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Il Sacro Cuore di Gesù e il Sacerdozio (da regalare ai Sacerdoti)

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2009 15:17
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07/09/2009 15:08

PARTE SECONDA

LE VIRTU' SACERDOTALI DEL CUORE DI CRISTO



CAPITOLO I

Gesù Cristo modello del sacerdote


Gesù è il modello di ogni uomo. È lo stampo in cui gli eletti devono essere gettati prima di aver parte al regno di Dio. Ma se Cristo è il tipo che ognuno deve riprodurre; se ogni uomo deve regolare il battito del suo cuore su quello del cuore dell'uomo-Dio, c'è però qualcuno, fra gli altri, che deve più particolarmente ancora conformarsi a lui.

Sono quei privilegiati chiamati a seguire Cristo più da vicino; quegli uomini felici che vivranno una vita in tutto simile alla sua e che, nutrendosi della sua parola, seguendo il suo esempio, saranno, nel mondo, immagini viventi del Redentore: sono i preti di Gesù. Gesù-sacerdote, continua nella gloria il suo sacerdozio eterno. Ma vuole che lungo i secoli, degli altri se-stesso proseguano nel mondo la sua opera redentrice.

Un tempo Dio si era riservato la tribù di Levi. L'aveva presa per sé, destinata e consacrata al suo servizio. Così, sotto la legge della grazia e dell'amore, Dio ha destinato a sé un gruppo scelto. Chiama, in mezzo al Popolo di Dio, uomini più specialmente amati da lui. Li rende, più degli altri, conformi all'immagine del suo Fi­glio. Li colma di grazie, li arricchisce con doni maggiori, dà loro più amore. Li colma dei suoi privilegi e, rivestendoli di una parte della sua potenza, li rende, con il sacramento, sacerdoti e re, mini­stri della sua giustizia e dispensatori della sua misericordia.

Il prete è un altro Cristo: è l'unto del Signore. Segnato dal si­gillo del sacramento, passa in mezzo agli uomini, dominandoli dal­l'altezza della sua dignità e abbassandosi misericordiosamente fino alle loro miserie. Passa come passava Gesù; facendo il bene, gua­rendo ogni infermità e ogni debolezza degli uomini, offrendo la verità alle intelligenze, la consolazione al dolore, il perdono al pen­timento.

Passa come Gesù: nel mondo, ma non del mondo. Tocca ogni genere di impurità, ma rimane puro; si scontra con l'odio, ma rimane buono. Passa senza voltarsi indietro, senza costruire nulla di caduco per il futuro. Pensa all'oggi; versa la sua carità nel cuore dei più deboli e infelici.

Passa, ma la sua azione rimane. Se la sua anima di prete ripro­duce l'anima di Cristo; se il suo cuore si modella sul cuore di Cri­sto; se è così, allora non è più lui che agisce, ma Cristo che agi­sce in lui.

« Il cuore di Paolo è lo stesso cuore di Gesù ». Dovremmo sempre poter dire lo stesso di ogni prete. Allora non ci stupiremmo se questi preti ottenessero risultati, miracoli di grazia sull'esempio del ministero di Paolo. Ma troppo spesso la grazia della consacra­zione non ha trasformato il sacerdote. Il suo cuore è rimasto freddo, la sua anima troppo umana; il suo spirito non ha imparato ad innal­zarsi oltre la volgarità, e invece di essere, per la luce delle sue virtù e della sua santità, un faro luminoso che nella notte e nella tem­pesta conduce le navi al porto, è anche lui una misera barchetta in balia delle passioni.

Non è salito all'altezza da cui avrebbe potuto rischiarare gli uomini in difficoltà; non ha voluto restare sullo scoglio da cui avrebbe potuto tendere la mano ai naufraghi della vita. Forse la schiuma delle onde avrebbe qualche volta bagnato i suoi piedi; il vento si sarebbe forse scatenato contro di lui; ma sarebbe rimasto stabile, forte della forza di Dio.

