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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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IL PURGATORIO: UN'INVENZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA?

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2009 12:19
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06/09/2009 11:50

IL PURGATORIO

 

Ma cosa avviene dopo la morte? Può un credente avere paura della morte? Alcuni dicono che dopo che l'uomo muore ed è posto sotto sette palmi di terra, tutto è finito: è l'annientamento totale dell'uomo. Gli egiziani dell'epoca delle piramidi, si avvicinarono al concetto biblico dell'immortalità dell'anima. Essi credevano nell' "Io" spirituale definito "KA" che era immortale e, quando l'uomo moriva, il suo "KA" si allontanava per compiere il suo ciclo, ovvero restare nel regno degli spiriti, per ritornare un giorno a rianimare quel corpo da lui abitato.

 

La domanda che ci poniamo attraverso questo studio è la seguente: "Dove sono i morti"? È un vecchio interrogativo sempre attuale: "Ma l'uomo muore e perde ogni forza; il mortale spira e dov'è egli?" (Giobbe 14:10).

 

Non tutti sanno rispondere soddisfacentemente, ma la Bibbia è sufficientemente chiara per coloro che la studiano con fede e con preghiera.” (Cristiani oggi 1-15 Ottobre 1996)

 

Il culto dei morti non è un fatto esclusivamente cristiano. Esso ha la sua radice nella innata «religiosità» dell'uomo: nacque con l'uomo stesso. La storia e l'archeologia dimostrano che i riti funebri erano celebrati, presso tutti i popoli, da persone qualificate: sacerdoti, stregoni e capi tribù; secondo modalità, usi e costumi diversi. Nel mondo greco-romano e anche ebraico, era ritenuta cosa mostruosa lasciare un cadavere insepolto. Di fronte alla morte dovevano cessare gli odi, le vendette e le inimicizie: era doverosa una onorata sepoltura. Era comune e radicata convinzione che l'anima di un corpo insepolto non avrebbe trovato pace. Sarebbe stata condannata a vagare sopra la terra a danno dei viventi. I Padri della Chiesa combatterono questa superstizione che si protrasse a lungo, tanto che S. Agostino (+430) la ricorda e cerca di sfatarla. Anche oggi, dopo tanti secoli, in qualche paese di campagna o di montagna, si crede che durante i temporali notturni, le anime dei morti insepolti, vaghino per l'aria, recando calamità ai viventi. Oppure quando si vede un‟improvviso vento che forma dei mulinelli che trascinano con sé le foglie cadute, qualcuno in Sicilia parla di “ammazza-mareddù” cioè delle anime dei “morti ammazzati” che non trovano riposo e vagano producendo queste piccole o piccolissime trombe d‟aria.

 

I pagani ritenevano le tombe sacre e inviolabili perché custodite dagli dèi. Il diritto romano sancì tale sacralità affidando le tombe alla giurisdizione dei sacerdoti. Simile cultura entrò anche nella mentalità cristiana per cui, spesso, nelle epigrafi antiche si leggono delle «maledizioni» contro coloro che osassero violare il sepolcro. Oggi tutti i paesi civili assicurano, nella loro legislazione, il rispetto e l'inviolabilità dei cimiteri e delle singole tombe.

 

IL CULTO DEI MORTI NELLA RIVELAZIONE DIVINA

 

Una fruttuosa e cristiana visita al camposanto deve tener presente l'insegnamento della sacra Scrittura, rettamente inteso. Il comando di Dio al suo popolo, più volte ribadito, era perentorio: Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra (Es. 20,4). Fedele a un rigoroso «monoteismo», il popolo ebreo escluse ogni forma di culto che non avesse per oggetto l'unico vero Dio: quindi anche il culto dei morti.

 

La sacra Scrittura, fin dall'origine, ricorda il dovere della sepoltura per qualsiasi defunto: parente, nemico, pellegrino o forestiero che fosse. Vi si legge che lo stesso patriarca Abramo comperò un pezzo di terra in Ebron per la sepoltura della moglie, della propria e di quella dei suoi discendenti: Isacco e Giacobbe (Gn. 23,3ss.). Il libro del Siracide sottolinea l'obbligo della sepoltura con queste parole: Figlio, versa lacrime sul morto ..., poi seppelliscine il corpo secondo il suo rito e non trascurare la sua tomba (Sir. 38,16). Il dovere della sepoltura era così radicato nel popolo ebreo, che il pio Tobia interruppe il pranzo quando seppe che il corpo di un uomo strangolato giaceva insepolto sulla pubblica piazza. Andò a prelevarlo e lo portò sul suo letto per seppellirlo al tramonto del sole. L'arcangelo Raffaele ebbe a lodare la pietosa opera di Tobia (Tb. 12,13), come il re David, qualche secolo prima,

aveva lodato coloro che avevano dato sepoltura al re Saul, sebbene fosse stato il suo persecutore (2 Sam. 2,5). Per queste ragioni la

Chiesa considera la sepoltura dei morti una delle «opere di misericordia corporali».

 

Dai testi dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, si deve dedurre un importante insegnamento: la formula «culto dei morti» si presenta come ambigua e anche pericolosa. Pericolosa lo era specialmente per il popolo ebreo, costretto a vivere fra popoli politeisti e pagani, che spesso deificavano i loro morti, specie se «eroi», attribuendo loro un culto divino, con sacrifici e cerimonie corrispondenti. Da qui ebbero origine notevoli deviazioni di carattere religioso e cultuale, come dimostra la storia delle religioni. Dio, quindi, opportunamente, dissuase il suo popolo da ogni pratica cultuale verso i defunti, allo scopo di preservarlo da simili deviazioni e, nello stesso tempo, preservare la purezza del culto dovuto al solo e vero Dio.

 

Rapporto tra morte e peccato

 

Per avere un concetto adeguato della morte secondo l'insegnamento della Scrittura, è necessario evidenziare due verità da tener presenti nelle seguenti riflessioni. La prima verità, affermata con forza dalla parola di Dio, è questa: la causa della morte biologica non è Dio, ma il peccato dei progenitori. Infatti il secondo capitolo della Genesi mette in luce che Dio aveva creato l'uomo per la vita, e solo se avesse trasgredito il suo comando, sarebbe stato sottoposto alla legge della morte. Molto più tardi, il libro della Sapienza sintetizza questa importantissima verità con le seguenti parole: Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza tutti coloro che gli appartengono (Sap. 2,23s.). Anche l'apostolo Paolo, scrivendo ai fedeli di Roma, dichiara: Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato (Rm. 5,12).

 

La seconda verità, molto importante, riguarda la morte in rapporto al peccato attuale o personale. Da alcuni testi del Libro Sacro sembra che la vita lunga e felice sia il premio di una vita virtuosa; e, al contrario, la morte precoce sia la conseguenza di una vita dissoluta e peccaminosa. Ma l'autore del libro della Sapienza sottrae dal predetto giudizio alcuni casi concreti, per i quali vede la morte precoce come un provvidenziale intervento del Signore. Ascoltiamo le sue, parole: Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne traviasse l'animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice. Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio (Sap. 4,10-14). Questa parola di Dio è certamente di grande conforto a quanti piangono la morte immatura dei loro cari, a volte rapiti tragicamente senza loro colpa.

 

L'immortalità dell'anima

 

Dio creò l'uomo biologicamente immortale, ma il peccato limitò la durata della sua vita e la riempì di dolori e angosce come progressiva preparazione alla morte stessa. È impressionante vedere come gli autori sacri presentino la vita umana: una «goccia» nel mare, un «granello» di sabbia, un «sogno» che svanisce, un'«ombra» che passa, un «fiore» che marcisce, una «spola» che corre veloce... All'esperienza della vita fisica così presentata dalla Scrittura, fa luminoso contrasto l'alito di vita (Gen. 2,7) che, uscito dalla bocca di Dio, assicura l'immortalità all'uomo.

 

L'immortalità dell'anima, intesa come sopravvivenza nell'aldilà, è affermata con forza già nei più antichi libri della Scrittura. La Genesi ricorda che il patriarca Abramo si riunì ai suoi antenati (Gen. 25,8), le quali parole non si riferiscono alla tomba di famiglia, ma al regno dei morti dove le anime dei defunti si trovano riunite. Il Qoelet, uno degli ultimi libri dell'Antico Testamento, attesta che l'uomo se ne va nella dimora eterna per due strade: la polvere (il corpo) alla terra, come era prima, e lo spirito... a Dio che lo ha dato (Qo. 12,5.7). L'autore sacro del secondo libro dei Maccabei, afferma l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza nel mondo futuro, quando insegna che Dio, giusto giudice, darà una degna ricompensa a quanti fanno il bene e un meritato castigo a coloro che fanno il male. Giuda Maccabeo mandò i suoi uomini a raccogliere i cadaveri dei caduti in battaglia contro Gorgia. Nota il testo sacro: Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Allora Giuda, dopo aver esortato il popolo a mantenersi senza peccato, fece una colletta e raccolte circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio... suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti (2 Mac. 12,40-44).

Nello stesso libro sacro si racconta il martirio di sette fratelli uniti alla loro madre. Il fatto è certamente storico e le affermazioni dei protagonisti, davanti al feroce tiranno, testimoniano non solo le loro personali convinzioni, ma anche quelle di tutto il popolo ebreo in mezzo al quale vivevano ed erano stati educati. Il secondogenito rispose al re: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a una vita nuova ed eterna. Dello stesso tenore sono le affermazioni del quarto giovane: È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati...

 

Meravigliose, poi, sono le parole con le quali la coraggiosa madre esortava i suoi figli: Senza dubbio il Creatore del mondo che ha plasmato all'origine l'uomo ed ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita... Rivolgendosi, poi, al più giovane dei figli, diceva: Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere, insieme con i tuoi fratelli, nel giorno della sua misericordia (2 Mac. 7).

 

L'immortalità dell 'anima, la conseguente felicità dei giusti e il castigo dei cattivi, sono cantati dall'autore del libro della Sapienza: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza una rovina, ma essi sono in pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena d'immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà sempre su di loro (Sap. 3,1-8). La rivelazione divina dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, proclama a una voce che il peccato ha condannato l'uomo alla morte biologica, ma non a una totale distruzione o un ritorno nel nulla. L'alito di vita che vivifica il corpo durante il suo pellegrinaggio terreno, è la «scintilla divina» che gli assicura una nuova vita nel regno di Dio, quando la redenzione di Gesù rinnoverà tutto il creato. Così davanti al mistero della morte e soprattutto del dopo-morte, la parola di Dio è preziosa, confortatrice e ricca di speranza per noi pellegrini verso il camposanto.

 

LA RESURREZIONE DEI MORTI NEL NUOVO TESTAMENTO

 

Se l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza dopo la morte, è affermata, direttamente o indirettamente, in tutti i libri dell'Antico Testamento, la risurrezione dei corpi è una verità che solo la pienezza della rivelazione di Gesù presenta con chiarezza e certezza assolute. Dell'Antico Testamento, oltre le affermazioni del libro dei Maccabei già riferite, è opportuno ricordare le parole del profeta Daniele, forse le più chiare di tutte. Eccole: Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna.

 

I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre (Dn. 12,2-3). Vi sono anche altri testi, ma oscuri e di dubbio significato; da ciò si comprende perché i Sadducei, ricordati nel Vangelo, non credessero alla risurrezione dei morti (Mt. 22,23).

 

In polemica con i Sadducei sul problema della risurrezione dei morti, Gesù sentenzia: Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è il Dio dei morti, ma dei vivi (Mt. 22,31-32). Dio è il Vivente (Ap. 1,18) per eccellenza, e se dà la vita allo spirito non può tralasciare il corpo che forma, con lo spirito, il composto umano. L'affermazione più solenne della risurrezione dei morti è riportata dal Vangelo di Giovanni. Gesù distingue la morte spirituale da quella fisica, e attesta che quanti ascoltano la sua parola e credono al Padre che lo ha mandato, hanno la vita eterna. Questa risurrezione spirituale, è opera del Figlio che ha la vita in se stesso, e che il Padre ha mandato come salvatore di tutto l'uomo: corpo e anima. Proprio questa risurrezione spirituale è la caparra della risurrezione anche del corpo che Gesù annuncia con fermezza, prevenendo ogni difficoltà: Non vi meravigliate di questo perché verrà l'ora che tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna (Gv. 5,28-29).

La consolante verità della risurrezione dei morti, affermata da Gesù, è ripresa dall'apostolo Paolo, il quale non solo la conferma, ma la illustra e ne dà le ragioni teologiche. Paolo è chiamato in giudizio davanti al Sinedrio a motivo della risurrezione dei morti (At. 24,21). Quando, poi, fu giudicato dal governatore Felice, dichiarò davanti a tutti: ... nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti (At. 24,15). Per san Paolo, quindi, non vi è alcun dubbio: tutti gli uomini, giusti ed ingiusti, risorgeranno da morte nel tempo stabilito da Dio, cioè alla fine dei tempi.

 

LO SPIRITO SANTO E LA RISURREZIONE DEI MORTI

La risurrezione dei morti ha la sua causa in Colui che ha risuscitato Gesù: lo Spirito Santo che abita nei nostri cuori. Le parole dell'Apostolo sono sicure e trasparenti: E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm. 8,11). Scrivendo ai fedeli di Corinto ritorna sullo stesso argomento: Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza (1 Cor. 6,14). E con più forza, facendo un confronto tra il corpo mortale e quello celeste, aggiunge: Noi crediamo e perciò parliamo, convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui insieme con voi... Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione in terra, riceveremo una abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mano d'uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste... In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla Vita (2 Cor. 4,13-14; 5,1-4). In realtà la risurrezione dei morti è un evento che anche il corpo desidera ed aspetta, sospinto da quella misteriosa unione in cui lo spirito, unito al corpo, forma l'unico e inscindibile composto umano, proteso verso l'immortalità.

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 12:13]
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LA RISURREZIONE DEL MORTI AL CENTRO DELLA FEDE CRISTIANA

 

La risurrezione dei morti è una verità difficile da accettare per la terribile esperienza che si prova quando si riapre una bara dopo pochi anni dalla sepoltura. Per questo l'apostolo Paolo, affermata la verità e datane la ragione, al fine di convincere maggiormente i fedeli, li porta a considerare le conseguenze che deriverebbero dal rifiuto di tale verità. Dopo aver asserito che la risurrezione di Gesù, testimoniata da numerose apparizioni agli Apostoli, a più di cinquecento fratelli in una sola volta e infine a lui stesso, Paolo continua: Ora se si predica che Gesù è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi poi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno, però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L 'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1 Cor. 15,12-25). Abbiamo riportato integralmente il testo dell'apostolo Paolo per le meravigliose verità che racchiude, e per la forza dialettica della sua argomentazione:

 

a)  la vitalità della predicazione e il valore della fede dipendono dalla risurrezione di Gesù, senza la quale l'edificio del suo Vangelo è vano e crolla;

 

b)  la risurrezione di Gesù e la nostra sono verità correlative e reversibili: negare la nostra risurrezione equivale negare quella di Gesù e viceversa;

 

c)   Gesù è la primizia dei risorti, primizia che richiede necessariamente l'intero raccolto: la risurrezione di tutti gli uomini, buoni e cattivi;

 

d)  la risurrezione dei morti è una verità correlativa a quella del peccato originale: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo, il nuovo Adamo.

 

e)  dopo il peccato, la morte è il più grande nemico di Dio, il Vivente per natura. Ebbene Gesù ha distrutto il peccato con la sua morte redentrice e ha distrutto la morte con la sua risurrezione, che egli, come primizia, estenderà a tutte le creature. Solo così si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov 'è, o morte, la tua vittoria? Dov 'è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor. 15,54-55).

 

Anche l'Apocalisse, ultimo libro della rivelazione divina, conferma la risurrezione dei morti e il conseguente giudizio universale. Ecco le parole dell'apostolo Giovanni: Poi vidi i morti, piccoli e grandi, ritti davanti al trono. Furono aperti i libri. Fu aperto anche un altro libro: quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli Inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli Inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco (Ap. 20,12-14). Questa visione profetica di Giovanni è chiara nel suo contenuto e molto efficace. Essa attesta che la morte verrà distrutta per sempre e non avrà più potere sull'uomo e sul creato.

 

IL CORPO RISORTO

 

Per completare il quadro della verità annunciata, l'apostolo Paolo, su richiesta dei cristiani, ci fa intravedere «come» risorgeranno i nostri corpi. È evidente che non è possibile dare una definizione scientifica dei corpi risorti. Noi, infatti, non abbiamo alcuna esperienza diretta delle realtà spirituali! Possiamo soltanto servirci di «analogie» che ci facciano intravedere quanto Dio ha preparato per i suoi eletti. L'analogia che usa l'Apostolo è quella del «seme». Spetta a Dio dare a ciascun seme il corpo che gli conviene. Certamente la natura del corpo risorto è uguale per tutti, ma le qualità saranno assai diverse. La bellezza ha le sue esigenze: come stella differisce da stella, fiore da fiore, splendore da splendore, così le qualità dei corpi risorti saranno più o meno luminose perché Dio, giusto rimuneratore, deve tener conto dei sacrifici, delle penitenze e delle virtù esercitate mediante il corpo, quale docile strumento dell'anima. Ecco le parole dell'Apostolo che realmente aprono un panorama impressionante alla nostra riflessione: Si semina corruttibile e risorge incorruttibile: si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale (1 Cor. 15,42-44).

 

L'analogia del seme può far nascere il dubbio di una lenta evoluzione dei corpi risorti. Ma non è così! Infatti: In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, suonerà infatti la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo nostro corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo nostro corpo mortale si vesta di immortalità (1 Cor. 15,52-53). Abbiamo voluto presentare il pensiero dell'apostolo Paolo con le sue stesse parole, perché la stupenda verità della risurrezione dei morti sia compresa in tutta la sua profonda realtà. È infatti così sublime che perfino molti cristiani ne dubitano o di essa non hanno che vaghe e distorte idee. Ma la parola di Dio, così chiara, profonda e convincente nella presentazione dell'Apostolo, dovrebbe togliere ogni dubbio e illuminarne il contenuto. Inoltre la risurrezione dei morti, così esposta dall'Apostolo, ci fa intravedere la radicalità e l'estensione della redenzione di Gesù, e ci fa capire come il mistero pasquale di morte e di risurrezione del Figlio di Dio si rinnovi in ogni cristiano, anzi in tutto il creato.


 

I VERSETTI CHE PARLANO DEL PURGATORIO

 

Cito un interessante documento tratto dal sito  www.qumran2.net

 

A giudizio dei fratelli protestanti questa dottrina (il Purgatorio,ndr) sarebbe inaudita per l‟effettiva inesistenza del termine nella Sacra Scrittura. Inoltre, secondo il protestantesimo originario l‟uomo non può giustificarsi attraverso una giustizia sua propria ma la sua giustificazione e salvezza deriverebbero dalla fede in Cristo: l‟uomo è peccatore, solo Cristo essendo il vero giusto può imputare dall‟esterno la sua giustizia all‟uomo. Perciò questi non ha una giustizia interna tutta sua ma viene giustificato al momento del giudizio allorquando Dio trova nell‟uomo tale imputazione da parte di Cristo. Tale imputazione la si può ottenere con la sola fede in Dio in questa vita, senza bisogno di suffragi.

