la vita attiva si occupa degli uomini, la vita contemplativa ci fa entrare nel dominio delle verità più alte, senza distogliere lo sguardo dal principio stesso di ogni vita: «Principium quod Deus est quaeritur». Trovandosi più in alto, questa vita ha un orizzonte ed un campo di azione molto più esteso. «Marta in un solo luogo si dedicava col corpo a pochi lavori. Maria invece con il suo amore lavorava in più luoghi e a numerose opere. Contemplando e amando Dio, ella vedeva tutto, partecipava a tutto, comprendeva e abbracciava tutto. Si può dunque dire che, a confronto di Maria, Marta si preoccupava di poche cose»2.

Vita più sicura

In essa vi sono meno pericoli. Nella vita quasi unicamente attiva, l’anima si agita, s’appassiona, dissipa le sue energie e perciò s’indebolisce. In essa vi è un triplice difetto: «Sollicita est»; e questo indica gli affanni della mente, «sollicitudini in cogitatu»; «Turbaris»: ecco i turbamenti che nascono dalle affezioni, «turbationis in affectu»; infine, «erga plurima»: moltiplicazione delle occupazioni e perciò la divisione nello sforzo e negli atti, «divisionis in actu». Al contrario, per costituire la vita interiore, una sola cosa s’impone, l’unione con Dio: «Una cosa sola è necessaria». Tutto il resto non è – e non può non essere – che secondario e va compiuto solo in virtù di questa unione e per meglio rafforzarla.

Vita più ricca

Con la contemplazione si ricevono tutti i beni: «Con essa mi sono giunti tutti i beni» (Sap. 7, 11). Essa è fra tutte la parte migliore: «Ha scelto la parte migliore» (Lc. 10, 42). In essa affluiscono più meriti, perché aumenta al tempo stesso lo slancio della volontà e il grado di grazia santificante, e fa agire l’anima in virtù di un principio di carità.

Vita più soave

L’anima veramente interiore s’abbandona al divino beneplacito, accetta con animo sempre paziente sia le cose gradevoli che quelle penose, e arriverà perfino a mostrarsi gioiosa nelle afflizioni, felice di portare la propria croce.

Vita più stabile

Per quanto intensa possa essere, la vita attiva ha il suo termine quaggiù. La vita interiore invece non ha tramonto: «Quae non auferetur ab ea». Per essa, il soggiorno su questa terra non è che una continua ascesa alla luce, ascesa che la morte renderà incomparabilmente più radiosa e più rapida.

Per riassumere le eccellenze della vita interiore, possiamo applicarle queste parole di San Bernardo: «In essa l’uomo vive più puro, cade più di rado, si alza con maggior prontezza, avanza più sicuro, riceve più grazie, riposa più tranquillo, muore più fiducioso, viene purificato più rapidamente ed ottiene una maggior ricompensa»3.

Capitolo II

L’azione deve essere soltanto il traboccamento della vita interiore


«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt. 5, 48). Fatte le debite proporzioni, il modo di agire divino dev’essere il criterio, la Regola della nostra vita interiore ed esterna. Già sappiamo che è proprio della natura divina il donare, ed è un fatto sperimentato ch’Egli versa a profusione i suoi benefici su tutti gli esseri, ma in particolare modo sulla creatura umana. Così – da migliaia, se non da milioni, di secoli – l’universo intero è oggetto di questa inesauribile prodigalità che spande i suoi benefici senza sosta. Eppure Dio non si impoverisce mai e la sua inesauribile munificenza non può, in nessun modo, diminuire le sue infinite ricchezze.

Dio non si contenta di concedere all’uomo beni esteriori; gli manda il suo Verbo. Eppure, nemmeno in questo atto di suprema generosità, che non è altro che il dono di sé, Dio abbandona né può abbandonare qualcosa dell’integrità della sua natura. Pur donandoci suo Figlio, lo conserva sempre in se stesso. «Prendi esempio dal sommo Creatore dell’universo, il quale manda il suo Verbo ma, contemporaneamente, lo mantiene con sé»4.

