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Il Purgatorio nella rivelazione dei Santi (con Imprimatur)

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2009 14:51
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07/09/2009 14:45

CAPITOLO XIII

I NOSTRI MORTI CI PROTEGGONO

Gratitudine


Essendo la gratitudine la virtù degli spiriti nobili, le anime del Purgatorio che sono sante, predestinate e future cittadine del ciclo, non possono non sentirla in grado sublime. Qualunque siano state le loro di­sposizioni quand'eran vive, dopo che l'eternità si è loro svelata, hanno perfezionato i sentimenti del cuore e, scevre da ogni bassezza terrena, non sanno più di­menticare i loro benefattori. È regola di giustizia che la gratitudine sia in rapporto al dono e al bisogno più o meno grande che se n'ebbe; ora qui trattandosi di un bene sommo, trattandosi di riunire a Dio quelle anime che hanno fame e sete di lui, e a queste di ottenere il possesso del loro Dio, l'ingresso nella cele­ste Gerusalemme; i gaudi di una eternità beata, è ine­stimabile il dono che noi veniamo a far loro, e quindi dalla grandezza di esso possiamo argomentare quanta sia la riconoscenza di quelle infelici verso di noi. Mo­strammo già in altro luogo come le anime purganti conoscendo fin da adesso i loro benefattori, preghino per essi; non staremo quindi a ripetere quanto dicem­mo, e solo convalideremo coi fatti le nostre asserzio­ni. - Leggesi nelle rivelazioni di S. Brigida (lib. IV, cap. 7) che un giorno in una visione ch'ella ebbe del Purgatorio, udì la voce d'un angelo che disceso in quel carcere a consolare le anime, ripeteva queste parole: - Sia benedetto colui che, vivendo ancora sulla terra, soccorre con orazioni e buone opere le anime purganti, poichè la giustizia di Dio esige che senza l'aiuto dei viventi siano queste necessariamente puri­ficate nel fuoco. - Nello stesso tempo dalle profon­dità dell'abisso intese salire un coro di voci suppli­chevoli che dicevano: - O Cristo, giudice giustissi­mo, in nome della tua infinita misericordia non guar­dare ai nostri falli, che sono senza numero, ma ai me­riti infiniti della tua preziosissima passione, ed infon­di, te ne preghiamo, nel cuore del clero sentimenti di vera carità, onde per le sue preghiere, mortificazioni, elemosine ed indulgenze applicabili in nostro suffra­gio, siamo soccorse nei nostri estremi bisogni. - Ed altre voci facendo eco a queste supplicazioni diceva­no: - Grazie siano rese a coloro che ci apportano sollievo nelle nostre sventure; la vostra potenza è in­finita, o Signore: renda il centuplo ai nostri benefat­tori, che ci conducono più presto nel soggiorno della vostra luce divina. - Anche alla Madre Francesca del SS. Sacramento vedemmo come apparissero anime per testimoniarle la loro gratitudine ed assicurarla della loro protezione, ed in molte altre rivelazioni da noi citate abbiamo scorto come esse esercitino in alto grado la virtù della riconoscenza.



Favori temporali e spirituali

Vediamo ora più particolarmente come i nostri morti ci proteggano sia nell'ordine temporale, sia nello spirituale. Numerosissimi sarebbero gli esempi che potremmo addurre, ma ci limiteremo solo ad alcuni pochi che ci sono sembrati più incontestabilmente provati.

