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La Santa Messa, il Sacrificium (un capolavoro da non perdere!)

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2009 17:14
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07/09/2009 16:46

CAPITOLO SECONDO

DELL'ECCELLENZA DELLA SANTA MESSA


L'eccellenza della santa Messa è tale che gli stessi ange­li non potrebbero esprimerla degnamente, ma tuttavia io oso parlarne e sarà molto se riuscirò a darne una pallida idea. San Francesco di Sales le tributa molti titoli onorifici: "Il santissimo, sacratissimo e augustissimo Sacrificio dell'Altare è il sole degli esercizi spirituali, centro della religione cristiana, cuore della de­vozione, anima della pietà, mistero ineffabile, il quale compren­de l'abisso della carità divina mediante il quale Dio, dandosi realmente a noi, ci comunica magnificamente le sue grazie e i suoi favori"'.

Occorrerebbe troppo tempo per spiegare tutti i pregi elencati dal santo Vescovo di Ginevra, il quale vuol dire che, per acquistare una soda pietà e accendersi di amor divino, bisogna ascoltare con raccoglimento la santa Messa.

Il sapiente Osorio le dà la preferenza su tutti gli altri misteri della religione: "La Messa è, fra tutte le azioni sante che sono nella Chiesa, la più santa e la più preziosa, perché in essa è consacrato il SS. Sacramento dell'Altare ed è offerto a Dio in Sacrificio". Ecco quello che Fornero, arcivescovo di Bamberga aggiunge: "La Messa sorpassa in dignità tutti i sacramenti; que­sti sono pieni di maestà, ma quanto essa è più augusta! questi sono sorgenti di misericordia per i vivi; questa è per i vivi e per i morti l'oceano inesauribile della divina liberalità". E da notarsi quanto questo Dottore insiste sulla dignità del santo Sacrificio. Mostreremo ora tutte le ragioni di questa eccellenza che si rivela, prima di tutto, nel cerimoniale della consacrazione delle chiese e degli altari. Poiché poche persone hanno assistito a questo spet­tacolo e molte di quelle che hanno avuto il privilegio di goderne non hanno sentito o non hanno compreso le preghiere che l'ac­compagnano, le descriverò brevemente.

Consacrazione di una Chiesa cattolica

Il vescovo, dopo essersi parato degli abiti pontificali, nel luogo dove, fin dal giorno innanzi, sono state depositate le sante reliquie, recita a voce bassa i sette salmi penitenziali, poi, seguito dal clero, si reca davanti alla porta principale della chie­sa che è chiusa, mentre nell'interno della chiesa resta un diaco­no. Il vescovo invoca l'assistenza di Dio sul nuovo edificio e, quando il coro ha cantato le litanie dei santi fino alle parole: 'Ab omni malo, ecc.", benedice l'acqua, asperge se stesso e tutti gli assistenti, dicendo: 'Aspergimi con l'issopo, o Signore e sarò purificato, diventerò più bianco della neve". Poi conduce la pro­cessione attorno alle mura, che asperge dicendo: "In nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo". Intanto il coro canta la profezia nella quale è annunciato che "alla venuta del Messia, il tempio del Signore sarà fabbricato sulla sommità del monte e vi affluiranno tutti i popoli". Il vescovo ritorna alla por­ta ed implora su quella casa la protezione di Dio, creatore e padrone dell'universo, su quella casa della quale Egli stesso è fondatore, affinché vi sia sempre professato un culto puro, libero e pio. Nel dire queste parole si avvicina alla porta, la percuote col pastorale, dicendo a voce alta: "Principi, levate le porte; apri­tevi porte eterne e il re della gloria entrerà". Il diacono, da den­tro, domanda: "Chi è questo re della gloria?" E il vescovo ri­sponde: "E il Signore forte e potente, il Signore vincitore nei combattimenti". Poi il celebrante guida la processione, girando due volte intorno alle mura della chiesa, con le stesse cerimonie, benedicendo e aspergendo, la prima volta la parte inferiore, la seconda volta la parte mediana delle mura. Intanto recita un'ora­zione in cui ricorda che il Figlio di Dio, che è la pietra angolare, ha riunito i due muri opposti: il giudaismo e il paganesimo.

In un'altra orazione prega Dio di ricordarsi che ha pro­messo di confermare tutto ciò che i suoi sacerdoti avrebbero fatto in suo nome e di benedire tutto ciò che essi avrebbero be­nedetto. S'inoltra verso la porta e, per la terza volta, picchia nuovamente col pastorale ripetendo: "Principi, levate le porte; apritevi porte eterne e il re della gloria entrerà". "Chi è questo re della gloria?" domanda ancora il diacono. Il celebrante ed il clero rispondono: "È il Signore degli eserciti, il re della gloria". quindi ripetono: 'Aprite, aprite, aprite". A questo punto la por­ta si apre, il vescovo traccia col pastorale il segno della croce sulla soglia, dicendo: "Ecco il segno della croce, tutti i demoni siano messi in fuga". Entrato in chiesa dice: “Pace a questa casa”.

Il diacono risponde: "E’ al tuo ingresso". Il coro intona un canto di pace e ripete le parole del Vangelo: "Zaccheo, discendi pre­sto..." e termina così: "È stata portata la salute a questa casa da Dio stesso". Giunto in mezzo alla navata, il vescovo s'inginoc­chia e comincia l'inno Veni Creator Spiritus; poi recita le litanie dei santi alle quali si intercalano queste parole: "Degnatevi benedire, santificare e consacrare questa chiesa e quest'alta­re". Terminate le litanie si canta il Benedictus ripetendo dopo ogni versetto le parole del patriarca Giacobbe: "Come questo luogo spira sacro terrore! E’ veramente qui la casa di Dio e la porta del cielo!". Durante questo canto il vescovo scrive col pa­storale le lettere dell'alfabeto greco e latino, in forma di croce sul suolo, che perciò è stato precedentemente coperto di cenere; benedice poi il sale, la cenere e il vino mescolato con l'acqua e procede alla consacrazione dell'altare maggiore.

