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L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
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05/09/2009 22:05


Davanti a queste lezioni del passato, dobbiamo domandarci se noi, nel nostro secolo, non abbiamo un’eccessiva fiducia non solo in certi divertimenti frastornanti, ma anche in molti altri mezzi (pellegrinaggi, feste, congressi, discorsi, pubblicazioni, sindacati, azione politica, eccetera), impiegati oggi su larga scala e indubbiamente utilissimi, ma che sarebbe deplorevole mettere al primo posto. La predicazione per mezzo dell’esempio sarà sempre la leva principale: solo gli esempi trascinano. Le conferenze, i buoni libri, le riviste cattoliche e perfino le eccellenti prediche devono gravitare attorno a questo programma fondamentale: organizzare l’apostolato sul popolo mediante l’esempio di cristiani ferventi che fanno rivivere Gesù Cristo ed emanano il profumo delle sue virtù.

I sacerdoti che si lasciano assorbire da tutte le altre funzioni del loro ministero, dedicandosi insufficientemente a quella principale – cioè alla formazione delle élites mediante la gran propaganda svolta dal buon esempio – non possono poi meravigliarsi se dai noi i tre quarti degli uomini (e, in moltre altre nazioni, una parte anche maggiore) rimangono rigidi nella loro indifferenza e credono che la Chiesa sia solo una rispettabile istituzione, socialmente utile, certo, ma non l’insostituibile risorsa di ogni esistenza individuale, la chiave di volta delle famiglie e delle nazioni, e soprattutto il grande Faro della Verità e della Vita eterna!

«Qual è dunque questa religione capace d’ illuminare, di fortificare e d’infiammare così il cuore umano?», esclamavano i pagani davanti ai meravigliosi effetti prodotti dalla silenziosa lega dell’azione con il buon esempio.

Ma la forza di quella lega che esisteva tra i primi cristiani non proveniva soltanto dal praticare il motto «evita il male» (Ps. 36). La fuga dalle azioni condannate dal Decalogo non sarebbe bastata per suscitare, insieme all’ammirazione, un potente desiderio d’imitare. Il trascinamento operato dagli esempi si ricollega soprattutto al motto «fa’ il bene» (Ps. 36). Ci voleva tutto lo splendore delle virtù evangeliche, quali furono proposte al mondo nel discorso della montagna.

Un uomo di stato, illustre ma miscredente, mi diceva un giorno: «Se la Chiesa sapesse scolpire più profondamente nei cuori il testamento del suo Fondatore – Amatevi a vicenda – essa diventerebbe la grande potenza indispensabile alle nazioni». Non si potrebbe fare la stessa riflessione a proposito di altre virtù?

Con la sua profonda comprensione dei bisogni della Chiesa, San Pio X aveva spesso vedute di una rara esattezza. L’ Ami du Clergé17 riportava un interessante colloquio del Santo Pontefice con un gruppo di Cardinali. Chiese il Papa: «Qual’è la cosa oggi più necessaria per la salvezza della società?» «Fondare scuole cattoliche», rispose uno. «No». «Moltiplicare le chiese», rispose un altro. «Neppure». «Promuovere le vocazioni ecclesiastiche», disse un terzo. «No, no – replicò San Pio X – Ciò che attualmente è più necessario, è avere in ogni parrocchia un gruppo di laici che siano ad un tempo molto virtuosi, illuminati, risoluti e veramente apostoli»18.

Altri particolari mi permettono di affermare che questo santo Papa, alla fine della sua vita, attendeva la salute del mondo solo dalla formazione, per mezzo del clero zelante, di fedeli che traboccassero di apostolato, con la parola e con l’azione, ma soprattutto con l’esempio. Nelle diocesi in cui esercitò il suo ministero prima di diventare Papa, egli dava meno importanza al registro de statu animarum che non all’elenco delle persone che sapevano fare dell’apostolato. Egli era dell’avviso che si potevano formare élites in ogni ambiente. Perciò classificava i suoi sacerdoti secondo il risultati che il loro zelo e la loro capacità avevano ottenuto su questo punto.

Il giudizio di questo santo Pontefice dà un’autorità particolare al sentimento di coloro che dirigono le istituzioni della prima categoria da me classificata. Se nella formazione delle élites sta la sola e vera strategia per agire sulle masse, è dunque uno sbaglio conservare soggetti di cui non si ha più seria speranza di rendere ferventi, quando in tal modo ci si espone al pericolo di abbassare il livello delle élites, fino al punto che restano tali soltanto di nome.

Gli altri direttori, quelli che si limitano a scartare i soggetti contagiosi, non restano però privi di argomenti per protestare contro l’espressione «stampelle» usata per certi mezzi da loro ritenuti non poco efficaci.

Essi evidenziano a quali pericoli si esporrebbero le anime che venissero escluse dalle loro istituzioni; la necessità di accontentarsi di un infimo numero di reclute qualora si badasse soltanto alle élites; l’atmosfera avvelenata dall’ambiente in cui vivono coloro che debbono essere evangelizzati, eccetera. Sarebbe ingiusto e crudele, dicono, trascurare le masse e volerle raggiungere solo con l’esempio dei migliori, senza tentare di agire direttamente sui mediocri, non fosse altro che per impedir loro di cadere più in basso, e preparare così dei candidati alle élites.

