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Cosa è l'Umiltà, come esercitarla (del can. Maucourant) imperdibile!

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 22:38
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05/09/2009 22:34

PRATICA DELL’UMILTA’ VERSO IL PROSSIMO

Il rispetto.

Considerazioni e riflessioni. - L'umiltà è il senso pratico del divino: non esiste e non esisterà mai al mondo una persona nella quale il divino non esista, in questa o in quella misura. Anche secondo natura, noi tutti siamo fatti ad immagine di Dio; ma la grazia ci fa salire ancor più in alto: per essa il divino penetra in noi, in modo da divenire come una seconda natura; è quello che si può chiamare il divino per eccellenza.

Un altro divino, riservato ad alcuni, è il divino dell'autorità. (Morks. Gay)

È questo divino che l'umiltà scorge in ogni creatura, e quel che la induce ad in­chinarsi, è la parentela del prossimo con Dio.

L'umiltà anzitutto ci mantiene in perfetta sudditanza e soggezione a tutti quelli che sono stabiliti in autorità su di noi. Essa fa sì, che noi rendiamo a quelli gli omaggi e il rispetto loro dovuto come una specie di culto, perchè la fede, oltrepassando subito e sempre quanto è visibile e umano, ci mette di fronte a una realtà spirituale e divina: l'auto­rità. (Mons. Gay) Che devono interessare a noi le miserie e le imperfezioni dei nostri superiori? Noi ben sappiamo che, per difen­dere l'orto e il giardino, non si scelgono le piante più preziose, ma quelle più adatte.... D'altra parte, noi veneriamo nei superiori l'autorità, l'immagine di Dio. Ma l'umiltà, anche se si trova solo dinanzi al divino, non speciale dell'autorità, ma comune a tutti i cri­stiani, si inchina ancora con sentimento pro­fondo di riverenza, perchè il divino, sia esso in questa o in quell'altra misura, esige sem­pre rispetto. Non vi ha persona, per malvagia che sia, che non abbia in sè qualche dono divino. Non trova forse il sapiente di che arricchire le sue collezioni anche sui ghiac­ciai, su le vette le più denudate? L'anima umile osserva le imperfezioni in se stessa, e negli altri le buone qualità; essa pone la sua gloria nel servire i servi di Dio, perchè essa li vede in Dio e vede Dio in essi. In una co­munità religiosa un'altra causa spinge ancora al rispetto, ed è che, malgrado le loro im­perfezioni e i loro difetti, tutte le persone, che hanno abbandonato il mondo per servire Dio solo, per consacrarsi tutte a Lui, se fe­deli, otterranno la vita eterna. Vivo dunque predestinata, fra predestinate. Queste care consorelle, fra le quali compio il viaggio della vita, sono amiche di Dio, tutto me lo dà a sperare, ed elette per il cielo.

Questo titolo cancella dunque tutti i nomi, tutte le grandezze della terra: eleva fino a Dio le più semplici e le più umili. Oh! quanto queste riflessioni mi rendono facile il compatimento, il sopportare, il rispetto, la benevolenza, la cordialita! Quanto mi fanno paziente e buona, anche! malgrado le mie ri­pugnanze naturali e le mie antipatie troppo istintive.

E di fronte a un peccatore manifesto, de­plorando il suo stato d’umiltà continua a onorare nella persona il divino naturale che vi ha nella creatura, mantenendosi ostinata in questa sola visione. Le colpe altrui ci servano solo di esempio per affidare di noi e ci provochino alla riconoIcenza in Dio. Sarei caduta come le altre, se Dio non mi avesse sostenuta, diceva santa Teresa. E S. Ago­stino aggiunge: Fra il più grande criminale e me non vi ha altra differenza che la grazia di Dio. Appoggiata a questi pensieri, l'a­nima umile guarda ai peccati altrui con più compassione che passione.

Trattate il peccatore come una madre tratta il suo bambino ammalato: essa a lui prodiga ben più carezze che non allorchè trovasi in salute. (S. Ignazio) Quanta indul­genza nella vera umiltà! L'indulgenza è virtù divina, lo spirito d'indulgenza è imitazione di Gesù. La severità, il rigore sono debo­lezza, piccolezza e viltà. La fortezza è dol­cezza e misericordia. « Per essere indulgenti, occorre molto buon senso e un pizzico di pietà nel cuore. » (Mad. Swetchine) La seve­rità verso i peccatori, che indica orgoglio e poca fede, diverrebbe cosa comune se ve­nisse a mancare l'umiltà.

Signore, diceva S. Francesco di Sales, fra poco rimarremo Tu ed io soli ad amare i peccatori.