Nel 1649 un celebre libraio di Colonia, Guglielmo Freyssen, per aver fatto voto di distribuire gratuita­mente cento copie di un libro sulle anime del Purga­torio ebbe salvo un bambino assalito da gravissima malattia, e poco dopo la moglie ch'erasi ridotta in fin di vita (Puteus Delunct. lib. V, art. 9). - A Parigi nell'anno 1817 una povera serva, educata cristianamente nel suo villaggio, aveva il pio costume di far celebrare ogni mese co' suoi tenui risparmi una Messa di requie per le anime del Purgatorio, assistendo per­sonalmente al divin Sacrificio e unendo le sue alle preghiere del sacerdote per meglio ottenere la libera­zione dell'anima che più ne avesse bisogno. Colpita da lunga malattia e licenziata dai padroni non ebbe più denari per soddisfare al suo pio desiderio. Il gior­no in cui potè uscire dall'ospedale non aveva più che venti soldi. Si raccomandò fiduciosamente al Signore, e postasi in giro per trovare servizio, avendo inteso parlare di un'agenzia che s'incaricava di collocare la servitù, là si diresse, allorchè nel passare dinanzi ad una chiesa si ricordò che in quel mese non aveva fatto celebrare la Messa consueta. Ma non possedendo più che venti soldi rimase in forse se doveva privarsene ò no: finalmente vinse in lei la pietà, ed entrata, fece celebrare il santo Sacrificio, al quale assistette con gran fervore, raccomandandosi alla provvidenza di Dio perchè non l'abbandonasse. Uscita indi di chiesa e preoccupata ed afflitta pel suo misero stato, prose­guiva il cammino, quand'ecco farlesi incontro un gio­vane alto, pallido e di nobile aspetto, il quale avvi­cinandosi a lei le dice: - Voi cercate servizio, non è vero? - Sì, mio signore, rispose la donna. - Eb­bene, andate in via tale, numero tale, presso la si­gnora tale, e credo che troverete da collocarvi. - E disparve dileguandosi tra la folla senza lasciar tempo alla povera donna di ringraziarlo. Questa allora si diresse subito nel luogo indicatole, e nel salire le scale vide discendere brontolando una domestica con un involto sotto il braccio. Le domandò se la signora fosse in casa, ma quella rispose brusca­mente che non voleva saperne di nulla, e che se la padrona avesse voluto riceverla avrebbe aperta la por­ta da sè, perchè essa appunto in quel momento aveva lasciato il suo servizio. La nostra domestica si fece allora coraggio e bussò alla porta indicatale dal gio­vane. La venne a ricevere una signora di aspetto no­bile e venerando, alla quale la ragazza espose l'acca­duto. Molte meraviglie fece la signora, non sapendo chi mai avesse potuto dare il suo indirizzo alla ragaz­za, dal momento che soltanto allora aveva cacciato la cameriera, in seguito ad insolenza ed a cattiva con­dotta. E mentre si stupiva di sentire che un giovane, sconosciuto ad ambedue, glie l'avesse in quell'occa­sione diretta, la ragazza, sollevando gli occhi verso un mobile e scorgendovi sopra un ritratto, s'alzò in piedi e disse: - Ecco, o signora, il giovane che mi ha parlato, e per parte del quale io vengo. - A tale assicurazione la gentildonna gettando un grido cadde priva di sensi. Appena ritornata in sè, slanciatasi al collo della povera giovane donna, ed abbracciandola con effusione le disse: - Fin da questo momento io ti considero non già come mia serva, ma come fi­gliuola carissima, poiché è stato mio figlio che perdei da due anni e che senza dubbio deve a te la sua libe­razione. Sii adunque la benvenuta, e resta nella mia casa dove insieme pregheremo sempre per tutti coloro che soffrono prima d'entrare nella patria beata! -

Il P. Magnanti, uno dei più fedeli discepoli di san Filippo, divotissimo delle anime del Purgatorio, fra tanti altri favori straordinari da queste ottenuti ebbe anche quello d'esser liberato dagli assassini mentre ritornava da un pellegrinaggio al Santuario di Lo­reto. Infatti attraversando un folto bosco, incappò nelle mani di questi, e legato ad un albero stava per essere ucciso, quando apparirono sulla sommità della vicina montagna due fanciulli sconosciuti, i quali con alte grida pareva volessero chiamare gli abitanti dei luoghi vicini in soccorso dell'assalito. I briganti che erano in numero di dodici non si sgomentarono per ciò e scaricarono contro i fanciulli le armi, ma questi continuando sempre a gridare s'avanzarono verso il P. Magnanti. A tale vista i malfattori presi da terrore e riconoscendo nel fatto l'intervento divino, si diedero alla fuga. Intanto i due bambini appressatisi al pri­gioniero, lo sciolsero e sparvero quindi all'istante. Il buon Padre rimasto libero ringraziò di cuore, le anime purganti, che con evidente miracolo l'avean così assi­stito in quel frangente, e da quel giorno in poi rad­doppiò le preghiere ed i suffragi a vantaggio di quelle infelici.

Un bravo soldato ebbe a scampare da certa morte per la protezione delle anime del Purgatorio nel modo seguente. Viveva egli in uno di quei periodi disastrosi del medio evo, nei quali la violenza e la discordia dominando sovrane nelle italiche città, spesso si vede­va scorrere in queste il sangue fraterno. In mezzo a quelle lotte però aveva sempre serbato la pietà ed i buoni costumi imparati da fanciullo, e devotissimo delle anime purganti s'era prefisso di non passar mai dinanzi ad un cimitero senza soffermarvisi a pregare. Un giorno essendosi allontanato alquanto dalla città, una turma di nemici gli si scagliò improvvisamente addosso. Datosi allora alla fuga e correndo per la campagna, arrivò ai piedi d'una muraglia, superata la quale si preparava a continuare la corsa, quando s'av­vide di trovarsi nel recinto di un cimitero. Gli venne allora alla mente il pensiero del voto fatto, ed avrebbe voluto inginocchiarsi a pregare, ma un solo istante ch'ei si fosse fermato, sarebbe inevitabilmente perdu­to. Nondimeno fattosi animo si gettò in ginocchio ai piedi della croce ch'era nel mezzo del cimitero, e men­tre recitava il De profundis, sopraggiunsero i nemici, i quali vistolo in quell'atteggiamento e beffandolo co­me pazzo gli si precipitarono addosso per ucciderlo; ma oh prodigio! una turma di soldati sbuca fuori al­

l'improvviso circonda il devoto milite, lo difende valordamente e pone in fuga i suoi nemici. Così quegli rimasto salvo ringraziò le anime sante d'averlo libe­rato da sì imminente pericolo e raddoppiò la sua de­vozione verso di loro (Segala, Triumphus animarum, 3" parte).