Ho ascoltato con gran rispetto queste diverse opinioni, espresse da direttori o direttrici di opere per la gioventù, persone di sicura buona fede e di indiscutibile zelo. Non cercherò di conciliare queste opinioni. Dato però che scrivo soprattutto per i miei venerabili confratelli nel sacerdozio, preferisco domandarmi quale sarebbe la risposta del santo sacerdote Allemand o quella del canonico Timon-David, se fossero invitati ad armonizzare le due tesi scegliendo un giusto mezzo. Entrambi avevano questo progetto:

1) Tra le centinaia di giovani cristiani appartenenti all’istituzione, selezionare una minoranza, anche infima, capace di desiderare vivamente e praticare seriamente la vita interiore.

2) Riscaldare poi fino all’incandescenza quelle anime, facendole amare appassionatamente il Signore, ispirandole l’ideale delle virtù evangeliche, isolandole il più possibile dal contatto degli altri studenti, impiegati, operai eccetera, finché la loro vita interiore non fosse giunta al punto da renderli veramente immuni dal contagio.

3) Infine, giunto il momento, comunicare a questi giovani lo zelo per le anime, onde utilizzarli per meglio agire sui loro compagni.

Mi porterebbe troppo lontano lo stabilire con precisione quel minimo che i due sacerdoti esigevano dai non ferventi per mantenerli per qualche tempo nell’istituzione. Preferisco attirare l’attenzione sul considerevole ruolo che’essi attribuivano alla direzione spirituale nella realizzazione del loro progetto.

Dirigendo personalmente ciascun giovane, il padre Allemand eccelleva nel suscitare in lui un santo entusiasmo per la perfezione e nel convincerlo che la miglior prova della devozione al Sacro Cuore è l’imitazione delle virtù del divino Modello.

Quanto al canonico Timon-David, ottimo confessore, abile nello scoprire e curare le piaghe delle anime, era inoltre un eccellente direttore spirituale. Nessuno più di lui sapeva infiammare i cuori di amore per la virtù ed esortare i suoi collaboratori a non accontentarsi, nella direzione delle anime, dei princìpi della teologia morale propri della via purgativa, ma a servirsi della direzione per orientare verso la via illuminativa. Nulla eguagliava la sua sollecitudine nel trasformare i suoi sacerdoti collaboratori in direttori di anime.

Entrambi consideravano come insufficienti le brevi esortazioni prima dell’assoluzione nella confessione settimanale, le prediche nella riunione generale dei giovani, l’ordinamento della vita liturgica e persino le così attraenti conferenze tenute ai migliori. Ritenevano cosa indispensabile la direzione mensile data a ciascuno in particolare.

Erano convinti che, dopo la preghiera e l’immolazione, il mezzo più efficace per ottenere dalla grazia da Dio quelle élites che possono rigenerare il mondo, fosse l’azione del vero sacerdote con tutto il suo ministero, ma specialmente con la direzione spirituale.

Usciamo ora dal ristretto campo delle opere per la gioventù ed abbracciamo con lo sguardo tutto il vasto campo che la Chiesa deve coltivare: istituzioni di ogni sorta, parrocchie, seminari, comunità e missioni.

Nessuno è capace di guidare se stesso. Tutti hanno debolezze da vincere, tendenze da regolare, doveri da compiere, rischi da correre, occasioni pericolose da evitare, difficoltà da superare e dubbi da chiarire. Se per tutto questo è necessario un aiuto, tanto più lo sarà per camminare verso la perfezione.

Il sacerdote mancherebbe, e talvolta gravemente, al suo dovere di maestro e medico delle anime, se le privasse del grande aiuto supplementare del confessionale e di quell’indispensabile propulsore di vita interiore che è la direzione spirituale.

Disgraziate quelle istituzioni nelle quali i confessori, sempre a corto di tempo, prima dell’assoluzione non riescono a dare altro che una pia ma vaga esortazione, spesso uguale per tutti, invece di offrire la cura specifica che un medico esperto e zelante avrebbe saputo scegliere secondo lo stato di ciascun malato. Nonostante la sua fede nell’efficacia del Sacramento, il penitente è allora esposto al rischio di ridurre il ministro a un «distributore automatico», simile a quegli apparecchi delle stazioni ferroviarie che lasciano cadere meccanicamente dolciumi.

Fortunati invece gli oratori, le scuole, gli orfanotrofi, eccetera, in cui il confessore conosce l’arte della direzione spirituale ed è convinto che bisogna prima di tutto mettere in pratica quest’arte, se vuole ottenere che tutte le anime capaci di vibrare per un ideale si lancino risolutamente negli esercizi della vita interiore.

Quanti padri e madri di famiglia hanno visto straordinariamente accresciuta la loro influenza su figli ed amici, perché avevano trovato un vero direttore!

Quali tesori da valorizzare nell’anima di un fanciullo! Questa è l’età in cui l’albero va prendendo la sua piega, e spesso definitivamente, o da una parte o dall’altra.

Essendo mancata nei teneri anni una direzione adatta alla loro età e alle loro disposizioni, molti saranno gli adulti che non potranno più essere annoverati tra i bei fiori del giardino di Gesù. Quante vocazioni sacerdotali e religiose avrebbero potuto sbocciare!