Invocazioni. - Signore, Tu solo puoi dare a noi la docilità, la fedeltà, l'ubbidienza, l'indulgenza del divino. È a Te, divin Maestro, che appartiene il comandare al nostro cuore, affinchè Tu sia ubbidito. Tu sei la regola perenne da seguire, il modello da imitare, la carità che noi dobbiamo amare, la vita che dobbiamo vivere, la ri­compensa che aspettiamo. Degnati d'insegnare a noi che, nè la solitudine, nè il lavoro, nè il martirio, sono un sa­crifizio così gradevole come l'ubbidienza e l'umiltà. Dà a noi una carità sincera e tutta pura, una carità che si estenda fino alle persone più vili, secondo l'apprezzamento del mondo. (P. de Laveyne)

Esame di coscienza. - Posseggo quello spirito di fede, che mi fa riconoscere Dio in ogni autorità? - Se lo avessi, quale sarebbe il mio rispetto interno e esterno, il mio spirito di ubbidienza interno nelle opere? - Se io giudico, se biasimo, se esamino quel che non mi riguarda, non è forse per mancanza di fede, e per l'orgoglio che vuole signoreggiare ogni cosa?- Chi sono io per eri­germi arbitra a censurare le miè consorelle? e talvolta la stessa autorità?



PRATICA DELL’UMILTA’ VERSO IL PROSSIMO (2)

Cortesia e premurosità.

Considerazioni e riflessioni. - « Abbiate viscere di carità per il vostro prossimo, molta affabilità e dolcezza, cercate con santa avi­dità di essere compiacenti in tutto; ma sem­pre allo scopo di onorare il Signore, » disse un papa illustre. Tale è il carattere dell'u­miltà che, inclinando l'anima a guardare quello che vi ha di buono nel prossimo, piuttosto di badare al male che vi si trova pure, in­vita e persuade noi stessi a considerare invece i difetti nostri, senza fermarsi in os­servazione su le virtù che possono man­care a quelli. S. Agostino reputava che non vi è persona che non abbia in sè, allo stato latente, una qualche qualità da renderla su­periore a noi. E S. Benedetto aggiunse: « Questo pensiero è fatto apposta per re­primere il nostro orgoglio. Non pensate che le vostre qualità rifulgano come il sole e che brillino alla vista di tutti. Al contrario, per­suadetevi che nel cuore del vostro fratello trovasi, come filone d'oro, una qualche virtù che lo rende più stimabile di voi. » Con questi principi ci sarà facile comprendere e praticare quel precetto di S. Paolo il quale do­manda che, nella nostra reciproca e comune umiltà, noi ci stimiamo reciprocamente in­feriori l'un all'altro.

« In noi, dice S. Tommaso, vi sono, come nelle medaglie, due faccie, quella umana e quella divina: se noi mettiamo la nostra fac­cia umana in confronto alle faccia divina del prossimo, facilmente confesseremo, nell'u­miltà, la sua superiorità su di noi stessi. Se al contrario, noi mettiamo in confronto le due faccie divine, la verità non ci vieta di scor­gere, nel caso, la superiorità dei doni divini in noi, restandone sempre (la gloria a Dio solo; ma guardiamocene bene, perchè l'illu­sione è facile e il confronto pericolosissimo.

Chi è umile, temendo sempre di sbagliare, e bastandogli il badare al divino, è sopra­tutto nel prossimo che ammira il divino e i buoni lati di una persona. « Egli interpreta nel miglior modo quello che vede: se du­bita, si persuade di aver mal osservato o ve­duto. » (S. Francesco di Sales) « Se non può approvare le azioni, ne scusa le intenzioni. »

Egli non si lascia sedurre dai beni che i cattivi posseggono, nè scoraggiare dal male che scorge nei buoni. – Non vuole che si abbia cattiva opinione degli altri ugualmente come di se stesso. Rende onore a Dio nel suo prossimo, si dimostra premuroso con tutti e servizievole per quanto possibile. L’umile né disprezza, né giudica e neppure deride; non prende né i fatti, né le parole alla lettera e nel peggiore significato, ma scusa, dimentica, perdona e interpreta tutto nel miglior significato; tratta ogni cosa e con ogni persona con dolcezza, con amabilità; si vale dalla ragione, della preghiera e della benevolenza e stima che val meglio perdere mille scudi piuttosto che contristare il suo prossimo. (S. P. Fourier) E se talvolta trattasi di ridurre all’ordine quelli che furono affidati alla sua autorità e carità, l’umiltà sa che il miglior modo di mantenerli o di rimetterli nell’ordine è di riprenderli con dolcezza e di confessarsi semplicemente molto inferiore a loro per molti aspetti.

