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L'Anima di ogni apostolato (dom J.B.Gustave Chautard) imperdibile

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:19
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05/09/2009 22:09

Parte quinta

Alcuni principi
ed avvisi per
la vita interiore




Capitolo I

Alcuni consigli per la vita interiore degli uomini d’azione


Portare il mio caro lettore ad ammettere che la tesi ricordata in questo volume è convincente, sarebbe già un risultato buono ma insufficiente. Il vero fine di questo libro sta nello spingere l’anima a dire: «Io voglio vivere sempre di più questa tesi».

Bisogna quindi dire fraternamente all’uomo di azione, all’apostolo che ha letto queste pagine: «La tua approvazione della tesi rimarrà pressoché sterile, se non è unita a precise risoluzioni d’intensificare la tua vita interiore».

Questa quinta parte serve quindi ad aiutarlo a ritemprarsi nelle disposizioni necessarie affinché la vita interiore fecondi sempre di più le sue opere.

Convinzioni

Lo zelo non è efficace se l’azione di Gesù Cristo non vi si unisce.

Gesù è l’agente principale, noi siamo solamente i suoi strumenti.

Gesù Cristo non benedice le opere dell’uomo che confida solo nei propri mezzi.

Gesù Cristo non benedice le opere basate unicamente sull’attività naturale.

Gesù Cristo non benedice le opere in cui l’amor proprio prende il posto dell’amore divino.

Guai a colui che rifiuta di lavorare per l’opera a cui Dio lo chiama!

Guai a chi s’impegna nell’azione senza esser sicuro della volontà di Dio!

Guai a colui che nelle opere vuol condursi senza dipendere veramente da Dio!

Guai a colui che, nell’esercizio dell’azione, non usa i mezzi per conservare o ricuperare la vita interiore!

Guai a colui che non sa ordinare la vita interiore e la vita attiva in modo che questa non abbia da nuocere a quella!

Principi

I Principio – Non dedicarsi ad un’opera per pura inclinazione naturale, ma consultare Dio allo scopo di potersi assicurare che si agisce sotto l’ispirazione della sua grazia e per manifestazione moralmente certa della sua volontà.

II Principio – E’ imprudente e dannoso rimanere troppo tempo in un periodo di eccessive occupazioni che metterebbero l’anima in uno stato incompatibile con gli esercizi essenziali della vita interiore. Bisogna allora, specialmente per i sacerdoti e per i religiosi, applicare anche alle opere più sante le parole: «Strappalo e gettalo via da te» (Mt. 5, 29).

III Principio – Allo sregolato debordamento della vita attiva bisogna imporre, se necessario anche con la violenza, un regolamento che determini l’impiego abituale del tempo, stabilito col consiglio di un saggio sacerdote di esperienza e di vita interiore.

IV Principio – Per il bene personale e per quello degli altri, bisogna innanzitutto coltivare la vita interiore. Quanto più si è occupati, tanto più c’è bisogno di questa vita e dunque tanto più se ne deve essere assetati e si devono usare i mezzi perché questa sete non rimanga un desiderio sterile sfruttato abitualmente dal demonio per addormentare le anime e mantenerle nell’illusione.

V Principio – Se accade che l’anima venga a trovarsi, per autentica volontà di Dio, molto occupata e quindi nell’impossibilità morale di prolungare i suoi esercizi di pietà, essa possiede un termometro infallibile che le indica se davvero si mantiene nel fervore. Se effettivamente ha sete di vita interiore, se con tutta la sua buona volontà approfitta di tutte le occasioni per compierne le pratiche essenziali, allora essa può restare in pace e far sicuro affidamento sulle grazie speciali che Dio serba per lei: in esse troverà la forza sufficiente per progredire nella vita spirituale.

VI Principio – Finché l’uomo di azione non giunge a conservarsi nel raccoglimento e nella dipendenza dalla grazia che devono accompagnarlo ovunque, egli si trova in uno stato insufficiente di vita interiore. Per questo indispensabile raccoglimento non occorre sforzo alcuno: basta un’abituale occhiata che parta più dal cuore che dalla mente, uno sguardo sicuro, retto, penetrante per discernere se, nell’azione, si rimane sotto l’influenza di Gesù.