Talvolta, in una parrocchia o in una missione, anche per parecchie generazioni, continuerà l’impulso dato da un sacerdote che era ben altro che un mediocre distributore di assoluzioni. Insieme ad Ars e a Mesnil-Saint-Loup, si potrebbero citare altre località che sono veri focolai di vita spirituale in mezzo alla generale tiepidezza, perché ebbero la fortuna di avere un direttore zelante, prudente e pieno di esperienza.

Provai una profonda e commossa ammirazione quando, nel mio viaggio in Giappone, circa 15 anni fa, ebbi la fortuna d’incontrare alcuni membri di numerose famiglie cristiane ritrovate, circa mezzo secolo fa, nella regione di Nagasaki. Cosa inaudita! Circondati da pagani, costretti a nascondere la loro religione, privi di sacerdoti da più di tre secoli, questa élite di fedeli aveva ricevuto dai loro padri non solo la fede ma anche il fervore. Dove trovare uno slancio iniziale tanto potente da poter spiegare la forza e la durata d’una fedeltà così straordinaria? La risposta è facile. I loro antenati avevano avuto in San Francesco Saverio un meraviglioso formatore di élites.

Come potranno certi seminari minori diventare vivai di futuri sacerdoti, se mancano di direttori spirituali? La maggior parte dei loro scolari, se non avranno chi li guidi per tempo alla perfezione, come potranno elevarsi sopra la mediocrità nell’esercizio del loro sacerdozio? Queste anime che van cercando la loro via, saranno già fortunate se la loro aspirazione alla vita sacerdotale non verrà falsata dal fascino abbagliante delle doti naturali di certi professori che manifestano l’indifferenza per la vita interiore e il disprezzo di una regolare direzione spirituale.

La prova che in molte comunità religiose, di vita attiva come di vita contemplativa, molte persone vegetano proprio per la mancanza di direzione spirituale, sta nel mutamento radicale che spesso ho potuto constatare in anime tiepide che, dal momento in cui hanno finalmente avuto un direttore coscienzioso, sono ritornate al fervore della loro professione.

Certi confessori sembrano dimenticare che le anime consacrate che dirigono sono obbligate a tendere alla perfezione, ed hanno un reale bisogno di essere aiutate e stimolate per realizzare quei continui progressi ai quali possono applicarsi le parole del Salmo – «Ha deciso in cuor suo di elevarsi, passando di virtù in virtù» (Ps. 83) – e per diventare allora veri apostoli della vita interiore.

Quanti sacerdoti sarebbero ben più fervorosi e troverebbero tutta la loro felicità nella vita eucaristica e liturgica e nel progresso delle anime, se il confessore che hanno scelto si dimostrasse veramente amico guidandoli alla direzione mensile, con tatto e con decisione, orientandoli verso quella perfezione alla quale egli stesso dovrebbe tendere ancor più che i religiosi!

Non abbiamo forse evidenziato quale importante ruolo viene attribuito dagli agiografi al direttore spirituale della maggior parte di coloro di cui narrano la vita?

La Chiesa non conterebbe forse un maggior numero di Santi, se le anime generose, soprattutto le anime sacerdotali e religiose, fossero più seriamente dirette?

Senza la direzione intima svolta dal sacerdote sui genitori di santa Teresa del Bambin Gesù e, più tardi, senza l’azione diretta dei rappresentanti di Dio su questa eletta del Signore, riceverebbe la terra quella pioggia di rose di cui è inondata dal Cielo?

Nei suoi scritti, il padre Desurmont ritorna sovente su questo pensiero: per certe anime, la salvezza è legata alla santità; o tutto o nulla; o l’amore ardente per Gesù o il culto del mondo e la direzione di Satana; o la santità o la dannazione.

Non sarà dunque arbitrario temere che ricevano dolorose sorprese, al momento del loro giudizio particolare, quei sacerdoti che, per non aver studiato l’arte della direzione spirituale e per non aver accettato la fatica che richiede la sua pratica, sotto certi riguardi sono responsabili della mediocrità delle anime o anche della loro perdita. Bravi amministratori, ottimi predicatori, pieni di sollecitudine per i malati e per i poveri, essi hanno però trascurato questa grande tattica usata dal Salvatore: trasformare la società mediante le élites. Il piccolo drappello di discepoli che Gesù stesso scelse e formò e che lo Spirito Santo in seguito infiammò, è bastato per incominciare la rigenerazione del mondo.

Salutiamo con rispetto quei sempre più numerosi vescovi che, dietro l’esempio di Pio X, considerano che ai loro seminari maggiori sia molto più utile tenere un solo corso di ascetica e di mistica che non tante conferenze di sociologia.

Per evidenziare l’importanza della direzione, essi esigono che prima di tutto i seminaristi vi si attengano fedelmente per il loro progresso spirituale e che tutti i professori ne abbiano una stima particolare, dimostrandola con l’irraggiamento della loro vita interiore.

Di più, essi vogliono che tutti gli aspiranti al sacerdozio apprendano quanto si riferisce al regimen animarum, a quest’arte che poggia su principi ben stabiliti e su saggi consigli vissuti da coloro che ne hanno fatta l’esperienza. E’ soprattutto quest’ars artium a confermare che il sapere deve necessariamente tradursi nel saper fare.