Il prete non deve certo ritirarsi nella solitudine e nascondersi nell'ombra della sacrestia. Bisogna che viva in mezzo ai suoi fra­telli, nella loro vita, pronto a raccogliere su di sé, nella carità, ogni loro miseria e ogni loro dolore. Bisogna che sia là, preso da tutti e sempre, come Gesù, pronto a donarsi, frumento d'amore offerto per la vita di tutti. Ma se deve vivere in mezzo agli uomini, un prete non deve vivere una umanità banale. Perché i suoi fratelli - trovino in lui confidenza, perché possano appoggiarsi su di lui, bi­sogna che lo vedano più forte di loro, più illuminato, più puro, più disinteressato, migliore, autenticamente santo.

Studiando l'amore di Gesù, appropriandosi delle sue virtù, il prete riuscirà a trasformare il suo cuore. Vada verso quel cuore di­vino, vi penetri con una meditazione anch'essa carica di amore; si lasci soprattutto penetrare dalla sua vita. Si sforzi di pensare come Gesù, di amare come lui, di vivere come lui. Diventi, nell'unione a Cristo, un solo sacerdote con lui, un solo cuore e un'anima sola con il Signore.

Gesù Cristo, Dio e uomo, racchiude in sé la pienezza di ogni dono e virtù. Ma, fra tutte le perfezioni, alcune riguardano di più l'intelligenza, altre il cuore, altre l'esterno. La sapienza di Dio, la sua saggezza, riguardano per esempio soprattutto l'intelligenza; la carità e la misericordia, il cuore; la modestia e le attrattive della Persona di Gesù, l'esterno.

Tuttavia, se consideriamo il cuore di Cristo come il simbolo, l'organo, il tabernacolo del suo amore infinito, e se pensiamo che questo amore è il principio e il motore delle sue azioni, delle sue parole, della sua vita di Salvatore, potremo chiamare virtù del suo cuore, del suo amore, tutto quanto vedremo in lui.

Quando Gesù chiama i suoi preti al suo cuore, li chiama alla sorgente del suo amore; li invita a dissetarsi alle sorgenti della ca­rità di Dio; ma vuole anche invitarli ad approfondire lo studio delle sue perfezioni. Vuole i suoi preti simili a lui, santi come lui, buoni come lui, autenticamente formati sul suo cuore.

Tra le virtù del cuore di Cristo, alcune sembrano essere partico­larmente virtù sacerdotali. Lo si vede nei suoi rapporti di sacer­dote con il Padre e con gli uomini che ha frequentato - e ne ha frequentati molti - per essere di esempio a quanti dopo di lui dove­vano continuare la sua opera di sacerdote e di apostolo nel mondo.

Cristo, maestro adorato, rivela tu stesso ai preti le tue virtù. Sono degne di adorazione perché sono di Dio; ma, siccome sono anche umane, possono essere imitate. Tu le hai rese, attraverso l'unzione fortificante della grazia, accessibili alla debolezza dell'uomo, e quando hai segnato il tuo eletto con il sigillo che lo rende, con te, sacerdote per l'eternità, tu lo hai rivestito di luce e di forza.

Fa' riposare sul tuo Cuore quelli che vuoi unire alla tua missione; con­cedi loro di ascoltare i suoi palpiti. Ma più ancora, falli entrare nel tuo Cuore attraverso la contemplazione. Attingano il loro sacerdozio a questa sorgente di amore e verità; vi prendano lo spirito di preghiera e di fedeltà, la disponibilità e la dolcezza, l'umiltà e la purezza, la misericordia e l'amo­re.

Amen.



CAPITOLO II

Lo spirito di preghiera


Era giunto il momento per Gesù di manifestarsi al mondo. Stava per iniziare i suoi viaggi apostolici e mettersi alla ricerca delle pe­core perdute della casa di Israele.

Trent'anni di vita nascosta, trascorsi nel lavoro, nella preghiera e nel silenzio sembravano una preparazione più che sufficiente ai tre anni di vita pubblica. Tuttavia, Gesù non è di questo parere, e lo vediamo, prima di iniziare questa nuova fase della sua vita, spinto dallo Spirito nel deserto. Va a cercare, in una solitudine più pro­fonda, in una penitenza più austera, in una preghiera più ardente e costante, un'ultima e immediata preparazione.