Avvisi pratici

1. Scolpirsi bene in mente che l’anima non può progredire nella vita interiore, senza il regolamento sopraccennato e senza la ferma volontà di attenervisi abitualmente, in particolare riguardo all’ora della sveglia rigorosamente stabilita.

2. A base della vita interiore, come elemento indispensabile, mettere la preghiera del mattino. «Chi ha ben deciso di fare a qualsiasi costo la sua mezz’ora di orazione mattutina, ha già fatto metà del cammino», dice santa Teresa. Senza la preghiera, la giornata passerà quasi necessariamente nella tiepidezza.

3. La Messa, la Comunione, la recita del Breviario e le funzioni liturgiche sono miniere incomparabili di vita interiore, che vanno sfruttate con fede e fervore sempre crescenti.

4. Come la meditazione e la vita liturgica, anche l’esame particolare e quello generale devono condurre all’abituale custodia del cuore, per la quale viene realizzata l’unione del vigilate e dell’orate. Restando attenta a tutto ciò che accade nel suo interno e alla presenza della Ss.ma Trinità in lei, l’anima acquista l’istinto di ricorrere a Gesù in tutte le circostanze, ma soprattutto quando prevede il pericolo di dissiparsi o di indebolirsi.

5. Ne deriva il bisogno di pregare incessantemente con le Comunioni spirituali e le giaculatorie, che sono ben facili da fare, se lo si vuole davvero, anche in mezzo alle occupazioni più assorbenti, e che sono piacevolmente variabili, adattandole ai bisogni speciali del momento, alle circostanze attuali, ai pericoli, alle difficoltà, alla rilassatezza, alle delusioni, eccetera.

6. Un devoto studio della Sacra Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento, deve trovare il suo posto ogni giorno o per lo meno più volte alla settimana, nella vita di un sacerdote. – La lettura spirituale del pomeriggio è un dovere quotidiano che un’anima generosa deve ben guardarsi dal trascurare. La mente ha bisogno di porsi alla presenza delle verità soprannaturali, dei dogmi generatori della pietà e delle conseguenze morali che ne derivano e che tanto facilmente si dimenticano.

7. In virtù di questa custodia del cuore che ne sarà come la preparazione remota, la confessione settimanale sarà sicuramente pregna di sincera contrizione e di vero dolore e caratterizzata da un fermo proposito che diventerà sempre più leale e risoluto.

8. Il ritiro spirituale annuale è utilissimo ma insufficiente; il ritiro mensile (di una giornata intera o almeno di mezza), fatto allo scopo di rimettere l’anima in equilibrio, è quasi indispensabile all’uomo di azione.

Capitolo II

L’orazione, elemento indispensabile della vita interiore


Un vago desiderio di vita interiore, formulato dopo un’affrettata lettura di un libro, non può dare alcun risultato. E’ necessario che questo desiderio si radichi in una risoluzione precisa, ardente e pratica.

Molti uomini d’azione mi hanno chiesto di avere un facile mezzo per realizzare il loro proposito di vita interiore, esponendo alcune risoluzioni generali. Rispondere a tale desiderio equivarrebbe ad aggiungere una specie di appendice a questo volume.

Rispondo tuttavia volentieri; sono infatti persuaso da una parte che l’uomo di azione, sia esso sacerdote o laico, non potrà veramente approfittare della lettura di ciò che finora ho scritto, se non è ben deciso a consacrare ogni mattina un po’ di tempo all’orazione mentale; e d’altra parte ritengo che, se il sacerdote vuol progredire nella vita interiore, non può trascurare di servirsi della vita liturgica e di esercitarsi nella custodia del cuore.

Credo sia più pratico adottare, nell’esporre questi tre punti, la formula della risoluzione personale. Non pretendo d’introdurre un nuovo metodo di orazione, ma cerco di utilizzare l’essenziale dei metodi migliori.

Risoluzione di orazione 1

«Voglio essere fedele all’orazione del mattino».

1. E’ necessaria questa fedeltà?

Sacerdote! Negli esercizi spirituali della mia ordinazione ho udito queste gravi parole: «Sacerdos alter Christus!» Ho allora capito che, se non vivo specialmente di Gesù, non sono affatto un sacerdote secondo il suo Cuore, non sono affatto un’anima sacerdotale. Come sacerdote, io devo vivere nell’intimità di Gesù, Egli lo esige da me: «Non vi chiamerò più servi, ma vi chiamerò amici» (Gv. 15, 15).

