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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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PRIMA DI APRIRE LA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2009 21:09
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06/09/2009 07:53

L’Ispirazione

Perché questi libri e non altri sono riconosciuti ispirati da Dio? Come abbiamo visto finora i libri che compongono la Bibbia non sono stati raccolti casualmente. Un lungo processo di maturazione e di verifiche, non senza incertezze e dubbi, portò le comunità ebraiche e quelle cristiane a ritenere alcuni libri, e solo questi “testi sacri e ispirati da Dio”. Così nasce quello che gli esperti chiamano il “canone” della Bibbia, vale a dire l’elenco ufficiale dei testi biblici.

Dietro i testi, però, non c’è solo la riflessione umana: ogni libro porta l’impronta dello Spirito di Dio e il suo contenuto viene considerato “ispirato”. Questo non significa che Dio (come ritengono i testimoni di Geova), abbia “dettato” i testi agli autori sacri come farebbe un capoufficio con la sua segretaria. Ogni autore mantiene la propria personalità,

il proprio modo di esprimere la rivelazione divina. La sapienza dell’uomo e il soffio dello Spirito si intrecciano senza costrizioni, infondendo una sapienza ispirata che rende le parole della Scrittura, vive ed efficaci.

La “Dei Verbum” al numero 11 è illuminante a questo proposito: “Le verità divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i Libri sia dell’Antico Testamento che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tale sono stati consegnati alla Chiesa.

Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero, come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte. Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i Libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, per la nostra salvezza volle fosse consegnato nelle Sacre Lettere. Pertanto: “Ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona” (2 Tim. 3, 16-17).

Come è possibile distinguere un testo “canonico” da un testo “apocrifo (8) ”?

NOTA 8

Il termine “apocrifo” deriva dal verbo greco kryptein “nascondere, tenere segreto”. Nel vocabolario biblico sotto la categoria dei “libri apocrifi” vengono raccolti tre gruppi distinti di scritti:

Gli scritti della “gnosi”, una corrente filosofica e religiosa del I secolo, considerata eretica dalla Chiesa delle

origini.

Gli scritti che hanno un linguaggio e uno stile simili a quello biblico e che sovente vengono anche attribuiti a

un personaggio significativo della storia sacra.

I sette scritti che la versione greca dei Settanta ha aggiunto ai 39 del canone ebraico, per i quali noi preferiamo il nome di “deuterocanonici”.

 

Perché, ad esempio, la comunità cristiana ha accolto nel canone il Vangelo di Marco e non il vangelo apocrifo di Tommaso? Quali criteri hanno presieduto a tale selezione? Prima di rispondere a questi interrogativi è opportuna una distinzione. In modo molto sommario, possiamo dire che per l’Antico Testamento la Chiesa ha accolto i testi presenti nella versione greca dei “Settanta”. Per il Nuovo testamento la scelta è stata più complessa.

Tre sono, comunque, i criteri di fondo che hanno presieduto alla definizione del canone.

1. Il primo criterio è quello dell’apostolicità. Nell’accogliere un Vangelo, la comunità cristiana delle origini ha voluto assicurare il legame stretto tra quella testimonianza e gli apostoli. I Vangeli di Matteo e Giovanni vennero accolti perché ritenuti apostoli e testimoni di Gesù Cristo. Mentre Marco e Luca erano discepoli di Pietro e di Paolo (Dei Verbum 18).

2. Il secondo criterio è quello della fedeltà agli insegnamenti di Gesù. Le prime generazioni cristiane erano molte gelose nel conservare e trasmettere gli insegnamenti del Maestro. Chi “usciva dal seminato”, forzando l’attendibilità dei fatti o accentuando i tratti prodigiosi, non veniva scartato, ma riceveva un peso minore. Questo lo si comprende bene nel quadro storicamente complesso che fa da sfondo alla stesura dei Vangeli: uno dei problemi a cui le giovani comunità dovevano far fronte era infatti il sorgere di eresie e il diffondersi di deviazioni nell’interpretazione del lieto annuncio di Gesù.