Il vescovo recita prima l'antifona e il salmo del princi­pio della Messa: "Mi avvicinerò all'altare di Dio, di Dio che rallegra la mia giovinezza. Sii mio giudice, o mio Dio e separa la mia causa da quella del popolo empio, ecc.". Durante queste preghiere immerge il pollice nell'acqua che ha benedetta e trac­cia una croce in mezzo e ai quattro lati della pietra. Nell'orazio­ne che segue domanda all'eterno Padre, in nome del Sacrificio che fu offerto sull'altare della Croce, di benedire quella pietra, della quale quella di Giacobbe era il simbolo e subito dopo into­na l'antifona: 'Asperges me, ecc." e il coro canta il salmo L. Intanto il prelato come gli israeliti alla presa di Gerico, gira sette volte intorno all'altare aspergendolo con acqua benedetta e ri­petendo l'antifona ad ogni fermata; fa ancora, per tre volte, il giro delle mura, aspergendole prima in basso, poi in mezzo e finalmente in alto. Nello stesso tempo il coro canta il salmo CXXI che parla del giusto, pacifico e felice regno di Gesù Cristo, i dieci ultimi versi del salmo XLVII dove è profetizzata la missione degli apostoli presso i pagani e infine il salmo XC che promette a quelli che Dio protegge, la sicurezza nei pericoli e contro le ten­tazioni.

Terminati questi canti e queste cerimonie, il vescovo si mette di nuovo in mezzo alla chiesa, in faccia all'altare, e ricor­dando in un'antifona la scala di Giacobbe sulla quale gli angeli salivano e scendevano, implora per quel luogo di preghiere le più abbondanti benedizioni del Cielo; dopo benedice il cemen­to destinato a sigillare il sepolcro. quindi il clero va in processio­ne al luogo dove furono poste le reliquie, le porta in chiesa can­tando le antifone seguenti: "Oh! quanto è glorioso il regno nel quale i santi si rallegrano con Gesù Cristo! Essi sono coperti di vesti bianche e seguono l'Agnello ovunque vada... La via dei santi è diritta, il cammino per il quale devono passare è pronto... Venite eletti di Dio, entrate nella città del Signore, per­ché vi hanno fabbricato un tempio nuovo, nel quale il popolo adorerà la maestà del Signore". Arrivati alla porta della chiesa si fermano e il vescovo rivolge un'allocuzione all'assemblea, esal­tando la santità del tabernacolo del Signore, dimostrando, tut­tavia, che esso è soltanto un'ombra dei nostri santuari e fa rile­vare quanto maggiormente si devono rispettare i nostri templi. Domanda in seguito al fondatore l'ammontare del fondo asse­gnato alla chiesa e stende il processo verbale.

Dopo una breve orazione, il Vescovo fa col sacro crisma un' unzione in forma di croce sulla porta, poi la processione si inoltra verso l'altare maggiore cantando queste parole: "I santi che hanno seguito le tracce di Gesù Cristo si rallegrano del loro trionfo e poiché essi hanno versato il loro sangue per amore di Lui, esulteranno di eterna allegrezza". Intanto viene consacrato il sepolcro dove si mettono le reliquie che vengono sigillate, men­tre il vescovo dice: 'Avete preso posto, o santi, sotto l'altare di Dio... Sotto l'altare di Dio ho sentito la voce dei martiri"; poi ancora: "I corpi dei santi vivranno nell'eternità" e altre parole tolte pure dalla Sacra Scrittura. Chiuso questo glorioso sepolcro il vescovo, incensando, fa il segno di croce col turibolo in mezzo e ai quattro angoli dell'altare; poi dà il turibolo al sacerdote che continua ad incensare girando intorno all'altare fino al termine della cerimonia. Intanto il coro canta il salmo LXXXIII, nel quale David anela al tempio di Gerusalemme, il salmo XCI che è una lode sublime indirizzata a Dio, il salmo XLIN, canto d'amo­re, nel quale sono celebrate le prerogative comunicate dal Sal­vatore alla Chiesa e il salmo CXLVII che esalta la sua magnifi­cenza, riguardo a Gerusalemme. Finalmente il consacratore unge col sacro crisma le dodici croci, dipinte sui muri e dà a ciascuna tre incensate. Di ritorno all'altare benedice l'incenso che dovrà esservi bruciato e i cui grani sono messi in forma di croce sulle cinque croci della pietra. Allora si accendono i ceri che vi sono stati messi appositamente, facendo comunicare la fiamma dal­l'uno all'altro e,mentre essi ardono sull'altare, il vescovo si ingi­nocchia dicendo: "Vieni, Spirito Santo, riempi di luce i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore". La ceri­monia termina con preghiere simili, cantate nel tono del Prefazio.

Alla fine il vescovo rivolge a Dio questa supplica: "Conferma ciò che hai operato fra noi nel tuo santo tempio che è a Gerusalemme. Alleluia!".

Il coro canta il salmo LXVII, inno alla vittoria della Chiesa. Si benedicono le tovaglie e gli arredi dell'altare e il ve­scovo comincia la Messa.