Se consultiamo gli autori considerati nella Chiesa come maestri di vita spirituale, quante false nozioni e quanti pregiudizi dobbiamo sfoltire riguardo la direzione!

Certe persone sanno molto bene deviare la direzione dal suo scopo, se il sacerdote lascia che il suo zelo ondeggi senza bussola e non regge il timone con mano ferma.

Talvolta si tratta di una seduta piena di sterili chiacchiere o di sdolcinate moine che lusingano l’amor proprio oppure diminuiscono la responsabilità personale, tendendo al quietismo; talvolta abbiamo una scuola di bigotteria e di sentimentalismo in cui si fomenta il gusto delle emozioni sensibili o quello di una religiosità ridotta a pratiche esteriori; ora è una specie di ufficio notarile in cui si viene a consultare abitualmente per i minimi incidenti della vita, per gli affari temporali e le brighe familiari. E in quante altre vie possono disgraziatamente smarrirsi e i direttori e le anime dirette!

Il sacerdote deve pertanto vigilare per evitare che il carattere della direzione venga falsato. Tutto deve convergere verso il fine tracciato da questa definizione: la direzione spirituale consiste nell’insieme metodico e regolare di consigli che una persona (specie il sacerdote), avendo la grazia di stato, la scienza e l’esperienza, dà ad un’anima retta e generosa per farla progredire verso una solida pietà ed anche verso la perfezione.

In primo luogo si tratta di un allenamento della volontà, di questa facoltà maestra che San Tommaso chiama vis unitiva, la sola, in ultima analisi, in cui risiede l’unione con il Signore e l’imitazione delle sue virtù.

Il direttore degno di questo nome sa rendersi conto non solo delle cause intime delle mancanze, ma anche delle diverse inclinazioni dell’anima. Ne analizza le difficoltà e ripugnanze nel combattimento spirituale; fa risplendere l’ideale, prova, sceglie e controlla il mezzo per viverlo; segnala gli scogli e le illusioni; scuote il torpore, incoraggia, rimprovera e consola, se occorre, ma soltanto per ritemprare la volontà contro lo scoraggiamento o la disperazione.

Finché l’anima, conservando qualche attaccamento al peccato, rimane nella via purgativa, la direzione spirituale è ordinariamente legata alla confessione. Ma quando l’anima è seriamente orientata verso il fervore, allora la direzione può più facilmente venir separata dalla confessione. Appunto perché non venga confusa con questa, certi sacerdoti la vogliono dare soltanto dopo l’assoluzione e di solito la dànno solo una volta al mese a quelli che si confessano ogni settimana.

Non è nel programma di questo libro trattare il modo di esercitare la direzione. Essendo però convinto che molti sacerdoti devono prendere più sul serio quest’arte spirituale, è per me una grande gioia, lo confesso, il tentare di offrire a certi confratelli, che esitano a studiare opere voluminose, una breve sintesi di ciò che di meglio è stato scritto su questo argomento. Questo compendio non solo faciliterà l’osservazione e la classificazione delle anime, ma suggerirà con precisione i mezzi indicati per il duc in altum adatto ai principali stati di vita.

Ciascun’anima è come un mondo a sé, con le sue proprie sfumature. Tuttavia, in base alle comuni caratteristiche, si possono classificare i cristiani in alcuni guppi. Credo che sia utile tentare questa classificazione, prendendo come pietra di paragone il peccato o l’imperfezione da una parte, e la preghiera dall’altra. Con questo schema, mi auguro di portare qualcuno dei miei confratelli a riflettere sulla necessità di avviare uno studio che permetta di conoscere le regole pratiche per dirigere ciascun’anima secondo il suo stato.

Per quanto riguarda le due prime categorie qui sotto elencate, il sacerdote non potrà agire direttamente sulle loro anime; ma almeno, se è un buon direttore, potrà guidare ben più efficacemente i parenti e gli amici che desiderano sottrarre all’indurimento persone che sono a loro care e che Dio non ha ancora definitivamente respinto.

a) Indurimento

Peccato mortale: ristagnamento in questo peccato, per ignoranza o per coscienza maliziosamente falsata. Soffocamento o assenza dei rimorsi.

Preghiera: deliberata soppressione di ogni ricorso a Dio.

b) Verniciatura cristiana

Peccato mortale: considerato come un male leggero e facilmente perdonabile; l’anima vi si lascia andare facilmente per qualunque occasione o tentazione. Confessione quasi senza contrizione.

Preghiera: macchinale, senza attenzione o sempre fatta per interessi temporali. Rare e superficiali riflessioni su se medesimo.

c) Pietà mediocre

Peccato mortale: poco combattuto; rara fuga dalle occasioni; ma serio pentimento e vere confessioni.

Peccato veniale: patteggiamento con questo peccato, che viene considerato come un male insignificante; conseguenza: tiepidezza della volontà. Non si fa nulla per prevenirlo, sradicarlo e scoprirlo.

Preghiera: abbastanza ben fatta, di tanto intanto. Passeggere velleità di fervore.

d) Pietà intermittente

Peccato mortale: sinceramente combattuto. Fuga abituale delle occasioni. Pentimenti vivissimi. Penitenze di riparazione.

Peccato veniale: talvolta deliberato. Lotta debole. Pentimenti superficiali. Esame particolare, ma senza costanza.