Per mezzo dei Sacramenti e particolarmente per mezzo dell’Eucaristia, Gesù Cristo ci arricchisce con le sue grazie; ce le versa senza misura, perché anch’Egli è un oceano sconfinato la cui sovrabbondanza si riversa su noi senza mai esaurirsi: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto» (Gv. 1, 16).

Così, in un certo modo, noi dobbiamo essere uomini apostolici che ci assumiamo il nobile còmpito della santificazione altrui: «Il tuo Verbo è la tua considerazione: pur procedendo da Te, tuttavia non te ne separi»5 ; il nostro verbo è lo spirito interiore che la grazia ha formato nelle nostre anime. Vivifichi dunque questo spirito le manifestazioni del nostro zelo, ma mentre lo spendiamo continuamente a vantaggio del prossimo, rinnoviamolo pure continuamente con i mezzi che Gesù ci offre. La nostra vita interiore sia come un tronco pieno di densa linfa che fiorisca nelle nostre opere.

Un’anima di apostolo! Essa dev’essere per prima inondata di luce e infiammata di amore, affinché, riflettendo questa luce e questo calore, possa poi illuminare e riscaldare le altre anime. «Essi annunzieranno agli uomini quel che hanno veduto con i loro occhi, quel che hanno contemplato e che le loro mani hanno toccato» (1 Gv. 1, 1). Come dice S. Gregorio, la loro bocca verserà nei cuori l’abbondanza delle dolcezze celesti.

Possiamo intanto stabilire questo principio: la vita attiva deve procedere dalla vita contemplativa, tradurla e continuarla al di fuori, staccandosene il meno possibile.

I Padri e i Dottori proclamano a gara
questa dottrina

Diceva sant’Agostino: «Prima di permettere alla sua lingua di parlare, l’apostolo deve elevare a Dio la sua anima assetata, per poter poi versare ciò che ha bevuto e diffondere quello di cui si è riempito»6.

Prima di comunicare bisogna ricevere, scrisse san Dionigi7, e gli Angeli superiori non trasmettono agli inferiori se non quei lumi che hanno ricevuto in pienezza. Il Creatore ha stabilito questo ordine riguardo alle cose divine: chi ha la missione di distribuirle, deve parteciparvi per primo e innanzitutto riempirsi abbondantemente delle grazie che Dio vuol comunicare alle anime per suo mezzo. Allora, ma solo allora, gli sarà permesso di parteciparne agli altri.

A tutti sono note le parole rivolte da San Bernardo agli apostoli: Se siete veramente saggi, siate serbatoi e non canali. «Se sei sapiente, dimostralo trasformandoti in un serbatoio e non in un canale»8. Il canale lascia scorrere l’acqua che riceve senza conservarsene una goccia; il serbatoio invece prima di tutto si riempie e poi, senza vuotarsi, riversa il sovrappiù, che sempre si rinnova, nei campi che rende fecondi. Ma quanti sono quelli che, dedicandosi alle opere, non sono altro che canali, restando secchi mentre si sforzano di fecondare gli altri cuori! «Molti canali ha oggi la Chiesa, ma purtroppo pochissimi serbatoi»9, aggiungeva con amarezza il santo abate di Chiaravalle.

Ogni causa è superiore al proprio effetto: perciò è necessaria una maggior perfezione per poter perfezionare gli altri, che non per perfezionare solo se stessi10.

Come la madre non può allattare suo figlio se non nella misura in cui ha alimentato se stessa, così i confessori, i direttori di anime, i predicatori, i catechisti e i professori devono prima essi stessi assimilare la sostanza di cui poi nutriranno i figli della Chiesa 11. Gli elementi di questa sostanza sono la verità e l’amore di Dio. Solo la vita interiore comunica la verità e la carità divine in modo da renderle veramente un nutrimento capace di dare la vita.

Capitolo III

Base, scopo e mezzi di un’opera devono essere impregnati di vita interiore


Intendiamo parlare di un’opera degna di questo nome, perché ai nostri giorni alcune non meritano affatto tale titolo. Pur essendo organizzate con le apparenze della pietà, tali imprese in realtà mirano solo a procurare ai loro fondatori, con gli applausi del pubblico, la rinomanza di un’abilità non comune, e per la loro riuscita sarebbero adoperati tutti i mezzi, anche i meno giustificabili, se necessario.