Il valore di queste cerimonie

Quelli che assistono alla consacrazione di una chiesa sono molto sorpresi di questo gran numero di cerimonie, di unzioni, di benedizioni e di preghiere. Perché tante noie, tanto tempo e tante spese? Per rendere il tempio più degno del subli­me Sacrificio che deve esservi offerto e per purificare l'altare che dovrà ricevere l'Agnello di Dio, vittima santa e senza mac­chia. Il cristiano resterà così convinto della santità della casa del Signore e del rispetto che essa esige. Il tempio di Salomone era l'immagine dei nostri, eppure i giudei ed i pagani stessi lo tene­vano in gran venerazione. Il Libro dei Re, cap. VIII e il Il dei Paralipomeni, cap. VI e VII narrano che Salomone alla consacra­zione di questo edificio immolò ventiduemila buoi e centoventimila pecore.

Mentre il re pregava ad alta voce un fuoco misterioso scese dal cielo divorando tutte le vittime e una fitta nube si diffu­se nel sacro recinto, rendendo visibilmente manifesta la Maestà divina. A questo spettacolo i figli di Israele furono presi da so­prannaturale terrore e caddero col volto verso terra, in atto di profonda adorazione. Poi Salomone gridò: "È credibile che Dio abiti veramente sulla terra? Se il cielo e i cieli dei cieli non pos­sono contenerti, quanto meno degna sarà questa casa che ho fabbricato io!".

Chi potrà mai comprendere la maestà di questo tem­pio? Eppure esso era la figura delle nostre chiese e racchiudeva l'Arca dell'Alleanza dove erano conservate le tavole della legge,

una piccola quantità di manna e la verga fiorita di Aronne. Nei sacrifici giudaici le vittime erano animali immolati e bruciati, offerti con pane e vino, focacce ed altre simili cose. Quanto maggiore è la superiorità del tempio cristiano consacrato con l'olio e il crisma, asperso d'acqua benedetta, profumato coi va­pori dell'incenso, santificato dall'imposizione del segno della Croce e destinato all'oblazione del santo Sacrificio! Invece del­l'Arca dell'Alleanza noi abbiamo il santo Ciborio nel quale è conservato il SS. Sacramento dell'Altare, il vero corpo di Gesù Cristo.

Grandezza dei templi cristiani

La chiesa è chiamata la "casa di Dio" ed è realmente tale, perché nostro Signore vi abita in tutti i tempi. Qui l'eserci­to degli angeli lo serve e l'adora, lo loda e gli porta le nostre preghiere. Questo commovente mistero è figurato dalla visione di Giacobbe: "Una notte il patriarca si addormentò a cielo sco­perto e vide in sogno una scala che andava dalla terra al cielo e sulla quale gli angeli di Dio salivano e scendevano. A questo spettacolo, preso da spavento, gridò: "quanto questo luogo è terribile! Veramente è qui la casa di Dio e la porta del cielo". Poi unse con olio la pietra sulla quale aveva posato la testa e ne formò un altare". Era quello, l'ho già detto, un simbolo profetico della chiesa cristiana, nella quale la pietra dell'altare è unta con l'olio e col santo Crisma, pietra sacra della quale si può dire veramente: "quanto questo luogo è terribile! questa è la casa di Dio e la porta del cielo". Qui gli angeli salgono e scendono per trasmettere a Dio le nostre preghiere e portarci le sue grazie. Le nostre chiese sono anche quel luogo del quale parla il Signo­re per bocca di Isaia: "Io li condurrò al mio santo nome, li riem­pirò di allegrezza nella casa delle preghiere. Le loro vittime, con­sumate nel mio altare, mi saranno gradite e la mia dimora sarà chiamata casa di preghiera, per tutti i popoli"

Tutto questo prova il rispetto che merita il luogo santo. Se noi avessimo veramente una viva fede vi entreremmo con terrore e non solo adoreremmo nostro Signore nell'Eucaristia, ma ci prostreremmo davanti agli angeli che sono sempre davan­ti ai nostri altari. David lo proclamava: 'Andrò nella vostra casa e vi adorerò con timore nel vostro santo tempio. In presenza degli angeli, canterò le vostre lodi ed esalterò il vostro santo nome.

Quelli che chiacchierano durante l'ufficio divino, rido­no e commettono altre irriverenze, provocano la collera di Dio e si rendono rei verso la divina Maestà di un'offesa che potrebbe essere grave. Per questo non sarà mai sufficiente la riverenza che dobbiamo avere per la chiesa, dove è necessario astenersi da tutte le parole inutili e da ogni sguardo curioso; dove bisogna pregare con devozione, adorare il Signore con fervore, confessa­re i nostri peccati con vera umiltà e pentimento sincero.

Consacrazione dei sacerdoti

L'eccellenza della Messa si riconosce anche dalla con­sacrazione che ricevono i ministri dell'altare e senza la quale non possono esercitare il loro ministero.

Colui che è destinato al sacerdozio ha sette gradini da salire prima di essere giudicato degno di offrire l'Agnello senza macchia. Chi ha ricevuto i primi quattro ordini può servire i sacerdoti all'altare, ma non oserà toccare né calice, né patena, né corporale e nemmeno il purificatoio, perché per essere autorizzato a questo bisogna aver ricevuto il quinto ordine, il suddiaconato, tranne il caso di una dispensa speciale o di asso­luta necessità. Come nella legge di Mosè, soltanto i Leviti pote­vano toccare e pulire i vasi sacri, così solamente i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi hanno il diritto di toccare e di pulire gli oggetti che servono immediatamente alla celebrazione della santa Messa. E’ opportuno, del resto, che le cose impiegate al compi­mento del più alto mistero e messe in contatto col corpo di no­stro Signore, siano interamente pure. Leggi speciali obbligano i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi a tenere questi oggetti con la più rigorosa pulizia. È certo che gli ecclesiastici negligenti a questo proposito incorrono in una forte responsabilità, che potrebbe estendersi anche ai fedeli della parrocchia. Se il sacerdote fosse ridotto a celebrare con un camice sudicio, con una pianeta strac­ciata, con un calice ossidato e se l'altare fosse privo di arredi decenti, mentre i fedeli, nelle feste, fanno pompa dei loro abiti in chiesa, non sarebbe forse questo non pensare al decoro della casa di Dio? Questa chiesa i vostri padri l'hanno edificata e prov­veduta degli arredi necessari; volete, dunque, che questi durino quanto le mura? Lo si direbbe, dal momento che non vi date pensiero di rinnovarli. questo penoso spettacolo è una vergo­gna per una parrocchia e un segno manifesto che i fedeli non comprendono l'eccellenza dell'augusto Sacrificio del Nuovo Testamento.