Preghiera: insufficiente risoluzione di essere fedele alla meditazione, che l’anima tralascia quando prova aridità o vi sono tante occupazioni.

e) Pietà costante

Peccato mortale: mai. Al massimo, rarissime sorprese violente ed improvvise. Perciò, spesso peccato mortale dubbio seguìto da ardente compunzione e da penitenza.

Peccato veniale: vigilanza per evitarlo e combatterlo. Raramente è deliberato. Vivamente pianto ma poco riparato. Esame particolare continuo, ma limitato alla fuga dai peccati veniali.

Imperfezioni: l’anima evita di scoprirle per non combatterle, oppure le scusa facilmente. La rinunzia è ammirata ed anche desiderata ma poco praticata.

Preghiera: fedeltà costante a qualunque costo all’orazione, spesso affettiva. Alternanza di consolazioni e aridità penosamente subite.

f) Fervore

Peccato veniale: mai deliberato. Talvolta per sorpresa o solo mezzo avvertito. Vivamente pianto e seriamente riparato.

Imperfezioni: condannate, sorvegliate e combattute sinceramente, per essere più gradito a Dio. Qualche volta deliberate ma subito detestate. Atti frequenti di rinunzia. Esame particolare che mira al perfezionamento in una virtù.

Preghiera: orazione mentale volenterosamente prolungata. Orazione piuttosto affettiva e anche di semplicità. Alternanza di grandi consolazioni e di prove angosciose.

g) Perfezione relativa

Imperfezioni: energicamente prevenute con grande amore. Quando sopravvengono, c’é solo mezza avvertenza.

Preghiera: vita abituale di orazione, anche se ci si prodiga all’esterno. Sete di rinunzia, di distacco e di amore divino. Fame dell’Eucaristia e del Cielo. Grazie di orazione infusa di diversi gradi. Frequenti purificazioni passive.

h) Eroismo

Imperfezioni: solo di primo impulso.

Preghiera: doni soprannaturali di contemplazione, accompagnati talvolta da fenomeni straordinari. Accentuate purificazioni passive. Disprezzo di sé fino all’oblio. Preferenza delle sofferenze alle gioie.

i) Santità consumata

Imperfezioni: appena apparenti.

Preghiera: il più delle volte, unione trasformante. Matrimonio spirituale. Purificazioni di amore. Sete ardente di sofferenze e umiliazioni.

* * *

Sono fin troppo rare le anime elette che raggiungono gli ultimi tre stati; in loro il peccato veniale diventa sempre più raro. Per questo si comprende che i sacerdoti aspettino l’occasione di dirigere tali soggetti prima ancora di studiare quello che i migliori autori suggeriscono perché la loro direzione sia prudente e sicura.

Ma non si può scusare quel confessore che – per mancanza di zelo nell’imparare e nell’applicare ciò che si riferisce alle quattro classi: della pietà mediocre, della pietà intermittente, della pietà costante o del fervore – lascia ammuffire tante anime in una squallida tiepidezza o fermarsi molto al di sotto del grado di vita interiore al quale Dio le destinava.

Per quanto riguarda i punti da toccare nella direzione dei principianti, possiamo forse ridurle ai quattro seguenti:

1 – Pace: Esaminare se l’anima è nella vera pace e non in quella che dà il mondo o che deriva dall’assenza di lotta. Altrimenti, cercare di stabilirla in una relativa pace nonostante le sue difficoltà. Questo è alla base di ogni direzione: la calma, il raccoglimento e la fiducia.

2 – Ideale: Dopo aver riuniti gli elementi necessari per classificare un’anima e per conoscerne i punti deboli, le forze vive di carattere e di temperamento e il grado di tendenza alla perfezione, cercare i mezzi adatti a ravvivare il suo desiderio di vivere più seriamente di Gesù Cristo e ad abbattere tutti gli ostacoli che in essa si oppongono allo sviluppo della grazia. In una parola, con questo punto si mira a spingere l’anima a guardare sempre più in alto, semper excelsior.

3 – Preghiera: Verificare come l’anima fa le sue preghiere e, in particolare, esaminare il suo grado di fedeltà alla meditazione, il suo genere di orazione, gli ostacoli che incontra e i risultati che ne ottiene. Inoltre, esaminare il profitto che trae dai Sacramenti, dalla vita liturgica, dalle devozioni particolari, dalle giaculatorie e dall’esercizio della presenza di Dio.

4 – Rinunzia: Esaminare su che cosa e specialmente in che modo fa l’esame particolare, come esercita la rinunzia (se per odio del peccato oppure per amore di una virtù), come pratica la custodia del cuore e perciò la vigilanza e la lotta spirituale in spirito di orazione, lungo la giornata.

A questi quattro punti principali si può ridurre l’essenziale della direzione spirituale. Si possono esaminare tutti e quattro ogni mese, oppure soffermarsi alternativamente su uno di essi per non dilungarsi troppo.

In tal modo, paralizzando in un’anima i germi di morte e ravvivando i germi di vita, il sacerdote zelante arriverà ad appassionarsi per l’esercizio di quest’arte suprema. Lo Spirito Santo poi, di cui è fedele ministro, non gli sarà avaro di quelle ineffabili consolazioni che costituiscono una delle maggiori felicità del sacerdozio in questa vita, e gliele accorderà nella misura in cui egli si sacrificherà per applicare alle anime i princìpi che ha studiato. Chi più di san Paolo provò le consolazioni dell’apostolato? Ma quale ardente fuoco doveva consumarlo, se poté scrivere: «Per tre anni non ho mai smesso, giorno e notte, di ammonire ciascuno di voi fra le lacrime»! (At. 20, 31).