Ma la mia vita con Gesù Principio, Mezzo e Fine, si sviluppa nella misura in cui Egli è la Luce della mia intelligenza e di tutti i miei atti interni ed esterni, l’Amore regolatore di tutte le affezioni del mio cuore, la Forza nelle mie prove, lotte e fatiche, l’Alimento di quella Vita soprannaturale che mi fa compartecipe della vita stessa di Dio. Ebbene, questa vita con Gesù, assicurata dalla mia fedeltà all’orazione, è senza questo mezzo moralmente impossibile.

Come oserei offendere con un rifiuto il Cuore di Colui che mi offre questo mezzo di vivere in amicizia con Lui?

Altro aspetto importante, benché privativo, della necessità della mia orazione: secondo l’economia del piano divino, essa è efficace contro i pericoli inerenti alla mia debolezza, ai miei rapporti col mondo, a certi miei doveri.

Se prego, sono come rivestito di un’armatura di acciaio e sono invulnerabile alle frecce del nemico; ma se la tralascio, ne sarò certamente colpito. Perciò molte colpe, che io non avverto o avverto a mala pena, mi saranno imputate nella loro causa.

«O orazione o gravissimo pericolo di dannazione per il sacerdote a contatto col mondo», dichiarava senza esitazioni il pio, dotto e prudente padre Desurmont, uno dei più sperimentati predicatori di esercizi agli ecclesiastici.

«Per l’apostolo, non c’è via di mezzo tra il progressivo pervertimento e la santità» (se non acquisita, almeno desiderata e ricercata soprattutto con l’orazione quotidiana), diceva a sua volta il cardinale Lavigerie.

Ogni Sacerdote può applicare alla sua orazione queste parole ispirate dallo Spirito Santo al Salmista: «Se la tua legge non fosse stata la mia meditazione, io sarei già morto nell’afflizione» (Ps. 118, 92). Questa legge arriva fino al punto di obbligare il sacerdote a riprodurre in sé lo spirito di Nostro Signore.

Un sacerdote vale quanto la sua orazione.
Vi sono due categorie di sacerdoti:

1. I sacerdoti la cui risoluzione è così decisa, che la loro orazione non potrebbe essere ritardata nemmeno da pretesti di convenienza, di occupazioni, eccetera. Solamente un caso rarissimo di forza maggiore potrà farla rinviare ad un altro momento della mattinata, ma nulla di più.

Questi veri sacerdoti si preoccupano di ottenere buoni risultati dalla loro orazione e vogliono ch’essa sia distinta dal ringraziamento della Messa, dalla lettura spirituale e più ancora dalla preparazione di una predica. Essi desiderano efficacemente la santità; finché persevereranno così, la loro salvezza è moralmente certa.

2. I sacerdoti che, avendo preso solo una mezza risoluzione, rinviano la loro orazione e perciò la tralasciano facilmente, snaturandone il fine oppure non imponendosi nessun vero sforzo per riuscirvi. Conseguenze: fatale tiepidezza, sottili illusioni, coscienza addormentata o falsata... un cammino che scivola verso l’abisso.

E io, a quale delle due categorie voglio appartenere? Se esito a scegliere, è segno che ho fallito i miei esercizi spirituali.

Tutto si connette. Se tralascio la mia mezz’ora di orazione, finirà che perfino la Santa Messa – e quindi la mia Comunione – diventeranno presto senza frutti personali e potranno essermi imputate di peccato; la recita penosa e quasi macchinale del mio Breviario non sarà più calda e gioiosa espressione della mia vita liturgica. Poca vigilanza, mancanza di raccoglimento e quindi niente più giaculatorie, niente più lettura spirituale, ahimé!; apostolato sempre meno fecondo; nessun esame leale delle mie colpe e tanto meno esame particolare; confessioni per abitudine e talvolta dubbie... in attesa del sacrilegio!

La rocca, sempre meno difesa, è abbandonata all’assalto di una legione di nemici; dapprima si aprono solo brecce... ma ben presto crollano le rovine.