Ordinazione sacerdotale

Le cerimonie che accompagnano la consacrazione sa­cerdotale ci danno ancora un'idea di questa eccellenza. Al mo­mento di essere ordinato sacerdote, il diacono è rivestito dell'amitto, del camice e della stola passata sopra la spalla sini­stra e legata sul lato destro: s'inginocchia davanti al vescovo che è seduto sul trono vicino all'altare. Il vescovo gli ricorda la gravi­tà del passo che sta per compiere e domanda al popolo se lo

giudica degno. Se nessuno reclama, il prelato si inginocchia e recita ad alta voce le litanie dei santi, mentre il diacono, prostra­to col viso verso terra, prega con lui. In seguito gli posa la mano sulla testa, recita un'orazione e un lungo Prefazio, gli mette la stola intorno al collo e la pianeta sulle spalle. La consacrazione propriamente detta avviene durante la recita del Veni Creator. Il vescovo è seduto sul suo seggio e l'ordinando, in ginocchio, gli presenta le mani. Il vescovo vi fa le unzioni con gli oli santi di­cendo: "Degnati, Signore, per queste unzioni e per la nostra benedizione, di consacrare e santificare queste mani". Poi ag­giunge, facendo il segno della croce: "In nome di nostro Signore Gesù Cristo, sia benedetto tutto quello che queste mani benedi­ranno e sia consacrato tutto ciò che esse consacreranno". A queste parole lega le mani dell'ordinando una contro l'altra, con una fascia di lino, poi gli presenta il calice con la patena e l'ostia dicendo: "Ricevi in nome del Signore il potere di offrire il Sacri­ficio a Dio e di celebrare la Messa tanto per i vivi che per i morti. Amen". Si sciolgono le mani del sacerdote novello che se le lava e il celebrante continua la Messa. All'Offertorio si pre­senta all'offerta con un cero acceso, che consegna al vescovo baciandogli la mano. Poi s'inginocchia dietro il celebrante e dice la Messa con lui, parola per parola, leggendola nel messale.

Alla Comunione riceve, dal vescovo, il corpo del Salva­tore; dopo la recita del Credo il prelato gli posa le due mani sulla testa dicendo: "Ricevi lo Spirito Santo: quelli ai quali tu rimetterai i peccati saranno rimessi, ma i peccati che riterrai saranno ritenuti". Infine il sacerdote promette obbedienza al vescovo che lo benedice con le seguenti parole: "La benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figliolo e Spirito Santo, discenda sopra di te, affinché tu sia benedetto nell'ordine sacerdotale e tu possa offrire delle ostie salutari, per i peccati e le offese del po­polo, a Dio onnipotente, al quale è onore e gloria in tutti i secoli dei secoli".

Così la Chiesa cattolica consacra i suoi sacerdoti e non è difficile capire quanto è rispettabile l'antico uso di magnificare la grande solennità del conferimento degli ordini sacerdotali. Ma perché queste promozioni progressive? Perché questo appa­rato? Perché queste preghiere, queste unzioni, queste cerimo­nie? Il fine principale è certamente quello di insegnarci quanto bisogna essere santi per salire all'altare e offrire alla tremenda maestà di Dio la vittima senza macchia.

Oggetti sacri

Un'altra testimonianza dell'eccellenza della santa Mes­sa è ciò che è necessario alla sua celebrazione: un sacerdote debitamente ordinato che fa le veci di Gesù Cristo stesso; un altare consacrato, nuovo Calvario sul quale l'Agnello divino sarà immolato; gli indumenti sacerdotali, che sono: l'amitto, che il sacerdote posa sulla testa e sul collo in memoria del velo col quale, in casa di Caifa, i giudei hanno coperto la faccia del Salvatore dicendogli per scherno: "Cristo, profetizza e dicci chi ti ha percosso". Il camice, ricordo della veste bianca della quale fu rivestito da Erode. Il cingolo che simboleggia la corda con la quale fu legato. Il man14)olo, che fa pensare ai legami che strinsero le sue braccia. La stola, figura delle catene di ferro delle quali fu caricato dopo la sua condanna. La pianeta, im­magine del mantello scarlatto gettato sulle sue spalle. La Cro­ce centrale della pianeta rappresenta quella sulla quale fu in­chiodato Gesù Cristo e quella che è sul davanti rappresenta la colonna della flagellazione.

Diciamo una parola degli oggetti che servono al santo Sacrificio.

Il calice consacrato richiama il calice dei dolori che Gesù ha bevuto fino alla feccia e la sepoltura nella quale il suo corpo fu deposto. La palla la pietra quadrangolare del sepolcro. La patena, l'urna che conteneva i profumi necessari per l'imbalsamazione. Il corporale, il santo sudano che avvolse il cor­po del Salvatore. Il purificatoio, i lini che servirono alla sepoltura.

Il velo del calice, il velo del tempio che alla morte di Gesù si squar­ciò dall'alto al basso. Le due ampolline, i due vasi ripieni di fiele e di aceto, offerti al Figlio dell'uomo per calmarne la sete.