 

La dottrina cattolica sul Purgatorio è stata espressa dal Concilio di Firenze e dal Concilio di Trento. Contrariamente alle convinzioni dei Riformati il Magistero afferma che se è vero che solo Cristo è il Giusto e noi in quanto uomini non lo siamo, avviene tuttavia che noi riceviamo da Cristo la giustizia secondo la misura che lo Spirito Santo distribuisce come vuole (1Cor 12, 11) sempre che ci disponiamo a riceverla nella cooperazione. Sicchè l‟uomo possiede una giustizia sua propria interna in quanto gli deriva da Cristo e dai Suoi meriti e per grazia di Dio siamo stati giustificati; e se noi siamo giusti è perché Lui ci rende tali. Con questo però non si deve affermare che l‟uomo sia giusto nella stessa misura di Cristo oppure (il che è lo stesso) che abbia la stessa giustizia di Cristo. La sua è sempre una giustizia limitata e corruttibile, quindi imperfetta.

 

Per i meriti di Cristo e per la sua giustizia noi siamo stati salvati nel senso che possiamo raggiungere la vita eterna la piena comunione con lui, cosa che non sarebbe stato possibile se Lui non ci avesse riscattati; tuttavia poiché appunto la giustizia dell‟uomo è limitata, il raggiungimento della vita eterna può anche essere ostacolato.

 

La dottrina della Chiesa spiega anche in che cosa possono consistere siffatti ostacoli: “dopo aver ricevuto il perdono dei peccati e la grazia della giustificazione che rimette la pena eterna, rimane sempre il reato di pena temporale, che deve essere riparato mediante opere soddisofattorie in questa vita o nell‟altra in purgatorio per poter essere ammessi nella gioia piena dei beati.” Gli ostacoli suddetti sono dovuti quindi alla pena temporale, che sussiste sempre anche quando la colpa è rimessa.

 

In virtù di quanto detto in precedenza, per essere ancora più espliciti diremo che, quando ci si accosta al confessionale per ottenere il perdono dei peccati gravi compiuti con piena avvertenza, deliberato consenso e materia grave (i peccati mortali) si riceve con il pentimento il perdono della colpa e si scongiura la possibilità della pena eterna (Inferno); in forza della suddetta imperfezione della giustizia umana rimane però la pena temporale.

 

Questa si può estinguere in due modi:

 

1.    in questa vita attraverso frutti degni di penitenza cioè opere di carità e di pietà che a detta di San Giacomo coprono una grossa moltitudine di peccati (Gc 5, 20);

 

2.    oppure nella dimensione ultraterrena, quando Dio concede un periodo di purificazione prima dell‟ingresso nella gloria celeste, chiamato appunto Purgatorio; al momento del giudizio particolare, sarà poi Dio a stabilire se e in che misura ciascuno di noi dovrà purgare le proprie pene temporali.

Fin qui la dottrina della Chiesa. Ad essa aggiungiamo un‟altra osservazione: se non vi fosse la possibilità di una purificazione nell‟altra vita, non si riconoscerebbe abbastanza l‟infinito amore di Dio per le anime più volte espresso dalla Scrittura, la cui portata è tale da voler salvare a tutti i costi l‟uomo peccatore anche al di fuori dell‟esperienza terrena, pur esigendo da lui il continuo sforzo della perfezione e la speditezza verso la santità. Il Purgatorio è appunto la possibilità di salvezza all‟estremo in virtù della misericordia infinita di Dio che, come San Paolo afferma, ha la meglio sul giudizio, e allo stesso tempo è la condizione per la quale l‟uomo possa rendersi degno di Dio attraverso un‟adeguata purificazione; negare il Purgatorio vuol dire imporre una condizione aut aut: o ti salvi o ti perdi e non attribuire una giustizia interna al soggetto umano equivale a negargli la possibilità di una propria autonomia nella salvezza, sia pure accompagnata (anzi presupposta) dalla grazia di Dio. Aggiungiamo che l‟esistenza del Purgatorio non vuol dire affatto mancata salvezza: anche se in tale occasione si ritarda l‟accesso al Paradiso, questo è comunque garantito, sia pure dopo aver attraversato la purificazione, ragion per cui possiamo affermare che chi entra in Purgatorio si salva e, sottolineiamo ancora che nel Purgatorio vi è affinità fra la volontà salvifica di Dio e la condizione di precarietà e limitatezza umana, che diventano conciliabili in questa dottrina.

 

I lettori più attenti, vorrebbero vedere le prove bibliche di questa dottrina, li rassicuriamo dicendo che ci sono e saranno riportate nelle pagine successive, prima è meglio calare piano piano il lettore nel “problema” morte e nella speranza della salvezza eterna.

 

In tal senso un articolo scritto dal dott. Barra sulla rivista il Timone ci torna utile per meglio capire: Facciamo un passo avanti nella nostra riflessione. Una conversazione di apologetica non può evitare di interrogarsi sulla storia. Che cosa pensavano i primi cristiani riguardo il Purgatorio?

 

Professavano la stessa fede che professiamo oggi noi cattolici? Oppure dobbiamo riconoscere che l‟idea del Purgatorio è stata inventata dalla Chiesa nell‟epoca medievale, come sostiene qualche storico e qualche giornalista?

 

La risposta, è ovvio, va cercata nella documentazione storica, nelle tracce che la storia ci ha lasciato. E, prima ancora di vedere i documenti che la storia ci ha trasmesso, possiamo anticipare senza timore di essere smentiti, che anche la storia conferma la verità di fede cattolica sul Purgatorio.

 

Il primo esempio che voglio ricordare è tratto dal commovente diario di una grande martire cristiana, di nome Perpetua, che fu uccisa a Cartagine, in Africa, il 7 marzo dell‟anno 203 insieme ad altri cinque cristiani: Felicita, Revocato, Saturnino, Secundolo e il loro catechista Saturo.

 

E‟ importante ricordare questa data: siamo nell‟anno 203, all‟inizio del terzo secolo dopo Cristo.

 

Il diario di Perpetua è commovente, ci fa comprendere la grandezza di questi martiri dei primi tempi del Cristianesimo, uccisi in odio alla fede nei modi più brutali, davanti a folle impazzite che gioivano di questi crudeli spettacoli. Perpetua e i suoi compagni, fratelli nella fede, furono prima feriti gravemente da belve feroci e poi finiti con un colpo di grazia, passati a fil di spada.

 

Il diario ci narra un episodio importante per il tema che stiamo trattando in questa conversazione. Mentre si trovava in prigione, Perpetua ha una duplice visione. Nella prima visione vede suo fratello Dinocrate, “morto a sette anni per un cancro che gli aveva devastato la faccia” al punto che, scrive Perpetua “la sua morte aveva fatto inorridire tutti”. Nella prima visione, Perpetua vede suo fratellino uscire “da un luogo tenebroso dove vi era molta altra gente; era accaldato e assetato, sudicio e pallido. Il volto era sfigurato dalla piaga che l‟aveva ucciso”. E ancora, in questa prima visione, Perpetua vede suo fratello che tenta senza riuscirci di abbeverarsi ad una piscina e capisce che Dinocrate sta soffrendo. Non riesce ad abbeverarsi e questo era per lui motivo di grande sofferenza.

 

Perpetua prega per l‟anima di suo fratello defunto. Il Signore ascolta le sue preghiere e in una seconda visione, Perpetua vede Dinocrate perfettamente guarito, in grado di abbeverarsi, capace di giocare come fanno tutti i bambini. Interpretando questa seconda visione, Perpetua scrive nel suo diario: „Mi svegliai e compresi che la pena (del Purgatorio) gli era stata rimessa‟.

 

Soffermiamo un istante la nostra attenzione su questo episodio. La storia ci consegna un documento straordinario, documento che risale all‟inizio del terzo secolo, nel quale Perpetua, una martire della fede cattolica fa esplicito riferimento al Purgatorio.

 

Nel terzo secolo dopo Cristo i cristiani credevano pacificatamene all‟esistenza del Purgatorio, come dimostra il diario della martire Perpetua.

 

Capite bene, cari amici, che basta questo documento per smantellare l‟accusa che il Purgatorio sarebbe stato inventato dalla Chiesa cattolica nell‟epoca del suo maggior splendore, nel Medioevo.

 

Non è vero: in realtà i cristiani credevano nell‟esistenza del Purgatorio molto tempo prima, fin dai primissimi secoli.

 

Proseguiamo il nostro viaggio nella storia. Prima della testimonianza di Perpetua, che abbiamo appena ricordato, nel secondo secolo, la storia ha collocato un‟altra importante testimonianza della credenza nel Purgatorio. O meglio: della credenza nella necessità di pregare per le anime dei defunti e quindi, ovviamente, del Purgatorio, anche se non lo si chiamava con questo nome.

 

Perché diciamo ovviamente. Perché i cristiani sapevano e sanno bene ancora oggi che pregare per le anime del Paradiso è inutile, perché queste anime godono già della felicità eterna; e pregare per le anime dei dannati non solo è inutile, ma è una gravissima offesa fatta a Dio e alla sua infinita e infallibile giustizia.

 

Quindi, quando troviamo documenti che attestano la pratica di pregare per le anime dei defunti, ciò vuol dire che i cristiani credevano nella possibilità di aiutare le anime dei defunti; anime che non erano certo destinate all‟inferno (altrimenti sarebbe stato peccato pregare per loro): si tratta dunque di anime destinate certamente al Paradiso ma che avevano bisogno di una ulteriore purificazione, che avevano bisogno dei nostri suffragi, dovendosi purificare; è ciò che noi chiamiamo Purgatorio.

 

Torniamo alla nostra documentazione storica. Nel secondo secolo dicevamo - la storia colloca il notissimo epitaffio di Abercio. Chi era Abercio? Era un cristiano, probabilmente vescovo di Ierapoli, in Asia Minore il quale, prima di morire, compose di propria mano il suo epitaffio, cioè l‟iscrizione per la sua tomba.

 

In questo epitaffio leggiamo una frase importante per il tema che stiamo affrontando nella nostra conversazione. Leggiamo: “Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio.”

 

Riflettiamo un momento. Abercio invita quelli che visiteranno la sua tomba a pregare per lui. Invita a pregare per lui defunto, quindi per la sua anima. Siamo di fronte, come si può facilmente comprendere, ad una antichissima testimonianza che prova come la Chiesa primitiva, la Chiesa dei primi secoli, credeva al Purgatorio e alla necessità di pregare per le anime dei defunti.

 

Ripetiamo bene: le anime che avevano - e hanno - bisogno di preghiere non sono né le anime del Paradiso (per le quali è inutile pregare) né quelle dell‟inferno (per le quali è peccato pregare).

 

Evidentemente sono le anime del Purgatorio.

 

Questo documento storico antichissimo, di straordinaria importanza “l‟epitaffio di Abercio”, non può che rinsaldare, rinvigorire, rinforzare la consapevolezza che noi cattolici abbiamo ragione quando crediamo nella esistenza del Purgatorio. La nostra fede è conforme alla fede dei primi cristiani. Pazienza se nel corso dei secoli, dopo la Riforma protestante o la nascita dei testimoni di Geova, è emerso qualcuno che ha negato questa verità. Noi stiamo dalla parte di ciò che insegna la Bibbia e che professano i veri cristiani fin dai tempi della Chiesa primitiva.

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Continuiamo il nostro viaggio apologetico nel mondo della storia. Un‟altra preziosa testimonianza ci giunge da Tertulliano (ca 155 ca 222). Abbiamo citato questo autore anche nella precedente conversazione. Ricordo che Tertulliano visse a cavallo tra secondo e terzo secolo, quindi in epoca antichissima. Era un pagano, convertito al Cristianesimo; divenne uno strenuo apologeta del cattolicesimo prima di cadere, purtroppo nell‟eresia montanista.

 

A noi Tertulliano interessa per la sua testimonianza storica. Nel suo De Corona, Tertulliano scrive:

 

“Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti”. Abbiamo, con la testimonianza di Tertulliano, una prova ulteriore che la Chiesa dei primissimi tempi pregava per i defunti, quindi per le anime del Purgatorio.

Tertulliano ci offre un altro documento storico importante: nel suo De monogamia, scrive: “La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte”, dove si intende bene che la moglie prega perché l‟anima del defunto giunga presto alla gioia del Paradiso. Questo documento storico ci mostra la credenza dei primi cristiani nell‟esistenza del Purgatorio: si prega perché le anime dei defunti giungano presto nella gioia, cioè nel Paradiso.

 

La storia della Chiesa, la storia antica è ricchissima di testimonianze. Anche il grande sant‟Agostino attesta la fermissima fede della Chiesa dei primi secoli nella esistenza del Purgatorio. Scrive quel santo vescovo di Ippona: “Non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loro cari ancora in vita, quando è offerto per loro il sacrificio del Mediatore [qui sant‟Agostino sta parlando del sacrificio della Santa Messa], oppure mediante elemosine” (De fide, spe, et caritate).

Riportiamo un‟ultima testimonianza, anche per non stancare i nostri amici lettori, poi passeremo alle prove bibliche. Proviene da sant‟Efrem di Siro, vissuto nel IV secolo (306-373). Siamo di fronte ad un uomo di grandissime virtù, che raggiunse una fama di santità immensa. Era così importante che San Girolamo (ca 347 – 419 o 420) attesta che gli scritti di sant‟Efrem erano letti pubblicamente in Chiesa, dopo la Sacra Bibbia.

 

Scrive sant‟Efrem nel suo testamento: “Nel trigesimo della mia morte ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi” (Testamentum). Anche questa, dunque, è una testimonianza offerta dalla storia riguardo la credenza della Chiesa dei primi secoli: i morti potevano ricevere benefici dalle preghiere dei vivi. Ovviamente, come già detto, non si poteva trattare né delle anime del Paradiso (che non hanno bisogno di nostri benefici) né delle anime dell‟inferno (che non possono ricevere alcun beneficio).

 

Dunque, siamo giunti al termine di questa conversazione apologetica. Che cosa ci portiamo a casa? Direi due considerazioni: la prima riguarda la dottrina del Purgatorio che viene contestata. Abbiamo visto che si tratta di una verità fondata sulla Sacra Scrittura e sempre creduto dalla Chiesa e dal popolo cattolico.

 

La seconda considerazione: preghiamo per le anime dei nostri cari, preghiamo con la consapevolezza che la nostra preghiera porta giovamento alla condizione delle anime del Purgatorio. Preghiamo sapendo che queste anime contraccambiano le nostre preghiere e implorano Dio di concederci ogni mezzo necessario per andare insieme a loro in Paradiso.” (Giampaolo Barra)

 

Ma esistono dei passi biblici che parlano del Purgatorio?

 

In modo esplicito sicuramente no, come del resto avviene anche per altri dogmi, come l‟irrevocabilità delle scelte angeliche, o per il mistero dell‟incarnazione che vede Gesù allo stesso tempo inspiegabilmente vero Dio e vero uomo. Ma se riflettiamo in maniera seria e serena su alcuni passi ne possiamo intravedere l‟esistenza. Fin dalla genesi Dio perdona l‟uomo, ma non lo esenta dalla meritata punizione. Eva in seguito al peccato partorità nel dolore i suoi figli, e Adamo dovrà faticare per vivere, i protestanti che credono sul perdono senza punizione sbagliano, è la stessa Bibbia a insegnarcelo. Proprio i nostri progenitori furono perdonati, ma il castigo fu assegnato lo stesso, secondo giustizia divina. Davide ha un figlio da Betsabea, moglie di Uria l‟Hìttita, dietro l‟esortazione del profeta Natan il re Davide si pente ma quel figlio gli muore, perché nato da una relazione illegittima. Dio accetta il pentimento sincero, ma non ci esenta dalla colpa, dobbiamo pagare le nostre colpe, o in questa vita, oppure nella “prigione” che la Chiesa cattolica chiama purgatorio. Nella Bibbia troviamo innumerevoli passi relativi al perdono di Dio, ma in ognuno di essi troviamo sempre il castigo che il peccatore deve scontare. Vediamone alcuni:

 

1)   Num 20, 12; Dt 1, 37


 

“Jahve allora disse a Mosè e ad Aronne: „Poiché non avete creduto in me riconoscendomi santo agli occhi di figli di Israele, perciò non introdurrete quest‟assemblea nella terra che io ho assegnato loro”. Dio qui rimprovera a Mosè e ad Aronne una certa loro infedeltà, probabilmente consistente nel fatto di aver dubitato di Lui davanti alla roccia a Meriba; tale peccato è stato perdonato, se è vero che Mosè e Aronne raggiungeranno il limitare della terra promessa e se è vero che Mosè apparirà accanto ad Elia e a Gesù trasfigurato sul monte Tabor, tuttavia a motivo di una certa sua colpa che sussiste, non potrà condurre egli stesso il popolo nella terra medesima.

 

2)   2 Sam 12, 1-19

 

Analoga situazione la si riscontra nella vicenda di Davide: dopo aver sedotto Betsabea moglie di Uria l‟Hittita all‟insaputa di questi, avviene che la rende gravida. Per scongiurare il pericolo di essere scoperto, dispone che il condottiero Uria combatta una battaglia contro il nemico schierandosi in prima linea nelle file dell‟esercito, in modo tale da poter essere colpito a morte. Il che di fatto avviene. Davide si illude di non essere stato smascherato nella sua malefatta di concubinato, tuttavia il profeta Natan attraverso la parabola della pecora del povero pastorello gli rivela il suo torto gravissimo. Al che Davide si dichiara pentito e compone una preghiera oggi assai famosa anche per il fatto che è alternativa all‟Atto di Dolore nelle confessioni (il salmo 50). Dio perdonerà Davide questa sua gravissima colpa e questi rimarrà re incontrastato; tuttavia non potrà gioire del bambino che nascerà da Betzabea, frutto della sua illecita unione, poiché questo morirà. Anche qui è evidente una colpa rimessa e tuttavia una pena da estinguere.

 

3)   2 Mac 12, 42-46

 

Questo è il passo più importante per eloquenza che viene evidenziato dalla Tradizione della Chiesa a conferma della dottrina del Purgatorio:

 

Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti. Poi fatta una colletta, con un tanto a testa, per circa duemila dracme d‟argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, compiendo così un‟azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della resurrezione. Poiché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero resuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Inoltre egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella pietà. Santo e pio pensiero! Perciò egli fece compiere un sacrificio espiatorio per i morti affinché fossero assolti dal peccato.

