È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.222
Sesso: Femminile
05/09/2009 22:00

Capitolo III

La vita interiore, base della santità dell’operaio apostolico


La santità altro non è che la vita interiore portata fino alla strettissima unione della volontà con quella di Dio. Ordinariamente e salvo un miracolo della grazia, quindi, l’anima non arriva a questo termine se non dopo essere passata, con molteplici e penosi sforzi, per tutti i gradi della via purgativa ed illuminativa. Si noti che è legge della vita spirituale che, nel corso della santificazione, l’azione di Dio e quella dell’anima seguano un cammino inverso: le operazioni di Dio vanno di giorno in giorno acquistando un ruolo sempre più considerevole, l’anima invece va agendo sempre meno.

Una è l’azione di Dio nei perfetti, un’altra nei principianti: meno appariscente in questi, essa soprattutto provoca e mantiene in loro la vigilanza e la supplica, offrendo a loro anche il mezzo d’ottenere la grazia mediante nuovi sforzi. Nei perfetti, invece, Dio agisce in maniera più completa e talvolta esige solo un semplice consenso che unisca l’anima alla sua azione soprannaturale.

Il principiante, come il tiepido e il peccatore, che il Signore vuole avvicinare a Sé, si sentono da principio portati a cercare Dio, poi a dimostrargli sempre più il desiderio che hanno di piacere a Lui, infine a gioire di tutte le provvidenziali occasioni in cui possono detronizzare l’amor proprio e stabilire al suo posto il regno del solo Gesù. In tal caso, l’azione di Dio si limita ad incitamenti e a soccorsi.

Nel santo, invece, quest’azione è molto più potente e più completa. In mezzo alle fatiche e alle sofferenze, saziato di umiliazioni o schiacciato dalla malattia, il santo non deve fare altro, per così dire, che abbandonarsi all’azione divina, senza la quale sarebbe incapace di sopportare le agonie che, secondo i disegni di Dio, devono terminare di maturarlo. Nel santo si realizzano pienamente quelle parole: «Dio ha sottomesso a sé ogni cosa affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor. 15, 28). Egli vive talmente di Gesù che sembra di non vivere più per se stesso, come testimoniava l’apostolo Paolo: «Non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2, 20). E’ solo lo spirito di Gesù che pensa, decide e agisce. Certo, la divinizzazione è ancora lontana dal possedere l’intensità che avrà nella gloria, ma questo stato riflette già i caratteri dell’unione beatifica.

Vale la pena di dire che ben diversa è la condizione del principiante, del tiepido ed anche del semplice fervoroso? Al loro stato s’adatta tutta una serie di mezzi che possono d’altronde servire ugualmente all’uno come all’altro. Ma il principiante, simile ad un apprendista, troverà maggiore difficoltà, avanzerà più lentamente e, alla fine, otterrà minori risultati. Il fervoroso invece, come un operaio qualificato, lavorerà rapidamente e bene e, con minor difficoltà, otterrà maggiori risultati.

Però, di qualunque categoria di apostoli si tratti, le intenzioni della Provvidenza a loro riguardo rimangono invariabili: Iddio vuole che, sempre e per tutti, le opere siano un mezzo di santificazione. Mentre però l’apostolato non presenta alcun serio pericolo per l’anima giunta alla santità, non ne esaurisce le forze e anzi le fornisce abbondanti occasioni di crescere nella virtù e nei meriti, abbiamo invece visto con quanta facilità esso causi l’anemia spirituale e, di conseguenza, la retrocessione nella via della perfezione a quelle persone debolmente unite a Dio e nelle quali il gusto dell’orazione, lo spirito di sacrificio e soprattutto l’abitudine alla custodia del cuore sono poco sviluppati.

Tale abitudine, Dio non la rifiuta mai a una preghiera insistente e a prove reiterate di fedeltà. La diffonde senza misura nell’anima generosa che, ricominciando di continuo, ha trasformato a poco a poco le sue facoltà rendendole docili alle ispirazioni celesti e capaci di accettare con gioia contraddizioni e insuccessi, perdite e delusioni.

Esaminando sei caratteristiche principali, vediamo ora come la vita interiore, penetrando in un’anima, la stabilisce nella vera virtù.

1. La vita interiore premunisce l’anima dai
pericoli del ministero esterno

«Quando si ha cura di anime, è più difficile vivere bene, a causa dei pericoli esterni»8. Di questo pericolo abbiamo parlato nel capitolo precedente.