A questa elencazione di cose richieste per la celebra­zione della Messa bisogna aggiungere: il pane azzimo, un croci­fisso sul tabernacolo, il vino, l'acqua, due candelieri, un messa­le, un leggio, tre tovaglie che coprono l'altare, una pezzuola con la quale il sacerdote si asciuga le mani dopo le abluzioni e un campanéllo. E necessario, inoltre, un chierico che serva il sacer­dote all'altare e gli risponda a nome del popolo.

La maggior parte di questi oggetti sono talmente indi­spensabili che il celebrante commetterebbe un peccato grave se ne facesse a meno. Un esempio servirà come prova.

Nel tempo in cui la Spagna gemeva sotto il giogo dei mori, un re di Caravaca che aveva fatto prigioniero un gran numero di cristiani, ebbe pietà di quegli infelici e si decise a liberarli tutti. Domandò ad ognuno qual era il suo mestiere e gli permise di esercitarlo. Fra i prigionieri si trovava un sacerdote che, interrogato a sua volta, rispose con la più grande serietà:

"Esercito l'arte di far discendere dal Cielo il Dio onnipotente". Il principe gli comandò di mettersi al lavoro, ma egli replicò:

"Non posso farlo che a condizione di avere tutti gli oggetti ne­cessari.

Il re idolatra gli ordinò di scrivere per farli venire da un paese cristiano. Il sacerdote ne fece minutamente la lista, ma dimenticò di segnare il crocifisso. Quando ebbe avuto tutto e volle cominciare il santo Sacrificio, notò la mancanza della cro­ce e stette a lungo indeciso se dovesse celebrare. Il re, sospettan­do che non conoscesse perfettamente la sua arte, gli domandò la causa del suo turbamento. "Principe - rispose - ho dimenticato la croce e questo mi preoccupa e mi fa esitare a salire all'altare". Mentre rifletteva così, invocando l'aiuto del Cielo, la volta di pietra si aprì e due angeli, splendenti come il sole, discesero por­tando nelle loro mani una croce di legno, tutta circondata di luce, che posarono sull'altare. A questa vista il sacerdote comin­ciò la Messa, ma il re e tutti i mori che erano nella sala presero gli angeli per delle divinità e caddero, pieni di spavento, col viso contro terra e si rialzarono solo quando la visione disparve.

Tale è l'origine della croce spagnola che si conserva a Caravaca con la più grande venerazione e che viene mostrata al popolo nell'anniversario del giorno in cui fu portata dal Cielo.

Questo fatto prova molto bene l'importanza che si deve dare a tutto ciò che serve alla celebrazione del santo Sacrificio.

Il numero delle cerimonie

L'eccellenza della santa Messa si riconosce infine dalle cerimonie prescritte per celebrarla. Citerò solo le più importan­ti: il sacerdote fa sopra di sé sedici segni di croce, si rivolge sei volte verso il popolo, bacia l'altare otto volte, undici volte alza gli occhi al cielo, si batte il petto dieci volte, fa dieci genuflessio­ni, giunge le mani cinquantaquattro volte, abbassa la testa ventun volte e sette volte le spalle, si prostra otto volte, benedice l'offer­ta trentun volte col segno della croce, posa ventidue volte le mani sull'altare, prega stendendole quattordici volte e giungendole trentasei volte, mette la mano sinistra stesa sull'altare nove volte e la porta undici volte sul petto, alza le due mani verso il cielo quattordici volte, undici volte prega a voce bassa e tredici ad alta voce. Il sacerdote deve osservare ancora una quantità di altre prescrizioni, che portano a cinquecento il numero delle cerimonie. Aggiungete a questa cifra quelle delle rubriche e ve­drete che il sacerdote che dice la Messa secondo il rito della Chiesa cattolica romana è obbligato a novecento cerimonie dif­ferenti. Ciascuna di queste ha la sua ragione d'essere, il suo si­gnificato spirituale, la sua importanza e ognuno tende a far com­piere con la fede richiesta l'ineffabile Sacrificio dell'altare. Perciò papa san Pio V ha ordinato a tutti i cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati e sacerdoti di dire la Messa senza cambiare nul­la, senza aggiungere o togliere la minima cerimonia. La più pic­cola negligenza potrebbe assumere una certa gravità, sia perché avrebbe per oggetto l'atto più grande e più santo del nostro cul­to, sia perché sarebbe una disobbedienza formale all'ordine di un papa. Non si può immaginare né un movimento di mano più degno, né una disposizione del corpo più edificante di quelli prescritti dalla Chiesa. Si assiste con più raccoglimento di spiri­to ad una Messa nella quale sono osservate tutte le cerimonie che a quella in cui esse sono violate e perciò il sacerdote che celebra con esattezza coscienziosa ha diritto alla vostra gratitu­dine perché, lungi dal distrarvi nella vostra devozione, la facili­ta. Egli fa sì che le vostre preghiere siano più efficaci e contribu­isce in larga parte al loro merito.