«Caro dottore, so che vostro figlio vuole dedicarsi al sacerdozio. Se egli e i suoi confratelli, quando dovranno curare le anime, prenderanno esempio dalla vostra dedizione e dalla vostra coscienza professionale nel diagnosticare la malattia e nel prescrivere i rimedi e il regime che devono restituire al malato una florida salute, credo che né ebrei, né massoni, né protestanti potranno impedire in mezzo a noi il trionfo della fede». Tali parole di ammirazione e di riconoscenza erano rivolte, alla mia presenza, da un prelato al medico che con duri sforzi era riuscito a strapparlo da una crisi mortale e a restituirlo, poco dopo, a rinnovato vigore.

L’applicazione della scienza e l’esercizio dell’abnegazione saranno certamente benedetti da Dio. Ma quale potenza sovrumana acquisteranno questi due fattori, quando il sacerdote che li usa sarà di quelli che non possono comprendere il loro sacerdozio senza la ricerca della santità!

Se in ogni parrocchia, in ogni missione, in ogni comunità e a capo di ogni associazione cattolica vi fossero dei veri direttori di anime, che santa rivoluzione avverrebbe nel mondo! Allora anche quelle istituzioni (orfanotrofi, asili, ricoveri, eccetera) in cui si devono ospitare soggetti appena accettabili, si baserebbero sempre su questo programma: formare delle élites e isolarle dai mediocri per quanto è possibile, fino a che non si sia riusciti a lanciarle ad un accorto ma ardente apostolato verso gli altri.

Chiunque voglia giudicare le istituzioni dai risultati che Gesù se ne attende, giunge necessariamente a questa conclusione: dovunque c’è un focolare di vera direzione spirituale, non c’è bisogno delle famose «stampelle» per ottenere in abbondanza frutti meravigliosi. Invece l’uso simultaneo di tutte le «stampelle» possibili e più in voga, potrà solo mascherare l’assenza di questa direzione nell’istituto, ma non certo attenuarne la necessità.

Quanto più i sacerdoti saranno zelanti nel perfezionarsi nell’arte della direzione e nel dedicarvisi, tanto più diminuirà ai loro occhi la necessità di usare quei mezzi esteriori che, all’inizio, erano utili per mettersi in contatto con i fedeli, attirarli, raccoglierli, coinvolgerli, trattenerli e conservarli sotto l’influenza della Chiesa, la quale, fedele al suo scopo, non è pienamente soddisfatta se non quando le anime sono intimamente incorporate a Gesù Cristo.



7. La vita interiore mediante l’Eucaristia compendia tutta la fecondità dell’apostolato

Il fine dell’Incarnazione, e perciò di ogni apostolato, consiste nel divinizzare l’umanità: «Cristo si è fatto uomo affinché l’uomo potesse diventare Dio» (S. Agostino). «L’unigenito Figlio di Dio, volendo farci partecipare alla sua divina natura, assunse la nostra, affinché, una volta diventato uomo, noi diventassimo dèi» (S. Tommaso, Officio del Corpus Domini)

Ora, è nell’Eucaristia, o meglio nella Vita eucaristica, e cioè nella vita interiore robusta, alimentata dal divino banchetto, che l’apostolo assimila la vita divina. Ecco la parola del Maestro, perentoria, che non lascia luogo ad equivoci: «Se non mangerete il Corpo del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non riceverete la Vita» (Gv. 6, 54). La vita eucaristica è la vita del Signore in noi, non solo per l’indispensabile stato di grazia, ma anche per una sovrabbondanza della sua azione: «Sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv. 10, 10). Se l’apostolo deve sovrabbondare di vita divina per riversarla nei fedeli, e se può trovarne la sorgente solo nell’Eucaristia, come si potrà supporre che sue opere siano efficaci senza l’azione svolta da questo Sacramento in coloro che – direttamente o indirettamente – devono essere i dispensatori di quella vita per mezzo di queste opere?

E’ impossibile meditare sulle conseguenze del dogma della Presenza reale, del Sacrificio dell’altare o della Comunione, senza concluderne che il Signore ha voluto istituire questo Sacramento per farne un focolare di ogni attività, di ogni dedizione, di ogni apostolato veramente utile alla Chiesa.

Se tutta la Redenzione gravita attorno al Calvario, tutte le grazie di questo mistero derivano dall’Altare. Ma allora l’operaio della parola evangelica che non viva dell’Altare non avrà che una parola morta, una parola che non salva, perché procedente da un cuore che non è abbastanza impregnato del Sangue che redime.

Realizzando un profondo disegno, sùbito dopo l’ultima cena, nella sua parabola della vite e dei tralci, il Signore sviluppa con insistenza e precisione l’inutilità dell’azione che non è animata dallo spirito interiore: «Come il tralcio non può dare frutto se non rimane unito alla vite, così nemmeno voi lo potete, se non rimanete in me» (Gv. 15, 4).