3. Il terzo criterio è quello liturgico. Furono i testi più citati, commentati, usati nelle comunità cristiane dei primi secoli ad essere poi accolti come “testi sacri”. Si tratta pertanto di pagine non solo ispirate dallo Spirito, ma anche impreziosite dalla preghiera e dalla riflessione dei discepoli della prima ora.

La maggior parte dei testi apocrifi risale al periodo intertestamentario, vale a dire al periodo che scorre tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. Tra gli scritti intertestamentari vanno ricordati i testi di Qumran, le tradizioni orali dei farisei (che vennero raccolte nella Mishnah e suddivise in sei grandi trattati), gli scritti di Giuseppe Flavio (storico ebreo del I secolo) e quelli attribuiti a Filone Alessandrino (filosofo ebreo vissuto tra il I secolo a.C. e il I sec. d.C.).


Ma la Bibbia può sbagliarsi?

La Bibbia non è, né un libro di storia, né un libro di scienza. Essa non è stata posta nelle mani dell’uomo per risolvere tutti gli interrogativi che possono sorgere nel suo cuore (“Perché il dolore e la morte di bambini innocenti?” Gesù non ha svelato il mistero del dolore ma lo ha preso su di sé, e questo ci basta). Non deve stupire, neanche, il fatto che i testi sacri contengano concezioni di carattere scientifico superate o inesattezze dal punto di vista storico.

Sovente, di fronte a versioni diverse dello stesso episodio, ci si chiede come sia possibile conciliare la verità storica con testi tanto divergenti. Allo stesso modo, alcuni restano perplessi di fronte a pagine di violenza, presentati per lo più come precisi ordini di Dio o come conseguenza di un suo castigo. Che dire poi di guerre, vendette, frasi che sembrano approvare la pena di morte, posizioni di intolleranza verso altrui usi e altre religioni?

Il Concilio Vaticano II ha affrontato con cura tali questioni, spiegando come l’infallibilità della Scrittura sia legata alla verità salvifica da essa comunicata, non agli altri dati.

Da quanto detto, possiamo trarre alcuni principi orientativi che possono aiutare a chiarire la questione.

La verità della Scrittura deve essere intesa in senso dinamico: essa non concerne tanto le singole affermazioni (così inteso, il riferimento alla verità della Scrittura potrebbe portare al fondamentalismo), ma la rivelazione di Dio nella sua globalità, la visione della storia non come pura sequenza di fatti, ma come storia salvifica, abitata da Dio e da lui condotta.

Non si possono valutare i testi antichi partendo semplicemente dalla nostra mentalità. E’ sempre necessario uno sforzo interpretativo che tenga presente il contesto in cui le pagine della Scrittura sono nate, i generi letterari in esse impiegati, i condizionamenti che hanno inciso su diversi autori.

Il lettore deve avere la pazienza di distinguere ciò che è importante da ciò che è marginale, il filo rosso della rivelazione, dall’involucro che la custodisce.

L’infallibilità è nascosta in questo filo rosso che scorre intatto lungo i secoli, non perdendo la carica di salvezza in esso racchiuso.

 

L’Interpretazione

Il messaggio della salvezza, di cui si fa portavoce la Bibbia, viene proposto ed espresso nei testi sotto svariate forme: si passa dai racconti storici a testi teorici, da canti di vittoria a lamentazioni profetiche, da testi giuridici a inni liturgici, dalle parabole alle genealogie, da brani dogmatici a esortazioni fraterne.

Queste diverse tecniche espressive vengono chiamate dagli studiosi “generi letterari”. Si tratta di antiche forme linguistiche legate alle differenti funzioni del linguaggio: i racconti storici, ad esempio, hanno la funzione di informare; i canti di vittoria di coinvolgere; i codici legali di mettere ordine. Facendo una classificazione sommaria, possiamo distinguere due grandi generi letterari, all’interno dei quali vengono raccolti altri generi minori: i testi in poesia e quelli in prosa.