Altre opere invece meritano maggiore stima. Certo, queste vogliono davvero realizzare il bene, e i loro fini e mezzi sono ineccepibili. Tuttavia, poiché gli organizzatori avevano una fede vacillante nella potenza d’azione della vita soprannaturale sulle anime, nonostante mille sforzi, i risultati sono stati nulli o quasi.

Per meglio precisare quel che dev’essere una istituzione, sarà opportuno che io lasci la parola ad un uomo che ha illustrato un’intera regione col suo apostolato, e ricordare la lezione ricevuta da lui agli inizi del mio ministero sacerdotale.

Volevo istituire un Oratorio per giovani. Dopo aver visitato i circoli cattolici di Parigi e di qualche altra città francese, come le opere di Val-des-Bois ecc., mi recai a Marsiglia per studiare più da vicino le opere per la gioventù istituite dal santo sacerdote Allemand, governate dal venerato canonico Timon-David. Mi piace ricordare con quanta commozione il mio cuore di giovane sacerdote raccolse le parole di quest’ultimo.

«Banda, teatro, proiezioni, cinema, eccetera... io non disprezzo tutte queste cose. Anzi, in principio credevo anch’io che fossero indispensabili; invece sono solamente stampelle che si usano in mancanza di meglio. Ma ora, più vado avanti, più il fine ed i mezzi si soprannaturalizzano, poiché vedo sempre più chiaramente che ogni opera fondata sull’elemento umano è destinata a perire e che soltanto l’opera che mira a portare a Dio gli uomini mediante la vita interiore è benedetta dalla Provvidenza.

«Gli strumenti musicali sono da molto tempo relegati nel solaio, il teatro è divenuto inutile e tuttavia l’opera prospera più che mai. Perché? Perché i miei sacerdoti ed io, grazie a Dio, vediamo ben più giusto che al principio, e la nostra fede nell’azione di Gesù Cristo e della grazia si è centuplicata.

«Credetemi: non esitate a mirare il più in alto possibile e sarete stupito dei risultati. Mi spiego. Non abbiate soltanto come ideale di offrire ai giovani la scelta di onesti divertimenti che li distolgano dai piaceri proibiti e dalle relazioni pericolose, né di dar loro una mera verniciatura di cristianesimo mediante una meccanica assistenza alla Messa o con una rara e appena passabile ricezione dei Sacramenti.

«Duc in altum! Abbiate innanzitutto la nobile ambizione di ottenere, a qualunque costo, che un certo numero di giovani prendano l’energica risoluzione di vivere da ferventi cristiani, vale a dire con la pratica della meditazione mattutina, con l’abitudine della Messa quotidiana (se è possibile), con una breve lettura spirituale e, naturalmente, con frequenti e fruttuose Comunioni. Mettete tutte le vostre cure per infondere in questo gregge scelto un grande amore per Gesù Cristo, lo spirito di preghiera, d’abnegazione, di vigilanza su di sé, insomma solide virtù; sviluppate nelle loro anime, con non minor cura, la fame dell’Eucaristia. Poi eccitate, a poco a poco, questi giovani all’apostolato fra i loro compagni. Fatene degli apostoli franchi, zelanti, buoni, ardenti e virili, senza devozioni grette ma pieni di tatto, che non cadano nella slealtà di spiare i compagni, sia pur col pretesto dello zelo. In meno di due anni, mi direte se c’è ancora bisogno della banda o del teatro per ottenere una pesca copiosa».

«Comprendo. – osservai – Questa minoranza dev’essere il fermento, ma che cosa si dovrà fare per gli altri che non possono essere elevati a questo livello? Per la massa, per i giovani di tutte le età ed anche per gli sposati che faranno parte del circolo progettato, che si dovrà fare?»