2. Che cosa dev’essere la mia orazione?

Ascensio mentis in Deum. «Tale ascesa – dice San Tommaso – essendo un atto della ragione non speculativa ma pratica, presuppone gli atti della volontà».

L’orazione mentale è dunque un vera fatica, soprattutto per gli incipienti. Fatica per staccarsi un momento da ciò che non è Dio. – Fatica per restare mezz’ora fissi in Dio e riuscire a prendere un nuovo slancio verso il bene. – Fatica senza dubbio penosa all’inizio, ma che voglio accettare con generosità. – Fatica che però sarà ben presto coronata dalla più grande consolazione che si possa avere sulla terra: la pace nell’amicizia e nell’unione con Gesù.

«L’orazione – dice Santa Teresa – non è che un colloquio amichevole in cui l’anima parla, cuore a cuore, con Colui dal quale si sente amata».

Colloquio cordiale. Sarebbe un’empietà supporre che Dio, il quale, ben più che impormi questa conversazione, me ne infonde il bisogno e spesso l’attrattiva, non voglia anche facilitarmela. Anche se da molto tempo l’ho abbandonata, Gesù mi ci richiama teneramente e mi offre un’assistenza speciale per questo linguaggio della mia fede, della mia speranza e della mia carità che dovrà essere la mia orazione, come la chiama il Bossuet.

Vorrò forse resistere a questo appello di un Padre che invita anche il figlio prodigo ad ascoltare la sua Parola, a intrattenersi familiarmente con Lui, ad aprirgli il mio cuore e ad ascoltare i battiti del suo?

Colloquio semplice. Sarò spontaneo: parlerò dunque a Dio da tiepido, da peccatore, da dissipatore oppure da fervoroso. Con l’ingenuità di un fanciullo, gli esporrò il mio stato d’animo e non parlerò se non il linguaggio che esprime sinceramente ciò che sono.

Colloquio pratico. Il fabbro non immerge il ferro nel fuoco per renderlo ardente e luminoso, ma perché diventi malleabile. Così l’orazione deve illuminare la mia intelligenza e riscaldare il mio cuore, ma solo affinché l’anima mia diventi così flessibile da poter essere martellata, perdendo i difetti o la forma dell’uomo vecchio e ricevendo le virtù o la forma di Gesù Cristo.

Il mio colloquio dunque punterà ad elevare la mia anima fino alla santità di Gesù, affinché Egli la possa modellare a sua immagine. «Tu, o Signore Gesù, tu formi e plasmi il mio cuore con la tua mano dolcissima e misericordiosissima, ma anche fortissima» (S. Agostino).

3. Come farò la mia orazione?

Per tradurre in pratica la definizione e lo scopo, mi atterrò a questo metodo logico:

– Porrò la mia mente, ma soprattutto la mia fede e il mio cuore, davanti a nostro Signore che m’insegna una verità o una virtù.

– Ecciterò la mia sete di adeguare la mia anima all’ideale intravisto.

– Deplorerò tutto ciò che gli si oppone.

– Prevedendo gli ostacoli, mi deciderò a superarli.

– Chiederò con insistenza la grazia efficace per riuscirvi, ben convinto che da solo non concluderei nulla.

Come un viaggiatore spossato, ansante, cerco di dissetarmi; alla fine... Video: scopro una fonte. Ma essa zampilla su un’erta roccia... Sitio: più contemplo quell’acqua limpida, che mi permetterebbe di continuare il viaggio, più si accentua in me il desiderio di dissetarmi, nonostante gli ostacoli... Volo: ad ogni costo voglio raggiungere quella sorgente e mi sforzo di arrivarci, ma purtroppo devo constatare la mia impotenza... Volo tecum: arriva una guida, che non aspetta altro che io le chieda di aiutarmi; essa mi conduce anche nei passaggi più scabrosi; ben presto posso dissetarmi a lunghi sorsi. Così le acque vive della grazia zampillano dal Cuore di Gesù.

La mia lettura spirituale della sera, elemento così prezioso di vita interiore, ha riacceso il mio desiderio di fare all’indomani l’orazione... Prima di coricarmi, considero sommariamente, ma in modo chiaro e preciso, il soggetto dell’orazione2, come pure il frutto specifico che desidero ricavarne, ed eccito davanti a Dio il desiderio di profittarne.