Il principale sacerdote della Santa Messa

Benché la dignità del santo Sacrificio risalti chiaramente dalle cerimonie e dalle preghiere della consacrazione della chie­sa e dell'altare e anche dall'ordinazione del sacerdote e dalle prescrizioni liturgiche, tuttavia essa ritrae la sua massima digni­tà ed eccellenza dalla persona dello stesso sacrificatore. Ma chi è dunque il sacrificatore? Il sacerdote? Il vescovo? Il papa? Un angelo? Maria, la Regina dei santi? È il Sacerdote dei sacerdoti, il Vescovo dei vescovi, il Figlio unico di Dio, Gesù Cristo, che suo Padre stesso ordinò Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech. Egli solo eleva il Sacrificio cristiano all'altezza di un'opera divina. Che il sacerdote è Gesù Cristo lo proverò con le parole di san Giovanni Crisostomo: I sacerdoti - dice egli - sono semplici ministri, quello che santifica e transustanzia l'of­ferta è Gesù Cristo. Nell'ultima Cena ha consacrato il pane e il vino e ancora continua ad operare lo stesso miracolo... E per­ciò, o cristiano, quando vedi il sacerdote consacrare, ricordati che la mano di Dio, e non la sua, compie il Sacrificio". Con queste parole il santo Dottore c'insegna che Gesù Cristo accom­pagna personalmente i punti essenziali della Messa, che Egli scende dal Cielo per cambiare il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, che Egli stesso si offre a dà per la salute del mondo e che, fedele mediatore, prega per la redenzione del po­polo.

Dai sacerdoti Gesù Cristo prende soltanto la voce e le mani, ma Egli stesso compie il divino Sacrificio.

La testimonianza di san Giovanni Crisostomo vi pare insufficiente? Ecco quella della Chiesa cattolica: "Poiché nel divin Sacrificio compiuto nella santa Messa è presente quello stesso Gesù Cristo che si è offerto una volta ed in una maniera cruenta sulla Croce e che ora si immola in una maniera incruenta, il sacro Concilio insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio... perché il Signore accorda la grazia, il dono del­la penitenza, il perdono dei peccati e dei delitti, per grandi che siano, placato da questo Sacrificio, in cui si immola l'unica e medesima vittima immolata sul Calvario, in cui, per il ministero dei sacerdoti, si offre quello stesso che un giorno si offrì sulla croce.

Gesù Cristo sommo ed eterno sacerdote

Dunque è veramente la dottrina della Chiesa che ci insegna che i sacerdoti sono semplicemente i ministri di Gesù Cristo e che nostro Signore si offre sull'altare così volentieri e con altrettanta efficacia come si offrì sul sanguinoso albero della Croce.

Che grande onore, che immensa grazia e quale inesti­mabile tesoro è per noi la bontà di Gesù che si fa nostro sacerdo­te e nostro mediatore! L'apostolo san Paolo è molto esplicito sopra una verità così consolante: "Bisognava - dice - che avessi­mo un pontefice santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori e innalzato al disopra dei Cieli. La legge non costitui­va sacerdoti che uomini infermi, ma la parola di Dio, conferma­ta dal suo giuramento, decreta pontefice eterno il suo divin Fi­glio, che è perfetto". L'apostolo non dimostra, forse, con que­ste sublimi parole, fino a qual punto Dio ci stima, poiché ci ha donato per sacerdote e mediatore non un uomo fragile e pecca­tore, ma il suo unico Figlio?

Consideriamo ora perché Gesù Cristo non ha voluto affidare il suo Sacrificio agli uomini.

La principale ragione è che questo Sacrificio doveva essere di una purezza assoluta come aveva annunciato il profeta Malachia. Perciò la Chiesa proclama che il santo Sacrificio".

non può essere macchiato da alcuna indegnità, né da alcuna malizia da parte di coloro che lo offrono"'4. Certo se i sacerdoti fossero i veri sacrificatori, la Messa sarebbe troppo spesso profa­nata, o almeno si potrebbe sempre concepire dei dubbi sulla maniera con cui Dio l'accoglie. Ma secondo la parola del salmista:

"Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech", Dio ha voluto che il suo Figliolo prendesse egli stesso il nome e la funzione di sacerdote. Benché i sacerdoti dicano la Messa, non sono, dunque, propriamente parlando, che i ministri del Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. Un ministro riceve dal suo pa­drone un ducato per offrirlo in un pellegrinaggio: il dono non potrebbe essere macchiato dalla coscienza del mandatario, fosse questi anche reo di peccato mortale.

Perché nostro Signore non ha voluto affidare la Mes­sa né agli angeli, né ai santi, né alla sua Madre santissima? Eppure sono esseri puri e pieni di grazia e, lungi dal profanare questo augusto mistero, lo avrebbero compiuto in modo per­fetto. Quale altra Messa potrebbe essere detta con maggiore devozione di quella che potrebbe celebrare san Pietro, san Pa­olo, un cherubino e un serafino? Che gioia proverebbero e quanta devozione ne ritrarrebbero le persone che l'ascoltasse­ro nel vedere la pietà, il rispetto, l'attenzione del celebrante. I loro cuori traboccherebbero di amore e di gioia divina! Che avverrebbe, dunque, se la stessa Madre di Dio offrisse il suo caro Figliolo sull'altare? Ce ne danno un'idea le parole che essa rivolse a santa Matilde: "Il giorno della purificazione - le disse - offrii il mio caro Figlio con tanta pietà e con tanta rico­noscenza, che la devozione di tutti i santi non avrebbe potuto eguagliare la mia". Se Maria santissima aveva questi senti­menti quando era ancora sulla terra, quanto più sublimi non sarebbero essi ora che si trova in Cielo? E quanto maggiore sarebbe la virtù, la potenza, la santità del sacrificio da lei offer­to? Un'opera simile sarebbe sicuramente qualcosa di ineffabi­le, ma pur tuttavia resterebbe infinitamente al disotto di ciò che esige la santità di Dio e il sacrificio, così compiuto, non meriterebbe di essergli offerto. L'unica oblazione veramente conveniente è quella nella quale la persona del sacrificatore è pari alla sovrana maestà di Dio e quindi Gesù Cristo non ha affidato la Messa né agli angeli, né ai santi, né a nessun uomo. L'ha riservata solo a se stesso, perché Egli è l'unico che ha la stessa grandezza del Destinatario.