«Bisogna dare a costoro – rispose – una fede robusta mediante conferenze seriamente preparate, che occupino la maggior parte delle loro serate invernali. I vostri cristiani ne usciranno sufficientemente armati, non solo per ribattere vittoriosamente ai loro colleghi di ufficio o di officina, ma anche per resistere all’influenza, più pericolosa, del giornale o del libro. Far nascere in questi uomini convinzioni incrollabili che, all’occorrenza, essi sappiano professare senza rispetto umano, questo costituirà già un ottimo risultato; però sarà necessario condurli più oltre, fino alla pietà vera, calda, convinta, illuminata».

«E dovrò fin dall’inizio aprire la porta a chiunque arriva?»

«Il numero è da augurarselo soltanto se i reclutati sono ben scelti. La crescita del vostro circolo dev’essere principalmente frutto dell’influenza esercitata dal nucleo di apostoli, il cui centro saranno Gesù, Maria e voi stesso come loro strumento».

«Il locale sarà modesto; dovrò pertanto aspettare che le nostre risorse ci permettano di fare di meglio?»

«Buon Dio! All’inizio, locali spaziosi e comodi potranno essere come un tamburo che attira l’attenzione su un’opera nascente. Ma ripeto: se voi sapete mettere a base della vostra associazione la vita cristiana ardente, integra, apostolica, il locale strettamente necessario sarà sempre sufficiente affinché possa trovarvi posto ciò che il normale funzionamento del circolo esige come accessorio. Oh, allora potrete verificare che il rumore fa poco bene, mentre il bene fa poco rumore! Allora constaterete che il Vangelo ben compreso fa diminuire il bilancio delle spese senza compromettere i risultati, al contrario! Ma prima di tutto bisognerà che paghiate di persona; e ciò non tanto per preparare faticosamente recite teatrali o saggi di ginnastica, quanto piuttosto per accrescere in voi la vita interiore. Poiché, sappiatelo bene, nella misura in cui voi per primo vivrete d’amore per Gesù Cristo, nella stessa proporzione sarete capace di suscitare in altri lo stesso ardore».

«Insomma, voi basate tutto sulla vita interiore?»

«Sì, mille volte sì!, perché in tal modo si ottiene non orpello ma oro puro. Del resto, credete alla mia lunga esperienza; quel che vi ho detto riguardo le opere giovanili, lo potete applicare ad ogni altra opera: parrocchia, seminario, catechismo, scuola, circolo militare, eccetera. Quanto bene produce in una grande città un’associazione che vive veramente nel soprannaturale! Essa agisce come un lievito potente; solo gli Angeli possono dire quanto essa sia feconda di frutti di salvezza.

«Ah, se tutti i sacerdoti, i religiosi e le stesse persone di azione conoscessero la potenza della leva che hanno tra le mani e prendessero sempre più come punto di appoggio il Cuore di Gesù e la vita di unione a questo Cuore divino! Essi allora risolleverebbero la nostra Patria: sì, la risolleverebbero malgrado gli sforzi di Satana e dei suoi sgherri»12.

Capitolo IV

Vita interiore e vita attiva si richiamano a vicenda


Come l’amore di Dio si manifesta con gli atti della vita interiore, così l’amore del prossimo si manifesta con le operazioni della vita esteriore, e perciò, siccome l’amore di Dio e l’amore del prossimo non possono essere separati, ne risulta che queste due forme di vita non possono stare l’una senza dell’altra13.

Per questo, dice il Suarez, non vi può essere uno stato correttamente e normalmente ordinato per giungere alla perfezione, che non partecipi in una certa misura dell’azione e della contemplazione14.

L’illustre gesuita non fa che commentare l’insegnamento di San Tommaso. Come aveva infatti già detto il Dottore Angelico, coloro che sono chiamati alle opere della vita attiva, hanno torto di credere che questo dovere li dispensi dalla vita contemplativa. Questo dovere vi si aggiunge, senza diminuirne la necessità. Sicché le due vite, ben lungi dall’escludersi, si richiamano a vicenda, si suppongono, si mescolano, si completano; se poi ad una delle due va dato una ruolo preponderante, bisogna darlo alla vita contemplativa, che è la più perfetta e la più necessaria.15

L’azione, per essere feconda, ha bisogno della contemplazione. Questa, quando raggiunge un certo grado d’intensità, diffonde su quella qualcosa della sua eccedenza, e mediante essa l’anima va direttamente ad attingere nel cuore di Dio quelle grazie che l’azione poi distribuisce.