L’umiltà rende pure facile la lode. – Non la lode adulatrice po malsana e perfida, ma quella che può essere dovere, essendo un inno di riconoscenza a Dio per i doni largiti agli altri, e un canto di speranza che incoraggia il prossimo. Appartiene alla virtù di amicizia, dice S. Tommaso, il lodare il proprio fratello, per consolarlo nelle pene ed eccitarlo al bene. » - « La lode eccita l'emulazione, questa pro­duce la virtù e con la virtù la felicità. » (S. Gregorio Nazianzeno) « Può ancora succe­dere che lodando qualcuno di qualità che non possiede che esteriormente, lo si spinga, o almeno lo si inviti a diventare in realtà quel che non appare che esteriormente: gli si fa­cilita così la virtù. » (Alberto il Grande)

Quanto bene può cagionare una lode data con discrezione! Il giardiniere distribuisce con moderazione l'acqua ai suoi fiori, secondo le loro necessità; « la gente onesta ammira poco e loda moderatamente, e le lodi che Dio accorda sono brevi e semplici. » (Fénelon) Quella parola di bontà, quel tono di voce, quel piccolo riguardo usato, sono il sorriso dell'angelo custode sopra, l'azione da lui i­spirata; tutto ciò rimarrà nel cuore, come eco di un'armonia che ispirerà coraggio e confidenza a proseguire fra le difficoltà. Vi sono caratteri timidi e facilmente scoraggiati per natura, che hanno immenso bisogno di incoraggiamento, e che un'approvazione, una buona parola, una lode ricevuta a proposito conferma nel bene, dilata e spinge avanti, più di ogni ragionamento: per questi la lode, invece di essere uno scoglio e un impaccio alla virtù loro, è un soccorso e uno stimolo, e diventando più confidenti, diventano so­vente anche più umili. (Mons. Gay) In que­sto modo l'umiltà diviene apostolica e, di una comunità, può formare un paradiso e il vestibolo del cielo.

lnvocazione. - Dolce cuore de comprenda queste lezioni che provengono da Te, diffondi in me il Tuo spirito d'intelligenza i dammi la sapienza necessaria a farmele amare e gustare perchè « le Tue pa­role sono più dolci del miele. » Spirito di forza, degnati di compiere in me un'opera alla quale mi sento insufft­ciente. Quante volte ho io contristato il mio prossimo per difetto di umiltà e di carità! Liberami da tutte le asprezze dell'orgoglio e dai rancori dell'amor proprio; fa che il mio cuore sia sempre come il Tuo, umile e caritatevole verso tutti, senza eccezioni, e sempre pervaso da una dolcezza uguale e uniforme.

Esame di coscienza. - E così che io agisco: guardare al bene negli altri e al male in me stessa? - Non sono forse severa, parziale, ingiusta nei miei giudizi? - Ho in orrore la maldicenza? - posso constatare che la mia umiltà semplifica i rapporti e rende la vita facile e dolce attorno a me? - Non sono forse, al contrario, difficile di carattere, scontrosa, puntigliosa e facile al sospetto? - Non mi arrogo forse il diritto di esaminare la condotta delle mie consorelle, come se Dio mi avesse stabilita giu­dice e padrona? - All'occasione, sono felice di lodare il prossimo e fuggire le occasioni di lode per me?



PRATICA DI UMILTA’ VERSO SE STESSI (1)

Considerarsi con sincerità.

Considerazioni e riflessioni. - S. Agostino domandava insistentemente a Dio due cose: di poterlo conoscere e di conoscere se stesso. Noi tutti dobbiamo rivolgere a Dio la stessa preghiera, non potendo sperare di essere salvi senza quella scienza, dice S. Giovanni della Croce. Applicati dunque sovente a que­sto dovere di considerare te stesso. Osser­vati attentamente, seriamente, senza timidezza nè debolezza, senza adulazioni nè illusioni, e ancora, riguardo ad un vero apprezza­mento, senza indulgenza, dice Monsignor Gay. Questa conoscenza di noi stessi ci porterà alla conoscenza di Dio, allo stesso modo che, nel tempio di Salomone, il sacer­dote doveva fare un giro all'esterno del tem­pio per introdursi nel Sancta Sanctorum.

Alla luce dell'umiltà, che è verità, tu con­staterai, che nulla possiedi che non ti sia stato dato in dono. L'esistenza ci è stata data da Dio: solo colui che è tutto ha abusato delle grazie di Dio, abbiamo rivolto contro di Lui i suoi benefizi. Noi abbiamo tutto guastato, per malizia, o almeno per de­bolezza e, se non abbiamo rovinato, non c'è cosa che non sia stata da noi almeno danneg­giata. « Da noi stessi non abbiamo alcun buon pensiero: se la grazia si fa sentire, noi le resistiamo: se operiamo, lo facciamo vil­mente, cioè per interesse; per vanità, per cento motivi personali, e sopprimono tanto alla grazia da non rimanervi più che la nostra personalità infima. (Veri. Giov. d'Avita) « Se qualcuno dice di se stesso di aver qualcosa di buono, costui seduce se stesso.