L’ora della meditazione è venuta3. Voglio staccarmi dalla terra, costringere la mia immaginazione a rappresentarmi una scena viva e parlante che io sostituisco alle mie preoccupazioni, alle mie distrazioni, eccetera4. Rappresentazione rapida e a grandi linee, ma abbastanza convincente da commuovermi e gettarmi alla presenza di quel Dio, la cui attività tutta amorosa vuol avvolgermi e penetrarmi. Ed eccomi in relazione con un Interlocutore Vivente5, Adorabile e Amabile.

Dapprima adoro profondamente; ciò s’impone da sé. Seguono poi atti di annientamento, di contrizione, di fedeltà, di preghiera umile e fiduciosa, affinché sia benedetto questo colloquio col mio Dio6.

Video

Colpito dalla vostra viva presenza, o Gesù, e quindi liberato dall’ordine puramente naturale, vado a cominciare il mio colloquio col linguaggio della fede, più fecondo delle analisi della mia ragione. A questo scopo, leggo o richiamo alla mente, con cura, il punto da meditare; lo riassumo e concentro in esso la mia attenzione.

O Gesù, siete Voi che mi parlate e m’insegnate questa verità; voglio dunque ravvivare e accrescere la mia fede su ciò che Voi mi presentate come cosa assolutamente certa, perché fondata sulla vostra Veracità.

E tu, o anima mia, ripeti continuamente: lo credo; ripetilo con sempre maggior forza. Come un bimbo che recita la lezione assegnata, ripeti moltissime volte che tu abbracci questa dottrina e le sue conseguenze per la tua eternità7. «O Gesù, questo è vero, assolutamente vero, perciò lo credo. Voglio che questo raggio di sole della Rivelazione sia come il faro della mia giornata. Rendete la mia fede più ardente; ispiratemi un vigoroso desiderio di vivere questo Ideale e una santa collera contro tutto ciò che gli è contrario. Voglio divorare questo alimento di verità e assimilarmelo».

Ma se, dopo alcuni minuti passati nell’eccitare la mia fede, rimango inerte davanti alla verità che mi si presenta, non insisterò oltre. Vi esporrò filialmente, o mio buon Maestro, il dolore che provo per questa mia impotenza e Vi pregherò di supplirvi.

Sitio

Dalla frequenza e soprattutto dal vigore dei miei atti di fede, vera partecipazione ad un raggio dell’Intelletto divino, dipenderà il grado di esultanza del mio cuore, linguaggio della carità affettiva.

Sia che nascano da sé sia che vengano eccitati dalla mia volontà, gli affetti sono fiori che la mia anima di fanciullo sparge ai piedi di Gesù che parla: atti di adorazione, riconoscenza, amore, gioia, adesione alla volontà divina e distacco da tutto il resto, avversione, odio, timore, collera, speranza, abbandono.

Il mio cuore sceglie uno o più di questi sentimenti, se ne impregna, Ve li manifesta, o Gesù, e Ve li ripete molte volte, teneramente e lealmente, ma con tutta semplicità.

Se la mia sensibilità mi offre il suo aiuto, io l’accolgo, poiché mi può essere utile anche se non è necessario. Un’affezione calma ma profonda è più sicura e più feconda delle emozioni superficiali. Queste ultime non dipendono da me e non sono mai il termometro della vera e fruttuosa orazione. Quello che è sempre in mio potere e che importa soprattutto, è lo sforzo per scuotere il torpore del mio cuore e fargli ripetere: «Mio Dio, voglio unirmi a Voi; voglio annientarmi dinanzi a Voi; voglio cantare la mia gratitudine e la mia gioia di compiere la vostra volontà. Non voglio più mentire dicendovi che Vi amo e che detesto tutto ciò che Vi offende», eccetera.

Benché mi sia sinceramente sforzato, può talvolta accadere che il mio cuore rimanga freddo ed esprima fiaccamente le sue affezioni. Allora, o Gesù, vi esprimerò umilmente la mia desolazione e il mio desiderio; prolungherò volentieri i miei gemiti, nella convinzione che, lamentandomi così dinanzi a Voi per questa mia sterilità, acquisterò uno speciale diritto ad unirmi agli affetti del vostro divino Cuore in un modo efficacissimo, sebbene nell’aridità, nel buio e nel freddo.