E’ per questo che, nell’anima di un santo, l’azione e la contemplazione si fondono in una perfetta armonia che dà alla sua vita una meravigliosa unità. Tale fu, per esempio, san Bernardo, l’uomo più contemplativo e al tempo stesso più attivo del suo secolo. Di lui un contemporaneo fece questo magnifico ritratto: la contemplazione e l’azione s’accordavano fino al punto che appariva ad un tempo tutto dedito alle opere esteriori eppure tutto assorbito dalla presenza e dall’amore di Dio.16

Commentando quel passo della Scrittura: «Ponimi come un sigillo sul cuore e un altro sigillo sul braccio» (Ct. 8, 6), il padre Saint-Jure commenta mirabilmente i rapporti fra la vita interiore e quella attiva. Riassumiamo le sue riflessioni.

Il cuore significa la vita interiore, contemplativa; il braccio quella esteriore, attiva.

Il testo scritturale nomina il cuore ed il braccio per dimostrarci che le due vite possono unirsi ed accordarsi perfettamente in una medesima persona.

Il cuore è nominato per primo, perché è un organo ben più nobile e necessario del braccio. Analogamente la contemplazione è più eccellente e più perfetta e merita maggiore stima che non l’azione.

Il cuore batte giorno e notte, e un solo istante d’arresto di questo organo essenziale porterebbe immediatamente alla morte. Il braccio invece non è che una parte integrante del corpo umano e si muove solo a periodi. Questo c’insegna che dobbiamo talvolta concedere un po’ di tregua alle nostre occupazioni esteriori, ma al contrario non dobbiamo mai cessare dall’applicarci alle cose spirituali.

Come è il cuore che dà la vita al braccio mediante il sangue che gli manda e senza il quale questo membro resterebbe paralizzato, così la vita contemplativa – che è vita d’unione con Dio, in grazia dei lumi e della perpetua assistenza che l’anima riceve da questa intimità – vivifica le opere esteriori ed è l’unica capace di comunicare ad esse, insieme al carattere soprannaturale, una reale utilità. Senza di questa vita, tutto è languido, sterile e pieno d’imperfezioni.

Ma, ahimé, troppo spesso l’uomo separa quel che Iddio ha unito; sicché questa perfetta unione è davvero rara. Del resto essa esige, per essere realizzata, un complesso di precauzioni spesso trascurate. Non intraprendere nulla di superiore alle proprie forze; vedere in tutto abitualmente ma semplicemente la volontà di Dio; non impegnarsi nelle opere se non quando Dio lo vuole e nella misura esatta in cui lo vuole, e col desiderio d’esercitare la carità; offrirgli fin da principio il nostro lavoro e durante l’azione ravvivare la nostra risoluzione di lavorare soltanto per Lui e mediante Lui, usando santi pensieri e ardenti giaculatorie; infine, qualunque sia l’attenzione che noi dobbiamo portare alle nostre occupazioni, mantenerci sempre nella pace, perfettamente padroni di noi stessi; in quanto alla riuscita, affidarsi unicamente a Dio e non desiderare di essere liberati da ogni cura se non per ritrovarci soli con Cristo. Ecco i sapientissimi consigli dei maestri di vita spirituale per giunge a questa unione.