Un altro fatto degno di nota è il seguente. Eusebio, duca di Sardegna, vissuto nel secolo XIII, aveva una tenera divozione per le anime del Purgatorio, e non contento di aiutarle con preghiere aveva assegnate le rendite di una delle sue città alla fondazione di pii istituti in suffragio di esse, la qual città veniva perciò chiamata Villadio, ossia città di Dio. Astorgio, re di Sicilia, principe infedele, risolvette d'impadronirsene, ed avendo un esercito di molto superiore a quello del duca di Sardegna non tardò molto ad ottenere quanto desiderava. Alla notizia fatale il pio Eusebio desolato per vedere in tal modo venir meno alle anime pur­ganti tanta sorgente di suffragi, si pose in marcia coi suoi soldati per tentar di riconquistar Villadio, sebbene le sue forze fossero troppo sproporzionate di fronte a quelle del nemico. Mentre però s'inoltrava per la campagna, ecco farglisi incontro una numerosa schiera vestita di bianco e con bianchi stendardi, la quale fermatasi d'un tratto, mandò innanzi gli araldi che gridarono ad alta voce: - Non temete, o fratelli, poichè noi siamo milizie del Re del cielo inviate in vostro soccorso. Chiamate il vostro principe perché venga a colloquio col nostro Duce. - Eusebio allora fattosi innanzi, dopo aver conferito e preso gli ordini del Duce celeste ed unite le schiere a quelle di lui, arrivò sotto le mura della città. Astorgio sgomentato dinanzi a tanto apparato di milizia, abbandonò immediafamente la città senza opporre resistenza veruna. Eusebio volle ringraziare di tanto favore il celeste Comandante, ma questi gli rispose che i suoi soldati erano anime del Purgatorio, liberate mercè i suffragi da lui fatti, che il Signore le aveva inviate per difen­derlo in quel frangente, e che continuasse quindi sem­pre a soccorrerle e fosse sicuro che quante anime li­bererebbe, altrettanti protettori avrebbe nel cielo (Ros­signoli).

Se vediamo le anime del Purgatorio tanto premurose nel soccorrerci nei nostri bisogni temporali, che cosa dovremo dire della sollecitudine con cui ci pro­teggono nell'ordine spirituale? Disgraziatamente, sic­come le necessità dell'anima sono meno visibili di quelle del corpo, ne risulta che molti di questi favori ci passano inosservati; non possiamo negare però che molte buone ispirazioni, molti santi pensieri li dob­biamo alle preghiere di esse. Nell'ora della tentazio­ne, ora terribile in cui soccombendo ci allontaniamo da Dio, in cui la caduta può essere il primo anello di una catena fatale che ci terrà un giorno legati nelle prigioni ardenti dell'Inferno, lo spirito nostro si trova esitante fra la vista del piacere promesso e l'incentivo al peccato; il cielo e la terra sono spettatori di questa lotta, e il divin Salvatore getta sopra di noi uno sguardo di tristezza, mentre il demonio esulta speran­do di guadagnare una preda. È quello un momento supremo che decide della vita o della morte di un'a­nima. Eppure non di rado questa trionfa, e arrivata sull'orlo del precipizio, se ne ritrae riportando una vittoria alla quale possono susseguirne tante altre che valgano a condurla in Paradiso. Ebbene, in quel mo­mento di esitazione spesso dal Purgatorio s'innalza a Dio l'umile preghiera di un'anima: De profundis cla­mavi ad te, Domine! la quale facendo scendere dal cielo la sovrabbondanza della grazia, arreca forza e vittoria al combattente. – Oh! quant'è mai ammira­bile il mistero della comunione dei Santi! Quale stu­pendo spettacolo, dice il conte De Maistre, è quello di vedere un'immensa città di anime, coi suoi tre or­dini, continuamente in rapporto fra loro e dove il mondo che combatte porge la mano a quello che sof­fre, ed afferra l'altra del mondo che trionfai. L'eter­nità dei secoli non basterebbe per ammirare quest'a­zione sublime che le anime esercitano scambievolmen­te in forza di sì bel vincolo. Specialmente nell'ora estrema della morte in cui la lotta è più accanita e decisiva, le anime del Purgatorio accorrono in soc­corso dei loro benefattori. Citammo altrove un fatto riportato a questo proposito dal Baronio; qui ne rife­riremo un altro ancor più strepitoso per le circostanze che lo accompagnano. (Segala, Triumphus animar., Il pars, cap. 22, n. I).