I testi in forma poetica. Tra questi testi vanno distinti i poemi d’amore (come il Cantico dei Cantici), le benedizioni, i canti di ringraziamento, le suppliche, le lamentazioni, gli inni di lode, gli oracoli profetici, ecc… Ogni genere adotta uno specifico linguaggio che va decifrato alla luce del contesto in cui è collocato: un brano poetico tratto dal Cantico dei Cantici è diverso da una lamentazione profetica. A questo genere appartiene anche la letteratura sapienziale il cui obiettivo è quello di trasmettere alle generazioni future la riflessione e l’esperienza dei saggi, essa si esprime attraverso detti popolari, sentenze, poemi tematici, piccoli trattati.

I testi in prosa. Per questi testi la classificazione è più complessa e varia: vi troviamo documenti di carattere storico come gli annali, le cronache, le genealogie, i vangeli; narrazioni didattiche come le parabole; le lettere, come quelle scritte da Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni, Giuda; i discorsi profetici dove i singoli messaggeri, in nome di Dio, si rivolgono a precisi destinatari con allocuzioni, vaticini, parole forti; i racconti di miracolo; i racconti dell’infanzia.

L’importanza dei generi letterari.

La preziosità del genere letterario si nasconde dietro la sua funzione, che è quella di comunicare un preciso messaggio attraverso l’arte del linguaggio.

Esso influisce prima di tutto sull’oggetto in questione. Anche quando il tema è lo stesso, di esso può parlarne il filosofo, il poeta, lo storico, lo scienziato. Ognuna di queste figure si esprime con uno specifico linguaggio, che influisce sul tema, conferendo a esso una particolare sfumatura. Ad esempio: all’uomo posto di fronte alla possibilità di scegliere tra il bene e il male, possiamo proporre la pagina di Gen. 3 oppure le raccomandazioni che Dio affida a Mosè in Deut 30, 15-20, o ancora il Salmo 1. Il tema è lo stesso, ma il contenuto si differenzia a motivo del diverso genere impiegato.

La scelta del genere letterario produce degli effetti anche sul soggetto. Una cosa è esprimere un giudizio in forma categorica, un’altra attraverso un semplice suggerimento, un’altra ancora avanzando una opinione personale. Gesù può affrontare il tema dell’incredulità con un rimprovero diretto o con una parabola o con un insegnamento: il contenuto è lo stesso, ma cambia la modalità espressiva e ciò segna il rapporto tra Gesù e chi lo ascolta.

Infine, la scelta del genere letterario è legata anche agli elementi del contenuto che si desidera sottolineare: in una favola, ad esempio, è la conclusione morale che viene proposta al lettore, mentre il resto serve per portare al contenuto morale; in un racconto storico invece è il fatto in sé ad essere importante. Si tratta di piccoli indizi da non sottovalutare… per imparare l’arte della scrittura e della lettura.

Per completare il discorso sull’interpretazione della Bibbia è necessario fare un accenno sui “sensi” della Bibbia.

Secondo un’antica Tradizione (ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica), si possono distinguere due sensi della Sacra Scrittura: il senso letterale e quello spirituale; quest’ultimo è suddiviso in : senso morale, senso anagogico e senso allegorico.

Il senso letterale: è “ciò che gli autori sacri hanno realmente inteso significare” (Dei Verbum n. 12), E’ il significato delle parole della Scrittura trovato attraverso l’esegesi, che segue le regole della retta interpretazione (cioè i generi letterari).

Il senso letterale si può dividere a sua volta in:

- Senso letterale proprio: si verifica quando le parole vengono utilizzate dall’agiografo nel loro significato proprio; per esempio: “Gesù si diresse verso il Mare di Galilea” (Mt. 15, 29).

- Senso letterale traslato: si ha quando le parole vengono intese dallo scrittore in senso figurato, per esempio: “Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani” (Salmo 92, 5); dove è evidente che la parola “mani” non indica la parte terminale del braccio, ma la potenza misericordiosa di Dio.

A volte il senso traslato riguarda una sola parola, in questo caso abbiamo la “metafora”, altre volte un intero discorso, come nel caso della “ parabola”.