Quant’è bello, o Gesù, l’Ideale che scorgo in Voi! Ma la mia vita è in armonia con questo Esemplare perfetto? Compio questa indagine sotto il vostro sguardo profondo, o divino Interlocutore che, se ora siete tutto misericordia, sarete invece tutto giustizia quando v’incontrerò nel giudizio particolare, in cui con un solo sguardo scruterete i più segreti moventi dei minimi atti della mia esistenza. Vivo di questo Ideale? Se morissi in questo istante, o Gesù, non trovereste la mia condotta in piena antitesi con esso?

Su quali punti desiderate, o Maestro Buono, che io mi corregga? Aiutatemi a scoprire dapprima gli ostacoli che m’impediscono di imitarvi, poi le cause interne o esterne e le occasioni prossime o lontane delle mie mancanze.

La vista delle mie miserie e delle mie difficoltà, o mio Redentore, obbliga il mio cuore ad esprimervi confusione, dolore, tristezza, rimpianti amari, sete ardente di migliorare, offerta generosa e senza riserve di tutto il mio essere. «Voglio piacere a Dio in tutto»8.

Volo

Mi avanzo maggiormente nella scuola del volere.

E’ il linguaggio della carità effettiva. Gli affetti hanno fatto nascere in me il desiderio di correggermi; ne ho individuato gli ostacoli; ora tocca alla mia volontà di dire: «voglio toglierli». O Gesù, il mio ardore nel ripetervi questo «voglio», dipende dal mio fervore nel ripetere: credo, amo, mi pento, detesto.

Se talvolta questo «voglio» non scaturisce con quell’energia che speravo, o mio amato Salvatore, deplorerò questa debolezza della mia volontà e, lungi dallo scoraggiarmi, non mi stancherò di ripetervi quanto desidero partecipare alla vostra generosità nel servizio del Padre celeste.

Alla mia risoluzione generale di lavorare per la mia salvezza e per amare Dio, unisco la risoluzione di applicare la mia orazione alle difficoltà, alle tentazioni ed ai pericoli della giornata. Ma soprattutto avrò cura di ritemprare con amore più ardente quel proposito9 che è oggetto del mio esame particolare (difetto da combattere o virtù da praticare); lo fortificherò con motivi che attingerò dal Cuore del Maestro e, da abile stratega, individuerò i mezzi capaci di assicurarne l’esecuzione, prevedendo le occasioni e preparandomi alla lotta.

Se intravedo uno specifico pericolo di dissipazione, d’immortificazione, di umiliazione, di tentazione, una decisione grave eccetera, mi dispongo per quel momento alla vigilanza, alla lotta e soprattutto all’unione con Gesù e al ricorso alla Madonna.

Nonostante tutte queste precauzioni, potrà capitarmi di cadere ancora; ma che differenza tra queste cadute di sorpresa e le altre! Via gli scoraggiamenti!, perché so che Dio è glorificato dal mio continuo ricominciare per rendermi più risoluto, più diffidente di me stesso, più sollecito nel ricorrere a Lui. Solo a questo prezzo potrò riuscire.

Volo tecum

«Obbligare uno storpio a camminare bene è meno assurdo che voler riuscire senza di Voi, o mio Salvatore» (S. Agostino). Le mie risoluzioni non sono forse rimaste sterili perché l’ «io posso tutto» non è derivato dall’ «in Colui che mi dà forza»? 10. Arrivo dunque al punto della mia orazione che, sotto certi aspetti, è il più importante: la supplica o il linguaggio della speranza.

Senza la vostra grazia, o Gesù, io non posso far nulla. Questa grazia non la merito a nessun titolo, ma so che le mie insistenze, lungi dallo stancarvi, costituiranno la misura del vostro soccorso, se esse riflettono la mia sete di essere vostro, la diffidenza di me stesso e la mia fiducia illimitata, direi folle, nel vostro Cuore. O bontà infinita, imitando la cananea del Vangelo (Mt. 15,22-29), mi prosterno ai vostri piedi e con la sua insistenza, tutta speranza e umiltà, Vi chiedo non qualche briciola, ma una vera partecipazione a quel banchetto di cui avete detto: «Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio».

