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L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
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05/09/2009 22:04


4. La vita interiore dà all’operaio evangelico
la vera eloquenza

Intendo parlare qui dell’eloquenza apportatrice di grazia, capace di convertire le anime e condurle alla virtù. Ne ho già parlato incidentalmente e perciò mi limito a poche parole.

Nell’ufficio di S. Giovanni Evangelista si legge questo responsorio: «Riposando sul petto del Signore, egli bevve alla sorgente che scaturiva dallo stesso Sacro Cuore, e diffuse in tutto i mondo i fiumi della grazia divina». In queste poche parole, quale profonda lezione per tutti coloro che, come predicatori o scrittori o catechisti, hanno la missione di diffondere la parola divina! Con queste incisive espressioni la Chiesa svela ai suoi sacerdoti la sorgente della vera eloquenza.

Tutti gli evangelisti sono ugualmente ispirati, tutti hanno il loro scopo provvidenziale; tuttavia ognuno ha una propria eloquenza.

San Giovanni più degli altri possiede quella che giunge alla volontà per mezzo del cuore, in cui versa la grazia del Verbo divino. Il suo Vangelo, con le lettere di san Paolo, è il libro preferito dalle anime che trovano la vita terrena vuota di senso senza l’unione con Gesù Cristo.

Donde proviene a San Giovanni quest’affascinante eloquenza? Da quale monte sgorga quel fiume le cui acque benefiche irrigano il mondo intero? Il testo liturgico ce lo dice: é un fiume che sgorga dal Paradiso, «quasi unus ex Paradisi fluminibus Evangelista Ioannes».

A che servono tante alte montagne e tanti ghiacciai? «Non sarebbe più utile – dirà l’ignorante – se queste immense alture di terra si livellassero distendendosi in pianura?» Egli non pensa che, senza quelle alte cime, le pianure e le valli sarebbero sterili come il deserto del Sahara. Sono infatti proprio le montagne che, con i fiumi di cui sono serbatoi, danno fertilità alla terra.

L’alta vetta del Paradiso, da cui scaturisce la sorgente che alimenta il Vangelo di San Giovanni, altro non è che il Cuore di Gesù: «Evangelii fluenta de ipso sacro Dominici pectoris fonte potavit»; appunto perché l’Evangelista, con la vita interiore, ha udito i battiti del Cuore dell’Uomo-Dio e l’ immensità del suo amore per gli uomini, la sua parola è apportatrice del Verbo divino: «Verbi Dei gratiam diffudit».

Allo stesso modo, si può dire che gli uomini di vita interiore sono in un certo senso fiumi del Paradiso. Con le loro preghiere e immolazioni attirano dal Cielo sulla terra le acque vive della grazia e allontanano o abbreviano i castighi meritati dal mondo. Inoltre, andando ad attingere – nel più alto dei cieli, dal cuore di Colui nel quale risiede la vita intima di Dio – l’acqua viva della vita, la versano con abbondanza sulle anime: «Haurietis aquas de fontibus Salvatoris». Chiamati ad annunciare la parola di Dio, lo fanno con un’eloquenza di cui essi soli hanno il segreto. Essi raccontano il Cielo alla terra; essi illuminano, riscaldano, consolano, fortificano. Senza tali qualità unite insieme, l’eloqueza sarà incompleta; ma il predicatore non potrà riunirle se non vivendo di Gesù.

Son davvero io uno di coloro che, per dare forza dell’azione alla propria eloquenza, contano soprattutto sulla preghiera, sulla visita al Ss.mo Sacramento, sulla Messa, sulla Comunione? Se così non è, potrò essere un rumoroso cymbalum tinniens, potrò rimbombare come un bronzo, velut aes sonans, ma non sarò mai il canale dell’amore, di quell’amore che rende irresistibile l’eloquenza degli amici di Dio.