Senza dubbio, Gesù non aveva bisogno di andare a prendere nell'intimità del Padre grazie e illuminazioni che possedeva in se stesso per l'unione della sua umanità con il suo essere Dio. Ma vo­leva esserci d'esempio, e indicare ai suoi sacerdoti, a coloro che dovevano dopo di lui continuare la sua missione, sia l'altezza del loro ministero, sia la necessità di cercare in Dio illuminazioni, doni, grazie esigite dalla loro missione.

La cura delle anime è ciò che c'è di più grande: è il lavoro di Dio. È però difficile, e sarebbe insostenibile per l'uomo, che av­verte la sua debolezza. Quando Dio chiama a questa missione, si impegna, nello stesso tempo, a provvedere il necessario. Tuttavia, se il prete non si mette in comunicazione con Cristo, se non va, con la preghiera, a pescare nei tesori di Dio, rimane vuoto, e si trova, di fronte alla grandezza dei suoi doveri, solo con la sua debolezza e con la sua insufficenza. « Senza di me non potete fare nulla ». È soprattutto nella cura delle anime che si rivela l'impo­tenza dell'uomo.

Spesso, Dio stesso avverte la volontà dell'uomo resistergli, e oc­corre che con i suoi benefici la pieghi, o che la spezzi con la sua potenza. L'uomo non può dominarsi e pretendere di entrare da solo nella via stretta del Vangelo; la parola dell'uomo non scuote le volontà che si ribellano, e l'azione esteriore del prete non può nulla, senza l'azione interiore della grazia nei cuori di coloro cui si rivolge.

Gesù ha pregato non solo per prepararsi al suo sacerdozio; durante i tre anni del suo apostolato, il Vangelo ce lo fa spesso vedere in colloquio con il Padre. A volte, lo vediamo sul monte prolungare la sua preghiera lungo la notte; a volte, abbandonando le folle, cerca un luogo più favorevole alla sua preghiera fra gli olivi del Getsemani o nella tranquilla casa di Betania. Lungo le strade della Giudea o della Galilea, lo vediamo spesso in disparte dal gruppo dei discepoli, raccolto in preghiera.

Ogni volta che sta per compiere qualcosa di grande, si apre al Padre. Quando raggiunge i discepoli camminando sulle acque del lago, è l'alba e arriva dall'aver passato, in solitudine sul monte, una lunga notte in preghiera. Quando vuole aprire le orecchie al sor­domuto, sospira profondamente e leva gli occhi al cielo. Accanto al sepolcro di Lazzaro, dopo aver sofferto di fronte allo spettacolo raccapricciante della morte e della corruzione, Gesù alza le mani e gli occhi verso il Padre, in una preghiera piena d'amore: « Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Sapevo bene che mi ascolti sempre. Se parlo così, è per questi che mi circondano, perché cre­dano che sei tu che mi hai mandato ».

Il prete, nel suo ministero, deve spesso camminare sull'orlo del­l'abisso. Deve anche aprire le orecchie ai sordi, e sciogliere la lin­gua ai muti; deve risuscitare alla grazia uomini addormentati nella corruzione del peccato. Non può far tutto questo, se non va a pren­dere in Dio la potenza che gli manca. Per queste imprese, così al di sopra dei mezzi umani, ci vuole l'intervento di Dio.

Dopo la Cena, Gesù prega ardentemente. Prega per la sua Chiesa, per coloro che il Padre gli ha dato, e l'amore trabocca dal suo cuore. In questo momento, è pienamente sacerdote, intercessore tra Dio e gli uomini, ponte tra Dio che è nei cieli e i suoi figli in terra.

Gesù prega per i suoi: prega anche per se stesso. Appena en­trato nell'orto degli ulivi, prova una tristezza mortale. Il turba­mento lo assale; lo spavento, il disgusto si impadroniscono di lui e lo accasciano. Gli sfugge un grido di dolore: « Padre, se è pos­sibile passi da me questo calice ». Ma ha pregato, e a poco a poco torna la pace: « Allora, un angelo gli apparve dal cielo per conso­larlo »; si rialza temprato per la lotta, pronto a tutto.