Mentre l’operaio evangelico privo di spirito interiore ignora i pericoli derivanti dalle opere e assomiglia al viaggiatore che attraversa disarmato una foresta infestata da briganti, il vero apostolo teme questi pericoli ed ogni giorno prende le debite precauzioni con un serio esame di coscienza che gli scopre i suoi punti deboli.

Se la vita interiore non facesse altro che mettere l’anima in guardia dal continuo pericolo, contribuirebbe già potentemente a preservare dalle sorprese del cammino, perché pericolo preavvisato è mezzo scampato. Ma essa ha ben altra utilità. Essa diventa per l’uomo d’azione un’armatura completa: «Induite armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli» (Ef. 6, 11-17).

Quest’armatura divina non solo gli permette di resistere alle tentazioni e di evitare le insidie del diavolo – «ut possitis resistere in die malo» – ma anche di santificare tutte le azioni: «et in omnibus perfecti stare».

Essa lo cinge con la purezza d’intenzione, che concentra in Dio i pensieri, i desideri, gli affetti, e gl’impedisce di deviare nella ricerca delle comodità, dei piaceri e delle distrazioni: «Succincti lumbos vestros in veritate».

Essa lo riveste con la corazza della carità, che gli dà coraggio virile e lo difende dalle seduzioni delle creature, dello spirito del mondo e degli assalti del demonio: «Induti loricam iustitiae».

Essa lo calza con la discrezione e la modestia, affinché in tutti i suoi passi sappia unire la semplicità della colomba con la prudenza del serpente: «Calceati pedes in preparatione Evangelii».

Satana e il mondo cercheranno di abusare della sua intelligenza con i sofismi delle false dottrine, di snervare la sua energia con l’allettamento di massime permissive. A queste menzogne, la vita interiore oppone lo scudo della fede, che fa brillare agli occhi dell’anima lo splendore dell’ideale divino: «In omnibus sumentes scutum fidei in quo possitis omnia tela nequissimi ignea extinguere».

La coscienza del proprio nulla, la sollecitudine per la propria salvezza, la convinzione di non poter fare nulla senza il soccorso della grazia, e quindi la preghiera insistente, supplice e frequente, tanto più efficace quanto più fiduciosa: tutto ciò è per l’anima un elmo di acciaio, su cui si spezzeranno i colpi dell’orgoglio: «Galeam salutis assumite».

Così armato da capo a piedi, l’apostolo può dedicarsi senza timore alle opere, e il suo zelo infiammato dalla meditazione del Vangelo, fortificato dal Pane eucaristico, diventerà una spada con cui potrà sbaragliare i nemici della sua anima e conquistare numerose anime a Cristo: «Gladium spiritus quod est verbum Dei».

2. La vita interiore invigorisce
le forze dell’apostolo

Come abbiamo detto, solamente il santo, in mezzo agli impacci degli affari e malgrado l’abituale contatto col mondo, sa salvaguardare il suo spirito interiore e dirigere sempre i suoi pensieri e le sue intenzioni verso il solo Dio. In lui ogni dispendio di attività esteriore è talmente soprannaturalizzato ed infiammato di carità, che non solo non porta alcuna diminuzione di forze, ma causa necessariamente un aumento di grazia.

Nelle altre persone invece, anche se fervorose, al termine di un tempo più o meno lungo dedicato alle occupazioni esteriori, la vita soprannaturale sembra subire delle perdite. Troppo preoccupato del bene da fare al prossimo, troppo assorbito da una compassione insufficientemente soprannaturale per le miserie da alleviare, il loro cuore imperfetto sembra innalzare a Dio fiamme meno pure, offuscate dal fumo di numerose imperfezioni.

Iddio non punisce questa debolezza con una diminuzione della sua grazia e non tratta con rigore queste mancanze, purché nell’azione vi siano stati seri sforzi di vigilanza e di preghiera, e purché, terminato il lavoro, l’anima si disponga a tornare da Lui riposandosi e ritemprandosi le forze. Sono questi continui ricominciamenti causati dall’intrecciarsi tra vita attiva e vita interiore, che danno gioia al suo cuore di Padre.

Del resto, in quelli che lottano, queste imperfezioni diventano sempre meno profonde e meno frequenti, di mano in mano che l’anima impara a ricorrere senza stancarsi a quel Gesù ch’essa trova sempre pronto a dirle: «Vieni a me, povero cervo trafelato ed assetato per il lungo cammino; vieni a trovare nelle acque vive il segreto per tornare agile nelle nuove corse; ritirati un momento da quella folla che non può darti l’alimento richiesto dalle tue forze esauste: Venite seorsum et requiescite pusillum (Mc. 6, 31). Nella calma e nella pace che gusterai presso di me, non solo ritroverai il primitivo vigore, ma imparerai il modo di agire di più con minor fatica.