 

Se intorno ai passi biblici citati in precedenza potessero sollevarsi delle obiezioni, questa volta non si scappa! Si parla infatti di un sacrificio e di preghiere che si svolgono a favore dei defunti perché possano essere assolti definitivamente, sebbene defunti. Tanto più che, probabilmente, Giuda considera la morte di quegli uomini come un castigo divino in virtù di un certo atto di idolatria che avrebbero compiuto in precedenza (Dt 7, 25-26). Non soltanto si afferma dunque che i morti possano essere riscattati dalle colpe, ma si giustificano anche le preghiere e le opere realizzate dai viventi in loro favore; ma di queste opere e preghiere e suffragi parleremo a tempo debito. Nonostante la gravità della loro colpa Giuda Maccabeo lascia intendere che i defunti per i quali nutre estrema premura sono trapassati in uno stato di colpa ma tuttavia nella pietà, cioè nel semplice stato di mancata purificazione da estinguersi nella dimensione ultraterrena.

 

Ma è risaputo che i protestanti non accettano come canonici i Libri dei Maccabei.

 

Per negare l‟esistenza del purgatorio molti fratelli evangelicali o evangelicali associano al termine “Inferi” l‟Ades, ma se studiamo accuratamente i passi biblici dove “inferi” compare, ci accorgiamo che non indica sempre lo stesso posto, genericamente si può dire che “inferi” indica il basso, i luoghi inferiori, la prigione, il regno dei morti, e in alcuni passi anche l‟Inferno. Quindi bisogna valutare con attenzione il contesto in cui viene usato questo termine.


Gen 42,35-38 “Mentre vuotavano i sacchi, ciascuno si accorse di avere la sua borsa di denaro nel proprio sacco. Quando essi e il loro padre videro le borse di denaro, furono presi dal timore. E il padre loro Giacobbe disse: «Voi mi avete privato dei figli! Giuseppe non c‟è più, Simeone non c‟è più e Beniamino me lo volete prendere. Su di me tutto questo ricade!».

 

Allora Ruben disse al padre: «Farai morire i miei due figli, se non te lo ricondurrò. Affidalo a me e io te lo restituirò». Ma egli rispose: «Il mio figlio non verrà laggiù con voi, perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo. Se gli capitasse una disgrazia durante il viaggio che volete fare, voi fareste scendere con dolore la mia canizie negli inferi

 

Qui vediamo che “inferi” viene usato proprio per indicare il regno dei morti l‟Ades.

 

Nm 16,28-34 “Mosè disse: «Da questo saprete che il Signore mi ha mandato per fare tutte queste opere e che io non ho agito di mia iniziativa. Se questa gente muore come muoiono tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, il Signore non mi ha mandato; ma se il Signore fa una cosa meravigliosa, se la terra spalanca la bocca e li ingoia con quanto appartiene loro e se essi scendono vivi agli inferi, allora saprete che questi uomini hanno disprezzato il Signore». Come egli ebbe finito di pronunciare tutte queste parole, il suolo si profondò sotto i loro piedi, la terra spalancò la bocca e li inghiottì: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutta la loro roba. Scesero vivi agli inferi essi e quanto loro apparteneva; la terra li ricoprì ed essi scomparvero dall‟assemblea. Tutto Israele che era attorno ad essi fuggì alle loro grida; perché dicevano: «La terra non inghiottisca anche noi!».

 

In questi versetti vediamo pure che gli inferi nell‟immaginario collettivo degli ebrei si trovano in basso, sotto terra.

 

Dt 32,22 “Un fuoco si è acceso nella mia collera e brucerà fino nella profondità degl’inferi; divorerà la terra e il suo prodotto e incendierà le radici dei monti.”

 

Anche in Deuteronomio vediamo che gli inferi indicano il sottosuolo, le profondità della terra. 1 Sam 2,6 “Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire.”

 

1 Re 2,6 “Tu agirai con saggezza, ma non permetterai che la sua vecchiaia scenda in pace agli inferi.”

 

In questi due brani viene associata al termine “inferi” la profondità della terra.

 

Mentre nel Salmo 6 l‟agiografo lascia intendere che negli inferi i morti non lodano il Signore, trovandosi quasi in uno stato di incoscienza, ma potrebbe trattarsi dei morti dannati.

 

Sal 6,6  “Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?”

 

Infatti nel Salmo 9,17-18 leggiamo: “Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia; l’empio è caduto nella rete, opera delle sue mani. Tornino gli empi negli inferi, tutti i popoli che dimenticano Dio.”

 

Qui “inferi” viene usato per indicare l‟Inferno, infatti il termine è associato agli empi che dimenticato Dio.


 

Sal 30,4 “Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi, mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.”

 

In questo salmo invece l‟agiografo ritorna ad usare il termine “inferi” per indicare semplicemente il regno dei morti. Dall‟inferno certamente nessuno può risalire, non è un luogo dove si entra temporaneamente. Quindi in questo caso non si tratta dell‟inferno. E allora Paradiso no, inferno no, di quale luogo si tratta? Del regno dei morti? Si, ma è troppo generico, anche l‟inferno è il regno dei morti per eccellenza.

 

Sal 49,14-15 “Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l‟avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora.”

 

Sal 55,16 “Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case,e nel loro cuore.

 

Sal 88,8-12 “Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore. Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire. Tutto il giorno ti chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani. Compi forse prodigi per i morti? O sorgono le ombre a darti lode? Si celebra forse la tua bontà nel sepolcro, la tua fedeltà negli inferi?”

 

Ecco come l‟autore sacro alterna il significato del termine “inferi”, è chiaro quindi come con questo termine si indicasse sia la destinazione degli uomini giusti, sia quella degli empi, non perché fosse lo stesso luogo, ma perché la lingua aramaica povera di termini con lo stesso termine descriveva due realtà diverse, perché è evidente che gli empi e i giusti non avevano la stessa destinazione. L‟agiografo usava quindi lo stesso termine confidando nel buonsenso e nell‟intelligenza del lettore, il quale non avrebbe mai creduto che un uomo giusto finisse all‟inferno. Però nel Salmo 88 l‟autore sta chiedendo perdono a Dio, vuole essere perdonato perché ha peccato, quindi la sua paura è quella di finire all‟Inferno, non semplicemente nel regno dei morti, allora quando l‟autore scrive “…Compi forse prodigi per i morti? O sorgono le ombre a darti lode? Si celebra forse la tua bontà nel sepolcro, la tua fedeltà negli inferi?”

 

Non sta affatto dicendo che i morti in generale non lodano più il Signore, ma si sta riferendo ai morti dannati, ai perduti. L‟autore aveva timore di non ricevere il perdono da Dio e di finire quindi fra i dannati, nel fuoco inestinguibile. Teniamo pure presente che all‟epoca non avevano ben chiara come noi cristiani la resurrezione dei morti ad opera del Messia.

 

Is 38,16-19 “Signore, in te spera il mio cuore; si ravvivi il mio spirito. Guariscimi e rendimi la vita. Ecco, la mia infermità si è cambiata in salute! Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati. Poiché non gli inferi ti lodano, né la morte ti canta inni;quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà. Il vivente, il vivente ti rende grazie come io oggi faccio.”

 

Viene da chiedersi: ma chi è il vivente secondo le Scritture?

Sono solo gli uomini ancora nella carne, o anche coloro che sono in paradiso?

 

Se leggiamo con attenzione Gesù stesso nel N.T. ci dà la spiegazione, Abramo, Isacco e Giacobbe vengono considerati vivi pur essendo morti nella carne da parecchio tempo.

 

Gesù ci sta dicendo che la vita non finisce con la morte terrena, i santi continuano a vivere.

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 12:18]
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Mt 22,31-32 “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da

 

Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi».”

 

Anche il profeta Isaia ci lascia capire che le sue parole si riferiscono agli empi, ai morti dannati, perché Ezechia dice “…Signore, in te spera il mio cuore; si ravvivi il mio spirito. Guariscimi e rendimi la vita. Ecco, la mia infermità si è cambiata in salute!

 

Quindi anche lui sta chiedendo perdono a Dio perché ha peccato, ne consegue che se Dio non l‟avesse perdonato, sarebbe sceso negli inferi assieme agli empi, che non hanno il perdono. Ne scaturisce che “i morti” non sono tutti, ma solo coloro che non hanno chiesto o ricevuto il perdono, infatti aggiunge: “…quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà.”,

e si sta evidentemente riferendo agli empi, perché i giusti non smettono mai di sperare, altrimenti potremmo pensare che Mosè, Giosuè, Davide, Salomone ecc. “…non sperano nella tua fedeltà.” Ma proprio questi patriarchi hanno creduto e speravano nella fedeltà del Signore Gesù Cristo, fino a quando Lui stesso è disceso negli inferi a predicare ai morti.

 

Anche qui c‟è da fare un breve considerazione, sei morti dormivano (e dormono), come asseriscono i protestanti, come hanno fatto a sentire la predica di Gesù?

 

Li avrà svegliati? Non credo che negli inferi o in cielo si dorma o si rimanga in uno stato di incoscienza.

 

Leggiamo ancora:

Giobbe 26:6: "Davanti a lui il soggiorno dei morti è nudo, l'abisso è senza velo".

 

Proverbi 15:11: " Gl‟inferi e l‟abisso sono davanti al Signore, tanto più i cuori dei figli dell‟uomo!"

 

Dai versetti sopraindicati tratti da Giobbe e Proverbi si intravede una differenza tra il soggiorno dei morti e l‟abisso, quest‟ultimo identificabile con l‟Inferno, altrimenti non ci sarebbe stato alcuno bisogno di specificare due volte lo stesso luogo, “inferi” e “abisso”.

 

Evidentemente qui “inferi” indica il regno dei morti e “abisso” l‟Inferno. Si potrebbe pure pensare che Inferi sia proprio la prigione dove si espiano le pene inflitte da Dio alle anime non ancora totalmente pure, ma può essere inteso anche come luogo di attesa.

 

Proverbi 23,13-14 “Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà; anzi, se lo batti con la verga, lo salverai dagli inferi.”

 

Nei versetti di Pr 23-,13-14 vediamo ancora come “inferi” venga usato per indicare l‟inferno, perché non c‟è dubbio che il padre che punisce il figlio non lo rende immortale, ma bensì gli consente di salvarsi dagli “inferi” in questo caso quindi dall‟Inferno. Il figlio percosso dal padre si ravvederà, naturalmente morirà, ma eviterà di finire all‟inferno, quindi in questo caso “inferi” indica l‟Inferno.

 

Proverbi 27,19-21 “Come un volto differisce da un altro, così i cuori degli uomini differiscono fra di loro. Come gli inferi e l’abisso non si saziano mai, così non si saziano mai gli occhi dell‟uomo. Come il crogiuolo è per l‟argento e il fornello per l‟oro…”

 

“Gli inferi e l‟abisso non si saziano mai” perché in entrambi vanno a finire i morti nella carne, ma con una netta differenza, che vede anche stavolta il termine “inferi” usato per indiare l‟Ades, e l‟abisso per indicare l‟Inferno. Gesù quando discese negli inferi per predicare agli spiriti in prigione, ovviamente non scese nell‟Inferno, ma nell‟Ades, ed è proprio qui che si trova la “prigione” di cui parla Pietro nella sua prima lettera, e Matteo nel suo capitolo 5 al versetto 26.

 

Dn 12,22 “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l‟infamia eterna.”

 

Spesso troviamo pure versetti dell‟Antico Testamento, come quelli di Daniele che ci dipingono i morti nella carne come dormienti, in uno stato di incoscienza. Ma bisogna capire che si riferiscono al corpo umano, e non allo spirito.

 

Qo 9,10 “Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare.”

 

Qui Salomone si sta riferendo al corpo, non allo spirito dell‟uomo, ad interpretare questo libro -in particolare- bisogna stare molto attenti, perché è scritto in chiave ironica, e può destare equivoci.

 

Ez 32,20-21 “Cadranno fra gli uccisi di spada; la spada è già consegnata. Colpite a morte l‟Egitto e tutta la sua gente. I più potenti eroi si rivolgeranno a lui e ai suoi ausiliari e dagli inferi diranno: Vieni, giaci con i non circoncisi, con i trafitti di spada.”

 

Ecco come non bisogna spesso interpretare alla lettera la Bibbia, altrimenti si impazzisce davanti a presunte contraddizioni, Salomone parla dell‟inscoscienza dei morti, mentre Ezechiele ci fa capire che sono coscienti e parlano.

 

Ma anche in Giona 2,3 leggiamo: “Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.”

 

Evidentemente Giona era morto nel ventre del pesce, ed è stato risuscitato dal Signore, ma mentre era morto era cosciente e pregava.

 

La sicurezza che Giona morì e fu risuscitato l'abbiamo dall'accostamento con Gesù, che morì e dopo tre giorni risuscitò.

 

Alcuni fratelli evangelici spiegano malamente le parole che Gesù rivolse a Pietro, dicendo che si riferiva alle porte del regno dei morti, ma come vedremo non è così.

 

“…le porte degli inferi non prevarranno mai su di essa”

 

Qui Gesù sta ovviamente parlando delle porte dell‟Inferno, che non potranno mai sconfiggere la Chiesa, quindi non è corretto pensare che “le porte del regno dei morti non prevarranno mai sulla Chiesa” lasciando intendere che la minaccia non sia l‟Inferno ma il regno dei morti, perché nel regno dei morti ci sono anche gli spiriti dei giusti non ancora giunti a perfezione, che sicuramente non minacciano la Chiesa, ma anzi ne fanno parte, quindi con questa frase Gesù stava chiaramente indicando l‟Inferno.

 

Sempre dal Vangelo vediamo nella parabola del ricco e Lazzaro, che quest‟ultimo non si trovava nello stesso posto del ricco.

 

Alcuni evangelici anche se spiegano in maniera differente l‟Ades sono concordi col dire che con la parabola del Ricco e Lazzaro, Gesù non raccontò fantasie, ma usando un linguaggio simbolico ci aprì uno squarcio sull‟aldilà, leggiamo cosa scrive la rivista protestante Cristiani Oggi 1-15 ottobre 1996:


 

“Rilevante e degno di nota è il fatto che questa non è una parabola. Si tratta di un racconto vero, perché il povero ha un nome, cosa che non avviene mai nelle parabole. Seppure in forma parabolica, il brano racconta una storia realmente accaduta. Lo Sheol-Ades, soggiorno dei defunti, era dunque diviso in due parti distinte, in due scomparti separati da una „grande voragine‟. Evidentemente la „gran voragine‟ non impediva a quelli nella grande „fiamma‟ del tormento di vedere coloro che erano in Paradiso o nel „seno di Abramo‟, senza che potesse avvenire una migrazione da una parte all'altra. Nel seno d'Abramo vi erano i salvati che erano consolati in attesa dell'avvento del Messia, e vi erano i perduti che pativano la sofferenza in attesa del giudizio finale: „Infatti le labbra dell'adultera stillano miele, la sua bocca è più morbida dell'olio; ma la fine a cui conduce è amara come il veleno, è affilata come una spada a doppio taglio. I suoi piedi scendono alla morte, i suoi passi portano al soggiorno dei defunti‟ (Proverbi 5:3-5).”

 

Questi fratelli evangelici dimenticano però i versetti che parlano della “prigione”, quindi un terzo luogo, dove i salvati devono scontare le colpe residue, se non hanno avuto tempo di farlo in vita.

 

Nel Nuovo Testamento troviamo dei versetti che ci fanno capire l‟esistenza di un luogo, diverso dal Paradiso e dall‟Inferno, questo è l‟Ades, il regno dei morti.

 

Circa l‟esistenza nell‟aldilà, di questo luogo o meglio di questo stato di purificazione delle anime nell‟attesa di essere ammesse alla visione beatifica di Dio, dichiarata più volte verità di fede dalla Chiesa Cattolica, in campo protestante c‟è il più netto rifiuto.

 

Secondo loro, i credenti che muoiono vanno direttamente in Paradiso e citano Lc 23,43 e Gv 14,3 Ma come vedremo la Chiesa cattolica non nega i versetti da loro citati, infatti i giusti che non hanno nessun peccato veniale da scontare (per essere totalmente puri) vanno direttamente in Paradiso.

 

Ma considerando alcuni versetti dove leggiamo:

Gesù andò ad annunciare la salvezza anche agli spiriti che erano in carcere (1 Pt 3,19)

 

Ci chiediamo in quale luogo o in quale stato erano questi spiriti, visto che non potevano essere all‟inferno. Questi spiriti indubbiamente erano nello Sceol (regno dei morti) ma perché Pietro parla anche di prigione?

 

Anche la sorella Caterina del sito Difendere la vera fede ci viene in aiuto con le seguenti precisazioni: “Gli inferi di cui si parla nella 1Pt.3,19/4,6 non rappresentano l'Inferno propriamente detto o conosciuto dottrinalmente. Si parla di un luogo descrivendolo come PRIGIONE e mentre da una prigione si esce, dall'inferno non si esce come ci racconta Lc 16,19 nella storia del Ricco e di Lazzaro: Gesù non è ancora morto, eppure ci racconta una storia di un ricco che finisce all'inferno, e non per non aver creduto in Gesù, ma per non aver avuto la carità, per essersi comportato in modo non evangelico. Leggendo la 1Pt.3,19 e 4,6 non è pensabile che il Ricco sia stato fra coloro che vennero liberati da Gesù quando discese negli inferi, perché Abramo stesso fa capire che la condanna di quel ricco è senza appello: < Lazzaro ora è consolato, mentre tu adesso sei tormentato > e il ricco dice prima < soffro terribilmente in questa fiamma >. Inoltre è impensabile che Gesù dovendo risorgere non abbia liberato tutte quelle anime dalla < prigione > come viene chiamata, si legge infatti: < In esso andò a portare l'annuncio anche agli spiriti nella prigione, a coloro che erano stati un tempo disobbedienti, quando Dio nella sua longaminità attese, nei...ecc.> poi fa riferimento al Battesimo prefigurato dal Diluvio. Qui leggiamo che c'erano stati dei disobbedienti, affermare che questi disobbedienti oggi non esistano più è impensabile, inoltre non si legge che questa prigione venne chiusa. E di prigione leggiamo appunto in Mt 5, 25-26

 

“Mettiti presto d‟accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l‟avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all‟ultimo spicciolo!”

 

Non sarà mica la stessa prigione di cui parla Pietro nella sua lettera (1Pt 3,19)? Cambiano i personaggi ma la prigione è la stessa.

 

O è la stessa "prigione" o stiamo parlando di un altro "posto-luogo-stato" ancora!


 

L'Inferno non è una prigione dalla quale si può uscire e che è meglio conosciuto nella Scrittura come:

 

Geenna (dal greco) è l'inferno vero e proprio di fuoco e zolfo, o "stagno ardente di fuoco e zolfo" di Apocalisse 20:10 e 20:15. E' il termine tradotto in greco dall'Aramaico di "gehinnam", cioè valle di Hinnom, a sud di Gerusalemme, dove al tempo del dominio cananeo venivano eseguiti sacrifici di bambini tramite roghi e che valeva come luogo di giudizio divino. Quando Gesù parla di questo luogo non si riferisce al luogo geografico, ma a quello che esso rappresenta, cioè il luogo della punizione eterna.