Il quadro della verità cristiana, esposto da un predicatore istruito ma di pietà mediocre, può commuovere le anime, avvicinarle a Dio ed anche accrescere la loro fede. Ma per impregnarle del vivificante sapore della virtù è necessario aver gustato lo spirito del Vangelo e, per mezzo della meditazione, averne fatta la sostanza della propria vita.14

Ripetiamo ancora che solo lo Spirito Santo, principio di ogni fecondità spirituale, opera le conversioni e diffonde le grazie che spingono a fuggire il vizio e praticare la virtù. La parola dell’operaio evangelico, impregnata dell’unzione dello Spirito santificatore, diviene un canale vivente che riversa l’azione divina. Prima della Pentecoste gli Apostoli avevano predicato quasi senza frutto; ma dopo il loro ritiro di dieci giorni, tutto pregno di vita interiore, lo Spirito di Dio li invade e li trasforma; i loro primi esempi di predicazione sono pesche miracolose. Altrettanto vale per i seminatori del Vangelo; mediante la vita interiore, essi sono veramente apportatori di Cristo, piantano ed irrigano efficacemente e allora lo Spirito Santo garantisce la crescita. La loro parola è ad un tempo il buon seme che cade e la pioggia che feconda; il sole che fa crescere e maturare non manca mai.

«Il solo risplendere è vano, il solo riscaldare è poco; la perfezione sta nel risplendere riscaldando», dice san Bernardo, che continua: «Specialmente agli Apostoli e agli uomini apostolici è stato detto: La vostra luce risplenda davanti agli uomini; essi vengono notati perché accesi, anzi infuocati».15

L’apostolo attinge l’eloquenza evangelica dalla vita d’unione con Gesù mediante la meditazione e la custodia del cuore, ma l’attinge anche dalle Scritture studiate e gustate con passione. Per lui ogni parola rivolta da Dio all’uomo, ogni detto uscito dalle adorabili labbra di Gesù, è un diamante di cui ammira le varie sfaccettature alla luce del dono della sapienza, così particolarmente sviluppato in lui. Ma siccome egli non apre il Libro sacro se non dopo aver pregato, non solo ne ammira gli insegnamenti, ma li assapora come se lo stesso Spirito Santo li avesse dettati solo per lui.

Quanta unzione perciò quando, salito sul pulpito, cita la parola di Dio, e quale diversità tra i lumi che ne fa scaturire lui e le ingegnose o sapienti applicazioni che può trarne un predicatore assistito dai soli lumi della ragione e da una fede pressoché astratta e morta! Il primo mostra la verità viva che avvolge le anime con una realtà che non vuole solo illuminarle ma anche vivificarle. Il secondo non sa parlarne se non come di una equazione algebrica, indubbiamente esatta, ma fredda e senza legami con la vita intima; egli lascia la verità astratta, o, per così dire, allo stato di semplice memoriale, o tutt’al più capace solo di eccitare i cuori per via del cosiddetto carattere estetico del cristianesimo. «La maestà delle Scritture mi sbalordisce e la semplicità del Vangelo mi parla al cuore», confessava il sentimentale Rousseau. Ma che importavano alla gloria di Dio queste vaghe e sterili emozioni?

Il vero apostolo, invece, possiede il segreto di mostrare il Vangelo nella sua verità, non soltanto sempre attuale, ma anche sempre operante e continuamente rinnovata, perché divina, per l’anima che ne entra in contatto. Senza fermarsi a gustarne il sentimento, egli giunge, mediante la parola divina, fino a quella volontà in cui risiede la corrispondenza alla vera vita; le convinzioni da lui prodotte generano amore e risoluzione. Egli solo possiede la vera eloquenza evangelica.

Non vi può essere vita interiore completa senza una tenera devozione a Maria Immacolata, che è il canale per eccellenza di tutte le grazie, e soprattutto delle grazie più elette. L’apostolo abituato al continuo ricorso a Maria – senza del quale san Bernardo non può comprendere come si possa essere vero figlio di questa incomparabile Madre – nell’esporre il dogma sulla Madre di Dio e degli uomini, trova parole che non solo colpiscono e commuovono gli uditori, ma trasmettono a loro questo stesso bisogno di ricorrere, in ogni difficoltà, alla Dispensatrice del Sangue divino. Basta che questo apostolo lasci parlare la sua esperienza ed il suo cuore, per guadagnare le anime alla Regina del Cielo e, per mezzo di Lei, gettarle nel Cuore di Gesù.



5. Poiché la vita interiore genera altra vita interiore, i suoi risultati sulle anime sono profondi e duraturi

Bisognerebbe che questo capitolo, che ho aggiunto alle prime edizioni del libro, fosse scritto in forma di lettera indirizzata al cuore di ognuno dei miei confratelli.