Peccatore, ascolta: « Se pure non vi fosse che una sola colpa grave fra le azioni della nostra vita, noi avremmo meritato l'inferno, e, se fosse mancata a noi l'infinita miseri­cordia di Dio, noi già vi saremmo. Ma quante colpe e quali peccati hanno insozzato que­sta vita! (Mons Gay) Quale persona sarà così generosa d’ammettere, conoscendolo, tutto il male che ha fatto, senza scusarsi e cercare diminuzioni di responsabilità? E così, non è più un'umiltà di soggezione quella che conviene al peccatore, ma una umiltà di abiezione. Il peccatore è un essere di­sprezzabile: egli ha il dovere verso di sè e verso Dio di disprezzarsi.

Nullità e peccato: ecco quel che siamo; eppure tu hai vissuto di vanità e di orgoglio: E rifletti bene: non vi ha peccato la cui gra­vità possa confrontarsi con l'orgoglio: esso precipitò gli angeli dal cielo nell'abisso; ha corrotto tutto il genere umano; ed è causa di questa infinità di mali che non periranno, se non con l'umanità: quanto è degno di disprezzo e di odio!

« L'orgoglioso è abbominato da Dio; bu­giardo e mentitore, si attribuisce quello che non ebbe o quello che è di Dio; se si ri­vestisse con una gualdrappa d'oro un ca­vallo avente un briciolo di ragione, non se ne glorierebbe di troppo, ben sapendo che lo si può spogliare. » (S. Alf. de' Liguori)

Nullità, peccato, orgoglio: ecco quel che si trova in te. Se il panorama ti fa orrore, tanto meglio! Ciò vuol dire che la tua co­scienza vede bene e che la grazia di Dio ti illumina. Non dimenticare mai da quale al­bero tu provieni, affinchè tu, ramoscello, possa essere ben innestato sul grande e pre­zioso albero della vita: Gesù Cristo. Umíliati sinceramente e profondamente, solo così po­trai dare qualche frutto.

Invocazioni. - « Considera bene quel che sei e quello che merití, e tu riconoscerai di dove provengono i beni che possiedi; inabissa il tuo nulla nella mia grandezza e guardati di mai uscirne, perchè tu non vi rientreresti più. » (N. Signore a S. Margh. Maria). « O mio Gesù ! voglio ben mantenermi piccola e abbassata nel mio stato, per crescere nel Tuo cuore. Cuor del mio Gesù, Tu sei il trono della misericordia, al quale, le più miserabili sono le meglio ricevute, purchè l'amore le presenti nell'abisso delle loro miserie e del loro nulla. Cuore d'amore, io grido verso Te dall'abisso della mia miseria: salvami con l'eccesso delle Tue misericordie » (S. Margh. Maria)

Esame di coscienza. - Comprendo bene che io, nulla essendo, tutte le umiliazioni mi sono dovute? - Che devo dire allora dopo tutti i peccati che ho aggiunto al nulla? - Dopo tante omissioni, imperfezioni, ricerche di me stessa, e reticenze quotidiane nelle accuse? - Conosco me stessa, e cerco di lasciarmi conoscere quale sono? - Non cerco forse la stima, dando assai importanzà ad essa?



PRATICA DELL’UMILTA’ VERSO SE STESSI (2)

Rialzarsi con semplicità.

Considerazioni e riflessioni. - É onore e tormento tutt'assieme, all'uomo decaduto, il non potersi adattare al suo stato di miseria. Principe spodestato e spostato, per colpa dei primi parenti, egli conservava tuttora, in fondo al cuore, il sentimento della sua no­biltà di origine. Ad ognuna delle sue cadute, egli a mala pena reprime un'esclamazione di stupore, come se gli fosse accaduto qualcosa di straordinario. Si direbbe Sansone privato delle sue forze da una perfida mano. « In piedi! gli si grida, i Filistei son qui! » E si rialzava, poveretto, immaginandosi di domi­nare, come per il passato, il nemico, dimen­ticando che il suo vigore non era più.

La fede c'insegna che la natura nostra ri­mane ferita, malaticcia, cieca e inclinata al male; di qui avviene che, malgrado le nostre buone risoluzioni e i nostri ottimi desideri, noi cadiamo ancora e più spesso di quello che avremmo creduto. È l'effetto della nostra concupiscenza: fortunatamente per noi, pos­siamo opporre ad essa la grazia di Dio con la quale noi possiamo tutto.