 

Abyssos (dal greco) cioè "abisso", "inferi", in particolare "prigione dei demoni in punizione" dei passi di Luca 8:31 e Apocalisse 9:1; un significato simile è attribuito a "tartaros" di 2° Pietro 2:4 diverso dal termine biblico come:

 

Sceol (in ebraico) ovvero Ades (in greco), comunemente chiamato "inferi" e "soggiorno dei morti", ed è il luogo provvisorio ed intermedio di soggiorno dell'anima della persona deceduta sino alla resurrezione finale. Lì Gesù è andato a predicare il Vangelo agli spiriti dei morti (1° Pietro 3:19, 4:6), ed è pure da lì che, quando se n'è salito in alto, nel cielo, ha liberato molti che erano prigionieri, portandoli con se (Efesini 4:8). Quindi Sceol o Ades, adesso, dopo la resurrezione di Gesù, è la condizione e il luogo dove vanno le anime di coloro che saranno giudicate; salvate o condannate da Dio ed è tutt'ora un luogo in cui si soffre. (questa breve spiegazione è tratta da un testo in un sito evangelico)

 

Perciò...rileggendo il Catechismo....dove scese Gesù quando morì per andare a liberare le anime "prigioniere"?...di certo NON andò dove stava il Ricco della storia di Lazzaro, cioè, non andò nella geenna... infatti in un paragrafo del Catechismo si legge:

 

633 La Scrittura chiama inferi, Shéol o ade (529) il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. (530) Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; (531) il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel « seno di Abramo ». (532) ...

 

Quindi esite UNA PRIGIONE, anime dunque che attendono la purificazione per togliere ed eliminare quelle impurità che impediscono loro la gloria piena come appunto toccò a Lazzaro, perciò è dimostrato invece che non tutte le anime attendono in questa prigione, ma che molti godono già della gloria piena come Lazzaro il quale non sta attendendo un premio finale e con lui nemmeno Maria e gli Apostoli e i moltissimi santi stanno attendendo una sorta di premio, essi già godono della pienezza di Dio, nel giorno del Giudizio ai santi verrà confermata la gloria nella solennità del Giudizio.....

 

E il buon ladrone appeso in croce che ricevette da Gesù il premio del Paradiso, dove scontò la sua colpa? Non dimentichiamo la parabola del padrone della messe, nella quale vediamo gli operai assunti a inizio giornata lamentarsi col padrone, nei confronti degli ultimi arrivati, ai quali veniva data la stessa paga, nonostante avessero lavorato di meno. Il padrone della vita è Cristo, decide Lui come ricompensare la nostra fede.

 

Ora sta di fatto che molti muoiono improvvisamente. Questi tali, se sono in peccato mortale e non hanno avuto tempo di pentirsi vanno all‟Inferno; coloro che invece hanno avuto tempo e modo di pentirsi, all‟Inferno non ci andranno: il Signore misericordioso accoglie sempre il peccatore che si pente. Ma è anche vero che questi tali non hanno potuto in nessun modo far penitenza per i peccati commessi; come è anche vero che chi muore improvvisamente, anche se in grazia di Dio, non ha modo di espiare peri i peccati veniali, qualora ne abbia. Neppure per questo però egli andrà all‟Inferno.

 

Adunque, all‟Inferno no, perché morti da credenti in Dio; in Paradiso no, “perché nulla di men puro vi può entrare” (Ap 21,27) . Deve, per conseguenza, esserci un luogo (prigione), distinto dall‟Inferno e dal Paradiso, dove le anime, passate di vita in grazia di Dio e non del tutto pure, abbiano la possibilità di purificarsi e rendersi degne di entrare nella patria beata.


 

E Paolo lo fa capire nella sua lettera agli ebrei al capitolo 12,22-23 “Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all‟adunanza festosa e all‟assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione…

 

Perché Paolo menziona gli “spiriti dei giusti portati a perfezione”?

 

Se gli spiriti dei giusti fossero tutti puri andrebbero subito in Paradiso, visto che in tale luogo non può entrare nulla d‟impuro Ap 21,27 “Non entrerà in essa nulla d‟impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell‟Agnello.” l‟autore di

 

Apocalisse fa distinzione tra impuri e chi commette abomino o falsità, perché se si riferiva alle anime condannate avrebbe usato semplice la frase “nulla d‟impuro” invece Giovanni prima dice nulla d‟impuro e poi aggiunge “né chi commette abominio (cioè peccati gravi) o falsità”, quindi mette su due piani diversi gli impuri e gli abominevoli e falsi.

 

Quindi se gli spiriti dei giusti fossero tutti e, solo puri, non ci sarebbe bisogno di portarli a perfezione, ma Paolo parla di “spiriti dei giusti portati a perfezione” perché evidentemente questi spiriti sono stati in prigione a scontare le loro pene, e sono vi sono rimasti fin quando non hanno pagato fino all‟ultimo spicciolo.

 

Mt 5, 25-26 “Mettiti presto d‟accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l‟avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all‟ultimo spicciolo!” Non sarà mica la stessa prigione di cui parla Pietro nella sua lettera (1Pt 3,19)? Cambiano i personaggi ma la prigione è la stessa.

 

Gesù ci ammonisce che esistono peccati mortali, ed esattamente la bestemmia contro lo Spirito, che non sarà mai perdonata, infatti per farlo capire usa la frase “né in questo secolo, né in quello futuro” cioè mai. Ma oltre al significato di “mai” questa frase ci fa capire che nell‟altra vita ci sarà chi sarà perdonato dopo aver pagato fino all‟ultimo spicciolo in prigione.

 

Mt 12,32 “A chiunque parlerà male del Figlio dell‟uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro” Ma allora nel secolo futuro (cioè nell‟altra vita) ci saranno dei peccati che potranno essere rimessi?

 

Con questa frase Gesù sta dicendo che la bestemmia contro lo Spirito non sarà mai perdonata, e per dire “mai” usa il secolo presente e quello futuro, ma nel menzionare quello futuro lascia intravedere un spiraglio misterioso.

 

E ancora Paolo ci avverte:

 

1Cor 3:13-15 “Se l‟opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l‟opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.”

 

Paolo riconosce dopo la morte tre stati in cui ci si può trovare al giudizio particolare: “Ma nel giorno del giudizio egli scrive nella sua prima ai Corinti – Dio rivelerà quel che vale l‟opera di ciascuno. Essa verrà sottoposta alla prova del fuoco, e il fuoco ne proverà la consistenza. Se uno ha fatto un‟opera che supera la prova, ne avrà la ricompensa (il Paradiso). Se invece la sua opera sarà distrutta dal fuoco, egli perderà la ricompensa (cioè avrà l‟eterna condanna). Egli personalmente (se si trova in una via di mezzo) sarà tuttavia salvo, come uno che passa attraverso l‟incendio.

 

Scrive il fratello Mario del sito Difendere la vera fede:

 

“Un parallelo a questo brano di 1 Corinti lo troviamo il Luca 12,48 „Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.

 

Gesù precisa che il servo sarà punito, ma con poche percosse.

 

Il che significa non eternamente punito, e quindi, secondo me, non può trattarsi dell'Inferno. Nè può trattarsi del Paradiso immediato, perché in paradiso non si ricevono percosse.

[Modificato da (Gino61) 06/09/2009 12:19]
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Questi servi che conoscono il Padrone, e quindi credono, non si salvano automaticamente e immediatamente per la SOLA FEDE .”

 

I servi dei versetti 47-48 di 1 Cor. sono da considerare tutti i cristiani in generale invitati alla vigilanza di cui parla tutto il capitolo 12, e in particolare i servi amministratori secondo il v.41 di cui Pietro gli aveva espresso esplicita domanda. Non si riferisce ai pagani. Prendiamo in esame i vv.paralleli in Mt e notiamo che le percosse riguardano sempre persone che hanno perso la approvazione di Dio. Si può perdere l'approvazione per qualcosa ma non per tutto. E anche di quel qualcosa il Signore tiene in conto: anche del bicchiere d'acqua dato con amore.

 

Il testo di Matteo 18 (parabola del servo spietato) e 21 (i vignaioli omicidi) prende in considerazione solo due categorie di servi e non quattro.

 

Non è affatto detto che la terza e la quarta categoria di servi menzionata da Luca sia una sottocategoria della seconda: per me è evidente che si tratta di categorie a parte rispetto alle prime due. Pensiamo ad esempio a quanti devono fare certe scelte difficili nella loro vita di fede e si trovano ad imboccare strade sbagliate, non avendo ben conosciuto la chiara volontà di Dio a proprio riguardo. Pensiamo ancora a quanti, dovendo decidere se intraprendere il proprio impegno cristiano nella Chiesa Cattolica oppure in un'altra denominazione alla fine imboccano una strada fuori dalla vera Chiesa, secondo il proprio intendimento ma non secondo quello che Dio vorrebbe effettivamente.

 

Vi può essere chi pur senza essere apostata, pur facendo tante cose degne, può incappare in fatti riprorevoli. Rileggiamo le parole rivolte da Cristo a vari servi in Apocalisse 2

 

Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto. Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei Nicolaìti, che anch'io detesto.....All'angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli.... Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere.

 

Questi servi si sono distinti per opere, fatica, costanza, carità, fede, servizio....eppure il Signore ha qualcosa contro di loro, trova qualcosa che non li fa essere perfetti. In mezzo al bene vi è qualcosa di male oppure in mezzo al male vi è qualcosa di buono.

 

Il Signore darà a ciascuno secondo le sue opere. Cioè premio o castigo proporzionato a quanto si sarà fatto sulla terra, sia in bene che in male come dice Paolo:

 

2 Cor 5,10 “Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.”

 

Ciò che si fa di male ovviamente ci porterà non una ricompensa ma un castigo, delle percosse, che possono essere poche qualora vi fossero nel contempo altre opere di bene per le quali il Signore dara una ricompensa.

 

I casi dei comportamenti espressi da Gesù possono dunque essere compresenti nello stesso servo. Capita a volte di essere caritatevoli con tante persone e altre volte di far cose degne di castigo. Quale dei due comportamenti il Signore dovrà considerare?

 

Dovrà eternamente premiare o eternamente punire?

 

Secondo me, nè l'una nè l'altra cosa. Ma proporzionalmente al grado di conoscenza, di responsabilità e di gravità, assegnare le conseguenti "percosse" o le conseguenti ricompense.


 

Pensieri, parole, opere ed omissioni sono continui nei servi del Signore: a volte sono più o meno coerenti altre volte incoerenti, a volte consapevoli altre volte inconsapevoli.

 

Non tutti i servi presentano sempre e solo una stessa costante caratteristica per tutta la vita.

 

Se per una sola azione fatta e degna di castigo, insieme a tante altre azioni degne del Signore, Egli decidesse di mandarci all'inferno! Chi si salverebbe?

 

Anche dei ricchi il Signore dice che è più facile che un cammello entri per la cruna di una ago che un ricco nel regno dei cieli. Eppure Egli stesso, rispondendo ai discepoli inculca la fiducia che a Dio niente è impossibile: perfino far passare quel cammello attraverso la cruna dell'ago! Uno di questi cammelli riuscirono a passare è Zaccheo. E noi siamo come tanti cammelli, più o

 

meno appesantiti da difetti, che devono passare attraverso la finissima cruna della perfezione che la santita' e la giustizia di Dio esige e che incendierà come fuoco tutte nostre imperfezioni.

 

Il Vangelo ci parla di persone che pur avendo il dono della fede fanno qualcosa che essi pensano sia giusto e meglio fare, ma in realtà ciò non è proprio secondo la volontà del loro padrone. Luca non parla di diminuzione di premio ma di poche percosse. Paolo non parla di diminuzione di ricompensa ma che invece EGLI STESSO SI SALVERA' , MA COME ATTRAVERSO IL FUOCO (1Cor 3,15). Queste non sono mie parole o supposizioni ma espressioni precise della Scrittura. Ecco dunque quali possono essere i casi, assieme ad altri analoghi, in cui i servi, pur non avendo piena colpa, non hanno neppure piena coscienza nel loro agire. Per questo tipo di servi Cristo parla di poche percosse. Matteo riporta solo le prime due specie: o totalmente fedeli o totalmente infedeli.

 

Luca integra rispetto a queste due categorie, altre due per le quali non si parla nè di premio nè di punizione rigorosa con stridor di denti.

 

Ripeto e sottolineo che se queste percosse sono poche, vuol dire che non sono eterne, perché se fossero eterne allora sarebbero in numero infinito, illimitato: mentre Cristo specifica che saranno poche e le poche battiture sono segno di pena temporanea, non di eterna separazione. Un fratello evangelico scrivendo in un forum Internet faceva notare “Se poche sono un numero limitato, anche le molte percosse rimangono comunque un numero limitato. Molte vuol dire tante, ma comunque non infinite. In Mt che è un Vangelo sinottico con Luca, vediamo che si parla anche lì di un servo che viene fatto flagellare e che dopo viene gettato in un luogo di sofferenza. Se prima viene fatto flagellare, e poi messo nella sua dimora eterna di separazione da Dio, vuol dire che i colpi di flagello/percosse che ha ricevuto sono limitati, non infiniti. Ciò non fa di lui un salvato.”

 

Ho preferito analizzare le poche percosse perché più evidente la leggerezza della colpa e il conseguente leggero castigo.

 

Nel caso delle molte percosse, sono pure del parere che si tratta anche in questo caso di punizione pur sempre limitata e non eterna in vista della salvezza. Mentre secondo il ragionamento dei pentecostali dovremmo pensare che vi saranno prima delle percosse, tante o poche che siano, e poi l'inferno. Quindi per tanti cristiani, i quali hanno fatto tante cose degne del Signore, basterà che abbiano fatto come i servi di Tiatira, qualcosa contro la volontà di Dio, che saranno prima battuti e poi spediti all'Inferno eterno. Tutta la loro fede, la loro costanza, le loro fatiche, le loro opere non serviranno a consentir loro la salvezza. Davvero tremendo!

 

Questo ragionamento contraddice alla grandezza del dono della fede e alla salvezza ad essa connessa, se accompagnata dalla carità, sia pure imperfetta. Contraddice alla Misericordia infinita di Dio che ci ha creati per la salvezza, non per la perdizione con tanta facilità. Contraddice al sacrificio di Cristo che è venuto per salvare e non per condannare.

 

Per questo noi ribadiamo il concetto che perché questo avvenga vi deve essere un rifiuto di Dio consapevole, reiterato, grave, senza pentimento. Una offesa imperdonabile, nè nel tempo presente


 

nè in quello futuro, come può essere ad esempio la bestemmia contro lo Spirito Santo come può essere cioè la negazione consapevole della verità conosciuta, disperazione di potersi salvare nonostante l'infinita Misericordia di Dio.

 

Abbiamo visto però che altri tipi di servi sono menzionati in Apocalisse cap. 2 in cui il molto ben operare si trova mescolato a opere riprorevoli, consapevoli o inconsapevoli, e a loro non viene fatta minaccia di eterna punizione. Tutti coloro che hanno fatto qualsiasi errore non avrebbero speranza. Esaminiamo queste minacce fatte in Apocalisse per vari tipi di servi:

 

“Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto...”

 

“Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca...” “Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te.”

 

Non risultano in questi versi esaminati minacce di eterni castighi come nel caso di quei servi totalmente infedeli menzionati in Luca 12,45: “Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli”.

 

Quelli che sono parzialmente infedeli vuol dire che sono al contempo parzialmente fedeli. Cioè hanno qualcosa di buono, in primo luogo la FEDE, visto che sono al servizio del Padrone. Ora, proprio quelli che hanno la FEDE, pur avendo poche opere, non si salveranno? Di essi Paolo dice che chi crede e professa con la bocca che Cristo è risorto saranno salvati. Quindi le "percosse" sono previste per chi pur avendo la fede, non avrà operato in piena conformità al volere del Padrone, ma si salverà ugualmente, attraverso, tribolazioni di questa vita o di quella futura, se necessario.

 

Una persona che pecca consapevolmente e deliberatamente è punita di più di chi fa le stesse cose senza comprendere appieno la loro gravità, rimane il fatto che essere battuti e flagellati e segno di separazione eterna di Dio

 

Il quarto tipo di servi non comprende per nulla la gravità di ciò che sta facendo, perché Gesù dice che non conosce il volere del Padrone. Perciò la loro colpa, è degna di castigo, ma è scusabile.

 

Le battiture o percosse, sia forti che leggere, non sono necessariamente indice di separazione eterna da Dio, ma anzi devono essere visti come correttivi e come esigenza di giustizia, nonchè della bontà infinita di Dio, che offre una possibilità di affrancamento, in Cristo, che ha aperto per tutti la strada verso la salvezza.

 

Vediamo qualche esempio dalla Scrittura:

 

Eb 12,6 “…perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. Notaamo il termine SFERZA: flagello che non è finalizzato alla separazione eterna.

 

Addirittura Paolo abbandona alla crudele e devastante opera di Satana alcuni credenti infedeli, al fine di ritrovarli salvi nel giorno del giudizio:

 

1Cor 5,5 “questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore.”

 

2Co 12,7 “…Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.”

 

1Ti 1,20 “…tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.”


 

Questi correttivi cominciano già nella vita presente, e sono necessari perché il credente deve imparare. Il dolore e la sofferenza fa apprezzare meglio l'Amore di Dio.

 

Ometto di riportare tutti i versetti dove si parla della necessità delle tribolazioni per raggiungere la vita eterna: tutte finalizzate non alla perdizione ma alla salvezza.

 

La carne di Imenèo e Alessandro muore prima che satana possa torturarli nel corpo? A chi saranno dati in balia affinché imparino e possano ottenere la salvezza nel giorno di Cristo Gesù? Evidentemente a quegli "aguzzini" di cui parlava la parabola di Mt 18,34.

Rileggiamo ancora una volta il testo di Paolo:

 

1Co3,13 “l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. “

 

1Co 3,14 “Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, egli sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.”

 

Nel versetto 13 si parla della prova del fuoco SULL'OPERA. Ma nel verso 14, si dice che attraverso il fuoco ci passa l'OPERATORE. Si dovrebbe notare quell'Egli.

 

Oltre all'opera, anche l'operatore passerà attraverso il fuoco, prima di salvarsi

 

E' proprio EGLI, l'operatore che sarà punito o subirà il danno, ovvero le percosse, in vista della salvezza.

 

Scriveva un altro fratello evangelico “le „percosse‟ possono quindi essere viste dunque come questo consumarsi nel fuoco delle opere non fatte secondo la volontà di Dio.”

 

Ma le percosse vengono date ai servi come dice chiaramente la similitudine di Luca 12,47 Non è assolutamente possibile neppure immaginare che vengano date alle opere.