Nella Bretagna un fervente cattolico che fra le altre virtù aveva avuto quella di una grande carità verso i defunti, ammalatosi gravemente ricevette i conforti della religione. Il rettore della chiesa vicina, chia­mato per amministrarglieli, trovandosi in quel mo­mento impedito, inviò il suo vicario, il quale dopo aver adempiuto la sua missione, se ne tornava alla parrocchia, quando giunto presso l'attiguo cimitero, si sentì arrestato da una forza invisibile che gli impediva di muovere un sol passo. Guardò egli sgo­mentato intorno a sè, e vide dinanzi ai suoi occhi rinnovarsi un fatto simile alla visione d'Ezechiele; imperocchè la chiesa ch'egli poc'anzi ricordava d'aver lasciato chiusa, aveva le porte spalancate, i ceri arde­vano in fondo al santuario, ed una voce che partiva dall'altare gridava: - Ossa aride, ascoltate la parola del Signore. Sargete, o morti, e venite a pregare pel vostro benefattore or ora spirato. - Nello stesso tem­po un gran fracasso giunse ai suoi orecchi: le ossa s'agitavano in fondo alle tombe e si urtavano le une contro le altre con lugubre cadenza; uscirono indi i defunti dai sepolcri, e dispostisi processionalmente si avviarono al coro, dove seduti sugli stalli incomincia­rono con flebili voci a cantare l'Uffizio dei morti; fi­nito il quale rientrarono nelle loro tombe, i ceri del­l'altare si spensero e tutto cadde nel più profondo si­lenzio. Il vicario tutto tremante e spaventato corse a casa, e raccontato al parroco quanto aveva visto, que­sti rifiutò di credervi ascrivendo tutto ad effetto d'im­maginazione alterata, e soggiunse che almeno biso­gnava assicurarsi se il malato fosse realmente morto. Ma ben presto fu tolto di dubbio, poichè un messo venne ad arrecargli la nuova. Il vicario rimase cosa gommosso da questo fatto, che si ritirò nel monastero di S. Martino in Tours, di cui più tardi fu eletto priore per la vita santissima che vi menava, raccontando poi a tutti colle lacrime agli occhi a particolari di questa prodigiosa storia. - Nella vita poi di motti Santi si legge che al loro letto di morte accorsero anime ormai beate, liberate dal Purgatorio dalle loro preghiere, per condurli all'eterna beatitudine. - Aiutiamo quindi generosamente quelle infelici penanti colle nostre preghiere, con elemosine e con penitenze, ed allora saremo sicuri della loro assistenza efficace in vita ed in punto di morte.



CAPITOLO XIV

DOVERI CHE CI LEGANO AL PURGATORIO

I legati pii


Dopo aver visto quel che le anime del Purgatorio fanno per noi, parleremo in questo capitolo di quello che noi dobbiamo fare per loro. Talvolta, come in se­guito vedremo, è un semplice obbligo di carità quello che ci deve indurre a soccorrerle, talvolta invece sono rigorosi doveri di giustizia, specialmente verso certe anime, quelli che noi dobbiamo compiere, ed è di que­sti che ci accingiamo a trattare.

Non senza motivo l'autore dell'Imitazione di Cristo raccomanda ai fedeli di far molte opere soddisfattorie a vantaggio dell'anima propria durante la vita, senza, fidarsi troppo degli eredi che lascieranno in questo mondo, i quali se sono premurosissimi di entrare in possesso delle nostre sostanze, altrettanto sono gene­ralmente negligenti nell'eseguire le nostre volontà circa, le opere da noi destinate a sollievo dell'anima nostra. E' questo un fatto che esperimentiamo purtroppo giornalmente, quando vediamo famiglie che ereditarono un patrimonio talvolta ricchissimo mer­cariteggiare vergognosamente i pochi suffragi che il defunto si era riservato, ed ove l'insufficienza o l'a­stuzia della legge civile vi si presti, cercare ogni via per far dichiarare nullo il testamento, onde esonerarsi dall'obbligo di eseguire i pii legati lasciati dal defun­to. E' questa - lo sappiano bene le famiglie cristiane - una crudeltà delle più abbominevoli, e coloro che se ne rendono colpevoli verso i poveri defunti sono d'ordinario puniti da Dio con castighi severissimi. Allorchè ci meravigliamo di vedere sostanze vistosis­sime sfumare nelle mani di avidi eredi, riducendosi questi nella miseria, pensiamo che nel giorno in cui tutto ci sarà palese vedremo che la causa di tante ro­vine stava spesso nell'avarizia e nella durezza di cuore avuta da essi trascurando di soddisfare i legati lasciati dal defunto.