Valore infinito della S. Messa

Da tutto questo risulta che ogni Messa ha un valore infinito e che è celebrata in un modo invisibile, con tale devo­zione e rispetto da sorpassare ogni angelica ed umana intelli­genza. Così ha rivelato Gesù Cristo a santa Matilde: "Io solo - le disse - comprendo perfettamente in qual modo mi immolo, ogni giorno, sull'altare per la salute dei fedeli: questo non pos­sono comprenderlo interamente i Cherubini, né alcuna po­tenza celeste".

Dopo tutto questo come oseremo parlare dell'eccellen­za di un tal Sacrificio? O mio Gesù, quale imperscrutabile mi­stero è mai questo per noi! Felice quell'uomo che col suo fervore merita di riceverne i frutti ai piedi dell'altare!

Vantaggi che derivano dall'assistenza alla S. Messa

Lettore caro, illuminato da queste parole, medita i van­taggi che puoi procurarti assistendo alla Messa. Ricordati che nostro Signore si offre a Dio Padre per te e che, ponendosi come mediatore fra la tua debolezza e la divina giustizia, arresta ogni giorno il castigo che meriterebbero i tuoi peccati.

Se tu ne fossi veramente convinto, quanto ameresti di più il santo Sacrificio e quanto desidereresti la felicità di potervi assistere. Con quanta pietà vi assisteresti e quanto soffriresti nel doverne restare privo e piuttosto che rassegnarti al danno che questa privazione recherebbe all'anima tua, ti esporresti a subi­re mille mali temporali. I primi cristiani avevano ben compreso tutto questo e preferivano perdere la vita piuttosto che la santa Messa. Il Baronio racconta, a questo proposito, il fatto seguente avvenuto nell'anno 303.

Gli imperatori Diocleziano e Massimiano, per istiga­zione di Galerio, avevano fatto abbattere tutte le chiese di Alluta, città dell'Africa e molti cristiani, uomini e donne, ascoltavano la Messa in una casa privata. Furono scoperti, presi e trascinati davanti al giudice, sulla piazza pubblica. Il messale e gli altri libri santi furono presi, profanati dai pagani e gettati nelle fiam­me. Ma intervenne la divina giustizia ed un improvviso diluvio cadde sul fuoco, spegnendolo. Alla vista di un tal miracolo, il giudice fu tanto spaventato che mandò a Cartagine le diciasset­te donne e i trentaquattro uomini che erano stati arrestati per farli giudicare dal proconsole Anolino.

I prigionieri fecero quel tragitto allegramente cantan­do sempre salmi e cantici. Quando giunsero, l'ufficiale che li accompagnava li presentò così al proconsole: "Ecco dei misera­bili cristiani che abbiamo scoperto in una casa di Alluta dove, malgrado la tua proibizione, compivano i riti della loro falsa religione". Il magistrato fece denudare uno di essi chiamato Dativo, che era senatore e ordinò che gli applicassero il suppli­zio della ruota. A quella vista un altro cristiano, chiamato Telica gridò: "Perché, o tiranno, tormenti soltanto lui? Noi siamo tutti cristiani e abbiamo ascoltato la Messa insieme a lui". Anolino lo fece subito spogliare, come il suo compagno e lo fece sospende­re e torturare. Mentre eseguivano quest'ordine gli domandò:

"Chi è stato il promotore della riunione?". "Il sacerdote Saturnino e tutti noi d'accordo, ma tu, disgraziato, compi un'ope­ra ingiusta tormentandoci per questo motivo; noi non siamo né assassini, né ladri e non abbiamo commesso nessun delitto". Il proconsole insistette: "Tu avresti dovuto aver riguardo per gli ordini degli imperatori e abbandonare la tua falsa religione". "Rispetto la legge del mio Dio e per Lui sono pronto a morire. Allora il tiranno comandò di sciogliere i martiri e di condurli in prigione. Nello stesso momento un pagano, fratello di santa Vit­toria, si fece avanti accusando Dativo di aver condotto la giovinetta alla Messa. Vittoria protestò dicendo: "Nessuno mi ha condotto in quella casa, ho ascoltato la Messa perché sono cristiana". Suo fratello le disse: "Tu parli come una pazza". "Non sono pazza, sono cristiana". Il proconsole domandò: "Vuoi ri­tornare con tuo fratello?". "No, non riconosco quest'uomo per mio fratello; i miei fratelli e le mie sorelle sono quelli che soffro­no per Gesù Cristo. Io sono cristiana". Anolino continuò: 'Abbi pietà di te stessa e segui il consiglio di tuo fratello". "Non mi allontanerò dai miei fratelli, né dalle mie sorelle e confesso che ho ascoltato la Messa con loro". Il giudice allora comandò di ricondurla in prigione e di mettere tutto in opera per distoglier­la dalla sua fede. Ella era di una rara bellezza e apparteneva ad una delle più illustri famiglie della città. Quando i suoi parenti avevano voluto maritaila contro la sua volontà, era scappata gettandosi da una finestra e si era fatta tagliare i capelli come segno della sua consacrazione a Dio. Il tiranno si rivolse poi al sacerdote e gli disse: "Sei tu che disprezzando gli ordini degli imperatori, hai riunito questa gente?". "L'ho riunita per ordine del Signore, per compiere l'ufficio divino". "Perché hai fatto questo?". "Perché noi non dobbiamo né possiamo omettere la celebrazione della santa Messa". "Dunque sei tu il promotore di questa riunione e sei tu che hai persuaso gli altri ad intervenir­vi?". "Precisamente, ed ho celebrato la santa Messa". Allora il giudice lo fece spogliare facendogli poi lacerare le carni con uncini di ferro così aspramente che gli intestini gli uscivano dal corpo. Dopo questo orribile supplizio lo fece condurre, con i suoi compagni, in prigione. Al suo posto fu chiamato Emerito. Anolino gli domandò: "La Messa è stata detta nella tua casa?". "Si", risponde il martire. "Perché hai violato gli ordini degli imperatori?". "Non potevo obbedirti; questi uomini sono miei fratelli e non possiamo vivere senza la santa Messa". Subito lo straziarono e poi lo rinchiusero in prigione.