 

Le opere non hanno sensibilità alcuna e non possono percepire il castigo di cui è invece responsabile il credente. Non per nulla Paolo dice: egli sarà punito: tuttavia egli si salverà,

 

Traggo (parla sempre il fratello Mario) dal commento evangelico di www.laparola.net uno spunto di risposta anche per far capire meglio qualche contraddizione in cui si viene a cadere:

 

Ap 3,18  Io ti consiglio di comprare da me dell'oro affinato col fuoco affinché tu arricchisca;”

 

... Solo Cristo può dare a Laodicea i veri beni di cui ha necessità. Cristo l'esorta a comprare da lui questi beni, non perché l'uomo ch'è bisognoso abbia di che pagare dei beni spirituali di valore infinito, ma perché l'uomo deve pur soddisfare a certe condizioni morali senza le quali le ricchezze della grazia divina non possono essergli donate. .. Contraria del tutto alla dottrina evangelica è l'idea romana che i beni della grazia si comprano a prezzo di buone opere.

 

Ancora una volta la posizione evangelica esprime la convinzione che le opere non servono assolutamente a nulla. Quindi l'oro che il Signore invita ad acquistare, secondo i fratelli separati non sono le opere.

 

Da notare comunque la frase evidenziata in grassetto dove vien detto, dal commento evangelico, che l'uomo deve pur soddisfare a certe condizioni morali senza le quali le ricchezze della grazia divina non possono essergli donate. Allora NON BASTA LA FEDE!!! ci vogliono anche le opere, ci vuole dirittura morale perfetta. E se le opere sono buone solo in parte? Se ci sono dei difetti? Cosa farà il Signore?

 

Pensiamo a Pietro che, nonostante conosceva la volontà del Padrone, nonostante gli avesse chiaramente profetizzato il suo rinnegamento, egli ugualmente lo rinnega.


 

Ma egli si pente e Cristo lo perdona e anzi gli dà l'incarico di confermare i fratelli nella fede affidandogli tutto il gregge. Ma quante tribolazioni Pietro avrebbe poi dovuto sopportare oltre alla contrizione del suo cuore pentito, quante mortificazioni, fatiche, pericoli fino alla morte per martirio, prima di ricevere la corona della vita. Ma che succederà a chi rinnega il Padrone consapevolmente e poi si pente all'ultimo istante senza avere il tempo nè di una contrizione e dolore perfetto come il ladrone che subì anche la crocifissione?

 

Non dovrà avere anch'egli l'occasione di poter imparare dalla giustizia divina la gravità del suo errore? Ecco dunque le molte percosse, e il SUO passaggio come attraverso il fuoco, ma in vista della salvezza.” (fin qui il fratello Mario del sito Difendere la vera fede)

 

I VERSETTI CHE PARLANO DEL PURGATORIO

 

 

Il Purgatorio è il luogo dove le anime dei defunti sono accolte dalla divina Misericordia allo scopo di purificarsi e rendersi atte ad entrare nel Santo Paradiso.

 

Molti fratelli non cattolici rifiutano questa verità di fede perché pensano e dicono che non risulta dalla Bibbia l‟esistenza del Purgatorio, né esiste la parola Purgatorio.

 

Il fratello Ireneo aggiunge un altro parere come segue:

 

I PASSI BIBLICI CITATI IN CCC 1031 E LA DOTTRINA DEL PURGATORIO

 

Chiarimenti metodologici.

 

Scrivo questo breve contributo sollecitato dalla lettura di uno analogo in cui si esprimeva al riguardo il punto di vista dei movimenti evangelicali.

 

Con obiettivo apologetico, l‟articolo analizzava i passi biblici citati dal Catechismo della Chiesa Cattolica (d‟ora in poi CCC) al suo n. 1031, proponendone una spiegazione che portava alla conclusione che tali passi non si riferissero affatto al purgatorio e fossero dunque usati dal CCC in maniera fuorviante.

 

I tre passi biblici in questione sono 1 Cor 3, 15; 1 Pt 1, 7; Mt 12, 32.

 

In riferimento al primo si conclude che tutto il brano da cui è tratto indica una differenza tra chi sarà solo salvato, in quanto pur avendo creduto in Cristo ha insegnato dottrine e fatto azioni vane (i materiali di legno e paglia), e chi insieme alla salvezza avrà una ricompensa, in quanto le sue dottrine hanno superato la prova del fuoco divorante (Dio) come l‟oro e l‟argento. Niente a che vedere dunque con una purificazione personale.

 

Del secondo si sottolinea come le prove di cui parla il contesto non saranno in un tempo successivo alla morte ma solo al presente, e dunque tali prove non possono essere quelle del Purgatorio cattolico.

 

Del brano evangelico invece fa un analisi di come il vocabolo greco tradotto con “secolo futuro” sia usato in altri brani biblici, deducendo che tale tempo sia quello successivo alla parusia anche nel brano di Matteo utilizzato dal CCC. Inoltre è ritenuta una deduzione indebita affermare che, dato che il peccato contro lo Spirito Santo non si possa perdonare nel secolo futuro, altri peccati invece lo potrebbero essere.

 

Fin qui la sintesi dell‟analisi condotta nel contributo che ho letto.

 

Quanto qui invece mi propongo di fare è un analisi a diversi livelli, che occorre mantenere distinti per non cadere in ridicoli errori e fare un bel minestrone senza alcun senso.

 

Prima di tutto mi impegnerò in un‟analisi in sé dei tre passi biblici in questione, senza rapportarli a nessuna dottrina, ma cercando di capire cosa essi intendano in se e nel loro contesto. Da ciò passerò poi a offrire alcune conclusioni, che si confronteranno anche con la riflessione evangelica sopra


 

citata. Dopo questo parlerò dell‟utilizzo che di questi brani fa il CCC, sperando di rendere così chiaro al lettore che il loro obiettivo non è affatto quello proposto dalla riflessione evangelicali sintetizzata poch‟anzi.

 

Brevemente infine accennerò alla dottrina del Purgatorio facendo tre nette distinzioni tra dato rivelato, formulazione, riflessione teologica.

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06/09/2009 11:52

Brevissima esegesi dei brani

 

1 Cor 3, 15. L‟espressione “come attraverso il fuoco” è un espressione che potrebbe essere tradotta, forse in maniera più esplicativa, con “come attraverso le fiamme di un incendio”.

 

Nel momento in cui Paolo scrive la sua lettera, la comunità dei Corinzi è divisa in fazioni, a seconda dei predicatori del vangelo da cui i vari componenti avevano ricevuto il messaggio o erano stati battezzati.

 

Davanti ad un comportamento simile, che Paolo stigmatizza come “semplicemente umano” (Cf. 1 Cor 3, 4) egli riafferma l‟unica identità valida, cioè l‟essere di Cristo (Cf. 1 Cor 1, 12).

 

I vari predicatori, costruttori della comunità, possono essere più o meno bravi, più o meno esperti, e per il loro impegno, la loro dovizia saranno premiati, ciascuno secondo il suo, proprio come nella famosissima parabola dei talenti.

 

Ma la bravura del predicatore certo, può essere importante; ma non va confusa con il fondamento, che è unico per tutti e non può essere cambiato: Gesù Cristo!

 

“Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede … ma è Dio che ha fatto crescere!” (1 Cor 3, 5)

 

Questo è il tema di tutti i primi quattro capitoli della prima lettera che Paolo scrive alla comunità di Corinto. In questo contesto l‟espressione inquisita viene di molto ridimensionata.

 

Il suo significato primo, letterale, quello che intesero i corinzi quando lessero la lettera per la prima volta era questo semplice avvertimento: “attenzione a voi ministri che guidate la comunità con la vostra predicazione, perché se costruite in modo da resistere al fuoco, potete essere al sicuro, ma se costruite male, semplicemente col legno, allora il vostro edificio è a rischio di incendio, e non potrete abitarlo in tranquillità; se arriva l‟incendio dovrete scappare attraverso le fiamme (attraverso il fuoco) e anche se vi salverete, tale salvezza sarà sempre sul filo del rasoio”.

 

Questo dunque il significato primo e letterale del versetto indagato. E tanto per il momento ci basta.

 

1 Pt 1, 7. Il testo qui è di una limpidezza tale che è inutile sostare a lungo. Si parla del fuoco che “prova” la fede dei fedeli. Non si fa riferimento a colpe da purificare ma si dice semplicemente che come il fuoco nel crogiuolo rivela la purezza dell‟oro, così le prove che i cristiani affrontano non fanno altro che far risplendere ancora di più la fede dei cristiani.

 

Faccio notare qui una differenza importante dell‟uso della metafora del fuoco nel N.T.

 

I vangeli parlano spesso di un fuoco divoratore, un fuoco che consuma, paragonato a quello della Geenna, che non dimentichiamolo era una valle realmente esistente al di fuori di Gerusalemme utilizzata come discarica.

 

Proprio per tale utilizzo, la continua combustione spontanea dei rifiuti faceva si che in essa ardesse sempre un fuoco che, appunto, consumava ogni cosa.

 

Oltre il fuoco della Geenna che consuma, Pietro parla del fuoco con una differente metafora: parla cioè del fuoco crogiuolo, che non consuma, ma che rivela la realtà dei materiali, purificandoli e rendendoli splendenti.

 

Tale chiarificazione sui due usi distinti che la Scrittura fa dell‟immagine del fuoco saranno utili in seguito.

 

Mt 12, 32. Il brano non è chiaro. Qui si fa riferimento a due distinti peccati: quelli contro il Figlio che potranno essere perdonati, e quelli contro lo Spirito, impossibili da perdonare né in questo secolo, né in quello futuro.

Dunque il rapporto è fra questi due peccati: contro il Figlio e contro lo Spirito. Proprio il confronto


 

che pone l‟Evangelista stesso ci spinge naturalmente a porre in paragone un peccato imperdonabile né ora né poi (quello contro lo Spirito), e uno perdonabile sia nell‟oggi che nel domani (quello contro il Figlio).

 

Varie considerazioni strettamente legate al brano ci inducono ad interpretare in questo modo, e non semplicemente la Tradizione.

 

Il peccato contro il Figlio può essere perdonato, ci ricorda la Bibbia di Gerusalemme nella nota a calce del brano, in quanto “l‟uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del Figlio dell‟uomo, ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito”.

 

Mentre la posizione contro le opere dello Spirito è già un porsi contro Dio, in quanto l‟origine divina dello Spirito è innegabile, Gesù stesso capisce che il riconoscimento della sua divinità non è altrettanto immediato. Una tale mancanza di riconoscimento è dunque scusabile.

 

Quando l‟israelita sincero che non ha accettato Gesù sarà di fronte al Padre, allora vedrà la gloria del Figlio, sarà comunque salvato, come tutti gli uomini di buona volontà che pure non hanno abbracciato la Lieta Notizia.

 

Ma, mentre il rifiuto di vedere in Gesù il Figlio di Dio denota difficoltà di riconoscimento, il rifiuto dello Spirito denota chiusura verso l‟azione salvifica del Padre. Un tale rifiuto non potrà mutare con la morte, che invece ne rivelerà le estreme e tremende conseguenze.

 

Una riflessione

 

Da quanto detto, appare chiaro che il brano di 1 Cor 3, 15 e il suo contesto non vogliono entrare nel merito di come effettivamente avrà luogo la salvezza dei cristiani, ma utilizzi invece delle metafore per spronare a fare attenzione al proprio comportamento e alla propria conoscenza della verità, per poter così costruire bene ed abitare una casa sicura, che non tema nulla e possa dunque sperare in tutta tranquillità la propria ricompensa, cioè appunto la salvezza.

 

È davvero un‟assurdità infatti distinguere tra una “salvezza con ricompensa” e una “salvezza senza ricompensa” affermando addirittura che esistano due tipi di cristiani da inserire sotto queste classi differenti di salvezza.

 

La ricompensa del cristiano è la salvezza, coincide con essa; la sua ricompensa è poter vedere Dio faccia a faccia e poter cenare con lui, e sedere a mensa con lui.

 

Ciò mi lascia ancora più perplesso in quanto viene da una voce riformata, e cioè da chi dovrebbe considerare nulle le opere in vista della salvezza, da chi afferma che non esistano opere meritorie, e cioè opere che diano diritto ad un “premio” celeste.

 

Nella visione del testo a cui sto rispondendo si afferma tutto il contrario…

 

Nello spiegare il passo di 1 Pt 1, 7, il contributo che ho letto e del quale il presente vuole essere una breve risposta, lo rapporta a 2Cor 4,17: Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria.

 

Da un punto di vista esegetico, il confronto e davvero forzato: mentre Pietro infatti riferisce le prove alla rivelazione della fede autentica dei cristiani, Paolo ne parla in rapporto alle sofferenze attuali alla gloria futura che sarà rivelata.

 

Questi due brani parlano di cose diverse, e l‟unico accostamento possibile è sul valore delle prove che i cristiani subiscono; un loro confronto non può in alcun modo aiutarci a capire l‟uso della metafora del fuoco nel passo della prima lettera di Pietro.

 

Arrivando al brano evangelico di Mt 12, 32, qui mi piacerebbe capire se sia giusto modificare i propri criteri esegetici in rapporto all‟utilità che possono avere per difendere le proprie dottrine.

 

Mi chiedo infatti perché un cattolico dovrebbe accettare che sia una conclusione indebita affermare che l‟espressione qui usata indichi che dunque ci possono essere peccati che saranno perdonati nel secolo futuro, mentre i cattolici stessi sono attaccati quando sostengono, in favore della verginità perpetua di Maria, che è una conclusione indebita affermare che Maria abbia avuto altri figli, portando a sostegno Mt 1, 25, dove si dichiara semplicemente che Gesù nacque senza che Giuseppe

 

“conoscesse” Maria. Occorre avere il coraggio di seguire il proprio metodo fino in fondo…


 

Sull‟espressione invece di “secolo futuro”, anche se è innegabile la necessità di vedere il valore che lo stesso termine riveste in altri luoghi della Scrittura, occorre pure valutarlo nel significato specifico che riveste nel brano. Se qui per secolo futuro si intendesse il tempo che va dalla risurrezione dei morti all‟eternità, che senso avrebbe precisare che neanche in questo tempo tale peccato sarebbe potuto essere perdonato? È infatti ovvio che la Parusia di Cristo e la risurrezione dei morti saranno l‟ultima parola di Dio sulla storia e che nulla potrà cambiare dopo questi eventi finali. In questo brano, il secolo futuro non può essere ridotto né al presente né al tempo successivo alla risurrezione, perché sarebbe stata una precisazione superflua. Rimane dunque solo il tempo che va dalla morte personale alla risurrezione generale.

 

L‟uso che il CCC fa dei tre brani esaminati.

 

Se leggiamo con attenzione CCC 1031 ci rendiamo conto dell‟effettivo valore con cui i tre brani esaminati sono utilizzati in esso.

 

La lettera ai Corinzi e di Pietro sono citate solo per dare conferma all‟affermazione che la Chiesa

 

Cattolica non fa sorgere dal nulla l‟idea di un fuoco purificatore, ma che la nozione di un fuoco non solo consumatore (quello della Geenna), ma anche di uno purificatore, è presente nelle Scritture.

 

Semplicemente a questa affermazione sono serviti i passi sopra citati e non ad altro. Dunque tutte le considerazioni protestanti che ho presentato all‟inizio non colgono il bersaglio, ma si presentano come sproloqui gratuiti che hanno snaturato del tutto il valore che il CCC dava, in questo contesto, ai brani biblici.

 

Riporto la frase del CCC a cui precisamente fanno riferimento le due citazioni, e così spero di rendere palese la verità di quanto or ora sostenuto:

 

La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, (1 Cor 3,15; 1 Pt 1,7.) parla di un fuoco purificatore”.

 

Per il brano di Matteo, sarebbe più corretto dire che il CCC cita Gregorio Magno, e che è quest‟ultimo a citare il testo di Mt.

 

A rigor di termini, il CCC cita i Dialoghi di Gregorio Magno e non i vangeli.

 

È inoltre fallace staccare CCC 1031 dal numero che lo segue, il 1032, indispensabile per la comprensione del precedente.

 

Lo riporto per intero.

 

Questo insegnamento [della purificazione finale o Purgatorio] poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla «Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12, 46). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti. Rechiamo loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal sacrificio del loro padre, perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo a soccorrere coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere.

 

Il Purgatorio: dato rivelato, formulazione del dogma, riflessione teologica.

 

Nel parlare della dottrina del purgatorio occorre tenere distinti i tre momenti di cui parlo nel titolo del paragrafo.

 

Per quanto riguarda il dato rivelato, noi siamo posti di fronte a due realtà:

 

Da un lato la Sacra Scrittura che parla di luoghi ultraterreni non immediatamente identificabili con il nostro inferno o con il nostro paradiso, come il seno di Abramo della parabola del ricco Epulone, o il luogo dove è disceso Gesù morto di cui ci parla Pietro.


 

Dall‟altro le prove storiche esistenti di una fede nell‟efficacia della preghiera e dei sacrifici dei vivi per la purificazione dei defunti già nei secoli immediatamente precedenti la venuta di Cristo e di cui tra l‟altro ci dà testimonianza il Secondo libro dei Maccabei, tra l‟altro, testo canonico per la Chiesa

 

Cattolica e le Chiese Orientali.

 

Inoltre testimoniano di ciò anche le sepolture cristiane antiche e i più antichi formulari liturgici. Da tutti gli studiosi infatti, la preghiera per i defunti nelle Anafore di Consacrazione è ritenuto uno degli elementi più antichi.

 

Seppure non si può parlare per i primi secoli cristiani di una formulazione del purgatorio quale noi la conosciamo oggi, chiediamoci con franchezza come mai gli ebrei di età ellenistica e i primi cristiani pregavano per i loro defunti se essi erano già nella pienezza dell‟incontro con il loro Dio o nella dannazione eterna e senza via d‟uscita?

 

La formulazione del dogma a Firenze e Trento risente invece delle dispute e del linguaggio teologico del tempo. Ma non si deve confondere, come mi preme sottolineare, il linguaggio che esprime una realtà dalla realtà stessa: il fatto che gli ebrei dell‟epoca di Gesù e i cristiani dei primi secoli pregavano per la remissione delle colpe dei loro cari defunti è un dato ineluttabile e con cui ci si deve gioco forza confrontare.

 

Ammetto, con un po‟ di amaro in bocca, che la riflessione teologica occidentale, con il suo spirito speculativo, spesso non ha rispettato la grandezza del Mistero che sempre ci supera, ma ha cercato di spiegarlo nei minimi particolari. Ma anche qui, non dimentichiamo di distinguere il Dogma dalla riflessione teologica sul dogma.

 

Con semplice chiarezza il Catechismo della Conferenza Episcopale Italiana per gli Adulti, al numero 1205 afferma:

 

[…] Il cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell‟eucaristia. Col volgere dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del purgatorio. Ma l‟insegnamento del magistero ecclesiale si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa.

 

Per concludere

Concludo con un invito al lettore.

 

Quando accostiamo la Sacra Scrittura, facciamolo con la più grande attenzione.