Racconta il Rossignoli (Meraviglia del Purgatorio, XXI) che a Milano una fertilissima proprietà essendo stata per intero distrutta dalla grandine, mentre quel­le vicine erano rimaste intatte, nessuno sapeva a che attribuire questo fatto, quando l'apparizione di un'a­nima del Purgatorio fece conoscere ch'era quello un giusto castigo inflitto da Dio a figli sconoscenti e cru­deli che non avevano eseguito la volontà dei defunti genitori. Le storie tutte riboccano di racconti nei quali si parla di case diroccate o rese inabitabili con gran detrimento dei proprietari, di terreni desolati dalla grandine, di bestiame decimato dal contagio, di sven­ture senza numero piombate sopra famiglie fino a ieri felici; e andando ad esaminare bene le cose, noi vi troveremo, non di rado, in fondo qualche obbligo non soddisfatto verso anime del Purgatorio abbandonate e che invano reclamarono i dovuti suffragi. - Specialmente poi nell'altro mondo la giustizia di Dio colpisce severamente i colpevoli detentori delle facoltà dei defunti. Ha detto lo Spirito Santo per bocca di S. Giacomo che un giudizio senza misericordia sarà riserbato a colui che non ha usato misericordia: ju­dicium sine misericordia illi qui non fecit rnisericor­diam (Tac. 2, 13). Qual rigore adunque di giustizia dovrà pesare su quei miserabili che per avarizia han­no lasciato penare le anime dei loro parenti per lungo tempo in Purgatorio, per non aver adempiuto le loro pie volontà?

Un episodio, impressionante e commovente ad un tempo; a proposito di sacrileghi detentori dei beni dei defunti, si legge nella vita di Rabano Mauro, scritta dal Triternio. - Rabano Mauro, che fu prima abate del celebre monastero di Fulda, e più tardi arcivesco­vo di Magonza, ardeva di carità e di zelo pei de­funti. Secondo le costituzioni dell'Ordine di S. Benedetto allorchè un monaco passa all'altra vita, per 30 - giorni continui vien distribuita la sua porzione di cibo ai poveri, in suffragio dell'anima sua. Or accadde che - nell'anno 830, avendo una pestilenza rapito moltissi­mi monaci, fra i quali un superiore, Rabano Mauro, fatto chiamare Edelardo, procuratore del monastero, lo incaricò di far distribuire ai poveri le solite razioni e gli raccomandò di non mancare, poichè Iddio lo avrebbe altrimenti punito severamente. Ma siccome anche nel chiostro trova albergo talvolta l'avarizia, Edelardo contravvenne agli ordini del superiore. Una sera in cui le soverchie faccende lo avevano costretto a vegliare oltre il tempo prescritto dalla regola, nel recarsi alla stanza da letto, attraversando la sala del Capitolo, vide con grande stupore l'Abate, circondato dai monaci, tenere adunanza. Avvicinatosi per accer­tarsi dello strano caso, trovò non già l'Abate vivente, ma il superiore defunto insieme con tutti gli altri mo­naci periti nella pestilenza, due dei quali, scesi dai loro stalli gli si fecero incontro e spogliatolo dei suoi abiti, dietro ordine del superiore lo disciplinarono aspramente, gridando: - Ricevi, o disgraziato, il ca­stigo della tua avarizia; e sappi che questo è nulla a paragone di quel che ti aspetta nell'altra vita. Tu scenderai fra tre giorni nella tomba, e tutti i suffragi che sarebbero dovuti all'anima tua saranno invece ap­plicati a coloro che la tua schifosa avarizia ha privato dei loro. - A mezzanotte quando i monaci scesero in coro per cantare mattutino avendo trovato Edelardo disteso in un lago di sangue e ricoperto di ferite, gli si fecero intorno e con ogni cura lo trasportarono al­l'infermeria; ma egli con voce morente disse: - Affrettatevi a chiamare il mio superiore, poichè ormai ho più bisogno dei rimedi spirituali che di quelli tempo­rali. Queste mie membra lacere e peste non guari­ranno mai più e mi accompagneranno fra breve al se­polcro. - Essendo indi sopraggiunto l'Abate, gli rac­contò in presenza dei confratelli il terribile avveni­mento, confermato dalla verità delle sue ferite, e tre giorni dopo, ricevuti i Sacramenti con viva contrizio­ne e pietà, passò di questa vita. Venne subito cantata la Messa di requie in suo suffragio, nonchè le altre trenta prescritte dalla regola, e per un mese intero fu esattamente distribuita ai poveri la sua porzione; in capo al qual tempo il defunto essendo comparso pal­lido e sfigurato a Rabano Mauro, questi gli chiese se si potesse far per lui qualche bene onde liberarlo da tanto soffrire. Ma quegli rispose: - O mio buon Pa­dre, vi ringrazio delle premure vostre e di quelle dei vostri monaci, ma vi annunzio che tutti i suffragi fatti per me fino ad ora non hanno giovato a liberarmi dalle mie pene, avendoli la divina giustizia applicati a quei miei confratelli che io vivendo privai dei loro. Vi supplico adunque di raddoppiare preghiere ed ele­mosine, affinchè dopo liberati essi, possa anch'io usci­re di questo carcere. - Essendosi allora continuato con più fervore da tutta quella comunità a pregare e a far elemosina per Edelardo, in capo al secondo mese ap­parve di nuovo tutto vestito di bianco e col volto sor­ridente, dicendo che la sua espiazione e quella dei suoi confratelli era compiuta, e che se ne saliva felicemente al cielo.