Nella sua vita privata, superiore a quella ordinaria, il prete deve spesso lottare con se stesso, contro le aspirazioni di una na­tura che, per quanto purificata e santificata, non è morta. Quando rientra nella sua casa deserta, quando si trova solo in una parroc­chia isolata, sconosciuto, senza un avvenire, una carriera, privo di tutte le gioie umane, a volte la solitudine pesa sul suo cuore di uomo. Se si sente invadere dalla tristezza; se la tentazione, come vento impetuoso, risveglia le sue passioni assopite e lo lascia cadere nel turbamento, allora deve ricorrere alla preghiera. Come Gesù, deve prostrarsi di fronte al Padre, chiedergli aiuto, chiamare a sé il Consolatore, che è fratello, amico: solo Gesù, con il suo amore, può colmare il vuoto del suo cuore.

Gesù ha pregato in croce. Mentre gli insulti e le bestemmie sali­vano verso di lui, ha pregato così: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno ». Quando le tenebre circondavano il suo patibolo e la sua anima era torturata da abbandoni che non sapeva spiegarsi, fu un grido di angoscia, un appello disperato al Padre: « Mio Dio! Mio Dio! Perché mi hai abbandonato? ». In­fine, quando tutto era compiuto, un'ultima preghiera, la preghiera della confidenza e dell'abbandono: « Padre, nelle tue mani affido il mio spirito ». Come Cristo, il prete è esposto agli scherni, alle ingiurie, alle maledizioni della gente ignorante e grossolana; pre­ghi per chi lo insulta, e la sua preghiera farà scendere in loro grazie insperate di conversione. Preghi quando soffre; preghi in agonia. Viva di preghiera, sull'esempio di Cristo. Rimanga, con la preghiera, in colloquio costante con la sorgente di ogni bene. Il prete deve donare molto: vada quindi a prendere molto in Dio.



CAPITOLO III

Il dono di sé


Venendo nel mondo, il Verbo incarnato ha detto al Padre: « Non ti sono graditi olocausti e sacrifici, ma mi hai dato un corpo... ». Un corpo, un cuore, un'anima umana: eccoli, te li offro; li dono alla tua gloria; li dono per la salvezza dei miei fratelli.

L'intera vita di Gesù è stata un'ininterrotta donazione. Ha di­menticato totalmente se stesso e ha dato tutto, senza escludere nulla. Ha dato il suo lavoro e il suo riposo, il suo tempo e le sue forze. Ha fatto dono totale della sua vita, e prima d'offrirla sul Calvario, l'ha consumata a poco a poco in un dono continuo. Ha dato il suo cuore ai suoi fratelli: ecco il segreto. « Ha amato e si dato ». Gesù ha unito in sé il sacerdote e il sacrificatore alla vittima. Come Sa­cerdote, non ha offerto altre vittime, donandosi e votandosi total­mente, è stato sacrificato. Ma non è un altro sacerdote che lo ha immolato: si è sacrificato. Veramente Gesù è insieme Sacerdote e Vittima, Sacerdote eterno e Vittima eterna per un sacrificio senza fine.

Cristo vuole in tutto simili a sé quelli che ha chiamato a se­guirlo ai vertici del sacerdozio. Il sigillo con cui li segna li rende partecipi della sua condizione. Sono sacerdoti con Gesù-sacerdote; con Gesù-vittima, sono vittime. Sono chiamati, certo raramente, ad andare con Gesù fino al culmine del sacrificio, a mischiare davvero il loro sangue al suo. È un'immolazione mistica, come l'immola­zione dell'Eucaristia, quella che è chiesta loro; ma è anche un'im­molazione visibile: il dono di sé, la disponibilità.