Ma se disgraziatamente noi dimentichiamo questa verità, e ci lasciamo trasportare dalla tristezza, arriviamo all'inquietudine, allo sco­raggiamento e al disgusto. Ma la vera divo­zione si afferma contro i sentimenti tumul­tuosi e dice con san Francesco di Sales: « Non stupire mai di vederti miserabile. » Se noi conoscessimo bene chi siamo, in­vece di stupire di trovarci a terra, stupiremmo del come possiamo tenerci in piedi. E spe­cialmente riguardo alle colpe di amor proprio. « Non bisogna stupire di trovare in noi sempre l'amor proprio, perché esso non se ne va affatto. Dorme talvolta come una volpe, poi d'un tratto si getta sulle vostre spalle; ed è perciò che occorre vigilare costante­mente su di lui e difendersene con pazienza e dolcezza.

L'anima umle, appoggiata a queste giustis­sime considerazione, odia i suoi difetti, ma di un odio tranquillo e quieto, non di un odio inquieto e collerico; e casi essa sop­porta di vederseli fra i piedi e ne cava il profitto di un santo abbassamento di se stessa. » (S. Francesco di Sales)

Essa non si perde di coraggio. « Bisogna pure, essa dice, che per l'esercizio dell'u­miltà, noi veniamo talvolta feriti nella lotta spirituale; ma noi non ci riteniamo mai per vinti fino a che non avremo perduta la vita o il coraggio. Orbene, le imperfezioni e le colpe veniali non possono ancora toglierci la vita spirituale, poichè essa non si perde che col peccato mortale; non rimane dun­que che a badare che esse non ci facciano perdere il coraggio nel proseguire. » Libera­temi, Signore, dalla viltà, diceva il Profeta. Tutto bisogna perdere, piuttosto che il co­raggio: la debolezza non è un grande male, allorquando il coraggio la rimette in piedi a poco a poco. Non si rompono le corde, nè si abbandona lo strumento, allorchè ri­velasi una stonatura; ma bisogna prestare orecchio per cercare di vedere da dove viene la dissonanza e tendere oppure rilassare dol­cemente la corda, secondo il caso. » (San Francesco di Sales)

La grande lezione sta lì: agire con dolcezza. Sentiamo santa Giovanna di Chantal. « La mia povera anima è così magra, disfatta e abbattuta, che m'ispira vera pietà; tenterò anzitutto di ristorarla e di rimetterla in piedi; la tratterò dolcemente per non spaventarla. » E sentiamo ancora S. Francesco di Sales: « Per me, se avessi un gran desiderio di non cadere nel vizio della vanità, e nondimeno vi fossi caduto, non vorrei rimproverare il mio cuore, per esempio, in questo modo: Non sei tu forse un gran miserabile e degno di abbominazione? Esserti lasciato traspor­tare dalla vanità, dopo tante risoluzioni con­trarie? Muori di vergogna, non alzar più gli occhi al cielo, traditore e sleale verso il tuo Dio! Non questo direi, ma vorrei correg­gerlo ragionevolmente e per via di compas­sione. Povero mio cuore! eccoci caduti an­cora nel fosso che le tante volte noi avevamo deciso di sfuggire. Ah! rialziamoci dunque subito e abbandoniamolo per sempre. Implo­riamo la misericordia di Dio e rimettiamoci sulla strada dell'umiltà. Coraggio, Dio ci aiu­terà, e noi faremo molte cose. » È così dunque che bisogni fare: ricominciare di buona volontà. « Dopo esserti umiliata, ricomincia di bel nuovo; il Sacro Cuore ama questo modo di agire che mantiene l'anima in pace. » (S. Margh. Maria) « Felice colui che ricomincia ogni mattina ad essere buono! » come il sole che riprende la sua corsa, come il fiore che riapre la sua corolla diffondendo il suo profumo, come l'uccellino che ripete il suo canto di ieri, come Dio che spande i suoi tesori sul mondo e la sua grazia sulle anime di buona volontà. O Gesù! la mia sicurezza è in Te: « se faccio qualche falso passo, Tu mi tendi la mano! » (Santa Teresa)

Invocazioni. - Si, voglio, « allorchè avrò commesso un qualche fallo, non turbarmi, perchè il turbamento, l'inquie­tudine e la fretta allontanano le nostre anime da Te, mio Dio, e Ti scacciano dal nostro cuore. Ma domandando perdono, pregherò il Tuo cuore a voler soddisfare per me, e dirò confidentemente al Tuo amabile cuore: Mio unico amore, paga Tu per questa tua povera schiava, e ripara al male che ha fatto: fallo ritorcere verso la Tua gloria, all'edificazione del prossimo e alla salute della mia anima; e in questo modo le mie cadute serviranno molto ad umi­liarmi e a conoscere me stessa e quanto sia utile a me l'essere nascosta nell'abisso del mio nulla. Dopo essermi umiliata, ricomincerò subito ad esserti fedele nuovamente; e sopratutto sarò gaia, gioconda e contenta, poichè ciò è segno del Tuo spirito, mio Dio, che vuoi essere servito in pace e nella contentezza. » (S. Margh. Maria)