Già abbiamo considerato che le opere dipendono soprattutto dalla vita interiore dell’operaio evangelico. Ma la preghiera e la riflessione mi hanno spinto ad analizzare l’infecondità delle opere sotto un altro aspetto, e credo di essere nel vero formulando la seguente proposizione:

Un’opera non mette profonde radici, non è veramente stabile né si perpetua, se l’operaio evangelico non ha generato anime alla vita interiore. Ora, questo non può farlo se non è egli stesso fortemente nutrito di vita interiore.

Nel paragrafo 3 della seconda parte, ho citato le parole del canonico Timon-David sulla necessità di formare in ogni istituzione un gruppo di ferventissimi cristiani che esercitino, a loro volta, un vero apostolato sui loro compagni. Tutti comprendono quanto sia prezioso questo fermento e fino a qual punto questi collaboratori possano moltiplicare la potenza di azione dell’apostolo. Egli non lavora più da solo, ma i suoi mezzi d’azione sono centuplicati.

Mi affretto a ripetere che soltanto l’uomo di azione veramente interiore ha vita sufficiente per produrre altri focolai di vita feconda. Ad ottenere zelatori capaci di far propaganda e di esercitare un’influenza per cameratismo, per spirito di corpo o per rivalità, riescono anche le opere laiche, alle quali basta far perno su fanatismo o rivalità, su settarismo o una misera gloria, su interesse o ambizione. Ma per suscitare degli apostoli secondo il Cuore di Gesù Cristo, apostoli che partecipino alla sua dolcezza e alla sua umiltà, alla sua disinteressata bontà e al suo zelo esclusivo per la gloria di Dio, non si può sperare in altra leva che l’intensa vita interiore.

Finché un’istituzione non ha potuto produrre questo risultato, la sua esistenza è effimera ed è quasi certo che non sopravviverà al suo fondatore. Per contro, non c’è da dubitare che la ragione della continuità di certe istituzioni sta ordinariamente nel solo fatto che la vita interiore ha potuto generare altra vita interiore.

Ne porto un esempio.

Il padre Allemand16, morto in odore di santità, al tempo della Rivoluzione Francese aveva fondato a Marsiglia l’Opera Giovanile per gli studenti e gli operai. Questa istituzione conserva ancora il nome del Fondatore e continua, dopo oltre un secolo, a godere di un’ammirabile prosperità. Ben poco dotato dal punto di vista naturale, quasi cieco, timido e senza talento oratorio, questo sacerdote, umanamente parlando, era incapace della prodigiosa attività richiesta dalla sua impresa.

I lineamenti sgraziati del suo volto avrebbero portato i giovani a burlarsi di lui, se la bellezza della sua anima non si fosse manifestata nello sguardo e in tutto il suo contegno. In virtù di questa bellezza, l’uomo di Dio aveva su quella irrequieta gioventù un tale ascendente da dominarla e imporle rispetto, stima ed affetto. Allemand volle tutto costruire solamente sulla vita interiore e fu capace di formare, in seno alla sua opera, un gruppo di giovani ai quali non esitava a domandare, in tutta la misura permessa dalla loro condizione, una vita interiore integrale, un’assoluta custodia del cuore, la meditazione mattutina, eccetera; insomma la completa vita cristiana quale la comprendevano e la praticavano i cristiani dei primi secoli.

Questi giovani apostoli, succedendosi, continuarono davvero ad essere in Marsiglia l’anima di quell’istituzione che diede alla Chiesa tanti Vescovi e dà tuttora tanti sacerdoti, missionari, religiosi e migliaia di padri di famiglia, che sono in quella città marittima il maggior cardine delle opere parrocchiali e formano una schiera che non solo è l’onore del commercio, dell’industria e delle professioni, ma costituisce un vero focolaio di apostolato.

Padri di famiglia, ho detto; queste parole mi richiamano il solito ritornello che si ode un po’ovunque: «L’apostolato è relativamente facile sui giovani, sulle ragazze e sulle madri di famiglia, ma quando lo si vuole esercitare sugli uomini, diventa spesso impossibile. Eppure, finché non avremo ottenuto che i capi di famiglia diventino non solo cristiani ma apostoli anche loro, l’influenza pur tanto apprezzabile della madre cristiana sarà paralizzata o effimera e non giungeremo mai ad assicurare il regno sociale di Gesù Cristo. Orbene, in questa parrocchia, in questo sobborgo, in questo ospedale, in questa officina, non c’è nulla da fare per portare gli uomini a divenire profondamente cristiani».