Questa costanza della vita interiore, unita nel santo abate di Chiaravalle ad un attivissimo apostolato, aveva profondamente colpito San Francesco di Sales, che scriveva: «San Bernardo nulla perdeva del progresso che voleva fare nel santo amore. (...) Cambiava di luogo ma non cambiava di cuore, né il suo cuore cambiava di amore, né il suo amore cambiava oggetto. (...) Non subiva il colore degli affari e delle conversazioni, come fa il camaleonte, che prende il colore del luogo in cui si trova, ma restava sempre unito a Dio, sempre bianco di purezza, sempre vermiglio di carità, sempre pieno di umiltà».17

Qualche volta le occupazioni si moltiplicheranno tanto da imporci di spendervi tutte le nostre energie, senza che possiamo in alcun modo liberarci da tale peso e nemmeno alleggerirlo. Conseguenza di questo stato potrà essere la privazione, per un tempo più o meno lungo, del godimento dell’unione a Dio, ma questa unione non ne soffrirà se non in quanto noi lo permettiamo. Se tale stato si prolungherà, bisognerà soffrirne, gemerne e soprattutto temere di abituarcisi. L’uomo è debole e incostante; se trascura la vita spirituale, ne perde ben presto il gusto; assorbito dalle occupazioni materiali, finisce col compiacersene. Se invece lo spirito interiore esprime la sua latente vitalità con gemiti e sospiri, questi lamenti continui, provenienti da una ferita che non si chiude neppure in mezzo ad un’attività assorbente, costituiscono il merito della contemplazione sacrificata; o meglio, l’anima realizza l’ammirabile e feconda unione tra vita interiore e vita attiva. Incalzata da questa sete della vita interiore che non può soddisfare a suo agio, l’anima ritorna con ardore alla vita di orazione appena le è possibile. Il Signore le riserva sempre alcuni istanti di conversazione. Vuole però che l’anima vi sia fedele e le concede di compensare con il fervore la brevità di questi momenti felici.

In un testo di cui ogni parola va attentamente meditata, san Tommaso riassume mirabilmente questa dottrina: «Di per se, la vita contemplativa è più meritoria della vita attiva. Può tuttavia accadere che un uomo, nel compiere un atto esteriore, meriti di più di un altro dedito alla contemplazione: per esempio, quando a causa della sovrabbondanza dell’amore per Dio, per compiere la sua volontà e quindi glorificarlo, uno sopporta talvolta di restare privo della dolcezza della divina contemplazione per un certo tempo».18

Si noti l’abbondanza delle condizioni che il santo dottore suppone perché l’azione diventi più meritoria della contemplazione.

L’intimo movente che spinge l’anima all’azione non è altro che la sovrabbondanza della sua carità, «propter abundantiam divini amoris». Perciò non si tratta di agitazione, né di capriccio e neppure di bisogno di uscire da se stessa. Difatti l’anima ne prova sofferenza («sustinet») per essere privata delle dolcezze della vita di orazione («a dulcedine divinae contemplationis separari»)19. Perciò essa sacrifica solo provvisoriamente («Accidere... interdum... ad tempus») e per un fine del tutto soprannaturale («ut Ejus voluntas impleatur propter Ipsius gloriam») una parte del tempo riservato all’orazione.

Di quanta sapienza e bontà sono segnate le vie di Dio! Quale meravigliosa direzione Egli dà all’anima con la vita interiore! Conservandosi in mezzo all’azione e pertanto offrendosi generosamente, questa pena profonda di dover consacrare tanto tempo alle opere di Dio e così poco al Dio delle opere, trova il suo risarcimento. Infatti, in virtù di questa vita, scompaiono tutti i pericoli di dissipazione, di amor proprio e di affetti umani. Ben lungi dal nuocere alla libertà di spirito e all’attività, tale disposizione d’animo comunica ad esse un carattere più riflessivo. Essa è la forma pratica dell’esercizio della presenza di Dio, perché, nella grazia del momento presente, l’anima trova Gesù vivo che a lei si dona, nascosto sotto il dovere che deve compiere: Gesù lavora con lei e la sostiene. Quante persone assorbite dalle occupazioni dovranno a questa pena salutare ben compresa, a questo desiderio sacrificato ma custodito, il vantaggio di aver più tempo per stare presso il Tabernacolo e fare comunioni spirituali quasi continue, dovranno, dico, la fecondità della loro azione e nello stesso tempo la sicurezza della loro anima e il progresso nella virtù.