Esame di coscienza. - Traggo profitto di umiltà dalle mie colpe? - Sono ben persuasa che lo scoraggiamento proviene dall'orgoglio? - Desidero, accetto o domando le correzioni che mi spettano? - Mi rialzo con nuovo co­raggio, dopo le cadute? - Non mi lascio forse trascinare dalla tristezza? - Sono vile di fronte alle miserie? -



LA CORREZIONE

Esercizio della correzione attiva.


Considerazioni e riflessioni. - L'accusa pubblica di se stesso, che si fa in presenza della comunità, tende alla distruzione del culto che si ha di se stesso.

Noi abbiamo troppo orgoglio. « Ne ho pieno il mio sacco, » diceva santa Giovanna di Chantal ma questo orgoglio si sa nascon­dere. Nell'anima religiosa non è più l'or­goglio volgare e grossolano, che salta agli occhi immediatamente, allorchè osser­viamo le fanciulle del secolo: egli si fa clau­strale come noi, prende l'abito della divo­zione, le apparenze religiose; si avanza sotto le apparenze del iene con pretesti di spiri­tualità. L'accusa propria in pubblico ha per scopo di smascherarlo: essa arriva e tocca quelle imperfezioni esterne che hanno la loro radice nel cuore; quanto ci è umili che gli altri conoscano i nostri difetti!

Noi ci accusiamo pubblicamente; non è più il solo orecchio del confessore, pozzo senza fondo che si perde nell'abisso, che ricerca la nostra accusa; ma sono le conso­relle che vivono con noi, e che forse ci stimano soverchiamente, e più dei nostri me­riti. Di mano in mano che le consorelle si accusano, i punti oscuri della nostra anima vanno rischiarandosi, perchè noi cadiamo nelle stesse colpe che esse si rimproverano e in noi si va facendo un lavoro interno di umiliazione: noi comprendiamo esattamente come noi siamo anime poverelle e malaticcie. Allora noi tendiamo le mani verso Nostro Signore, e la sua grazia ci renderà umili, semplici e contrite. La nostra anima, dunque, va epurandosi e fortificandosi nella virtù, per mezzo di queste pubbliche accuse in comu­nità, all'albergo ove venne trasportato il Sa­maritano ferito, per essere curato; effettiva­mente è lì che la misericordia dei Superiori applica le dolci unzioni di consolazione, e il vino generoso dei rimproveri.

Per ottenere il suo scopo l'accusa va fatta:

1. Con umiltà. Allorchè il corpo si pie­ga, l'anima deve pure piegarsi e meglio an­cora. È un'opera di riparazione, e l'anima deve parteciparvi interamente. L'attitudine, la sincerità delle accuse, la fedeltà nell'evitare le scuse e le esagerazioni, tutto insomma deve dimostrare umiltà. Il superiore tiene il posto di Dio. Gesù Cristo si pose un giorno a lato del monaco Ildebrando, mentre que­sti riceveva le accuse dei suoi confratelli, e a lui suggeriva quanto doveva dire per una opportuna ed efficace correzione dei suoi religiosi. Pensate dunque che Nostro Signore è li e prendete l'attitudine indicata da S. Giovanni Climaco: «quella di un colpe­vole già condannato, che tiene gli occhi ri­volti a terra. » E tutto ciò sia fatto lietamente. Per ben preparare e profittare della corre­zione, onde non rimangano sentimenti e aridità di cuore, umiliatevi di una umiltà dolce e pacifica, e non con umiltà turbata e triste. Gli atti di una umiltà annoiata e col­lerica non tranquillizzano il nostro spirito e rimangono infruttuosi. (S. Franc. di Sales)

2. Con semplicità. Nell'esame che la pre­cede, non bisogna torturarsi l'anima per trovarvi, anche sotto pretesto di umiltà, altre mancanze, all'infuori delle nostre miserie reali. L'anima abituata; al raccoglimento e agli esami di coscienza ne trova sempre di miserie, nella sua povera vita. Quella che ha veramente zelo di percezione scorge, senza sforzo, quello che nel suo portamento este­riore pare segnare negligenza o leggerezza. Nelle espressioni dirai semplicemente quello che è, senza lusso di frasi scelte o inutili. Tu sai che in quel luogo « non vi sono che persone che si amano in Dio e che si uni­scono per migliorarsi reciprocamente e che si riprendono dei proprii difetti per rendersi meglio capaci di piacere a Dio. » (S. Teresa)