Cristo ha dato il suo lavoro e il suo riposo. Fin dall'inizio della vita pubblica, lo vediamo che predica di città in città, di villaggio in villaggio, la buona novella; insegnando nelle sinagoghe, gua­rendo i malati, consolando quelli che soffrono. Le sue giornate non gli appartengono: sono a disposizione di tutti. Passa da un luogo all'altro, da una infermità all'altra, da un dolore all'altro, sempre pronto a consolare. Le sue notti non gli appartengono di più: quelle che non consacra all'adorazione del Padre o all'intercessione per i peccatori, le passa a conversare con dei discepoli segreti. Offre ve­ramente tutto il suo tempo e tutte le sue forze. Senza riguardi per la debolezza del corpo, è sempre pronto al lavoro e al sacrificio. Molte notti passano senza riposo, molte volte mangia in fretta, molte giornate trascorrono senza un attimo di respiro. A volte sono marce faticose sotto il sole ardente, altre volte è la stanchezza in mezzo alla folla che preme da ogni parte. La sua disponibilità non arretra di fronte a nulla: calunnie, disonore, ingiurie, ingratitudine di quelli che colma di beni. Si dà, si esaurisce, annienta se stesso in una do­nazione totale.

Anche il prete di Cristo deve offrirsi ai suoi fratelli, e al Padre: non è prete per sé. Con l'ordinazione, diviene come Gesù e con Gesù il bene di tutti; diviene la vittima offerta al Padre per i pec­cati del popolo. Tutto ciò che è suo è di Dio, tutto ciò che è in lui è per gli uomini. Il suo lavoro, il suo riposo, il suo tempo, le sue forze, la sua stessa vita non sono suoi: tutto è dato, tutto è offerto.

L'aveva ben capito quel prete secondo il cuore di Dio che ri­spondeva così a quelli che lo rimproveravano per la sua disponibilità eccessiva: « A cosa serve un prete se non si consuma? ». A cosa serve il grappolo d'uva se rimane intero, con gli acini intatti? Se il succo non è spremuto, il vino non può riempire la coppa. A cosa serve il prete se non è interamente offerto? Se non è, in qualche misura, svuotato di se stesso, Dio non ha il suo calice, e gli uomini non sono dissetati.

Gesù ha lasciato tutto generosamente. Verbo di Dio, ha lasciato le altezze del cielo, il riposo nel seno del Padre, la pace della beatitudine senza fine. Ha lasciato tutto questo per prendere la forma del servo, per chiudersi nella debolezza e nell'infermità di un corpo mortale. Uomo, ha rinunciato alle gioie di una famiglia, alla tran­quilla sicurezza di una vita laboriosa e nascosta. Ha abbandonato tutto per una vita di rinuncia e di sacrificio, piena di incertezze e di angosce, di sofferenze e privazioni. Non ha cercato la propria gloria; lasciando la gloria risalire verso il Padre, ha tenuto per sé soltanto la sofferenza e l'umiliazione.

Alla sequela di Gesù, gli apostoli, i suoi primi sacerdoti, hanno abbandonato tutto. Pietro poteva dire sinceramente a Gesù: « A noi che abbiamo lasciato tutto per seguirti, cosa succederà? ». Il prete deve lasciare tutto; non che sia obbligato a lasciare mate­rialmente ogni cosa, ma il suo affetto non può essere legato a nulla di terreno. Non per questo deve spezzare i legami della famiglia e dell'amicizia: Gesù non ha amato meno Maria, sua madre, per la sua donazione totale; è stato amico di Marta e Maria e di Lazzaro. Ha per­messo a Giovanni, che amava, di riposare sul suo cuore. Questi le­gami, che Gesù ha benedetto, non sono terreni.

Ciò che il prete deve spezzare, sono quei legami umani che lo trattengono nella disponibilità. Rinneghi se stesso, le sue ambizioni, le sue inclinazioni al riposo, i punti di vista personali, le soddisfa­zioni puramente umane; tutto ciò che è dell'uomo carnale e mon­dano e tutto ciò che è della terra; tutto ciò che rimpicciolisce e abbassa.

Faccia degli uomini la sua famiglia, e vi si consacri completa­mente. Apra il suo cuore, lo colmi dei sentimenti di Cristo. Si offra, rinunci a se stesso, si dimentichi di sé. Si sacrifichi con Gesù sacrificato. Sia il pane delle anime con Gesù Eucaristia.