Ma non basta eseguire le pie volontà dei defunti, è necessario eseguirle prontamente e senza restrizioni.. Alcuni teologi hanno pensato che qualsiasi ritardo nell'esecuzione delle pie volontà dei defunti non do­vrebbe nuocere loro, dato che essi da parte loro hanno fatto tutto il possibile per assicurarsi i suffragi e che quindi non per colpa loro avviene il ritardo. Ma con­tro l'opinione di codesti teologi stanno le apparizioni delle anime, venute a lamentarsi coi vivi della negli­genza posta nel suffragarle. Dirà taluno che in que­sto caso dipenderebbe da noi prolungare il Purgatorio di un povero defunto, senza ch'egli ne abbia alcuna colpa. Così è, rispondiamo, ed appunto in ciò consiste il delitto di quegli avidi eredi che differiscono all'in­finito l'esecuzione dei pii legati: e questo è tanto più, vero in quanto che molte volte, i legati dal defunto stabiliti per l'anima sua non sono altro che restituzioni da lui dovute. La famiglia che lo ignora o vuole ignorarlo, ama meglio parlare di captazioni o di avi­dità clericali, e sotto tali pretesti fare annullare il te­stamento, mentre spessissimo si tratta di strette resti­tuzioni. Supponiamo che il moribondo abbia commes­so delle ingiustizie - cosa che accade ben di frequente anche fra le persone che agli occhi del mondo passano per onestissime - e che prima di comparire dinanzi a Dio, volendo riparare al mal fatto, e non volendo svelare ai figli o ai parenti il suo triste segreto, copra la sua restituzione coll'apparenza di un legato pio; che cosa avverrà di quell'anima se questo legato non sarà soddisfatto? Dovrà essere trattenuta per lunghis­simo tempo nel Purgatorio? Sarebbe cosa ben dura, è vero, ma moltissime anime apparse ci fan fede di questo fatto, assicurandoci che finchè la giustizia di Dio è lesa, non possono essere ammesse all'eterna beatitudine. D'altra parte essendo esse pure colpevoli di tanto ritardo nel soddisfare i debiti verso i loro cre­ditori, ai quali avrebbero dovuto far restituzione in vita, senza aspettare il momento in cui non rimarrebbe loro più tempo di farlo da sè, è giusto che talvolta Iddio si serva di queste nostre dimenticanze per pu­nirle adeguatamente. Se esse infatti soffrono, il povero prossimo offeso e pregiudicato da loro non ha sofferto e non soffre forse egli pure? Res clamat domino, e finchè la restituzione non sia compiuta, questo grido di lesa giustizia ripercuoterà sempre all'orecchio di quelle anime. Ci par dunque più sicuro attenersi al­l'assioma teologico, che cioè senza restituzione non vi è Paradiso.



Doveri verso i genitori e verso i figli

Dovere gravissimo è quello di suffragare i propri genitori. S. Elisabetta d'Ungheria, quando morì sua madre Geltrude, quantunque avesse fatte per lei lar­ghissime elemosine, mortificazioni e preghiere, se la vide una notte comparire col volto triste e smunto, e postasele ginocchioni dinanzi tutta piangente, dirle: - Figlia mia, figlia mia, ecco a' tuoi piedi la madre tua oppressa dal dolore: abbi compassione di lei. Io ti supplico di moltiplicare i tuoi suffragi onde la mi­sericordia divina mi liberi dagli spaventosi tormenti che soffro. Ahimè! quanto sono da compiangere co­loro che esercitano autorità sugli altri! Io sto ora du­ramente espiando i falli commessi quand'ero sul tro­no. In nome delle angoscie e dei dolori fra i quali ti ho messa al mondo, in nome delle veglie e delle fati­che sostenute per la tua educazione, ti scongiuro a fare il possibile per liberarmi da tanti tormenti! - S. Eli­sabetta, appena cessata la visione, si pose a pregare, a piangere e a flagellarsi così aspramente, che il suo corpo sfinito cadde in letargo, e mentre stava così so­pita, ecco comparirle riuovamente la madre vestita di bianco e col volto raggiante d'allegrezza, annunzian­dole che le preghiere da lei fatte in quel breve tempo le avevano schiuso le porte del cielo (Surio, 19 Nov., Vita S. Elisab.).

A S. Margherita da Cortona, che fu parimente generosissima verso i suoi genitori nell'offrire preghiere e mortificazioni, fu da Dio rivelato che il tempo della espiazione di essi era stato considerevolmente abbre­viato. - La venerabile Caterina Paluzzi quando per­dette il genitore passò otto intieri giorni in preghiere e macerazioni d'ogni sorta, in capo ai quali avendo fatto celebrare un servizio funebre e gran numero di Messe, rapita in estasi, fu dal divin Salvatore in com­pagnia di S. Caterina da Siena condotta in Purgato­rio, dove intese la voce lamentevole di suo padre, che tra mezzo alle fiamme la scongiurava ad aver pietà di lui e ad affrettare la sua liberazione. Presa da indici­bile angoscia, la Santa si volse a nostro Signore, e lo scongiurò ad aver misericordia di quell'anima, pre­gando anche S. Caterina ad intercedere per lei; ma ebbe in risposta che la giustizia doveva avere il suo corso. Allora ella s'offrì nella sua ammírabile carità a subire nel proprio corpo quel che restava ad espiarsi dal padre, e il Salvatore la esaudì, poichè l'anima dei padre volò dopo pochi istanti al cielo, mentre da quel momento in poi la vita di Caterina non fu altro che un lungo e continuato martirio (Vedi Diario Domeni­cano, 16 Ott.).