3. Con pietà. Ancorchè non vi sia in questo atto nè sacramento, e nemmeno un sacramentale, vi ha tuttavia un atto di viva fede e di mutua carità. Per questo motivo Dio se ne compiace e vi trova la sua gloria. Bisogna dunque compiere bene e dare impor­tanza a questa piccola cosa, e perciò avere nell'esame, nell'accusa, e nel ricevere la peni­tenza, sentimenti interni profondamente reli­giosi. « Se la natura sente troppa ripugnanza, per questo atto di umiliazione, incoraggiate il vostro spirito con qualche buon pensiero: ricordate che questo giudizio trattiene e pre­viene il giudizio di Dio. La vostra accusa volontaria vi preserverà dall'accusa neces­saria che il vostro nemico vi preparerà con rabbia, per quell'ora terribile in cui la vostra anima lascerà il vostro corpo, per entrare in quel che S. Bernardo chiama « la regione sconosciuta. » Là, verosimilmente, si trove­ranno con Dio, giudice supremo, la Santa Vergine, san Michele, principe stabilito da Dio per le anime degli eletti, i fondatori o le fondatrici del vostro Ordine o Congregazio­ne, e i santi patroni del vostro monastero, davanti ai quali saranno esaminate e rigoro­samente giudicate tutte quelle colpe delle quali avete avuto tanta vergogna. E al giu­dizio universale, tutti i santi e tutte le conso­relle di cui voi arrossite, conosceranno le vo­stre colpe. » (Giornata religiosa)

Invocazioni. - Ecco davanti a Te, o Gesù, questa prodiga che Ti è stata infedele, dissipando i beni dei quali Tu l'avevi arricchita. Dio, io mi prostro ai Tuoi piedi per domandare perdono di tutte le mie viltà, tepidezze e infe­deltà, dell'abuso fatto delle Tue grazie, del poco profitto tratto dai Tuoi sacramenti, di tutti i peccati che ho com­messo, dei quali mi pento con tutto il cuore per amor Tuo, o mio Gesù, che amo mille volte più della mia vita. Io mi correggerò dei miei difetti e me ne accuserò il più presto possibile: accetto fin d'ora tutte le penitenze che mi saranno imposte, tutte le correzioni che mi verranno fatte, promettendo, mediante la Tua grazia, di emendar­mene. (S. Margh. Maria)

Esame di coscienza. – Come rendo bene tutta l'impor­tanza del capitolo delle colpe per umiliarmi e correggermi? - Faccio la mia accusa con umiltà, semplicità e pietà? - Sono semplice, verace, senz'altro desiderio che di umi­liarmi, di convertirmi di piacere a Nostro Signore? - Ricevo le correzioni in spirito di perfezione e ricono­scenza? - Ne parlo con le consorelle? - Mi reputo come la più colpevole in rapporto alle grazie ricevute?



DOPO LA CORREZIONE

Umiltà nella penitenza ricevuta.


Considerazioni e riflessioni. - La propria accusa è seguita da una ammonizione e da una penitenza. Esse devono essere distri­buite con tutta discrezione e carità. Im­porta assai di riceverle con sentimento di religione e di riconoscenza.

1. Dio concede spesso ai superiori, in quel momento, una grazia particolare di luce, di sapienza, di forza e e di bontà. È Dio che mette sulle labbra della superiora le parole appropriate ad una correzione opportuna. Dio farà sì che essa sappia illu­minarti, senza farti perdere il coraggio, bia­simando il difetto e sollevando la conso­rella che viene meno al dovere.

Questo ammonimento termina e corregge l'esame che si è fatto di sè. Quante imper­fezioni, con le quali si vive, senza nemmeno supporne l'esistenza! La superiora saprà de­licatamente, ma sicuramente porre il dito su certe piccole miserie che s'insinuano, a tua insaputa, nel tuo portamento, nelle tue parole, nei tuoi rapporti con le consorelle, con il mondo, con i fanciulli. Sii dunque con­tenta che si vedano i tuoi difetti, i tuoi mancamenti, e se non hai quei difetti che ti vengono rimproverati, se non hai fatto quello che viene esposto, umiliati profonda­mente; e credi pure che hai commesso colpe ben maggiori, che rimangono nascoste agli occhi delle creature e anche ai tuoi, e che non si potrà mai accusarti assolutamente a torto. (S. Giovanna ''i di Chantal)