 

Per quanto essa sia considerata da tutti i cristiani il testo sacro per eccellenza, a volte è invece usata, sfruttata, e direi anche, violentata, come se fosse un‟enciclopedia facile da maneggiare e che possiamo possedere in pieno.

 

Come il suo Ispiratore è il Totalmente Altro, così anche la Scrittura presenta una sua alterità che la nostra lettura e interpretazione non deve annullare, ma riconoscere e rispettare.

 

Le dottrine, qualunque dottrina che si basi sulla Bibbia, non è mai automaticamente “bibbia”, ma presenta sempre il carattere di una riflessione sistematica su un testo, quale la Scrittura, che sistematico non è; anzi, tutt‟altro, dato che la maggior parte del N.T. è composto da scritti occasionali quali sono le lettere, e tutto il testo sacro nel suo complesso presenta molti generi letterari, molti autori e vanta una composizione della durata di circa 2000 anni!

 

Come ho cercato di fare io nelle pagine precedenti, tentiamo sempre di mantenere distinti i livelli tra la lettera del testo, la sua interpretazione, il suo utilizzo e i suoi vari sensi (letterale, morale, spirituale, ecc)” (fin qui il fratello Ireneo)


 

Ancora il fratello Mario gestore del sito MSN Difendere la vera fede, in un suo dialogo con un fratello evangelico dice:

 

Caro  Stefano,

 

Faccio un commento al tuo messaggio 82. E ad alcune altre frasi desunte da qualche altra tua argomentazione. Il testo in corsivo è tuo il resto è mio:

 

In ogni caso "il fuoco proverà l'opera di ognuno" (v.13) e tutto ciò che non è stato edificato con un materiale nobile verrà consumato. Sul fondamento rimarrà solo ciò che è puro, prezioso agli occhi di Dio e che ha valore eterno.

 

Le dottrine, le opere e le motivazioni passeranno attraverso il fuoco del giudizio di Cristo e soltanto ciò che è stato fatto nella verità e nell'ubbidienza alla volontà di Dio, nell'amore per Cristo e per il prossimo, con motivi puri, senza orgoglio e vanagloria, in maniera disinteressata e altruistica rimarrà, il resto verrà consumato dalla Presenza di Dio, che è fuoco consumante.

 

Fin qui siamo d'accordo. Infatti anche tu sostieni qui che l'opera di cui si parla non è da attribuirsi alle sole dottrine.

 

Le opere di molti cristiani saranno completamente arse, questo non significa che perderanno la salvezza, perché rimarrà "il fondamento che è Cristo"(v.11) ma significa che perderanno la ricompensa che avrebbero potuto ricevere se avessero fatte opere secondo Dio."

 

Il danno, la punizione che avranno sarà quello di non ricevere alcuna ricompensa, che invece riceveranno tutti quei cristiani che hanno costruito secondo i criteri sopra esposti.

 

La salvezza non è forse la cosa più preziosa? Se non si perde la salvezza uno potrebbe pensare: cosa me ne faccio di altre ricompense? Basta non perdere la salvezza e così posso fare i miei

 

comodi come voglio, con peccati veniali di ogni tipo. Questa è la conseguenza pratica a cui porta questa conclusione. Ed è una implicazione di non poco conto, perché verrebbe messa a rischio seriamente la nostra anima, se non avessi il timore di incorrere nelle conseguenze anche dei peccati minori. Ma il testo non dice che "perde la ricompensa". Questa è una interpretazione, non la traduzione che può essere: Sarà punito oppure subirà un danno.

 

Il danno di cui si parla è il danno di non ricevere una ricompensa preziosa, come avrebbe potuto essere se si fosse costruito con materiale prezioso, anziché con materiale scadente.

 

Secondo me invece il danno è una punizione, è una pena che si subisce per il cattivo operato.

 

Perché dovrebbe essere giusta la tua interpretazione e non la mia?

In tale interpretazione in fondo si gioca tutto il resto del problema, a quanto pare.

 

Non ritengo per nulla inferiore la mia interpretazione rispetto a quella di altri, in particolare quando la mia interpretazione non è solo mia ma collima con quella della Chiesa. Coloro che non sono d'accordo si tengano pure le loro presunte verità; ma sappiano che anche le loro dottrine possono essere assimilate alla paglia che il fuoco brucerà.

 

Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore

(l‟insulto sia sui nemici suoi), il figlio che ti è nato dovrà morire» (2 Sam 12,13-14)

 

Il Signore che perdona i nostri peccati non ci esime dalla pene che scaturiscono da essi. Un po‟ come la giustizia terrena, un uomo che ruba non può sperare di non andare in carcere, tuttavia quando avrà scontato la sua pena ritornerà libero come prima. Questo ci indicano i versetti sopra citati che parlano del peccato di Davide con Betsabea la moglie di Uria.

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06/09/2009 11:53

“Che il soggiorno dei morti sia diviso lo sappiamo, anche se io preferisco parlare di stato dell'anima, per precisare un paio di cose.

 

Nel Paradiso si contempla direttamente il Volto di Dio e si è nella beatitudine celeste. Nella beatitudine celeste sono ammessi solo coloro che sono puri come dice l'Apocalisse "Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello." (Ap 21,27) Questo stato di purità corrisponde a quello che dice la lettera agli Ebrei queste anime sono "primogeniti iscritti nei cieli."

 

Nella prigione (o Purgatorio) l'anima desidera entrare nella Gerusalemme Celeste ma poiché tutto il nostro spirito arde per quella meta e poiché non siamo puri nei nostri talenti o non abbiamo portato la croce con amore, non siamo tra i "primogeniti iscitti nei cieli". Questo particolare comporta che: la Misericordia di Dio ci viene incontro ci porta alla perfezione come dice la lettera agli Ebrei

 

"gli spiriti dei giusti portati alla perfezione". Quando siamo perfetti si può entrare nella Gerusalemme Celeste!

 

Rileggiamo alcuni brani della lettera di Pietro:

 

1Pietro 3:18-22

 

“Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a

 

Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Figura, questa, del battesimo, che ora salva voi…”

 

1Pietro 4:4-7

 

“Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti; infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito.

 

La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera.”

 

Ora se rileggiamo la Trasfigurazione, Mosè ed Elia non avevano certo bisogno dell'annuncio del Cristo dal momento che hanno conversato con lui come ci racconta il Vangelo, e così se Abramo ha potuto essere protagonista del racconto di Luca l'evangelista è segno che in qualche modo era a conoscenza di Gesù, perché altrimenti Gesù lo farebbe diventare protagonista di una storia?

 

Inoltre Pietro è chiarissimo e dice: E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere” perciò non sta parlando né di Abramo, nel del suo seno, né di Mosè, né di Elia. Abramo era il Padre della fede ed è impensabile che attendesse in "prigione" o che il "suo seno" come riferimento fosse una "prigione". Non era neanche Mosè poiché Mosè ha creduto in Dio sul monte Oreb e grazie a questa fede, Dio, con l'aiuto di Mosè ha liberato il popolo d'Israele dalla schiavitù d'Egitto. Come poteva Dio operare attraverso Mosè se "...aveva un tempo rifiutato di credere"? Mosè ha creduto come Abramo. Elia ha creduto anche lui. Infatti quando ha invocato il fuoco dal cielo, il fuoco è sceso dal cielo. Può Elia "aver un tempo rifiutato di credere"? No, Abramo, Mosè ed Elia hanno creduto poiché è scritto sulla Bibbia, ed è a causa della fede dei padri e dei profeti di un tempo, che Dio ha fatto si che la storia della salvezza dell'uomo continuasse fino a Gesù Cristo. Quindi nè Abramo (padre della fede), nè Mosè (padre d'Israele), nè Elia (principe tra i profeti), "avevano un tempo rifiutato di credere". Lì Pietro dice chiaramente che Gesù andò da chi aveva rifiutato di credere, non certo, da Abramo, Mosè ed Elia avevano già creduto, anzi, è grazie alla loro fede che il disegno di Dio è continuato. Riagganciandomi a Lazzaro, si legge: “fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” che


 

era già un luogo eccelso, il Paradiso dei giusti. Ti faccio notare che gli Angeli portano Lazzaro nella Gerusalemme Celeste che è esattamente quello che dice la lettera agli Ebrei. Cioè che la Gerusalemme Celeste è abitata da:

 

1.    Il Mediatore

2.    Miriadi di Angeli <-- vedi qui

3.    primogeniti iscritti nei cieli.

4.    Gli spiriti dei giusti portati alla perfezione

 

Tornando alla lettera di Pietro quest'ultima afferma che Gesù è sceso nell'Ade: E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere” Ora richiediamo ai fratelli evangelici, potete provare che questa prigione è stata chiusa? Oppure dobbiamo credere che nessuno da allora si è più rifiutato di credere?

 

LA FEDE E LE OPERE

 

 

Le buone opere non sono la causa della giustificazione, ma il risultato.

 

La salvezza non è conquista ma dono, non è traguardo ma premessa. Romani 6:23 perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

 

Non vivo per salvarmi ma per costruire qualcosa di utile agli altri.

 

Questo comporta anche una liberazione delle opere dei cristiani che non sono più finalizzate alla salvezza di chi le compie, ma soltanto al benessere di coloro cui sono destinate. Matteo 5:16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.

 

Le opere buone non sono più quelle buone per me, cioè utili alla mia salvezza, sono quelle buone per gli altri, cioè rispondenti ai loro bisogni.

 

L‟espressione finale si trova inserita in questo contesto del Catechismo, ci tengo a sottolinearlo:

 

2008 Il merito dell'uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto che Dio ha liberamente disposto di associare l'uomo all'opera della sua grazia. L'azione paterna di Dio precede con la sua ispirazione, mentre il libero agire dell'uomo viene dopo nella sua collaborazione, così che i meriti delle opere buone devono essere attribuiti innanzitutto alla grazia di Dio, poi al fedele.

 

Il merito dell'uomo torna, peraltro, anch'esso a Dio, dal momento che le sue buone azioni hanno la loro origine, in Cristo, dalle ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito Santo.

 

Gesù ha promesso ricompense differenti a seconda del grado di impegno messo dai credenti. E da questo ricavo che le opere dei credenti non saranno giudicate solo dalla fede ma soprattutto dalle opere conseguenti alla fede, la cui retribuzione sarà differenziata.

 

Vediamo solo qualche esempio tratto dalla Scrittura:

 

Mat 25,15 “A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo


 

padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.”

 

Come possiamo vedere, il servo che si è dato da fare per trafficare i propri talenti, alla fine ha avuto una ricompensa maggiore di colui che ne ha trafficati di meno o per niente. In quest‟ultimo caso anzi il servo pur conoscendo la severità del Padrone, il che presume la sua fede in Lui, è stato gettato nel fuoco eterno: (“E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti).

 

Vediamo un altro esempio:

 

Nel discorso del monte Gesù enuncia delle beatitudini a ciascuna delle quali assegna un tipo di ricompensa particolare e per quelli che subiscono persecuzioni a causa del proprio nome Gesù dice di "esultare perché grande sarà la vostra ricompensa nei cieli". Il che significa che avranno una maggiore ricompensa degli altri.

 

Gesù inoltre accenna che a sedere alla sua destra e alla sua sinistra vi saranno coloro che il Padre avrà designato. E che quella posizione avrebbe potuto essere conseguita solo da chi avrebbe bevuto il calice amaro della passione.

 

Ap.7 e 14 riporta inoltre due gruppi di salvati:

 

E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra. Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello. Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia.”

 

In questo brano viene fatta una distinzione tra due gruppi di persone in cui si individua una particolare differenza di risultato finale della loro fede. I primi che sono vergini e senza macchia vediamo che vengono ricompensati in modo diverso dalla grande folla.

 

Quindi riassumendo ci sono due categorie di cristiani: quelli che saranno salvati "come attraverso il fuoco" cioè privati della ricompensa ma non della salvezza e quelli che non solo saranno salvati, ma riceveranno una ricompensa.

 

Inoltre secondo questo testo attraverso questo fuoco è CERTO che devono passare TUTTI i cristiani.

 

Certo che tutti compariranno davanti a Cristo che come fuoco avvilupperà le nostre anime. Ma siccome anche nella vita presente noi veniamo già a contatto con il fuoco divino, se siamo già stati purificati da questo fuoco nella vita presente, attraverso le prove e le tribolazioni, il fuoco del giorno del nostro giudizio non ci recherà alcun danno e non avremo pene, altrimenti il fuoco divino consumerà quello che rimane ancora di impuro e noi avremo il danno o la pena.


 

Vi saranno anche coloro che passeranno il fuoco completamente indenni perché già purificati dal fuoco, già "salati dal fuoco" nella vita presente.

 

Atrraverso questo fuoco non si passa dopo la morte, ma nel GIORNO del Signore, quando Gesù tornerà.

 

Anche il giudizio particolare può essere Giorno del Signore in cui Gesù torna per ogni anima.

 

E‟ palese che talune espressioni della Scrittura possono avere più sensi e più applicazioni. Teniamo presente che Paolo non precisa che si tratta del giorno del giudizio finale. Questa è una interpretazione soggettiva.

 

Inoltre, anche se Paolo abbia avuto in mente il giudizio finale, teniamo presente che nella mente di Paolo, la fine di tutto era ormai prossima ed egli aspettava di poter essere trasformato in un batter d'occhio per incontrare il Signore nell'aria prima della fine della sua esistenza terrena. (1Co 15,51) Le Scritture in generale e quindi anche Paolo, non contemplano un lasso di tempo di duemila anni e oltre, in cui milioni di anime sono morte ed hanno avuto una loro sorte ultraterrena. Ben poco sappiamo di questa vita oltre la morte proprio perché la Scrittura si premura di evidenziare la prossimità della fine e non tiene in conto il periodo intermedio che è logicamente un fatto relativo e passeggero, ma che tuttavia abbraccia un corso ultramillenario. Vi sono pochi e vaghi accenni nelle Scritture su come vivranno i morti fedeli, infedeli o parzialmente fedeli. Mentre la Chiesa si è trovata ben presto a fare i conti con questo tempo intermedio tra l'ascensione e il ritorno di Cristo, non appena si è accorta che trascorrevano decenni, secoli e millenni, al fine di dare una risposta a quanti si pongono la legittima domanda: ma cosa ne è di quanti sono morti e sono da tanto in attesa della resurrezione?

 

Su vaghi accenni (come ad esempio Luca 12, 41ss e altri rari e versetti) dobbiamo dunque dedurre le nostre interpretazioni, ma con la sola Scrittura, si può giungere a conclusioni del tutto differenti. Per questo fidiamoci della guida dello Spirito alla sua Chiesa e non delle nostre vedute altrimenti saremmo sempre soggetti a questi venti di dottrina. Possiamo, certamente cercare di comprendere, approfondire quanto vogliamo, ma alla fine si impone la domanda fatidica: perché dovrebbe essere vera l'argomentazione di un evangelico e non di un cattolico? Soprattutto quando un testo permette due o più conclusioni? Si tratta di vedere di chi vogliamo fidarci, ognuno è libero di fare le tue scelte ma queste scelte possono portare a conseguenze di enorme portata.

 

Il cristiano dopo la morte va subito in Cielo, come il ladrone sulla croce, che anche se appena convertito, riceve da Gesù la promessa che sarebbe subito andato in Cielo, alla presenza di Dio.

 

Se questo fu vero per il ladrone pentito non è detto che debba essere vero per tutti. Quel ladrone ha avuto modo di incontrarsi col fuoco dell'amore di Cristo ed ha avuto molto probabilmente la Grazia di provare un dolore perfetto delle sue colpe. Inoltre ha avuto la pena e la sofferenza inimmaginabile della crocifissione. Al Signore è parso bene di giudicarlo meritevole del paradiso. Possiamo dire che questo valga per tutti?

 

C'è differenza tra essere in cielo alla presenza di Dio e lo stato finale in cui tutti i cristiani saranno con il loro corpo risorto, pensiamo ad Ap 6,9-11 dove le anime dei cristiani sono vicine a Dio, ma non ancora col loro corpo risuscitato che riceveranno successivamente (Ap 20,5)

 

Insomma, perché non lasciarsi guidare dalla Scrittura e cercare invece in essa il sostegno di una dottrina prestabilita?

 

Infatti, perché andare dietro alla dottrina prestabilita dalla tradizione protestante e non invece da quella cattolica, che è ben più radicata nella Scrittura e nell'approfondimento di essa?

 

(fin qui il fratello Mario del sito Difendere la vera Fede).


 

Passando agli altri versetti delle Sacre Scritture che si riferiscono al Purgatorio, non dobbiamo credere che la Chiesa ad un certo momento li abbia rilevati e ne abbia in seguito tratta la conclusione che c‟è il Purgatorio, e in conseguenza di ciò abbia preso ad insegnare che bisogna pregare per le anime dei defunti. No, la Chiesa possedeva fin da principio completa la sua fede e la sua struttura almeno nella sostanza.

 

I morti vengono giudicati secondo le loro opere; giustificati per grazia ma giudicati secondo le loro opere, altrimenti non ci sarebbe bisogno nemmeno del giudizio universale, esisterebbero solo i santi e i nemici di Dio. I santi sarebbero tali solo perché giustificati per grazia da Gesù, e i nemici di Dio perché hanno rifiutato l‟amore di quest‟ultimo. Se le opere non contassero nulla il giudizio universale a che servirebbe?

 

Se non ci fosse stato Gesù, le nostre buone opere sarebbero state considerate in ogni caso immondizia agli occhi di Dio, perché pur impegnandoci non saremmo stati mai perfetti, non possiamo raggiungere la perfezione, solo per mezzo di Gesù possiamo sperare di salvarci, e saremo giudicati secondo le nostre opere, senza Gesù il giudizio universale non ci sarebbe stato, sarebbe esistita sola la perdizione eterna, vista l‟incapacità dell‟uomo a salvarsi da solo, ma le nostre opere provengono dalla nostra fede.

 

E‟ terribile cosa essere giudicati da Dio quando si è in peccato; alle anime occorre misericordia divina per entrare in Paradiso, noi fratelli della famiglia di Dio, dobbiamo pregarlo di usar quella stessa misericordia verso i nostri fratelli defunti.

 

 

 

 

 

TRACCE NEL VECCHIO TESTAMENTO

 

 

Giuda Maccabeo trovò nascosti sotto le tuniche dei suoi uomini caduti in battaglia monili consacrati agli idoli che essi avevano sottratti ad un tempio pagano: “Fatta poi una colletta, mandò a

 

Gerusalemme dodicimila dramme d‟argento, perché fosse offerto il sacrificio per i peccati di quei defunti” (2 Macc 12,43 e 46)

 

Ma il libro dei Maccabei dai protestanti viene considerato apocrifo, rimando il lettore che desidera chiarimenti in merito al capitolo dedicato ai libri apocrifi, nel presente capitolo invece continuerò a dare spiegazioni bibliche circa il purgatorio.