E perciò quando noi desideriamo conoscere la sorte toccata a coloro che abbiamo amato su questa terra, invece di alimentare questa curiosità che dispia­ce a Dio e che non giova per nulla a quelle povere anime faremmo molto meglio a pregare il Signore che le sollevi da quelle pene.

Dionigi Cartusiano racconta che quand'egli perdette il genitore, invece di pregare pel riposo di lui, si lasciò prendere dal desi­derio smodato di conoscere la sorte toccatagli, senza preoccuparsi di suffragarlo. Iddio, volendo riprender­lo di questo difetto, permise che una sera, durante la preghiera, una voce gli dicesse: - Perchè ti lasci ten­tare da tanto vana curiosità? Non sarebbe meglio che tu applicassi il merito delle tue orazioni in suffragio dell'anima del padre tuo, che soffre tra le fiamme del Purgatorio, piuttosto che cercar di sapere dove si tro­vi? - Ammaestrato da questo avviso Dionigi Cartu­siano si pose allora a pregare con fervore pel sollievo di suo padre, e la notte seguente vide, penare atroce­mente il defunto, mentre nel suo dolore gridava: - Ah! figlio mio, perchè mi hai così dimenticato? Abbi pietà del padre tuo, e soccorrimi con le tue preghiere. - Il religioso, tutto confuso per la sua negligenza, si pose a ripararla, e pregò finchè non seppe, per ri­velazione, della liberazione del padre.

Commovente, specialmente per un sacerdote, è quanto ci viene raccontato di Giovanni Rusbrock dai suoi biografi. Tra quanti ammiravano, per la sua sa­pienza, Rusbrock, ancora giovanissimo, si distingue­va la mamma di lui. Egli si era ritirato presso uno zio prete per essere addestrato nelle scienze umane, ma sapratutto nelle divine. « Sua madre, che non sapeva dove egli veramente fosse, lo apprese quando comin­ciò a diffondersi la fama della sua sapienza. Essa andò a Bruxelles, ma quando poté rinascere per via della virtù e della celebrità di suo figlio, non sospirò più per la sua presenza corporale... ». La donna en­trò in un ordine religioso, e dal chiostro continuò ad amare il figlio. Ma morì prima di avere raggiunto la perfezione. Rusbrock allora, nel suo amore filiale, aiutò l'anima di sua madre con preghiere quotidiane, « le quali non erano superflue perchè l'anima della morta ne aveva bisogno. Essa apparve parecchie volte a Rusbrock, domandando con voce lugubre, quanto fosse ancora lontano il giorno in cui egli sarebbe stato ordinato prete. Finalmente tale giorno arrivò. Rus­brock stava terminando la sua prima Messa, quando sua madre gli apparve ad annunziare la propria liberazione » (A. Cervesato, Giovanni Rusbrock, Torino 1936, pag. 32).

Se è stretto obbligo di giustizia pregare per i cari genitori defunti, è altrettanto doveroso per i genitori pregare pel riposo dei figli, dai quali sono stati preceduti nell'eternità. Se si amavano prima, tanto più si devono amare adesso. A che serviranno le lacrime e la disperazione di una madre o di un padre sconso­lato se non siano accompagnate da preghiere e suf­fragi per il figlio defunto? - Racconta Càtimpré che la sua nonna avendo perduto un figlio di grandi spe­ranze, piangeva giorno e notte sconsolatamente, sen­za pensare a pregare per l'anima del defunto che in mezzo alle fiamme del Purgatorio orribilmente soffri­va. Ma Dio avendo avuto pietà di lui, un giorno fece apparire in visione a quella desolata madre uno stuolo di giovani che si avviavano processionalmente verso una magnifica città. Ella guardò attentamente se fra ­essi vi fosse il suo caro figlio, ma ahimè! lo vide venire lontano lontano, solo, affaticato e colle vesti in­zuppate d'acqua. Richiestolo del perchè non prendes­se parte alla festa degli altri, rispose: - Le tue lacri­me, o madre mia, son quelle che ritardarono il mio cammino e macchiano così le mie vesti. Se è vero che mi ami, cessa una volta dal tuo sterile dolore, e sol­leva l'anima mia con preghiere, con' elemosine e con sacrifici. - Sparve la visione, e la pia donna, richia­mata a sentimenti più sublimi, si diè con tutto l'im­pegno ad ottenere la grazia della liberazione di quel­l'anima.