CAPITOLO IV

La passione per la gloria di Dio


Davide, personificando Gesù Cristo, esclamava rivolto a Dio: « Mi divora lo zelo per la tua casa ». Lo zelo, questa gelosia ar­dente della gloria di Dio e della salvezza degli uomini, ha consu­mato, ha divorato Cristo e, come tutte le passioni violente, lo ha portato ad eccessi, a follie d'amore e di donazione. Innamorato della gloria di Dio, ha deciso di lottare contro tutto ciò che poteva dimi­nuirla, di abbattere ogni cosa che potesse ostacolarla. Non meno infiammato per il bene e per la salvezza dell'uomo, si è votato a combattere, fino alla morte, tutto ciò che poteva nuocergli e com­promettere la sua felicità eterna. Questa passione bruciante lo ha man­tenuto sempre pronto alla lotta contro il male, contro gli errori, combattendo contro lo spirito del mondo, di quel mondo per il quale non ha voluto pregare. Ha condannato ogni falsità, ogni in­giustizia; tutto ciò che contrasta l'amore di Dio.

Gesù ha combattuto il male. Venuto nel mondo per allontanare lo spirito delle tenebre, lo vediamo costantemente alle prese con esso. Lo scaccia dal corpo degli indemoniati; lo minaccia, gli parla con autorità. Non si accontenta di liberare i corpi: lo scaccia anche dalle anime e lo perseguita in ogni forma sotto cui si nasconda. Gesù, bene sovrano e infinito, si trova costantemente in opposi­zione con satana, lo spirito del male.

Nulla arresta lo zelo di Gesù. Senza adulazioni per i grandi e i potenti della terra, senza cercare il favore della folla, va dritto al male ovunque lo veda. Un giorno, si arma di una frusta e, disper­dendo gli animali destinati ai sacrifici, abbattendo i banchi dei cambiavalute, purifica il Tempio dalla folla dei trafficanti? Non teme di scagliare l'anatèma, con forza, contro tutte le passioni umane: « Guai a voi, ricchi... Guai a voi, dottori della legge... Guai a voi, scribi e farisei ipocriti...» Gesù ha combattuto ogni errore. Ha portato al mondo la luce, la verità. Ogni errore che incontra sul suo cam­mino: errori di dottrina, di morale, false interpretazioni delle Scrit­ture, deviazioni dalla Legge, vane discussioni sulle osservanze le­gali, tutto ciò che va contro la retta ragione illuminata dalla fede; tutto questo è denunciato da Gesù, e perseguitato senza pietà.

Infine, Gesù combatte lo spirito del mondo: « Non amate il mondo, né ciò che è del mondo; perché tutto ciò che è del mondo è concupiscenza degli occhi, o concupiscenza della carne, o orgoglio della vita; non amate ciò che non viene dal Padre, ma dal mondo ». Così parlava Giovanni, l'apostolo che Gesù amava, che aveva ripo­sato sul suo petto e che doveva, più di ogni altro, aver conosciuto e capito i sentimenti più profondi di Gesù. Tutte le parole di Gesù, ogni sua azione, sono dirette contro questo spirito del mondo così opposto allo spirito di Dio. Gesù ha abbattuto e rovesciato il muro della triplice concupiscenza che teneva prigioniero l'uomo.