Di più, in quello che viene ripreso ad una consorella, noi riconosciamo spesso di es­serne colpevoli; quel che si consiglia ad essa, conviene pure a noi ugualmente. Può accadere ancora che la maestra delle novizie insista sopra un'imperfezione di qualcuna delle compagne, allo scopo di attirare deli­catamente la tua attenzione su quella miseria, che si rivela in te più saliente di quello che lo sia nella norma, giudicandoti ancora troppo debole per saper profittare di una ammonizione diretta. Troverai pure nelle virtù delle consorelle un'abbondante raccolta e ricca materia di virtù da imitare, se tu le studi con cuore umile e sincero, come quel religioso di cui ci parla S. Bernardo che, gettatosi ai suoi piedi gli disse: Padre, ho contato finora, in uno dei miei confratelli, fino a trenta virtù ed io non ne ho una sola! E il santo aggiunge: Forse le trenta virtù contate da quel umile religioso non valevano la sua umiltà unita a una così santa e grande emulazione.

2. Come bisogna ricevere gli ammoni­menti e la penitenza?

Umiliandosi più profondamente che non nell'accusa. L'orgoglio può trovare allora dei palliativi, qui gli manca il terreno sotto ai piedi. La correzione cade direttamente su di te: accettala senza scusarti, e quando ti si fa una qualche rimostranza, ricevila pure e sempre dolcemente.

S. Giovanni Crisostomo dice che il giusto ripreso, si pente del fallo commesso, ma l'or­goglioso si affligge, dal sapere conosciuta quella sua colpa.

I santi, dice S. Alfonso, anche allor­quando vengono accusati a torto, non si di­fendono, a meno che questo sia necessario ad evitare uno scandalo; se manca questo motivo, tacciono offrendo tutto a Dio. Nel caso di un'accusa infondata, scusati dol­cemente, negando di essere colpevole; tu devi questo alla verità e alla edificazione del tuo prossimo: fatto ciò, se l'accusa viene mantenuta, non cercare di far ammettere le tue scuse perchè, dopo aver compiuto il tuo dovere verso la verità, devi compierlo pure verso l'umiltà. (S. Frane. di Sales) Gesù era innocente e tacque. Pensa ancora, dice san Pietro Damiani, che quello sarà di profitto ad altri, che hanno mancato o che avrebbero mancato, senza quella correzione di cui fosti oggetto, malgrado la tua innocenza.

Infine, se sei umile, avrai riconoscenza per quelli che ti usarono la carità di una correzione. Medita queste belle massime della Santa Scrittura: « Il saggio, se corretto, ama ancor più; chi corregge, avanza molto più nelle buone grazie del saggio di colui che lo inganna con le carezze della parola. » L'umile si riconosce allora debitore spiri­tuale, e ringrazia come un povero che riceve un'elemosina, come il malato riconoscente al chirurgo che lo libera da un membro in cancrena. Frate Bernardo facilitava assai questo gran dolore della ammonizione, quando diceva -. S. Francesco: « In nome dell'obbedienza, ti ordino di riprendermi di tutti i miei difetti. » (Fioretti di S. Francesco) Riguardo poi a quelli che ti danno ammo­nimenti, cerca di avere questi sentimenti ri­chiesti da S. Francesco di Sales: « Pretendo che mi siate riconoscente per le mie corre­zioni, perchè, esse sono la più grande prova di affetto che io possa darvi. Non posso sof­frire in voi la benchè minima imperfezione, perchè vi amo immensamente; quel che nelle altre mi pare un moscerino, in voi mi pare elefante, per causa dell'affetto che nutro per voi. » E non dimenticare mai nelle tue pre­ghiere quella che è per te una così buona madre.

Invocazioni. - Gesù, Tu hai detto: In verità, se non vi convertite e non vi fate piccoli come questi fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. » Mio signore, fammi dunque la grazia di essere sorda a tutte le suggestioni dell'amor proprio; cieca sui difetti delle mie consorelle per non giu­dicarle; e cieca pure riguardo a me stessa, onde io mi lasci condurre e riprendere come un bambino; e muta per lodarmi, scusarmi o compatirmi. (S. Margherita Maria)

Esame di coscienza. - Mi accuso sinceramente e con spirito di fede? - Se ho questo spirito, devo essere sem­plice, umíle e verace; e non presentarmi nè migliore nè peggiore di quello che sono; - devo accusarmi senz'altra preoccupazione, cercando solo di arrivare allo scopo che mi sono prefisso: l'avanzamento nella virtù. - Ricevo con buono spirito i consigli che mi vengono dati, gli av­vertimenti e anche i rimproveri? - Non rimane un po' di rancore verso quelli che mi correggono e che si ma­nifesta con la freddezza nei modi? - Sono ingegnosa nell'approfittare dei consigli anche minimi?


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