Ma confessando così la nostra incapacità, non forniamo forse il più delle volte una patente d’insufficienza a quella vita interiore che da sola potrebbe ispirarci i mezzi per impedire che un così gran numero di uomini sfugga all’azione della Chiesa? Alle fatiche di una intensa preparazione, alle prediche capaci di far nascere la convinzione, l’amore e profonde risoluzioni nelle menti e nei cuori degli uomini, non preferiamo forse i facili successi oratori davanti alla gioventù o alle donne? Solo la vita interiore ci potrebbe sostenere nelle fatiche delle semine ignote, ardue e a lungo infruttuose, in apparenza. Solo essa ci farebbe comprendere quanta potenza darebbe alla nostra azione la fatica della preghiera e della penitenza, e quanto i nostri progressi nell’imitazione di tutte le virtù di Gesù Cristo moltiplicherebbero l’efficacia del nostro apostolato fra gli uomini.

Rimasi così sorpreso dai particolari che si raccontavano intorno ad un circolo militare di una grande città della Normandia, che stentavo a credere a tali successi. Come mai, per esempio, i soldati andavano al circolo molto più numerosi quando vi si teneva una lunga serata d’adorazione in riparazione delle bestemmie e delle dissolutezze commesse in caserma, che non quando si dava un concerto musicale o una rappresentazione teatrale? Ma dovetti arrendermi all’evidenza e cessò anche la sorpresa, quando mi venne descritto fino a qual punto il cappellano militare comprendeva il Tabernacolo e quali apostoli aveva saputo formare attorno a sé.

Dopo un tal esempio, che pensare di certi apostoli per i quali cinema, teatro e ginnastica sembrano quasi formare il programma di un quinto vangelo annunciato per la conversione dei popoli?

In mancanza d’altro, l’uso di questi mezzi per attirare i giovani o per tenerli lontani dal male otterrà certamente qualche risultato, ma troppo spesso così limitato ed effimero! Dio mi guardi dal raffreddare lo zelo di quei cari confratelli che non possono né concepire né usare altro metodo e – come ho verificato da giovane – temono sùbito che i loro istituti diventino deserti, non appena gli si propone di consacrare meno tempo a preparare quei moderni divertimenti che considerano come condizione sine qua non del successo. Mi limito dunque a metterli in guardia contro il pericolo di dar troppa importanza a questi mezzi ed auguro a loro la grazia di comprendere la tesi del canonico Timon-David, di cui già ho riportato una conversazione.

Un giorno (avevo appena due anni di sacerdozio) quel venerando sacerdote era costretto a dirmi fraternamente, ma non senza una certa pietà, alla fine di una conversazione:

«Non potestis portare modo; solo più tardi, quando lei sarà progredito nella vita interiore, mi comprenderà meglio. Tutto considerato, oggi lei non può trascurare tali mezzi; li adoperi dunque senza esitare, in mancanza d’altro. Per conto mio, conservo senza problemi i miei giovani operai e impiegati e ne attiro altri, benché da noi non ci sia quasi altro che quei giochi antichi e sempre nuovi che, oltre non costare nulla, distendono l’animo con la loro stessa semplicità».

Aggiunse poi argutamente: «Le avevo mostrato relegati nel solaio gli strumenti di musica che anch’io in principio consideravo indispensabili; guardate che proprio ora viene verso di noi la nostra fanfara, giudicatela voi». Infatti, dopo alcuni minuti, sfilava davanti a noi un folto gruppo di quaranta o cinquanta giovani dai dodici a diciassette anni. Che baccano! Chi non sarebbe scoppiato dalle risa alla vista di quella buffa schiera che lo sguardo allegro del vecchio canonico contemplava con soddisfazione? Egli mi disse:

«Osservi quello che marcia a ritroso in testa al gruppo ed agita quella grossa bacchetta come un direttore d’orchestra e poi la porta comicamente alle labbra quasi fosse un clarinetto. E’ un sott’ufficiale in licenza, uno dei nostri migliori apostoli. Per quanto può, fa la Comunione quotidiana, ma soprattutto non tralascia mai la mezz’ora di orazione mentale. Straordinario trascinatore, quest’angelo di pietà s’ingegna di utilizzare tutti i suoi talenti perché i giochi dei ragazzi non vengano a languire. Magnifico nello scovare risorse per riuscirci, egli tiene vivo l’entusiasmo di questi fanciulli; ma nulla sfugge al suo occhio di aiutante e al suo cuore di apostolo».