Capitolo V

Eccellenza di questa unione


L’unione delle due vite, la contemplativa e l’attiva, costituisce il vero apostolato che è, secondo San Tommaso, la principale opera del Cristianesimo: «Principalissimum officium»20.

L’apostolato suppone anime capaci di accendersi d’entusiasmo per una idea e di consacrarsi per il trionfo di un principio. Ma se la realizzazione di questo ideale sarà soprannaturalizzata dallo spirito interiore, ed il nostro zelo – nel suo fine, nella sua sorgente e nei suoi mezzi – sarà animato dallo spirito di Gesù, noi avremo la vita in sé più perfetta, la vita per eccellenza, quella che gli stessi teologi antepongono alla semplice contemplazione: «praefertur simplici contemplationi» (San Tommaso).

L’apostolato dell’uomo di orazione è la parola conquistatrice in virtù del mandato di Dio, dello zelo delle anime, del frutto delle conversioni: «Missio a Deo, zelus animarum, fructificatio auditorum» (San Bonaventura).

E’ il vapore della fede dalle salutari emanazioni: «Fides, id est vapor fidei» (Sant’Ambrogio).

L’apostolato del santo è la semina del mondo. L’apostolo getta alle anime il frumento di Dio21. E’ l’amore divampante che divora la terra, l’incendio della Pentecoste irresistibilmente propagato in mezzo alle gente: «Sono venuto a propagare il fuoco sulla terra» (Lc. 12, 49).

L’eccellenza di questo ministero sta nel fatto di provvedere alla salute altrui senza pregiudizio per l’apostolo: «sublimatur ad hoc ut aliis provideat». Comunicare le verità divine alle intelligenze umane! Non è forse, questo, un ministero degno degli angeli?

Contemplare la verità è bene, ma comunicarla agli altri è meglio. Riflettere la luce è qualcosa più che riceverla, e rischiarare vale ben più che rilucere sotto il moggio. L’anima con la contemplazione si nutre, ma con l’apostolato si dona: «sicut maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplare»22.

«Tramandare agli altri quello che si è contemplato»: in questo ideale di apostolato, la vita interiore resta la sorgente, come insegna chiaramente san Tommaso.

Come l’altro testo dello stesso santo Dottore, che avevo riportato alla fine del capitolo precedente, anche questo condanna esplicitamente l’americanismo, i cui partigiani sognano una vita mista in cui l’azione finirebbe col soffocare la contemplazione.

San Tommaso in realtà suppone due cose:

1) che l’anima viva già abitualmente di orazione, anzi ne viva talmente da dover dare soltanto il sovrappiù;

2) che l’azione non sopprima la vita di orazione e che l’anima, pur prodigandosi per gli altri, pratichi così bene la custodia del cuore da non correre alcun serio pericolo di sottrarre all’influenza di Gesù Cristo l’esercizio della sua attività.

Queste affascinanti parole del padre Matteo Crawley, l’apostolo della consacrazione delle famiglie al Sacro Cuore, traducono esattamente il pensiero di San Tommaso: «L’apostolo è un calice ricolmo della vita di Gesù Cristo, la cui sovrabbondanza trabocca riversandosi sulle anime».

E’ questa unione tra l’azione, con il suo prodigarsi di zelo, e la contemplazione, con le sue sublimi elevazioni, che ha prodotto i più grandi santi: san Dionigi, san Martino, san Bernardo, san Domenico, san Francesco d’Assisi, san Francesco Saverio, san Filippo Neri, sant’Alfonso, furono tutti sia ardenti contemplativi che grandi apostoli.

Vita interiore e vita attiva! Santità nell’azione! Con questa unione potente e feconda, quanti prodigi di conversioni opererete! O Signore, date alla vostra Chiesa numerosi apostoli, ma ravvivate, nei loro cuori divorati dallo zelo, una sete ardente della vita d’orazione. Donate ai vostri operai quest’azione contemplativa e questa contemplazione attiva; la vostra opera giungerà allora a compimento e i vostri operai evangelici riporteranno quelle vittorie che annunciaste prima della vostra gloriosa Ascensione.


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