 

Accenno solo che Lutero, non osò depennare dalla Bibbia tali libri deuterocanonici e cioè: Tobia, Giuditta, 1° e 2° Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc con la lettera di Geremia, e alcune parti di Ester e Daniele; si contentò di metterli in fondo.

 

Riprendendo il discorso sul purgatorio, dalle Sacre Scritture rileviamo che i discepoli di Nostro Signore erano familiari con le idee del peccato e del giudizio, sentendole da Gesù le intendevano precisamente come noi le intendiamo oggi. Sentivano così che Gesù avrebbe reso ad ognuno secondo il suo operato (Mt16,27) attenzione la fede è sott‟intesa ma saremo giudicati per le nostre opere (azioni); che alcuni peccati sono puniti con molte staffilate e altri con poche (Lc12,47 e 48); che alcuni hanno molti peccati di cui devono essere perdonati, altri pochi (Lc7,47); che di ogni parola vana dovremo rendere conto il giorno del Giudizio (Mt 12,36); e che alcuni peccati non saranno perdonati né in questo mondo né nell‟altro (Mt 12,32).

 

Tutto ciò li induceva a pregare di più per i loro morti, perché mentre faceva crescere in loro il senso della santità di Dio davanti alla quale i defunti vengono giudicati, aumentava anche la loro speranza in un misericordioso perdono.

 

Gesù esponeva loro le austere verità della morte, del giudizio e dell‟inferno e diceva che il paradiso va conquistato in questa vita: “Non è forse di dodici ore la giornata?” (Gv 12,35) “Camminate mentre avete la luce” (Gv12,35). “Poi vien la notte quando nessuno può operare” (Gv 9,4)


 

“Questa notte stessa ti si chiederà l‟anima tua” (Lc 12,20) “Morì anche il ricco e fu sepolto nell‟inferno” (Lc 16,22) “ove sarà pianto e stridore di denti.” (Mt 8,12)”.

 

Gli Apostoli scrissero alcune cose che per noi sono misteriose, ma che per i loro primi lettori dovevano essere chiare.

 

Abbiamo visto che Cristo predicò agli spiriti in prigione e che avevano atteso la pazienza di Dio al tempo di Noè. Per questo motivo veniva predicato il Vangelo ai morti, che se essi dovevano essere giudicati secondo gli uomini nella carne, potessero anche vivere secondo Dio nello spirito (1 Pt 3,19-20). E Paolo ci parla di battesimi dati ai vivi per i morti (1Cor 15,29). Sebbene il pieno significato di queste cose ci sfugga, almeno questo è chiaro: che c‟erano anime di morti in attesa di essere portate in cielo e che i cristiani sulla terra tentavano di aiutarle.

 

Dalla stessa Bibbia apprendiamo che tra l‟inferno e il paradiso c‟è un grande abisso

 

(Lc 16,26) e che una volta finiti all‟inferno si è già ricevuta la ricompensa, quindi non c‟è più nulla da fare o sperare, infatti Abramo dice al ricco: “nessuno di voi può venire da noi” (Abramo si trovava in Paradiso) ciò significa che questi morti (quelli che attendevano fin dai tempi di Noè) che erano in prigione (1 Pt 3,19-20) chiaramente non erano all‟Inferno, ma non erano neppure in

 

Paradiso, dove erano quindi?

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LA PRIGIONE

 

Abbiamo visto che a questo luogo (stato) il cui nome non viene menzionato, la Chiesa ha dato il nome di Purgatorio, come ha dato un nome ai Libri Sacri chiamandoli Bibbia, come ha dato un nome alle tre Persone divine chiamandole Trinità. La Chiesa ha dato dei nomi a realtà importanti del cristianesimo per far meglio capire realtà che ci vengono insegnate dalle Sacre Scritture.

 

Quindi il Purgatorio non è un luogo inventato dalla Chiesa cattolica, ma è il luogo dove si trovavano gli spiriti che erano in prigione dai tempi di Noè. Abbiamo pure visto che nelle Sacre Scritture non c‟è traccia di una eventuale distruzione di questa prigione.

 

E‟ se ci soffermiamo a meditare sul significato della parola “prigione” ci accorgiamo che essa significa luogo di purificazione nel senso biblico, luogo di rieducazione nel senso civile-umano. In ogni caso la prigione serve per punire gli sbagli, ma contemporaneamente per rieducare, purificare le menti e i cuori, dando tempo “forzato” per riflettere e fare penitenza sui sbagli fatti.

 

Ecco un luogo dove si fa penitenza, dove si sconta la giusta punizione e si attende la liberazione, la Chiesa cattolica ha chiamato questo luogo “Purgatorio”.

 

S.Paolo in 1 Corinzi 3,14-15 ci dice: “Se il lavoro che ciascuno ha fatto sul fondamento resterà, egli ne avrà la ricompensa; se invece piglierà fuoco ne soffrirà il danno: sarà però salvo, ma come attraverso il fuoco”. Nelle ultime parole sembra si parli dell‟oro purificato dalle sue scorie per mezzo del fuoco e dell‟anima similmente purificata dalla ruggine dei peccati dopo la morte ed il giudizio di Dio. Questa purificazione è il purgatorio.

 

Continuando a guardare le S. Scritture, cosa ci dicono le sue prime pagine quando ci parlano dell‟uso degli Ebrei di far sacrifici e di piangere il trapasso dei defunti?

 

Alla morte di Aronne (Nm 20,29 e a quella di Mosè (Dt 34,8) gli Israeliti piangono per trenta giorni la loro morte. Non si può escludere che il pianto e le suppliche fossero rivolte a Dio perché usasse clemenza nel giudizio verso i due grandi personaggi.

 

E‟ verosimile che gli Israeliti piangessero a dirotto per trenta giorni senza pregare?

 

Indubbiamente il pianto degli Israeliti era accompagnato da preghiere quindi la dottrina del

 

Purgatorio si fonda su basi bibliche, fa parte dell‟insegnamento ordinario del Magistero ed è anche sancita in solenni documenti.


 

 

 

I SUFFRAGI PER I DEFUNTI


 

 

Nella vita della Chiesa la riflessione sull‟annuncio della penitenza e sul Sacramento della

 

Riconciliazione ha fatto sempre più approfondire la dottrina sul Purgatorio.

 

Se pure la Chiesa afferma e fonda la dottrina del Purgatorio, non lascia tuttavia intendere l‟impossibilità di una purificazione compiuta in questa vita. Anche nel secolo presente e addirittura nella dimensione della ferialità quotidiana, il cristiano può avvalersi di tanti mezzi di grazia ai fini di estinguere le pene temporali e ciò sia in modo parziale sia in modo plenario. Eccoci allora al tema interessante delle indulgenze.

 

Avversate dai protestanti in quanto a loro parere inaudite (solo Dio può dispensare la salvezza) queste vengono stabilite dall‟autorità della Chiesa in virtù del potere di legare e sciogliere

 

(infallibilità) di cui è depositario il successore di Pietro. Come si è già detto, le opere di carità assumono valore assai determinante per l‟espiazione delle pene temporali mentre perdura questa vita terrena: Cristo infatti non ha comandato, fondamentalmente, altra cosa se non l‟amore al prossimo anche nelle circostanze di vita privata e nelle decisioni prettamente personali, sicchè si può dire che ogni nostro atteggiamento, attività, modo di essere va evangelicamente orientato al servizio del prossimo. Paolo poi aggiunge che la carità paziente, umile, benigna e radicale è realtà destinata a perdurare nonostante la fugacità del tempo presente (1 Cor 13), e questo basta per affermare con forza che l‟amore al prossimo nell‟esercizio del bene a partire da un cuore generoso e bendisposto è prerogativa essenziale meritoria di riscatto dalle pene suddette.

 

Alcune indulgenze in forma parziale si acquisiscono nell‟accettazione del dolore fisico, della malattia e ancor di più nell‟accettare la prospettiva del trapasso nelle situazioni di grave infermità… insomma tutte queste concessioni ci incoraggiano sul fatto che la Chiesa, fedele al mandato e all‟insegnamento del Maestro e seguendo la Sua linea, tende a rendere molto agevole al fedele la soddisfazione di siffatte pene temporali, e che la loro esistenza non coincide affatto con la difficoltà di santicazione e acquisizione del Paradiso futuro.

 

Nella Chiesa, tanto Orientale che Occidentale, fu sempre in onore la preghiera per i defunti; questa è storia del cristianesimo che i fratelli protestanti non possono negare in alcun modo, possono solo (come infatti alcuni pastori fanno) tentare di insabbiare, cancellare o nascondere le prove storiche a loro scomode, adducendo come motivazione che quello che interessa è la sola Bibbia; una volta convinti i fedeli di questo, al resto pensano i pastori, e cioè alterano e interpretano (magari in buona fede) arbitrariamente le Sacre Scritture, portando gli ignari fedeli all‟errore.

 

ALTRE TRACCE NEL NUOVO TESTAMENTO

 

 

Paolo in 2 Tm 1,18 parlando del defunto Onesìforo, prega il Signore “perché doni la grazia di trovare misericordia presso Dio in quel giorno…

 

E prego i fratelli non cattolici di verificare cosa dicono in merito alcuni esegeti protestanti come Knabenbauer, Spicq, Plummer, ecc., si accorgeranno che in realtà anche questi teologi protestanti ammettono che Paolo prega per Onesìforo morto nella carne, e questo si nota anche dal fatto che Paolo rivolge i suoi saluti alla famiglia di Onesiforo, quando sarebbe stato più logico e corretto rivolgere i saluti prima ad Onesiforo e poi alla sua famiglia, se Onesiforo fosse stato ancora in vita. Il fratello Mario commenta come segue:

 

Si tratta di un testo che contraddice fortemente diversi punti "saldi"   della fede "evangelica":

 

I)                 Contraddice quella della salvezza "per sola fede", in quanto Onesiforo era credente e si era dato anche da fare a favore dei santi. Tuttavia Paolo prega per lui affinché Dio gli usi misericordia. Ma allora si dovrebbero chiedere: come mai? Non basta la sola fede di Onesiforo a considerarne CERTA la salvezza? Come mai Paolo pone questo dubbio?


 

Si contraddice forse con se stesso quando diceva che la giustificazione avviene in base alla fede e non per le opere?

 

II)             Ma veniamo alle opere: Onesiforo si era prodigato a favore dei credenti: come mai Paolo prega COMUNQUE a suo favore (e della sua famiglia)? Forse che anche quelle opere non erano sufficienti a confermare la fede di Onesiforo? Ma allora se Paolo pone il dubbio sulla salvezza certa di Onesiforo che mostrava fede e opere, come dovremmo intendere questa sua espressione: Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno?

 

III)          Se nonostante la fede e le opere di Onesiforo, ormai defunto, Paolo prega a suo favore, vuol dire che si può e si deve pregare a favore dei defunti, che per il Signore sono tutti viventi. Mt 22,32 Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi

 

IV) Se si deve pregare a favore dei defunti, vuol dire che essi potrebbero non aver ancora avuto l'accesso al Paradiso e, in attesa del giorno del giudizio, ci si deve prodigare con la preghiera, per implorare la misericordia di Dio in loro favore. E questo significa che vi è una condizione intermedia in cui le anime, prima della resurrezione, possono non essere nè all'inferno nè in Paradiso.

 

Spesso nella Scrittura, la sorte della famiglia risulta associata a quella di uno dei famigliari: si ricordi Lot che viene salvato con la sua famiglia, Noè che viene salvato con la sua famiglia, il carceriere di Filippi che viene battezzato con la sua famiglia…Quindi il fatto che Paolo menzioni la famiglia ancora vivente di Onesiforo significa semplicemente che Paolo ricorda accanto al defunto anche la sua famiglia come un tutt‟uno avviato alla salvezza.

 

Il fatto poi che nel salutare Prisca ed Aquila di cui fa i nomi, non saluti anche lo stesso Onesiforo, ma solo la sua famiglia, ci da un ulteriore elemento per dedurre che Onesiforo era morto.

Qualche fratello evangelico fa osservare:

 

“Questa misericordia non riguarda la salvezza, ma il premio, simboleggiato con la corona che Onesiforo avrebbe ricevuto nel giorno del Signore, non subito dopo la sua morte: conceda il Signore di trovar misericordia presso il Signore in quel giorno

 

Ma con il termine “misericordia” si deve intendere l‟amore che perdona le offese e non un premio per i meriti.

 

Ecco come Paolo utilizza questo termine.

 

1Tm 1,13 “…io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede;”

 

1Tm 1,16 “Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.”

 

Vi sono poi le tre parabole sulla misericordia, che troviamo nel vangelo di Luca al capitolo 15, cioè la pecorella smarrita, la dramma perduta, e il figliol prodigo; in esse viene spiegato cosa sia la misericordia, cioè il perdono che il Padre offre ai peccatori, e la gioia per averli ritrovati come figli, quindi questa misericordi riguard proprio la salvezza di questi figli un tempo perduti, o in procinto di perdersi.


Il premio invece viene identificato da Paolo come "ricompensa":

 

1Cor 3,14 “…Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa”

 

1Cor 9,17 “…Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato”

 

Col 3,24 “…sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo

Signore.”

 

Quindi non è corretto scambiare il significato dei due termini al solo scopo di aggiustare il significato dell‟intera questione alla propria veduta preconcetta. Se supponiamo che Paolo stia pregando perché Onesiforo trovi misericordia nel giorno del giudizio finale, è per il fatto che non è affatto scontata la sua salvezza e quindi Paolo prega affinché quel fratello trovi il perdono, in quel giorno. Per cui, se Paolo ammette la possibilità che nel giorno del giudizio, per un credente si pone il problema, se sarà o meno trovato puro davanti a Dio, è consequenziale dedurre che al momento della morte non tutti i credenti ne saranno degni e se non ne saranno degni, non tutti potranno immediatamente accedere nel Regno di Dio.

 

E questo, è bene notarlo, vale tanto nel caso che Onesiforo sia già morto, sia se fosse ancora vivente al momento in cui Paolo lo ricorda con quelle sue parole rivolte alla misericordia di Dio. Il pregare dunque per coloro che sono morti diventa pertanto un mezzo in più per far si che essi possano diventarne degni, attraverso una maggiore o minore purificazione così come il Signore dispone secondo la Sua infinita misericordia e bontà, nell‟attesa del giorno finale in cui si paleserà la loro condizione e potranno risorgere col loro corpo glorificato a seconda delle loro opere manifestazione e metro della loro fede. Pregare per i morti, come per i vivi, non ha in sé nulla di idolatrico o di anticristiano, come mostrano anche i graffiti dei primi cristiani.” (il fratello Mario del sito Difendere la vera fede)

 

 

 

LA PURIFICAZIONE

 

 

In Apocalisse 21,17: “…Ma nulla d‟impuro entrerà in essa” (nella Città celeste).

 

Ml 3,3 “…Il Signore purifica col fuoco le anime dei figli di Levi…”, Malachia sta parlando della fine dei tempi.

 

Anche qui si può vedere (almeno implicitamente) qualche riferimento alla purificazione delle anime. Se tutte le anime dei credenti fossero pure (come dicono i protestanti) chi dovrebbe purificare il fuoco?

 

E‟ chiaro che per entrare in Paradiso bisogna essere completamente purificati.

 

Rt 2,20 “…Noemi disse alla nuora (Rut): Sia benedetto dal Signore, che non ha rinunciato alla sua bontà verso i vivi e verso i morti”.

 

Misteriosa frase di Noemi che allude a realtà ultraterrene. Se tutti i morti hanno già avuto la loro ricompensa o la loro condanna che bisogno avrebbero di clemenza?

 

I morti nella carne hanno bisogno di clemenza perché alcuni di loro prima di entrare in Paradiso devono essere purificati dal fuoco, (Ap 21,27) perché nulla di impuro può entrare in Paradiso e solo la bontà di Dio può abbreviare il loro tempo di purificazione! Alcuni fratelli pur essendo stati perdonati in vita, ma non avendo avuto il tempo per scontare “la pena” inflittagli, la devono


 

scontare in Purgatorio, nella prigione, e non usciranno da lì fino a quando non avranno pagato fino all‟ultimo spicciolo. Pur avendo ricevuto il perdono di Dio devo scontare la pena assegnatagli, secondo la giustizia di Dio.

 

Se il giudizio di Dio si fermasse alla nostra vita terrena allora Noemi avrebbe detto: “…che non ha rinunciato alla sua bontà verso i vivi

 

Ma il riferimento alla bontà di Dio verso i morti fa supporre, indubbiamente, che ci sia un luogo di purificazione dopo la morte in cui la bontà di Dio si riverserà sui defunti. I carcerati in prigione attendono la fine della pena o la clemenza del giudice.

 

Non possiamo accettare le obiezioni di quelli che rifiutano la dottrina del Purgatorio perché ci sarebbe la “sovrabbondanza della Redenzione”. Si vede, cioè, la giustificazione come qualche cosa di giuridico, operata da Cristo solamente, senza partecipazione attiva dell‟uomo, della fede come fiducia totale.

 

A smentire questa interpretazione occorrerebbe citare molti passi del N.T. Mi contento di citarne due soltanto, (parla frà Tommaso) che ricordo mentre scrivo:

 

Gc 2,14-17 “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere…? “Così anche la fede: se non ha le opere è morta in se stessa”.

 

Col 1,24 “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa

 

La redenzione operata da Cristo è certamente completa, ma Paolo con la sua adesione e condivisione alla passione di Cristo, aiuta la Chiesa che è il Corpo mistico di Cristo. Quindi la dottrina del Purgatorio è definita ed è verità dogmatica.

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06/09/2009 11:54

LE PENE DA SCONTARE

 

 

Sempre la Chiesa ha creduto alla esistenza del Purgatorio. Dopo S. Paolo i grandi Padri e Dottori della Chiesa, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo, S. Efrem, S. Cipriano, S. Tommaso d‟Aquino, e così via hanno a mano a mano chiarito la dottrina del Purgatorio.

 

Nel Purgatorio si soffrono le pene della purificazione secondo il bisogno di ciascuno. L‟intensità e la durata sono su misura perfetta perché regolate dallo stesso giudizio di Dio.

 

Le anime del Purgatorio possono intercedere per noi e noi per loro, perciò possono essere suffragate con S. Messe, elemosine, penitenze, opere buone e soprattutto con la nostra preghiera.

 

A coloro che malignamente ci fanno osservare “ma le Messe in suffragio dei fratelli morti nella carne i preti se le fanno pagare…” rispondiamo che in realtà non si paga la Messa, ma si contribuisce al mantenimento della parrocchia, che quotidianamente affronta spese per varie bollette, e spese per la pulizia dei locali, per i fiori, e per manutenzioni varie, oltre al sostentamento del presbitero. Ma poi continua: in alcune parrocchie non si parla di offerta ma di contributo fisso, per ogni cerimonia e in particolar modo per le Messe in suffragio.