«Elia, oppresso e scoraggiato, ebbe le sue energie rianimate all’istante in virtù di un pane misterioso. Così, o mio apostolo, in questo invidiabile còmpito di corredentore che mi è piaciuto d’importi, ti do la possibilità, con la mia parola che è vita piena e con la mia grazia che è il mio sangue, di riorientare il tuo spirito verso gli eterni orizzonti e di rinnovare tra il tuo cuore ed il mio un patto d’intimità. Vieni, io ti consolerò dalle tristezze e dalle delusioni del viaggio; nella fornace del mio amore potrai ritemprare l’acciaio delle tue risoluzioni. Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos»9.

3. La vita interiore moltiplica le energie
e i meriti dell’apostolo

«Tu dunque, figlio mio, rinvigorisciti nella grazia» (2 Tim. 2, 1). La grazia è una partecipazione alla vita dell’Uomo-Dio. La creatura possiede una certa misura di forza – e in un certo senso la si può anche qualificare e definire una forza – ma Gesù è la Forza per essenza: in Lui risiede la pienezza della forza del Padre, l’onnipotenza dell’azione divina, e il suo Spirito lo si definisce Spirito di fortezza.

«O Gesù, solo in Voi sta tutta la mia forza», esclamava san Gregorio di Nazianzo. «Fuori di Cristo non sono che impotenza», diceva a sua volta san Gerolamo.

Il serafico dottore San Bonaventura, nel quarto libro del suo Compendium Theologiae, enumera i cinque principali caratteri che ci dona la forza di Gesù.

Il primo è l’intraprendere le cose difficili e l’affrontare con decisione gli ostacoli: «Agite da forti e il cuor vostro si rinvigorisca» (Ps. 30).

Il secondo è il disprezzo delle cose della terra: «Mi sono privato di tutte le cose, ritenendole sterco» (Fil. 3, 8).

Il terzo è la pazienza nelle tribolazioni: «L’amore è forte almeno quanto la morte» (Ct. 7, 6).

Il quarto è la resistenza alle tentazioni: «Qual leone ruggente, il diavolo si aggira intorno a voi cercando di divorarvi: ma voi resistetegli forti nella fede» (1 Pt. 5, 8-9).

Il quinto è il martirio interiore, ossia la testimonianza, non del sangue ma della vita stessa, che grida al Signore: «voglio essere tutta vostra»; ciò consiste nel combattere le concupiscenze, nel domare i vizi e nel lavorare energicamente per l’acquisto delle virtù: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tim. 4, 7).

Mentre l’uomo esteriore conta sulle proprie forze naturali, l’uomo interiore le considera solo come aiuti, certamente utili ma insufficienti. Il sentimento della sua debolezza e la sua fede nella potenza di Dio gli danno, come a san Paolo, la giusta misura della sua forza. Di fronte agli ostacoli che gli si oppongono da ogni parte, esclama con umile fierezza: «Quando sono debole, è proprio allora che divento potente» (2 Cor., 12, 10).

Senza la vita interiore, disse San Pio X, mancheranno le forze per sopportare con perseveranza le molestie che trascina con sé ogni apostolato, la freddezza e la scarsa collaborazione dei buoni, le calunnie degli avversari, talvolta perfino le gelosie degli amici e dei compagni d’armi! Solo una virtù paziente, radicata nel bene e al tempo stesso soave e delicata, è capace di evitare o diminuire queste difficoltà10.

Con la vita di orazione, simile alla linfa che dalla vite scorre nei tralci, la forza divina discende nell’apostolo per fortificarne l’intelligenza, radicandolo sempre più nella fede. Egli progredisce perché questa virtù rischiara il suo cammino con luci sempre più vive e avanza risolutamente perché sa dove andare e come raggiungere la meta.

Questa illuminazione è accompagnata da una tale energia soprannaturale di volontà, che anche il carattere più debole ed instabile diviene capace di atti eroici.