Il senso spirituale: rivela il significato soggettivo per la fede del credente; è ciò che Dio ha voluto dire attraverso l’agiografo. Il senso spirituale è contenuto nel senso letterale, ma lo supera, poiché si ricollega con il disegno salvifico di Dio, autore primario della Bibbia, e può essere studiato solo alla luce di una rivelazione ulteriore. L’esistenza del senso spirituale ci induce, perciò, a riconoscere nelle Bibbia una profonda unità, determinata dal fatto che tutta la Rivelazione ha come centro la figura di Cristo, attraverso il quale si orienta tutto l’insegnamento biblico. Il senso spirituale si divide, a sua volta, in:

- Senso morale: gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente “Sono stati scritti per ammonimento nostro” (1 Cor. 10,11).

- Senso anagogico: permette di leggere gli eventi narrati, come segni anticipatori di   avvenimenti futuri, che ci conducono (in greco “anagoghè”) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

- Senso allegorico: possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, come avviene anche nel Battesimo.

In conclusione occorre ricordare che l’interpretazione della Bibbia è un compito inesauribile, perché essendo Parola di Dio che interpella l’uomo, manifesta il Suo mistero che è appunto inesauribile, e chiede all’uomo la comprensione del suo valore e la sua attualizzazione nella vita personale e comunitaria. Ciò significa che alle passate interpretazioni si aggiungerà sempre lo sforzo di calare il messaggio biblici nelle situazioni nuove della vita umana.

Come esempio interpretativo riporto, qui sotto, un’immagine della concezione del mondo presso gli antichi. Il testo di Genesi 1, 1-2,4a (cioè il primo racconto della Creazione della tradizione Jahwista), rispecchia fedelmente questa concezione.

 vedi figura nel testo in pdf

 

 

La lingua

I testi originali della Bibbia rispecchiano tre orizzonti culturali molto diversi tra loro:

quello ebraico, quello aramaico e quello greco.

L’ebraico. La lingua ebraica appartiene con l’aramaico, l’ugaritico e il fenicio, alla

famiglia delle lingue semitiche (dal nome di Sem, figlio di Noè). Lingua dei

seminomadi ebrei della Palestina, documentata dal secolo X a.C. fu soppiantata

dall’aramaico intorno al VI secolo a.C. pur rimanendo in uso come lingua sacra e

colta (veniva infatti usata nelle preghiere e nelle composizioni letterarie). In

ebraico fu redatto l’Antico Testamento. L’alfabeto è composto di 22 consonanti.

Solo tra il VII e il X secolo d.C. per fissare la giusta pronunzia delle parole, alcuni

saggi chiamati masoréti completarono la scrittura aggiungendo le vocali sotto

forma di puntini, sopra e sotto le consonanti. Per tale motivo, ancora oggi, il testo

ebraico della Bibbia è chiamato anche “testo masorético”.

L’aramaico. La lingua aramaica ha una storia indipendente rispetto a quella

ebraica. Già in uso nell’VIII secolo a.C. come lingua internazionale dell’impero

assiro, l’aramaico andò progressivamente soppiantando l’ebraico come lingua

parlata. In aramaico furono scritte alcune parti dell’AT: alcuni capitoli di Daniele

(dal cap. 2 al cap. 7) e alcuni capitoli di Esdra (dal cap. 4 al cap. 6 e buona parte

del cp.7). Gesù parlava in aramaico e gli stessi Vangeli menzionano alcune sue

espressioni in questa lingua.

Il greco. La lingua greca è la grande protagonista del Nuovo Testamento. Il greco

fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) e

divenne la lingua delle persone colte. La prima traduzione in greco dell’AT è la

“Bibbia dei Settanta”. Il NT fu scritto interamente in greco, sappiamo però che la

prima redazione del Vangelo di Matteo, fu in ebraico (o aramaico), ma a noi è

arrivata solo la redazione in greco.

Il latino. Per completezza, diciamo che, nel tempo cristiano, ci furono diverse

traduzioni latine della Bibbia, compreso il NT. La più famosa è quella di S.