 

Il cosiddetto contributo fisso, viene domandato a chi se lo può permettere, di certo non ai poveri, e siccome in molti cattolici il presbitero intravede una scarsa generosità nel donare, pur di mandare avanti la Parrocchia, che non può sopravvivere con i centesimi offerti durante la Messa domenicale, stabilisce un contributo fisso per coloro che volontariamente chiedono Messe in suffragio dei cari defunti. Ma il contributo è per il sostentamento della Parrocchia non per la Messa, la Messa non si può comprare nemmeno con tutto l‟oro del mondo.

 

La madre di S. Agostino, S. Monica, sul letto di morte, a quelli che la circondavano, diceva:

Pregate per me! Non vi prendete cura del mio corpo, ma soltanto dell‟anima mia!”

 

E‟ certo che “i malvagi andranno all‟eterno supplizio; i giusti alla vita eterna” (Mt 25,46).

 

Leggendo tutto il contesto relativo a questi versetti si capisce bene che Gesù stava parlando del


 

solenne giudizio alla fine dei tempi. Questo grandioso scenario del giudizio di Dio, dà una risposta universale, definitiva.

 

Il Figlio dell‟uomo, il Re, è Gesù che proclama il giudizio di Dio sulla vita, che rivela il segreto dei cuori e delle azioni. Gesù si sente direttamente in causa nei nostri gesti e nei nostri rifiuti verso i più bisognosi… Non vi è compendio più espressivo della morale cristiana. Ma tutto questo non esclude la realtà del Purgatorio.

 

Quando Gesù dice al buon ladrone “Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in Paradiso”

 

(Lc 23,43), è chiaro che nel buon ladrone bisogna necessariamente vedere che egli riconosce Gesù come Figlio di Dio, che ci ha portato la verità e, senza neppure saperlo, in lui si è operato il battesimo di desiderio che l‟ha assolto da tutti i suoi peccati.

Tutto questo si deve supporre, anzi, dedurre dalle parole dello stesso ladrone quando dice:

 

“…Neanche tu ha timore di Dio benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto castigo per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunge: Gesù, ricordati di me quando entreremo nel tuo regno”. La risposta di Gesù è meravigliosa e ci fa comprendere quanto è grande la misericordia di Dio verso i peccatori sentitamente contriti.

 

La contrizione, la fede, la speranza, l‟amore del buon ladrone sono perfette, e Dio ci ha voluto lasciare questo esempio perché mai l‟offendessimo col mancare di fiducia e di confidenza nel Cuore divino di Gesù.

 

Nella parabola del figliuol prodigo Gesù ci lascia ancora vedere la grande misericordia del Padre, ma ci fa anche comprendere che chi ne beneficia dovrà corrispondere a tanta larghezza con un più grande amore. Qui il Purgatorio non c‟entra, come neppure in Gv 6,24, ove Gesù presuppone che chi ascolta la Sua parola la metterà anche in pratica, perché chi dovesse infischiarsene avrebbe costruito la sua casa sulla sabbia e non sulla roccia (cf Lc 6,49).

 

Gesù ha sofferto, sì, per noi, ma se non ne facciamo tesoro corrispondendo al suo amore per noi diventa inutile la sua passione d‟amore, infatti Egli ci ha avvisati: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà…” (cf Lc 9,23-26).

 

Quindi, la passione di Cristo ci è più o meno efficace a seconda della nostra collaborazione. Con ciò non intendo dire che le preghiere, penitenze, S. Messe in suffragio dei defunti siano un‟assicurazione al Paradiso, chi distribuisce e regola gli atti di culto è solo Dio l‟onnipotente.

 

Noi dobbiamo avere fede, e compiere santamente le nostre opere buone frutto della nostra fede, al resto pensa Dio. Quando consideriamo la nostra nullità ed i nostri peccati, ci rendiamo conto che né noi, né tutto il genere umano, possiamo degnamente riparare, ma dobbiamo sperare nell‟amore che Dio porta agli uomini. “Se guardi alle colpe, o Signore, O Signore chi potrà reggere?” (Sal 129,3). Quando Dio ci perdona possiamo proprio dire: “Venite a sentire, o voi tutti che temete Iddio; racconterò quante cose abbia fatte Dio per l‟anima mia” (Sal 65,16). Così quando desideriamo il perdono, è naturale che chiediamo a tutti coloro che amano Dio, di pregarlo affinché abbia misericordia di noi: “Supplico…tutti i santi e voi, o fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro”

 

(Confiteor in Ord. della Messa).

 

Le anime che soffrono in Purgatorio chiederanno nello stesso modo, ricorreranno alle preghiere dei loro fratelli sulla terra, sempre che Dio voglia che possano essere aiutate, perché queste anime sono più impotenti di noi e non possono fare per le loro pene assolutamente nulla fuorché soffrire e amare Dio affidandosi a Lui.

 

Poiché già il popolo dell‟Antica Alleanza, e noi Cristiani fin dal tempo degli Apostoli preghiamo per i nostri defunti (come fece Paolo per Onesìforo), noi continueremo quest‟opera di misericordia sapendo di stare nella vera dottrina cristiana ed apostolica.

 

S. Gregorio Magno S. Agostino ecc., parlano ampiamente delle preghiere per i defunti e tutto questo perché la verità di ciò che Dio insegna non può cambiare, anche se col tempo può apparire più chiara ed essere meglio compresa, come appunto è avvenuto con la dottrina del Purgatorio.


IL LIMBO

 

Per quanto riguarda invece la dottrina del limbo essa non è definita e non è neppure insegnata ufficialmente dalla Chiesa.

 

In precedenza ci sono state discussioni e opinioni che potevano sembrare dottrina ecclesiastica, in effetti però il Magistero non si è mai pronunciato in modo vincolante.

 

Prima di parlare del limbo, occorre premettere una distinzione.

 

Poiché tra i morti prima della redenzione vi erano giusti e peccatori, così nell‟inferno

 

(impropriamente chiamato anche sheol) gli Ebrei solevano distinguere i peccatori dai giusti e per i peccatori solevano parlare di “geenna” (cg (Mt 18,9), per i giusti invece di “seno di Abramo”.

 

Infatti, in: Lc 16,22-23 abbiamo “un giorno il povero morì e fu portato dagli Angeli nel seno di

 

Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell‟inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui…”

 

1 Pt 3,19: “…Infatti, è stata annunziata la buona novella anche ai morti , perché pur avendo subito

 

(perdendo la vita nel corpo) la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito”.

 

I bambini (passo citato Lc 18,16) sono proposti da Gesù a modello degli adulti, perché questi si sforzino di conquistare quelle doti che i piccoli posseggono naturalmente. Non si tratta di innocenza assoluta perché in essi c‟è il peccato originale.

 

Molti fratelli protestanti affermano che il peccato originale è solo l‟inclinazione della natura umana, non si tratta di qualche cosa di cui siamo infetti fin dalla nascita.

 

Certamente il peccato originale non è un peccato personale, ma una macchia contratta “per generazione” da chiunque nasce come discendente di Adamo ed Eva.

 

Nessuno (neppure il bambino) è escluso da tale macchia che è appunto detta originale.

Ritengo opportuno precisare (data la mia esperienza di dialogo con i protestanti) che nella parola

 

“nessuno” non intendo includere anche Maria perché ella fu graziata in vista del suo concepimento santo, questo argomento è stato comunque approfondito nel capitolo dedicato a Maria.

 

Stavo dicendo che nessuno neppure il bambino è escluso dal peccato originale. Infatti: “Se UNO (=chiunque) non nasce da acqua e da Spirito (=Battesimo) non può entrare nel Regno di Dio” (Gv 3,5). “Chi nasce dalla carne è carnale (=macchiato di peccato), chi nasce dallo Spirito (=col Battesimo) è spirituale (=purificato)” (Cf Gv 3,6).

 

Ecco, nella colpa sono stato generato, e nel peccato (=originale) mi ha concepito mia madre” (Sal

 

50,7).

 

Dio ci ha salvati non in virtù di opere… ma.. mediante un lavacro di rigenerazione nello Spirito

 

Santo” (Tt 3,5).

“…Come dunque per la colpa di uno solo (=Adamo) è riversata su TUTTI gli uomini la condanna

 

(=il peccato originale). Così anche per l‟opera di giustizia di uno solo (Gesù) si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che da la vita” (Rm 5,1 e ss.)

 

“Nulla ci urta più rudemente di questo mistero (=il peccato originale); e tuttavia senza questo mistero, il più incomprensibile di tutti, noi saremmo incomprensibili a noi stessi.. L‟uomo è più inconcepibile senza questo mistero, che questo mistero non sia inconcepibile per l‟uomo” (Biagio Pascal) infatti: “…per la disobbedienza di uno solo (=Adamo) tutti sono stati costituiti peccatori”

 

(Rm 5,12.18.19).

 

Nelle verità cristiane bisogna attenersi sempre scrupolosamente ai dati della S. Scrittura, corroborata dalla sana e santa tradizione apostolica. Il sentimento e i punti di vista personali, spesso frutto dei nostri pregiudizi, ci possono portare lontano dalla Verità.

 

La Chiesa, modellandosi sulla divina Misericordia e Provvidenza, ha cercato sempre di recepire e guardare con occhio piuttosto ottimista il messaggio della salvezza. Non si tratta di superficialità ma di maggiore comprensione e approfondimento della Divina Parola. La Chiesa ha sempre ritenuto valida l‟ammissione di un triplice battesimo, quello di a) acqua: “Se uno non rinasce da acqua e da Spirito Santo non può entrare nel Regno dei Cieli” (Gv 3,5). b) sangue “Chi avrà trovato la sua


 

vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39) 16,24-25; Mc 8,34-35; Lc 9,23-24; 17,33; Gv 12,25); c) desiderio: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch‟io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21); cf anche 10,30; 16,27; 17,21-22.26).

 

Bisognerà concludere, col Vat II, che “Dio ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene” (Cost. sulla Rivelazione, 3). Già Pio IX aveva detto: “Coloro i quali senza colpa ignorano la nostra santa religione possono, con l‟aiuto della luce e della grazia divina, ottenere l‟eterna salvezza” (D.B. 1677). Ancora prima di Pio IX, già S. Tommaso d‟Aquino e, molto prima di lui S. Giustino (2° sec.) ammettevano largamente che anche i pagani si siano potuti salvare. S. Agostino ammise la stessa cosa.

 

Sappiamo dai Sacri Testi, che la Divina Provvidenza “ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia” (Rm 11,32).

 

Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). “Dio non permette che venga punito con la pena eterna chi non ha commesso colpa volontaria”

 

(Papa Pio IX).

 

A sua volta il Conc. Vat. II (Cost. sulla Chiesa, 16) dice: “…Quelli che senza loro colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la Sua Chiesa…possono conseguire l‟eterna salute

 

Questi testi si accordano con:

 

-        Eb 11,6 “Senza la fede è impossibile piacere a Dio, perché chi si accosta a Lui deve credere che Dio esiste e che remunera quelli che Lo cercano”;

 

-        At 10,30: “…I pagani che per natura agiscono secondo la legge…sono legge a se stessie dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori”.

 

Sono dunque due le condizioni essenziali per essere graditi a Dio: la fede e le opere.

E tutto ciò perché la salvezza passa per il Cristo che è venuto per redimere tutti gli uomini.

 

La Chiesa di Gesù è strumento di salvezza “Colonna e sostegno della Verità” (cf 1 Tm3,15). L‟approfondimento scritturistico e teologico ci fa oggi meglio comprendere il mistero del Corpo Mistico di Cristo, per cui anche i non cristiani fanno parte dell‟anima della Chiesa, se non del

 

Corpo.

 

Nella Enciclica, “Mistici Corporis”, 102 Pio XII (1943) parla di “un certo desiderio inconscio” per il quale “i pagani si trovano ordinati al Corpo Mistico del Redentore”.

 

Quindi le calunnie che molti fratelli separati muovono contro la dottrina cattolica, dove secondo loro ci sarebbe scritto che si salvano solo i cattolici, e soprattutto quelli che fanno delle buone opere, dando la prevalenza alle opere più che alla fede, crollano da sole.

 

La base, il pilastro sul quale si fonda la nostra salvezza è la fede, le opere sono una conseguenza della nostra fede, sono la manifestazione, i frutti dello Spirito. Senza i frutti non si può dire di avere fede, “Dai frutti vi riconosceranno”.

 

Il limbo come abbiamo visto non è dogmatico, non viene menzionato dalla dottrina cattolica, il Purgatorio invece si. Egli ha istituito la Chiesa come Universale Sacramento di Salvezza (S. Cipriano). E chi si salva, si salva perché in qualche modo col battesimo di acqua, di desiderio o di sangue è incorporato in essa e, per essa, in Cristo. Perciò Cristo è il solo Mediatore e l‟unico

 

Salvatore di tutti.

 

La parola Chiesa non ammette plurali: ammettere più chiese significa ammettere più Cristi…” (Dal discorso di Paolo VI dell‟1.6.1965).

 

Oggi, una certa cultura di origine protestante, a forza di attenuanti e di alibi, ci vuol far credere che siamo talmente buoni da non poter meritare altro che il paradiso!...

 

Io dico che non è vero che siamo buoni, siamo peccatori, sia cattolici che protestanti siamo peccatori perché siamo nella carne, quindi tranne pochi casi di santità eccelsa, la maggior parte di noi non è pura abbastanza da potersi presentare a Dio, è logico quindi che prima di potersi presentare davanti alla gloria di Dio si debba essere totalmente puri da ogni peccato o peccatuccio, e


 

chi non arriva a purificarsi finché è nella carne lo deve fare nel purgatorio, nel quale verrà purificato dal fuoco, e si salverà stentatamente secondo la misericordia di Dio.

 

E‟ bene anche sapere che i luterani tedeschi nella pratica vi sono ritornati e trovano anche delle argomentazioni teologiche degne di attenzione per darle fondamento. Pregare per i propri cari è un moto troppo spontaneo per soffocarlo, è una testimonianza bellissima di solidarietà, di amore, di aiuto che va al di là delle barriere della morte.

 

Per quanto riguarda il limbo che non è mai stata verità di fede, il Card. J. Ratzinger, Prefetto della Congregazione della fede (diventato nel 2005 Benedetto XVI), così si esprime: “Personalmente – parlando più che mai come teologo lascerei cadere la questione del limbo che è sempre stato soltanto un‟ipotesi teologica. Si trattava di una tesi secondaria a servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede: l‟importanza del battesimo” (cf “Rapporto sulla fede”, Ed.

 

Paoline, p. 154)-

 

Le motivazioni che hanno condotto la Riforma Protestante a nutrire avversità nei confronti della questione delle indulgenze planarie e parziali, sarebbero da riscontrarsi, fra le altre, nel fatto che le autorità ecclesiastiche dell‟epoca avrebbero preteso in cambio delle indulgenze ottenibili dai viventi a beneficio dei defunti un obolo per determinate iniziative; tuttavia “può darsi che i predicatori… insistessero di più sul compimento dell‟opera richiesta (l‟offerta) senza accennare alla condizione essenziale che l‟offerente fosse in stato di grazia, come insegnava la dottrina classica sulle indulgenze”; e di fatto le condizioni essenziali sono sempre state di carattere spirituale.

 

Inoltre, se la preghiera è già esaustiva di queste indulgenze, lo è in modo molto più consistente il sacrificio eucaristico: la celebrazione della Messa è infatti il culmine della liturgia cristiana ed espressione della cultualità privata e pubblica, in quanto nel Sacramento dell‟altare vi è la dispensazione della grazia in forma sovrabbondante effusa dallo stesso Cristo sostanzialmente presente nello Spirito Santo. Ora, se l‟Eucarestia è la riproposta attuale del sacrifico di Cristo come non potrebbe avere valore benefico per la salvezza definitiva delle anime del Purgatorio? Sicchè è legittimo anzi doveroso che si celebrino delle Messe applicandole a beneficio dei defunti in quanto il sacrificio eucaristico che si celebra diventa merito delle anime stesse. Intendiamoci: la Messa ha valore universale e ogni sacrificio eucaristico assume connotati di grazia spirituale per tutti, ma ogni volta che si celebra la Messa il vantaggio spirituale viene orientato in particolar modo verso tre dimensioni che ora riportiamo nell‟ordine della loro importanza e precedenza: 1) primo luogo a vantaggio del sacerdote che celebra 2) in secondo luogo a beneficio delle anime del Purgatorio (tutte!) sicchè qualsiasi celebrazione eucaristica già di per sé ottiene dei meriti per i defunti purganti; 3) a vantaggio di una particolare intenzione specifica che il sacerdote intende mettere di sua iniziativa.

 

Quest‟ultima può essere applicata considerando particolari situazioni di emergenza o circostanze attuali per cui bisogna pregare e per le quali viene applicato questo sacrificio eucaristico oppure appunto accettando richieste di intenzioni per... il signor Tizio o Caio che è morto in quel giorno e anno. L‟applicazione della Messa per questo defunto particolare otterrà che questi possa estinguere eventuali pene temporali in Purgatorio; seppure il sacerdote non ha conosciuto o non conosca quella persona purgante certamente lo conosce il Signore molto meglio di Lui e applicherà senza dubbio il beneficio eucaristico spirituale per lui; poco importa allora se il prete omette di comunicare in pubblico il suo nome dall‟altare!!!!!

 

Nella stragrande maggioranza dei casi avviene invece quasi come una forma di commercio fra acquirente ed esercente quando si impegnano nelle nostre sacrestie le Messe per i defunti, come se l‟offerta di 10 euro fosse alla base delle condizioni per cui si stabilisce la Messa ragion per cui “la Messa è mia” e “guai se il sacerdote non dice il nome del defunto”. Situazioni simili sono da dirsi imbarazzanti e deprimenti, in quanto non si considera abbastanza il valore dell‟applicazione in se stessa: certo, è vero che è gradita l‟offerta per ogni intenzione per i defunti, ma non è in virtù della sommetta di denaro che deve essere inteso il valore sacrificale dell‟Eucarestia. Non per niente il Diritto Canonico pur raccomandando per implicito ai sacerdoti di non rifiutare le offerte per le Messe (anche perché orientabili alle opere diocesane) invita tuttavia a celebrare ugualmente


 

l‟Eucarestia qualora chi vuol fare applicare la Messa non sia in grado di contribuire economicamente. Bisogna pur dire e imparzialmente segnalare che in alcune realtà parrocchiali non viene spiegata adeguatamente la funzione e l‟importanza della Messa, mettendo troppo in risalto l‟offerta più o meno obbligatoria per la maggior parte dei parrocchiani. Di questo ne sono responsabili alcuni parroci che farebbero bene a spiegare di più ai fedeli, piuttosto che imporre tariffe che desacralizzano e umiliano il valore della Messa per i defunti.

 

Detto questo, come conclusione, mi piace ancora ripetere che i bambini non battezzati, come anche quelli che senza colpa non hanno conosciuto le verità rivelate – possono, con l‟aiuto della luce divina, della grazia e della Divina Misericordia e Provvidenza, ottenere l‟eterna salvezza. Carissimi fratelli e sorelle il Signore vi dia Pace!

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