Il «manete in me», l’unione con l’Immutabile, con Colui che è il Leone di Giuda e il Pane dei forti, spiega quindi il prodigio della costanza invincibile e della fermezza così perfetta che, nell’ammirabile apostolo san Francesco di Sales, s’univano a una dolcezza e a un’umiltà senza pari. Lo spirito e la volontà si fortificano con la vita interiore, perché ne è fortificato l’amore. Gesù lo purifica, lo dirige e l’accresce progressivamente, lo fa partecipare ai sentimenti di compassione, di dedizione, di abnegazione e di disinteresse del suo adorabile Cuore. Se questo amore cresce fino a divenire passione, allora esalta fino al massimo sviluppo e utilizza a suo vantaggio tutte le forze naturali e soprannaturali dell’uomo.

E’ quindi facile giudicare l’accrescimento dei meriti che risulta dal moltiplicarsi delle energie fornite dalla vita di orazione, se si tiene a mente che il merito non consiste tanto nella difficoltà richiesta per compiere un atto, quanto nella intensità della carità portata al suo compimento.

4. La vita interiore dà all’apostolo gioia
e consolazione

Solo un amore ardente ed incrollabile è capace di ravvivare un’esistenza, perché l’amore possiede il segreto di far sbocciare il cuore in mezzo ai più grandi dolori e alle fatiche più opprimenti.

La vita dell’uomo apostolico è un intreccio di sofferenze e di fatiche. Per quanto giocondo possa essere il suo carattere, se l’apostolo non ha la convinzione di essere amato da Gesù Cristo, quali ore tristi, inquiete e buie per lui... a meno che l’infernale cacciatore non gli faccia luccicare innanzi lo specchietto delle consolazioni umane e degli apparenti successi, per meglio attirare quest’ingenua allodola nei suoi inestricabili lacci. Solamente l’Uomo-Dio può far sgorgare dall’anima quel grido sovrumano: «sovrabbondo di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni» (2 Cor. 76, 4). In mezzo alle mie interiori sofferenze, dice l’Apostolo, nonostante l’agonia della parte inferiore dell’anima, il suo vertice, come quello di Gesù nel Getsemani, gioisce di una felicità che per certo non ha nulla di sensibile, ma che è talmente vera che non la scambierei con tutte le gioie umane.

Arrivano la prova, il contrasto, l’umiliazione, la sofferenza, la perdita dei beni, anche quella delle persone amate; ma l’anima accetterà queste croci in tutt’altro modo da come faceva al principio della sua conversione. Di giorno in giorno essa cresce nella carità. Il suo amore sarà forse senza splendore; il Maestro potrà trattarla da anima forte, conducendola per le vie di un annientamento sempre più profondo o per l’arduo sentiero dell’espiazione, a beneficio proprio o altrui; ma che importa! Favorito del raccoglimento, alimentato dall’Eucaristia, l’amore cresce sempre più e se ne ha la prova in quella generosità con cui l’anima si sacrifica e si abbandona, in quella dedizione che la spinge a correre, senza preoccuparsi delle fatiche, alla ricerca delle anime, verso le quali il suo apostolato si esercita con una pazienza, una prudenza, un tatto, una compassione ed un ardore, che si spiegano soltanto con la penetrazione della vita di Gesù in lei: «Vivit vero in me Christus».

Il sacramento dell’amore dev’essere il sacramento della gioia. L’anima non può essere interiore senza essere eucaristica, senza quindi gustare intimamente il dono di Dio, senza godere della sua presenza, senza assaporare la dolcezza dell’essere amato che possiede e che adora.

La vita dell’uomo apostolico è una vita di preghiera. «La vita di preghiera – disse il santo Curato d’Ars – è la grande felicità di questa vita. Oh bella vita! Bella unione dell’anima col Signore! L’eternità non sarà abbastanza lunga per comprendere questa felicità. La vita interiore è un bagno d’amore in cui l’anima s’immerge; essa è come affogata nell’amore. Dio tiene l’anima interiore, come una mamma tiene nella mano la testa del suo bimbo per coprirla di baci e di carezze».

Un’altra fonte di gioia consiste nel contribuire a far servire e far onorare l’oggetto del proprio amore. L’uomo apostolico conosce tutte queste felicità. Mentre si serve dell’azione per aumentare il suo amore, egli sente al tempo stesso accrescere la sua gioia e la sua consolazione. «Venator animarum», cacciatore di anime, egli ha la gioia di contribuire alla salvezza di esseri che sarebbero finiti dannati, e quindi ha la gioia di consolare Dio nel dargli dei cuori che sarebbero stati eternamente separati da Lui; infine, ha la gioia di sapere che in tal modo egli procura a se stesso una delle più solide assicurazioni di progresso nel bene e di gloria eterna.