Non potevo trattenere le risa dinanzi a quel gruppo di musicisti che eseguivano i canti più in voga a quei tempi: Un canard déployant ses ailes; As-tu vu la casquette, eccetera. Quando il direttore d’orchestra dava l’attacco, si cambiava ritornello. Ogni esecutore simulava uno strumento: alcuni con le mani alla bocca a forma di conchiglia, altri con un foglio di carta che vibrava tra le labbra, pochi altri con uno zufolo, eccetera; in prima fila c’era un trombone e una grancassa: il primo era imitato da due bastoni ad uno dei quali la mano imprimeva un regolare movimento avanti-indietro; la seconda era costituita da un vecchio bidone da petrolio. I volti raggianti di tutti quei ragazzi mostravano che erano letteralmente presi dal gioco. «Seguiamo la fanfara», mi disse il canonico. In fondo al viale s’alzava una statua della Vergine. «In ginocchio, amici! – ordinò il direttore di banda.- Un’Ave maris Stella alla nostra buona Madre e poi un po’ di Rosario». Quel piccolo mondo rimase qualche minuto in silenzio, poi cominciò a rispondere alle Avemaria con raccoglimento, come fosse stato in chiesa. Quei piccoli meridionali, quasi tutti con gli occhi bassi, che fino a qualche minuto prima erano veri folletti, s’erano mutati improvvisamente in angioletti degni dei quadri del Beato Angelico. «Non dimenticate – soggiunse la mia guida – che questo è il termometro dell’istituzione. Trattenere con giochi semplici ed entusiasmanti i nostri giovani anche oltre i vent’anni; ottenere che desiderino riprendere qui, nelle ore di preghiera e di orazione, uno spirito innocente divertendosi con un nonnulla; giungere soprattutto a far pregare, ma pregare davvero, anche in mezzo ai giochi. Ecco a quanto mirano i nostri apostoli». La banda si alzò per nuovi saggi artistici, dei quali risuonò l’ampio cortile. Poco dopo era il gioco delle aste a furoreggiare. Notai intanto che il sottufficiale, alzandosi dopo l’Ave maris stella, aveva sussurrato alcune parole all’orecchio di due o tre, i quali sùbito, allegramente e come obbedendo ad un’usanza praticata da tutti, andarono a posare giubbotto e scarpe da gioco e si diressero verso la cappella per passarvi un quarto d’ora davanti al divin Prigioniero.

Aggiunse allora il canonico con profonda soddisfazione: «La nostra ambizione deve mirare a formare zelatori che abbiano un amore di Dio così intenso che, anche quando avranno lasciato l’istituto e fondato una famiglia, rimangano apostoli premurosi di comunicare gli ardori della loro carità al maggior numero possibile di anime. Se il nostro apostolato mirasse solo a formare dei bravi cristiani, ah quanto sarebbe angusto il nostro ideale! Dobbiamo creare legioni di apostoli, affinché quella cellula matrice della società che è la famiglia diventi a sua volta un centro di apostolato. Ora, solo una vita di sacrificio e d’intimità con Gesù ci darà la forza e il segreto di realizzare questo programma integrale. Soltanto a questa condizione la nostra azione sarà potente in mezzo alla società e si compirà la parola del Maestro: Sono venuto per portare il fuoco sulla terra e che posso desiderare se non che divampi?» (Lc. 12, 49).

Solamente molto più tardi, purtroppo, riuscii a comprendere la portata delle viventi lezioni del canonico, così profondo nella sua psicologia e nella sua tattica, e a fare un confronto sotto lo sguardo di Dio – per il quale i successi apparenti non sono nulla – tra i risultati dei diversi mezzi adoperati. Secondo che sono semplici come il Vangelo o complessi come tutto ciò che è troppo umano, questi mezzi possono servire a valutare un’opera e coloro che l’animano.

Contro Golia, con cui avevano già vanamente combattuto bene armati i potenti d’Israele, si avanzò il giovane David. Una fionda, un bastone e cinque pietre del torrente: il fanciullo non richiedeva di più. Ma quel suo grido: «Nel nome del Dio degli eserciti!» (1 Re, 27, 45), era lanciato da un’anima già capace di arrivare alla santità.