Il prete è un soldato di Dio. Come un tempo si vedevano i legionari marciare nei deserti e fra monti selvaggi per tracciare le strade della civilizzazione; come li si vedeva combattere fino alla morte all'ombra delle aquile romane per la gloria del loro Cesare; così si deve vedere il prete combattere costantemente per il bene, sotto la bandiera della Croce e lottare con coraggio contro il male invasore. Lavora per la gloria del suo Re; alla sua sequela, marcia alla conquista del mondo. Se cerca di divenire maestro delle anime, non è per asservirle, ma per liberarle. Il prete è con Gesù il difen­sore della verità: deve sostenere i suoi diritti e farli trionfare. Con la sua parola, se può parlare; con i suoi scritti, se sa usare la penna; con il suo esempio soprattutto, con la sua vita deve condannare ogni falsità e tutto ciò che può nuocere alla verità di cui è depositario. La passione per la gloria di Dio, ardente come quella di Gesù, illuminata dalla fede, infiammata dall'amore lo deve condurre a uti­lizzare ogni sua risorsa per quella Gloria e per la salvezza dei fratelli. Creato per sostenere i diritti di Dio, per difendere la sua eredità, per proteggere la debolezza degli uomini dalle imprese dei loro ne­mici, per diffondere il regno di Dio su tutti gli uomini, il prete deve temprare il suo coraggio attraverso la lotta. Deve essere, come Cristo, la luce del mondo: con la sua scienza, con la purezza della sua dottrina, soprattutto con la sua virtù, potenza di santità, zelo ispirato dall'amore. Deve essere una luce viva, ma anche vivificante e calda, che convince le intelligenze infiammando le volontà, che si impadronisce delle energie spirituali delle anime per indirizzarle al sommo Bene.

È grande la potenza del prete colmo della passione che nasce dall'amore di Cristo. È prete secondo il cuore di Gesù, ardente per la gloria di Dio, innamorato della salvezza delle anime, auten­tica fiamma d'amore uscita dalla carità di Dio per accendere il mondo.



CAPITOLO V

La dolcezza


La dolcezza è l'anima della bontà, forma delicata che la rende attraente. Una bontà rude e grossolana è una bontà senza volto, che non conquista. Ma quando è rivestita di dolcezza, attira tutto a sé. Così è stata la bontà di Gesù.

La dolcezza, temperando la sua dedizione ardente, rendeva Cri­sto affabile, attraente. Aveva segnato tutta la sua persona di un fascino così irresistibile che tutti, i bambini come gli anziani, gli ammalati, le folle andavano a lui e seguivano il suo cammino. « Im­parate da me che sono mite e umile di cuore », aveva detto Gesù. Questa mitezza interiore traspariva dalla sua persona e gli guada­gnava ogni uomo.

Amavano la sua conversazione, accoglievano i suoi insegnamenti che sapeva rendere semplici da capire e facili da abbracciare. Lo seguivano fin nel deserto, dimenticando le necessità della vita e, quando l'avevano intravisto una volta, quando avevano gustato il fascino della sua parola, non potevano più staccarsi da lui.

« Lasciate che i piccoli vengano a me ». Costantemente cir­condato dai bambini, amava prenderli in braccio, benedirli, pro­porli come esempi di semplicità e di purezza ai discepoli. « Male­detto - diceva - chi scandalizza uno di questi piccoli che cre­dono in me ».

Con gli ammalati e gli infermi che si avvicinavano a lui era pieno di benevolenza e compassione. Era facilmente colpito dal ve­dere la loro sofferenza. Lui, così pronto a soffrire, così impaziente di spargere il suo sangue, così desideroso della croce, delle spine, dei flagelli, non poteva sopportare la visione del dolore dei suoi fra­telli. Non poteva vedere una sofferenza senza guarirla; non poteva vedere piangere Marta e Maria senza piangere con loro. Con gioia e generosità utilizzava la potenza che gli veniva da Dio per guarire e per risuscitare.

Con i suoi discepoli, ancora così grossolani, dimostra una pa­zienza infinita. Li istruisce, li incoraggia, li rimprovera qualche volta, ma con dolcezza. Dopo giornate faticose, li invita a riposare: « Ve­nite, e riposatevi un poco ». Quando il pensiero della sua morte li turba e li lascia abbattuti, cerca di addolcire il loro dolore. Pro­mette loro il Consolatore, li assicura che sarà sempre con loro. Permette a Giovanni, il più giovane e amato degli apostoli, di appoggiare la testa sul suo petto come un bambino che riposa sul petto di suo padre. Tommaso vede Gesù rispondere alle resi­stenze della sua incredulità con generose concessioni: « Metti la tua mano nel mio costato, e non essere più incredulo, ma fedele ». E quando Pietro lo rinnega, non lo rimprovera; ma, per calmare il suo dolore, gli fa fare tre atti d'amore, tre proteste di disponi­bilità e di fedeltà che riscattano il suo triplice rinnegamento.