S. Elisabetta regina di Portogallo si mostrò molto più generosa verso sua figlia Costanza, la quale, dopo poco tempo da che erasi sposata al re di Castiglia, le fu da improvviso morbo rapita. Saputa l'infausta no­tizia, Elisabetta recavasi insieme con suo marito a Santarem, quando un eremita, correndo dietro il cor­teo reale, incominciò a gridare che voleva parlare ad Elisabetta. Venutole dinanzi, le raccontò come la re­gina Costanza gli fosse apparsa più volte e gli avesse confidato che era condannata ad un lungo e rigoroso purgatorio, dal quale sarebbe stata liberata in capo ad un anno, se ogni giorno fosse stata celebrata una Messa in suo suffragio. Elisabetta, d'accordo col suo sposo, fece quanto l'eremita aveva detto, e al termine di un anno le apparve Costanza vestita di bianco e raggiante di gloria, annunziandole che in forza delle Messe, da lei fatte celebrare, saliva in cielo, dove avrebbe sempe pregato per i suoi diletti genitori.



Per i sacerdoti defunti

Il dovere di suffragare coloro che maggiormente ci furono cari quaggiù in terra, ci richiama sul dovere che abbiamo di fare altrettanto per coloro che si pre­sero cura della nostra anima, i sacerdoti, i parroci, i direttori spirituali. In molte parrocchie si fanno ogni anno Uffizi e funzioni in suffragio dei Parroci defunti e dei sacerdoti che prestarono servizio in quella de­terminata chiesa: lodevole usanza, che dovrebbe es­sere introdotta in tutte le nostre chiese. Bella occa­sione sarebbe quella per ricordare ai fedeli le respon­sabilità che i sacerdoti, specialmente se addetti alla cura delle anime e alla direzione spirituale, si assumono, dinanzi a Dio, per le anime, e quindi l'obbligo di gratitudine e di giustizia di pregare per loro, una volta passati da questa all'altra vita. Forse le anime dei sacerdoti in Purgatorio sono le più dimenticate! Siano coloro che continuano la loro missione nel mondo, sacerdoti anch'essi, destinati alla medesima sorte, i primi a ricordarli coi loro suffragi, e ad inci­tare i fedeli a suffragarli. Non sarà piccolo il merito che si acquisteranno per quest'opera e grande la ricompensa che ne avranno nell'altra vita.



L'ordine delle nostre preghiere

Finalmente è dovere di giustizia pregare per tutti coloro che in un modo o in un altro si trovano in Purgatorio per causa nostra. Pensiamo che dirado il peccato è commesso nascostamente, e che il più delle volte esercita un'azione malefica su coloro che ne furono complici o testimoni! Ahimè! che gran male apporta lo scandalo! Quanta spaventevole responsabilità ap­porta ad un'anima! Eppure chi è fra di noi che possa dire di non aver mai commesso atto o pronunciata parola che non abbia fornito occasione di caduta a qualcuno de' suoi fratelli, il quale dovrà espiare la sua colpa o in questo mondo o nell'altro? Direte forse che non è sempre facile conoscere quali siano queste anime. Non importa: Dio le conosce, ed è nostro do­vere di avere ogni giorno un ricordo speciale di co­loro che debbono a noi la loro sorte sventurata.

E qui siamo spinti a dire poche parole sull'ordine che dobbiamo tenere nel ripartire i nostri suffragi in favore delle anime purganti, se vogliamo che a cia­scuna sia reso il suo. - In primo luogo, partendo da quell'assioma che nessuno ha diritto di mostrarsi li­berale se non ha prima cominciato dal liberar se stes­so dai suoi debiti, dobbiamo pensare a coloro ai quali siamo legati da obblighi speciali, e quindi per esem­pio, i sacerdoti, da quelli pei quali ricevettero incarico di celebrar Messe; gli eredi, da coloro che li hanno incaricati di soddisfare qualche pio legato. Dobbiamo quindi pensare ai pastori delle anime, ai sommi Pon­tefici, ai Vescovi, ai prelati, ai sacerdoti che ci am­ministrarono i Sacramenti e che furono istrumenti della nostra conversione, nonchè ai nostri parenti, pa­dre, madre, fratelli, sorelle, spose, figli, ed a tutti co­loro dai quali, abbiamo ricevuto educazione o confor­to quando vissero su questa terra. Dobbiamo poi ri­cordarci dei nostri benefattori, dei nostri amici e di tutti quelli che con un titolo qualunque ci hanno fatto del bene; e finalmente dobbiamo formare un'intenzio­ne generale per tutti coloro che si trovano in Purga­torio per cagion nostra, e questo non per devozione o liberalità, ma per stretto obbligo di giustizia.

Ciò facendo avremo reso a ciascuno il suo, avremo soddisfatto ogni nostro debito, ed allora potremo at­tendere fiduciosamente la sentenza che la giustizia di­vina pronunzierà a nostro carico, lieti di quanto è scritto nelle sacre pagine, che cioè le nostre azioni saranno misurate con la stessa misura con cui noi avremo misurata quella degli altri: Eadem mensura remetietu.r vobis (Matth., 7, s).



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