5. La vita interiore affina nell’apostolo la rettitudine d’intenzione

L’uomo di fede giudica l’azione sotto una luce ben diversa da chi vive esteriormente. Più che l’aspetto appariscente, egli ne comprende il ruolo che svolge nel piano divino e i risultati soprannaturali.

Così pure, considerando se stesso come un semplice strumento, egli ha tanto più in orrore ogni compiacenza delle sue proprie capacità, quanto più fonda la speranza della sua riuscita nella persuasione della propria impotenza e sulla confidenza in Dio solo.

Egli si radica in tal modo nello stato d’abbandono. Nel mezzo delle difficoltà, quale differenza tra il suo atteggiamento e quello dell’apostolo che non conosce l’intimità con Gesù!

Nondimeno, questo abbandono non diminuisce affatto il suo ardore per l’impresa. Egli agisce come se il successo dipendesse unicamente dalla propria attività, tuttavia non l’aspetta che da Dio solo (S. Ignazio). Non prova perciò nessuna pena a subordinare tutti i suoi progetti e le sue speranze ai segni incomprensibili di quel Dio, che spesso fa servire al bene delle anime i rovesci meglio ancora dei trionfi.

Pertanto quest’anima si trova in uno stato di santa indifferenza all’insuccesso come alla riuscita. Essa è sempre pronta a dirvi: «Mio Dio, Voi non volete che l’opera incominciata giunga a compimento. Preferite che io mi limiti ad agire generosamente, ma sempre in pace, e a sforzarmi per ottenere il risultato, riservando solo a Voi la cura di decidere se il successo Vi procurerà maggior gloria che un mio atto di virtù derivato dall’accettare un fallimento. Sia mille volte benedetta la vostra santa e adorabile volontà! Con l’aiuto della vostra grazia, fate che io sappia reprimere i più piccoli sintomi di vana compiacenza, quando Voi benedite i miei disegni, e fate che sappia umiliarmi e adorarvi, quando la vostra Provvidenza giudica bene annientare il frutto delle mie fatiche».

In verità, il cuore dell’apostolo sanguina nel vedere le tribolazioni della Chiesa; ma non c’è nulla di comune tra il suo modo di patire e quello dell’uomo che non è animato da spirito soprannaturale. Al momento in cui sopraggiungono le difficoltà, lo dimostrano il contegno e l’attività febbrile di costui, le sue impazienze ed il suo abbattimento, la sua disperazione e talvolta il suo annientamento di fronte a rovine irreparabili. Il vero apostolo invece utilizza tutto, trionfi e rovesci, per accrescere la sua speranza e dilatare la sua anima nel fiducioso abbandono alla Provvidenza. Nessun particolare del suo apostolato che non diventi occasione per un atto di fede. Nessun istante del suo perseverante lavoro che non sia occasione per dar prova della sua carità, perché, con l’esercizio della custodia del cuore, giunge a compiere tutto con una purezza d’intenzione sempre più perfetta, e con l’abbandono rende il suo ministero sempre più impersonale.

Così, ogni sua azione s’impregna sempre più dei caratteri della santità; mescolato all’inizio a tante imperfezioni, il suo amore per le anime, purificandosi sempre più, finisce col non vedere in esse che Gesù, col non amarle che in Gesù; e così, per mezzo di Gesù, le genera a Dio: «o figli miei, per i quali io continuo a soffrire i dolori del parto, finché non avrò formato in voi il Cristo» (Gal. IV, 19).

6. La vita interiore è una difesa dallo scoraggiamento

«Quando Dio vuole che un’opera sia totalmente frutto delle sue mani, dapprima riduce tutto all’impotenza e poi agisce». Questa frase di Bossuet è incomprensibile all’apostolo che non coglie la vera anima del suo apostolato.

Non c’è nulla che ferisca Dio quanto l’orgoglio. Ora, nella ricerca del successo, se manchiamo di purezza d’intenzione, noi possiamo giungere ad erigerci a una sorta di divinità, principio e fine delle nostre opere. Dio ha in orrore questa idolatria. Quando vede che l’attività dell’apostolo manca di quella impersonalità che la sua gloria esige dalla creatura, lascia talvolta campo libero alle cause seconde e l’edificio non tarda a crollare.