Tutte le parole di Gesù hanno il respiro della pace e della bontà: « Sono io, non temete ». « Abbi fiducia, ti sono rimessi i tuoi peccati ». « Perché rattristate questa donna? ». « Venite a me, voi tutti che siete stanchi, e io vi consolerò ». « La pace sia con voi - Io vi do la pace ». Il Profeta aveva detto che non si sarebbe sentita la sua voce gridare, e che non avrebbe disputato sulle piazze. Il suo parlare, infatti, è ricco di dolcezza; il suo inse­gnamento riveste di solito una forma semplice e armoniosa, misu­rato sulla bellezza della natura che lo circonda. E quando flagella le passioni cattive e i crimini dell'uomo, si sente, nella sua voce, più l'amore per i peccatori che il disprezzo o la collera.

Se già durante il suo apostolato, e poi dopo la risurrezione, Gesù ha mostrato questa dolcezza, lo ha fatto soprattutto durante la Pas­sione. Quando, dopo la Cena, lascia andare Giuda a compiere il suo misfatto, gli parla così dolcemente che gli altri apostoli credono che lo mandi a fare un'elemosina. Al Getsemani, quando il tradi­tore si avvicina e lo bacia, Gesù ricambia il bacio e gli dice « Amico, cosa sei venuto a fare? ». E quando Pietro impugna la spada: « Rimetti subito quella spada nel fodero », gli dice, e voltandosi verso l'uomo che aveva ferito, lo guarisce. Nel palazzo di Anna, un servo lo schiaffeggia brutalmente e Gesù: « Se ho parlato male, fammi vedere dove sbaglio; ma se ho parlato bene, perché mi per­cuoti? ». Di fronte ai giudici iniqui che lo condannano, in mezzo ai soldati che lo dileggiano e lo torturano, di fronte a quella folla che ha colmato di doni e che ora lo insulta e lo sbeffeggia, con­serva una dolcezza inalterabile, e rimane, Agnello muto, nelle mani dei suoi persecutori. Mentre lo inchiodano alla croce, non gli sfugge neppure un lamento, neppure una parola amara verso chi lo cro­cifigge.

Il prete è chiamato a rivivere la mansuetudine di Cristo. È mandato a guadagnare a Dio gli uomini, e nessun'arma è più po­tente della dolcezza e della bontà. Sia buono della stessa bontà del Salvatore, pieno di pazienza e di dolcezza, di tolleranza e carità.

Arriveranno a lui molte miserie; molte debolezze cercheranno il suo appoggio. Anime sofferenti o ferite, cuori urtati dalle ingiustizie della vita, spiriti sviati dagli errori del mondo, volontà abbattute o fuori strada saranno dirette verso di lui dalla mano misteriosa della Provvidenza.

Dovrà avere una mano dolce e delicata per fasciare tutte que­ste ferite. La sua azione dovrà essere soave e paziente. Può certo parlare con forza, colpire i vizi e ammonire i peccatori; ma le sue parole, le verità che annuncia, saranno più penetranti e convincenti se avvolte di dolcezza.

Il prete deve far conoscere Gesù. Deve farlo amare offrendo, con la sua vita, l'idea di ciò che è Gesù, bontà incarnata. Coloro che lo incontrano potranno allora chiedersi: « Se il servo è così buono, cosa sarà mai il suo padrone? ».

La dolcezza è una calamita potente che attira le anime. È quella rete misteriosa che il prete, pescatore di uomini, getta su di loro per trarli dagli abissi del peccato e portarli, nella barca della Chiesa, alla vita di Dio. Discepolo fedele, amico, compagno di Gesù, il prete che si è modellato su Cristo può continuare nel mondo l'opera di Cristo.

E’ un'opera d'amore; è l'opera della riconciliazione e della pace, della carità che soltanto l'amore, e la bontà che nasce dall'amore, la dolcezza che è il fiore e il profumo della bontà possono conti­nuare e portare a compimento.



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