Oggi si parla molto dei dopo-scuola organizzati dai laicisti. Ma per quanto essi abbiano a loro disposizione enormi somme ufficialmente destinate dallo Stato, magnifici locali, eccetera, i dopo-scuola promossi dalla Chiesa, nonostante la loro povertà, non ne dovranno temere la concorrenza e attireranno il meglio della gioventù, se sono basati sulla vita interiore e dotati dell’attrattiva di ciò che innanzitutto affascina il giovane: cioè il loro ideale.

Chiudo con un ultimo esempio, che servirà ad analizzare l’uomo di azione che sembra trascinare le anime al Signore fino al punto di farne degli apostoli, ma che in realtà suscita soltanto entusiasmi nati dall’umana simpatia per la sua persona e dal magnetico influsso che esercita intorno a sé. Felici di trattare con un pio ammaliatore, inorgogliti dal vedere che si occupa di loro, i giovani seguaci si raduneranno attorno a lui come in una corte e, soprattutto per fargli piacere, faranno a gara per accettare le pratiche anche più penose che sembrano riflettere una vera devozione.

Una congregazione di ottime suore catechiste era diretta da un religioso di cui fu poi scritta la vita. Quest’uomo di vita interiore disse un giorno ad una superiora locale: «Madre, credo opportuno che suor X tralasci almeno per un anno di fare il Catechismo» – «Ma, padre, non pensatelo neppure: è la migliore insegnante e i fanciulli accorrono da tutti i quartieri della città, attirati dai suoi modi meravigliosi! Toglierla dal Catechismo significherebbe provocare la diserzione della maggior parte di quei fanciulli!» – «Ho assistito, inosservato, al suo Catechismo – rispose il Padre.- E’ vero che incanta i fanciulli, ma in modo troppo umano. Faccia prima un altro anno di noviziato e poi, meglio formata nella vita interiore, con il suo zelo e l’impiego dei suoi talenti, ella santificherà l’anima sua e quelle dei fanciulli. Attualmente però, senza accorgersene, ella è un ostacolo all’azione diretta del Signore su queste anime che si stanno preparando alla prima Comunione... Vedo, Madre, che la mia insistenza vi rattrista. Ebbene, accetto un compromesso. Conosco suor Y, anima interiore benché priva di grandi talenti. Domandate alla vostra superiora generale d’inviarvela per qualche tempo. La prima andrà ancora a fare il Catechismo per un quarto d’ora, giusto per calmare i vostri timori di diserzione; poi, a poco a poco, si ritirerà completamente. Vedrete allora che i fanciulli pregheranno meglio e canteranno con più devozione. Il loro raccoglimento e la loro docilità avranno un carattere più soprannatturale: questo sarà il termometro».

Quindici giorni dopo, come poté constatarlo anche la superiora, suor Y teneva lezione da sola e tuttavia il numero dei ragazzi aumentava. Era veramente Gesù che insegnava il catechismo per mezzo suo; con il suo sguardo, con la sua modestia, con la sua dolcezza, con la sua bontà, con il suo modo di fare il segno di croce, con il suo tono di voce, essa esprimeva Gesù Cristo. Suor X sapeva spiegare con più talento e rendere interessanti gli aspetti più aridi; ma suor Y faceva di più. Senza dubbio ella non trascurava nulla per preparare le sue spiegazioni ed esporle con chiarezza, ma il suo segreto era ciò che dominava nel suo cuore: l’unzione. Ed è per mezzo di questa unzione che le anime si trovano veramente a contatto con Gesù.

Nelle lezioni di Catechismo di Suor Y c’erano molto meno di quelle chiassose esclamazioni, di quegli sguardi attoniti, di quelle fascinazioni che avrebbero potuto essere ugualmente prodotte dall’interessante conferenza di un esploratore o dall’emozionante racconto di una battaglia. C’era invece un’atmosfera di raccolta attenzione: quei fanciulli stavano nella sala come se fossero in chiesa. Nessun mezzo umano veniva impiegato per impedire la distrazione o la noia. Quale misterioso influsso dominava dunque quell’uditorio? Non inganniamoci: era quello di Gesù che agiva direttamente. Un’anima interiore che spiega le lezioni di Catechismo, è infatti come una cetra che risuona solo sotto le dita del divino Artista; e nessun’arte umana, per quanto meravigliosa sia, può paragonarsi all’azione di Gesù.