Attivo, intelligente, dedicato, l’operaio si è messo all’opera con tutto l’ardore della sua natura. Forse ha ottenuto brillanti successi, ne ha gioito e se n’è compiaciuto: sono opera sua, tutta sua! Ha quasi fatto suo quel celebre motto: «Veni, vidi, vici». Ma attendiamo un poco. Un avvenimento permesso da Dio, oppure un’azione diretta di Satana o del mondo vengono a colpire l’opera o la persona stessa dell’apostolo: rovina totale! Ma ben più lamentevole è la rovina interiore, frutto della tristezza e dello scoraggiamento di questo prode del giorno prima. Più era esuberante la gioia, più profondo è ora l’abbattimento.

Solo il Signore potrebbe riergere quelle rovine. «Alzati! – dice allo scoraggiato – Invece di fare da solo, riprendi il tuo lavoro con Me, per mezzo di Me e in Me!» Ma il disgraziato non ascolta più questa voce. E’ talmente esteriorizzato che, per poterla sentire, avrebbe bisogno di un vero miracolo della grazia, sul quale però non ha più diritto di contare, a causa delle infedeltà accumulate. Solo una vaga convinzione della potenza e della Provvidenza di Dio aleggia sulla desolazione di questo sventurato, e non può bastare a dissipare le ondate di tristezza che continuamente lo assalgono.

Che diverso spettacolo offre invece il vero sacerdote il cui ideale è di riprodurre in sé Gesù Cristo! Per lui, la preghiera e la santità di vita restano i due grandi mezzi di azione sul Cuore di Dio e sul cuore degli uomini. Si è prodigato, certo, e generosamente, ma il miraggio del successo gli è sembrato una prospettiva indegna di un vero apostolo. Sopraggiungono le burrasche, ma poco importa la causa seconda che le ha prodotte. Poiché non ha lavorato che con il Signore, in mezzo al cumulo delle macerie sente risuonare nel fondo del cuore quello stesso «non temete!» che, durante la tempesta, ridiede pace e sicurezza agl’impauriti discepoli.

Il primo risultato della prova consiste in un nuovo slancio verso l’Eucaristia e in un rinnovamento d’intima devozione verso la Madonna Addolorata.

Invece di essere schiacciata dall’insuccesso, la sua anima esce ringiovanita dal torchio: «Verrà rinnovata la tua giovinezza, come quella dell’aquila» (Ps. 103, 5). Da dove gli viene questo atteggiamento di umile trionfatore in mezzo alla disfatta? Non cercatene il segreto altrove che in quella unione con Gesù ed in quella confidenza incrollabile nella Sua potenza che faceva già dire a Sant’Ignazio: «Se la Compagnia di Gesù venisse soppressa senza mia colpa, un quarto d’ora di conversazione con Dio mi basterebbe per riacquistare la calma e la pace». «In mezzo alle umiliazioni – diceva il santo curato d’Ars – il cuore delle anime interiori sta come una roccia in mezzo ai flutti del mare»11.

L’apostolo soffre, certamente. La perdita di molte sue pecorelle sarà forse il risultato di ciò che ha reso vani i suoi sforzi e rovinato la sua opera. Questo vero pastore prova un’amara tristezza, che però non può frenare l’ardore che lo spingerà a ricominciare da capo.

Egli sa che la redenzione, anche quella che salva una sola anima, è un’opera grande che si compie soprattutto con la sofferenza. Ma a rinvigorirlo basta la certezza che le prove generosamente sopportate aumentano il suo progresso nella virtù e procurano a Dio una gloria maggiore.

D’altra parte, egli sa pure che Dio spesso non vuole da lui altro che germi di successo. Verranno altri a raccogliere messi copiose; esse crederanno forse di potersene attribuire il merito; ma il Cielo saprà discernerne la causa nel lavoro ingrato e in apparenza sterile che le ha precedute: «Vi ho mandato a mietere dove non avete lavorato; altri hanno faticato e voi siete subentrati al loro lavoro» (Gv. 4, 38).

Il Signore, autore dei successi ottenuti dagli Apostoli dopo la Pentecoste, durante la sua vita pubblica non ha voluto che seminare germi, insegnamenti, esempi, predicendo ai discepoli che sarebbe stato loro concesso di compiere opere più grandi delle sue: «Colui che crede in me, compirà le opere che io faccio, anzi ne farà di maggiori» (Gv. 14, 12).

Scoraggiarsi, il vero apostolo? Lasciarsi influenzare dai discorsi dei pusillanimi? Condannarsi al riposo dopo l’insuccesso? Sarebbe non comprendere la sua vita intima e la sua fede in Cristo! Come ape infaticabile, egli va sempre ricostruendo nuovi favi nell’alveare devastato.


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:54. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com