Girolamo (347-420), in un latino elegante, che non traduce letteralmente gli

originali, ma si preoccupa di renderne il senso. Essa fu dichiarata autentica, cioè

autorevole sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento (1563). Per il suo carattere

divulgativo tra il popolo, questa traduzione è detta “Volgata”, cioè “divulgata”.

Su che cosa e come scrivevano gli antichi?

I libri antichi avevano forma di rotoli. Si scriveva a colonne su larghe pagine, fatte di

cuoio” sottile. Queste pagine si cucivano l’una di seguito all’altra e si arrotolavano

attorno a un bastone. Così sono i “rotoli” del I sec. a. C. e d. C. scoperti negli anni 1947-

1950 a Qùmran (le grotte presso il Mar Morto). Questi “rotoli” del Pentateuco venivano

usati nelle Sinagoghe.

Invece del cuoio si usava anche il “papiro”, che gli Egiziani preparavano dal fusto della

pianta paludosa detta appunto “papiro”. I Libri del Nuovo Testamento furono scritti in

origine probabilmente su papiro.

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Papiri del N.T. che risalgono fino ai secoli II e III d. C. furono trovati in Egitto, dove il

clima secco li ha preservati dalla distruzione.

Ma le Chiese cristiane preferiscono una nuova forma di libro e cioè il “codice”, formato,

come i libri moderni, da tanti fogli legati da una sola parte.

Il materiale scrittorio, già perfezionato nel sec. II a. C. fu la “pergamena” (da Pergamo,

città dell’Asia Minore), cioè la pelle di animali ridotta a fogli sottili e solidissimi.

I codici più antichi a noi arrivati contengono tutta la Bibbia in greco, e sono: il “Codice

Vaticano” (IV sec. d. C.); il “Codice Sinaitico” (IV sec. d. C.); il “Codice Alessandrino”

(V sec. d. C.).

Chi prende in mano oggi il testo dell’Antico Testamento ha il diritto di chiedersi: su quali

fonti si basa questo testo? Sono ancora disponibili i manoscritti originali degli autori: di

Mosè, di Davide, di Isaia? In realtà di nessun libro, sia dell’Antico che del Nuovo

Testamento, possediamo il manoscritto originale.

Questo fatto a prima vista indurrebbe a dubitare della credibilità del testo biblico: esso

però si chiarisce ricordando che quel valore particolare che noi oggi, per considerazione

di carattere di antiquariato, attribuiamo al manoscritto originale, non gli era attribuito

dalla mentalità degli antichi: quando, ormai consumato dall’uso, esso non era più

utilizzabile per la lettura liturgica, veniva sostituito da una copia accuratamente eseguita e

più volte controllata col testo precedente; l’originale, ormai inutile, veniva bruciato o

murato. Di secolo in secolo si eseguirono perciò sempre nuove copie, ma esse venivano

preparate con la precisione, addirittura proverbiale, del popolo ebraico, una precisione

che scaturiva non da esigenze di scrupolosità scientifica, ma dalla venerazione per la

Parola di Dio. Una così meticolosa accuratezza è per noi un’ottima garanzia che il testo

originale non è stato alterato. Il confronto critico fra tutti i manoscritti biblici ci offre la

certezza che la Bibbia che abbiamo oggi corrisponde a quella originale.

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La storia

L’Antico Testamento cristiano è suddiviso in 4 grandi sezioni: il Pentateuco che

raccoglie i primi cinque libri della Scrittura; i libri storici che narrano le vicende

comprese tra l’ingresso nella terra promessa e l’epoca della purificazione del tempio sotto

i Maccabei; i libri profetici che fissano le parole e le vicende dei profeti che hanno

accompagnato la storia di Israele prima, durante e dopo l’esilio; infine i libri sapienziali,

la cui complessa redazione affonda le radici agli inizi della storia di Israele e termina alle

soglie del Nuovo testamento. Prima di entrare in questi quattro scenari diventa prezioso

dare uno sguardo complessivo alla storia che vi fa da sfondo, onde situare correttamente i

singoli libri.

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 08:26]
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