6. Importanza della formazione delle élites
e della direzione spirituale

Ritorno ancora sull’avvincente conversazione, riportata più sopra, che ebbi con il reverendo canonico Timon-David. Una parola uscita dal labbro di questo così esperto direttore di opere giovanili avrà certamente colpito il lettore.

Usando la pittoresca e metaforica parola di «stampelle», il venerando canonico riassumeva il suo pensiero sull’uso di certi divertimenti moderni per la gioventù (teatro, fanfara, cinema, giochi costosi e complicati, eccetera). Tali divertimenti, peraltro spesso occasione di strapazzo e di logoramento, più che a riposare e a dilatare l’animo o a conservare la salute fisica, tendono a lusingare la vanità e a sovreccitare l’immaginazione e la sensibilità. D’altra parte, la parola «stampelle» non si applica affatto a quei giochi assai ricreativi, benché molto semplici, che distraggono l’animo, fortificano il corpo e hanno accontentato tante cristiane generazioni.

Se paragoniamo, ma senza intenderlo bene, il parere di quel saggio canonico con quello di altri eccellenti organizzatori di apostolato, si può pensare che egli generalizzi troppo il caso in cui le «stampelle» possono essere buttate via.

Tralasciando le opere create soprattutto per alleviare le miserie corporali, le altre istituzioni per i giovani possono essere divise in due classi: quelle che accettano solo i migliori e quelle che escludono solo le pecore rognose.

Ma noi riteniamo che anche in quest’ultimo caso si debba formare un nucleo di soggetti scelti capaci, con il loro fervore, di evidenziare agli occhi degli altri il fine principale dell’istituzione: guidare tutti i suoi membri ad una vita non superficialmente ma profondamente cristiana. Altrimenti sarà una «opera profana diretta da un ecclesiastico», secondo la maliziosa espressione di un ottimo professore di liceo, il quale sospettava che la facciata clericale nascondesse quelle stesse miserie che condanniamo nelle istituzioni sottratte all’influenza della Chiesa.

I direttori che allontanano facilmente dalle loro associazioni i soggetti riconosciuti incapaci di essere incorporati nell’élite, trovano che sia perfetto il termine «stampelle» per esprimere fino a che punto considerano secondari certi mezzi di cui sanno fare a meno o usano quasi a malincuore. E certamente essi sono ben lungi dal mancare di argomenti in difesa della loro tesi.

Per loro, la restaurazione della società, e della Patria in particolare, potrà venire solo mediante una più intensa irradiazione della santità della Chiesa. E’ appunto con questo mezzo, più che con le conferenze di apologetica, che il cristianesimo si sviluppò tanto rapidamente nei primi secoli della sua storia, nonostante la potenza dei suoi nemici, le prevenzioni di ogni sorta e la generale corruzione.

Essi troncano ogni discussione con risposte di questo genere: «Potete citare un fatto, anche uno solo, che dimostri che la Chiesa, in tutto quel periodo, abbia avuto bisogno di inventare nuovi divertimenti per strappare dalla turpitudine degli spettacoli pagani le anime che doveva conquistare?»

Uno di questi direttori, alludendo alla sete di danaro e alla frenesia per il cinema che oggi appassiona le folle avide di divertimento, mi diceva: «Quel detto dei Romani – panem et circenses – oggi potremmo tradurlo così: merenda e cinematografo». Considerate invece un sant’Ambrogio e un sant’Agostino, per esempio, entrambi prodigiosi trascinatori di anime. Si potrà forse scoprire nella loro vita un solo tratto che ce li mostri nell’organizzare istituzioni tese a procurare alle loro pecorelle divertimenti capaci di far dimenticare i piaceri offerti dal paganesimo? E dove si potrà leggere che san Filippo Neri, per convertire Roma tanto intorpidita dallo spirito del Rinascimento, abbia avuto bisogno delle «stampelle» che suscitavano il buonumore del canonico Timon-David?

E’ certo invece che la Chiesa primitiva, come abbiamo già accennato, seppe organizzare un’incomparabile e numerosa élite le cui virtù stupivano i pagani e strappavano l’ammirazione alle anime leali, anche a quelle più prevenute per i loro princìpi, tradizioni e costumi contro la religione cristiana. E le conversioni fiorivano, anche negli ambienti inaccessibili al clero.

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