Ma sùbito dopo Egli ci mostra quanto valore avrà invece l’azione esercitata dall’apostolo che vive di vita interiore, della vita eucaristica: «Se uno rimane in me e io in lui, costui porterà molti frutti» (Gv. 15, 5). «Costui», lui solo; Dio agisce potentemente solo per mezzo di lui poiché, come scrisse sant’Atanasio, «noi siamo fatti altrettanti dèi dalla carne di Cristo». Quando il predicatore o il catechista mantengono in loro il Sangue divino, quando il loro cuore è bruciato dal fuoco che consuma il Cuore eucaristico di Gesù, com’è allora viva, ardente ed infiammata la loro parola! E quando gli eletti da Dio per queste opere ravvivano il loro zelo nella Comunione e diventano i portatori di Cristo, come s’irraggiano gli effetti dell’Eucaristia in una scuola o in un ospedale o in un oratorio, eccetera!

Per quanto il demonio sia abile nel mantenere le anime nell’ignoranza, o lo spirito superbo e impuro cerchi d’inebriarle di orgoglio o di affogarle nel fango, l’Eucaristia, vita del vero apostolo, fa sentire la sua azione superiore ad ogni altra contro il nemico della salvezza.

Per mezzo dell’Eucaristia si perfeziona l’amore. Questo vivente memoriale della Passione ravviva nell’apostolo il fuoco divino quando tende a spegnersi; gli fa rivivere il Gethsemani, il Pretorio, il Calvario; gli comunica la scienza del dolore e dell’umiliazione. L’operaio apostolico parla agli afflitti un linguaggio capace di farli partecipare alle consolazioni attinte a questa scuola sublime.

Egli parla il linguaggio delle virtù di cui Gesù Cristo rimane il Modello, poiché ognuna delle sue parole è come una goccia di sangue eucaristico versata sulle anime. Se però non ha questo riflesso di vita eucaristica, la parola dell’uomo di azione non produrrà che un effetto momentaneo. Si potrà forse scuotere le facoltà secondarie od occupare gli accessi della piazzaforte, ma la rocca – cioè il cuore, la volontà – rimarrà per lo più inespugnabile.

La fecondità dell’apostolato di un’anima corrisponde quasi sempre al grado acquisito di vita eucaristica. Il contrassegno di un apostolato efficace, infatti, sta nel riuscire a comunicare alle anime la sete di partecipare frequentemente e praticamente al banchetto divino. Ma questo risultato non viene ottenuto, se non nella misura in cui è l’apostolo stesso a vivere veramente di Gesù-Ostia.

Come san Tommaso d’Aquino, che infilava la testa nel Tabernacolo per trovare la soluzione di una problema, così anche l’apostolo va a confidare tutto all’Ospite divino, e la sua azione sulle anime è la realizzazione delle sue confidenze all’Autore della vita.

Il grande Pontefice e padre san Pio X, il Papa della Comunione frequente, è anche il Papa della vita interiore. La sua prima parola, rivolta specialmente agli uomini di azione, fu «restaurare tutto in Cristo» (Ef. 12, 19). Questo è il programma d’un apostolo che vive dell’Eucaristia e che vede i progressi della Chiesa solo in proporzione ai progressi che le anime fanno nella vita eucaristica.

O voi, opere del nostro tempo, tanto numerose eppure così spesso sterili! Come mai non avete rigenerato la società? Voi siete ben più numerose che nei tempi passati, certo, eppure non avete saputo impedire che l’empietà devastasse, e con gravi danni, la vigna del padone (Mt. 13, 24-30). Com’è potuto succedere?

E’ successo perché non siete sufficientemente radicate nella vita interiore, nella vita eucaristica, nella vita liturgica ben compresa. Gli uomini di azione che vi dirigono hanno forse potuto irradiare razionalità, ingegno ed anche una certa qual pietà; sono riusciti a gettar fasci di luce e a promuovere certe pratiche di devozione: risultati apprezzabili, certo. Ma, non avendo attinto a sufficienza alla Sorgente della vita, essi non hanno potuto propagare quell’ardore che muove le volontà. Invano avrebbero preteso di far nascere quelle abnegazioni nascoste ma irresistibili, quei fermenti attivi dei popoli, quegl’ insostituibili focolai d’attrazione soprannaturale che – senza chiasso, ma anche senza sosta – propagano l’incendio tutt’intorno e penetrano lentamente ma sicuramente in tutte le classi di persone alle quali possono arrivare. La loro vita in Gesù era troppo debole per ottenere simili risultati.

Per preservare le anime dal contagio del male, nei secoli passati bastava opporvi una pietà ordinaria. Ma oggi, a un virus cento volte più violento e inoculato dalle attrattive del mondo, bisogna contrapporre una medicina vivificante ben più energica. Mancardo i laboratori capaci di produrre efficaci antidoti, le opere si sono limitate a produrre un fervore sentimentale, grandi slanci che poi si sono spenti più rapidamente di quanto si erano accesi; oppure esse sono riuscite a coinvolgere solo infime minoranze. I seminari e i noviziati non hanno più dato quegli sciami di sacerdoti, di religiosi e religiose abbastanza inebriati del Vino eucaristico. E così quel fuoco, che mediante queste anime elette avrebbe dovuto propagarsi ai pii laici dediti all’azione, è rimasto nascosto. La Chiesa ha ricevuto pii apostoli, certo, ma rarissimamente operai evangelici che, in forza della loro vita eucaristica, avessero quella pietà integrale fatta di custodia del cuore e di zelo, quella pietà ardente, attiva, generosa e pratica, che si chiama vita interiore.