Divenuto per grazia membro del vostro Corpo mistico, io partecipo alla vostra vita e ai vostri meriti, e prego per mezzo vostro, o Gesù. O Padre santo, io prego per il Sangue divino che grida misericordia; potrete Voi respingere la mia preghiera? E’ il grido del mendicante quello che elevo a Voi, o Ricchezza inesauribile: «Esaudiscimi, perché io sono misero e povero» (Ps. 85, 1). Rivestitemi della vostra forza e glorificate la vostra potenza nella mia debolezza. La vostra bontà, le vostre promesse e i vostri meriti, o Gesù, e per contro la mia miseria e la mia confidenza, sono i soli titoli della mia supplica per ottenere, mediante la mia unione con Voi, la custodia del cuore e la forza in questo giorno.

Se sopraggiunge un ostacolo, una tentazione, un sacrificio da imporre ad una qualche mia facoltà, il testo o il pensiero che io prendo come mazzetto spirituale mi farà respirare il profumo di preghiera che ha circondato le mie risoluzioni e, nel momento critico, alzerò nuovamente il grido della supplica efficace. Quest’abitudine, frutto della mia orazione, ne sarà pure la pietra di paragone: «dai loro frutti li riconoscerete».

Quando sarò giunto a vivere di fede e di sete abituale di Dio, solo allora il lavoro del Video potrà essere talvolta soppresso, perché il Sitio e il Volo scaturiranno fin dal principio dell’orazione, che trascorrerà tutta nel produrre affetti e offerte, nel confermare la mia risoluta volontà e nel mendicare – direttamente da Gesù o da Maria Immacolata, dagli Angeli o dai Santi – una unione più intima e più costante con la divina volontà.

* * *

Il santo Sacrificio mi aspetta: l’orazione mi ci ha preparato. La mia partecipazione al Calvario, in nome della Chiesa, e la mia Comunione saranno come una continuazione della mia orazione 11. Nel ringraziamento estenderò le mie richieste agl’interessi della Chiesa, alle anime affidatemi, ai defunti, alle mie opere, a parenti, amici, benefattori, nemici, eccetera.

La recita delle varie ore del mio caro Breviario, in unione con la Chiesa, per Essa e per me, le frequenti e fervorose giaculatorie, le comunioni spirituali, l’esame particolare, la visita al SS.mo Sacramento, la lettura spirituale, il Rosario, l’esame generale eccetera, verranno a segnare il mio cammino, a ravvivare le mie forze e conservare lo slancio del mattino, affinché nulla nella mia giornata sfugga all’azione del Signore. Grazie a questo slancio, il ricorso a Gesù, dapprima frequente e poi abituale, direttamente o per mezzo di sua Madre, farà cessare le contraddizioni tra la mia ammirazione per la sua dottrina e la mia vita emancipata, tra la mia pietà e la mia condotta.

A questo punto debbo trattenere il mio cuore che, nel suo desiderio di essere veramente utile agli uomini di azione, vorrebbe dedicare una risoluzione speciale all’esame particolare.

Cedendo a questo pensiero, infatti, temo di allungare troppo il mio libro. Eppure dalla lettura di san Cassiano, di parecchi Padri della Chiesa, come pure di sant’Ignazio, di san Francesco di Sales e di san Vincenzo de’ Paoli, impariamo che l’esame particolare e quello generale sono corollari necessari della meditazione e si connettono alla custodia del cuore.

D’accordo col suo direttore, l’anima s’è decisa a prendere di mira più direttamente, nella meditazione e nel corso della giornata, quel tal difetto o quella tale virtù, sorgente principale di altri difetti o virtù.

Numerosi sono i cavalli che tirano il carro e l’occhio li controlla tutti costantemente. Ma al centro dell’attracco ve n’è uno su cui si concentra l’attenzione dell’auriga: se difatti quello va troppo a destra o troppo a sinistra, tutti gli altri si sbandano.

L’analisi dell’anima mediante l’esame particolare, per constatare se c’è progresso, regresso o stazionarietà su un punto ben determinato, non è che un elemento della custodia del cuore.


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