Alle volte si ode valutare come «buona» o addirittura «ottima» una parrocchia, solo perché i suoi fedeli salutano rispettosamente il parroco, lo trattano con deferenza, gli manifestano una certa simpatia, all’occorrenza gli prestano perfino qualche servizio, sebbene la maggior parte di loro trascuri l’assistenza alla Messa della domenica per lavorare, abbandoni i Sacramenti, rimanga nell’ignoranza in materia di religione, nell’intemperanza e nella bestemmia e lasci molto a desiderare quanto a condotta morale. Che pena! Sarebbe dunque «ottima» questa parrocchia? Si potrà chiamare «cristiana» questa gente dalla vita completamente pagana?

Piangiamo dunque tali tristi risultati, noi operai evangelici, perché non siamo andati alla scuola in cui il Verbo istruisce i predicatori, perché non abbiamo attinto più profondamente la parola di vita, cuore a cuore col Dio dell’Eucarestia! Dio non ha più parlato attraverso la nostra bocca; questo è fatale. Smettiamola di stupirci se la nostra umana parola è rimasta quasi sterile.

Noi non siamo apparsi alle anime come un riflesso di Gesù e della sua vita nella Chiesa. Perché il popolo credesse in noi, bisognava che brillasse sulla nostra fronte un raggio di quell’aureola che illuminava Mosè quando, scendendo dal Sinai, ritornava dagli israeliti. Agli occhi degli ebrei, quell’aureola era una testimonianza dell’intimità del loro capo con Colui che lo mandava. Alla nostra missione, era necessario non solo che apparissimo uomini retti e convinti, ma anche che un raggio dell’Eucarestia lasciasse intravvedere al popolo quel Dio vivo al quale nulla può resistere.

Predicatori, oratori, conferenzieri, catechisti, professori! Se abbiamo ottenuto solo risultati imperfetti, è perché non abbiamo riflettuto in noi la vita divina.

Apostoli che ci lamentiamo per gl’insuccessi delle nostre opere! Noi che sappiamo che, in ultima analisi, l’uomo è ordinariamente mosso solo dal desiderio di essere felice; domandiamoci allora se gli uomini hanno visto in noi quell’irraggiamento della felicità eterna ed infinita di Dio che avremmo ricevuto dall’unirci a Colui che, pur nascosto nel Tabernacolo, costituisce la gioia della Corte celeste. Il Divino Maestro non dimenticò questo nutrimento necessario ai suoi apostoli: «Vi dico queste cose affinché la vostra gioia sia piena» (Gv. 15, 11), disse dopo l’ultima Cena, per ricordarci fino a qual punto l’Eucarestia sarà la sorgente di tutte le grandi gioie di questa vita.

Ministri del Signore! Per vostra colpa il Tabernacolo è rimasto muto, la pietra dell’Altare fredda, l’Ostia un memoriale rispettato ma quasi inerte, e le anime abbandonate nelle loro vie perverse. Ma come avremmo potuto sottrarle dal fango dei loro illeciti piaceri? Abbiamo parlato a queste anime delle gioie della religione e della retta coscienza, certo; ma poiché non abbiamo saputo dissetarci a sufficienza alle acque vive dell’Agnello, siamo riusciti solo a balbettare nel descrivere quelle gioie ineffabili il cui desiderio avrebbe spezzato le catene della triplice concupiscenza più efficacemente delle terribili parole sull’inferno. Di quel Dio che è tutto amore, le anime hanno visto in noi soprattutto il severo legislatore e il giudice tanto inesorabile nei suoi decreti quanto rigoroso nei suoi castighi. Le nostre labbra non hanno saputo parlare il linguaggio del Cuore di Colui che ama gli uomini, perché i nostri colloqui con questo Cuore sono stati tanto rari quanto poco intimi.

Non scarichiamo la nostra colpa sullo stato di profonda corruzione della società. Possiamo infatti vedere – in parrocchie da gran tempo scristianizzate, ad esempio – quanto ha potuto operare la presenza di sacerdoti saggi, attivi, dedicati e capaci, ma soprattutto amanti dell’Eucarestia. Nonostante tutti gli sforzi dei ministri di Satana, questi sacerdoti, purtroppo rari, «diventati terribili agli occhi del diavolo»19, attingendo la forza da quel focolare di forza che è il braciere del Tabernacolo, hanno saputo forgiare armi invincibili che la congiura di tutti i diavoli non ha potuto spezzare.

Per loro la preghiera all’Altare non è stata sterile, perché sono diventati capaci di comprendere quelle parole di San Francesco d’Assisi: «L’orazione è la sorgente della grazia; la predicazione è il canale che distribuisce le grazie che noi abbiamo ricevuto dal Cielo; i ministri della Parola di Dio sono scelti dal gran Re perché portino al popolo quanto essi stessi hanno appreso e raccolto dalla sua bocca, soprattutto davanti al Tabernacolo».

Il grande motivo di speranza sta nel vedere attualmente una generazione di uomini di azione che non si accontentano più di promuovere solo comunioni da parata, ma sanno facilitare la fioritura delle anime dei veri comunicanti.

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