Il tiranno disse agli altri rimasti: "Spero che non segui­rete l'esempio di questi disgraziati e che non vi giocherete così leggermente la vostra vita". Ma i santi martiri gridarono ad alta voce: "Siamo cristiani e adempiremo la legge di Gesù Cristo anche a costo di tutto il nostro sangue". Anolino allora si volse ad uno di essi chiamato Felice, dicendogli: "Non ti domando se sei cristiano, ma se sei stato all'assemblea e se anche tu hai ascol­tato la Messa". Felice rispose: "Che sciocca domanda! Credi tu che si possa esser cristiani senza assistere alla Messa? Sappi, odio­so demonio, che ci siamo riuniti appunto per assistervi". A que­sta risposta il tiranno si adirò e gettò a terra il generoso confes­sore facendolo bastonare fino a lasciarlo quasi morto. Il proconsole, infuriato, passò tutto il giorno a tormentare i prigio­nieri e, quando venne la notte, fece chiudere in una oscura pri­gione quelli che respiravano ancora, proibendo ai custodi di dar loro da bere e da mangiare, sotto pena di morte. I parenti e gli amici dei santi martiri ottennero il permesso di vederli e porta­rono loro un po' di cibo nascosto sotto gli abiti, ma i carcerieri frugando accuratamente i pii visitatori, portavano loro via le provviste e li coprivano di bastonate.

Tuttavia quei fedeli amici restarono giorno e notte da­vanti la prigione piangendo e lamentandosi. Speravano di im­pietosire Anolino e fargli liberare i poveri prigionieri, ma il ti­ranno era così ostinato nella sua malvagità che lasciò languire i servi di Cristo e li fece morire dello spaventoso supplizio della fame.

Questa storia che il Baronio ha tratto, parola per paro­la, dagli atti che sono serviti alla canonizzazione dei santi marti­ri, dimostra chiaramente che, fin dai primi secoli del cristianesi­mo, i fedeli ascoltavano la Messa, come facciamo noi ai nostri giorni. Essa ci prova ancora lo zelo che avevano i cristiani di allora per la Messa e che essi preferivano morire piuttosto che accettare di non assistervi. Da dove attingevano questo fervore? Dalla perfetta conoscenza del suo valore infinito. Ora sta a noi imitare il loro fervore e trarre dal loro esempio una grande de­vozione verso i santi misteri.

Del prezioso dono offerto nella S. Messa

Abbiamo parlato fin qui a lungo dell'eccellenza della Messa, ma resta ancora un punto importantissimo da esamina­re: il valore dell'offerta alla SS. Trinità. Secondo la dottrina di san Paolo “Ogni sacerdote è ordinato per offrire dei doni e delle vittime”.

Gesù Cristo, dunque, che fu ordinato sacerdote dal Padre suo, ha anch'egli un'offerta da fare. In che cosa consiste essa? L'apostolo non lo dice, ma egli fa appello alla nostra me­moria e la risposta sarà l'argomento del presente paragrafo.

Si comprende a prima vista che quest'offerta non po­trebbe essere una cosa volgare, poiché il dono deve essere tanto più prezioso quanto più grande è colui che lo riceve. Qui si tratta di un Sovrano di tale maestà che il cielo e la terra sono un niente in suo confronto. Ascoltate le parole del Savio: "Il mondo intero, davanti a lui, è come il piccolo grano che fa appena pendere la bilancia, come la gocciolina di rugiada del mattino che cade da una foglia". Se così è, dove trovare nell'universo qualche cosa che sia degna di essergli offerta? Che troverà Gesù Cristo nel Cie­lo, all'infuori di Dio? Una cosa sola: la sua santa, immacolata, beata umanità, cioè il suo corpo, il suo sangue, la sua anima. Dice san Giovanni Crisostomo che "Gesù Cristo è l'offerta ed il sacer­dote ad un tempo; il sacerdote secondo lo spirito, l'offerta secon­do la carne: egli offre ed è offerto". Sant'Agostino si esprime analogamente: "Gesù Cristo è nello stesso tempo sacerdote ed offerta, perché ciò che egli ha offerto è se stesso" . La sua umani­tà è l'opera migliore e più preziosa che sia uscita dalle mani onni­potenti di Dio, come fu rivelato a santa Brigida dalla santa Vergi­ne. Il liberalissimo Dio ha dato in dono a questa umanità tante grazie, tante ricchezze, tante virtù, tanta santità e sapienza che non potrebbe riceverne di più; non che Dio non possa assoluta­mente conferirgli niente di più, ma perché la capacità dell'uomo è finita. Benché la santa Vergine sia per noi di una incomprensibi­le perfezione, pure non la possiamo paragonare all'umanità di Cristo, come non si può paragonare la luce di una torcia a quella del sole. In conseguenza di questa singolare eccellenza l'umanità di Cristo sulla terra non era onorata soltanto dagli uomini, ma anche dagli angeli ed anche oggi continua, da parte di questi cele­sti spiriti, ad essere l'oggetto di una venerazione che nessuna cre­atura umana potrebbe pretendere.

Dio ha elargito agli angeli santità insigne e innumere­voli perfezioni; a molti uomini ha dispensato grazie eminenti, virtù eroiche e ha sorpassato ogni generosità nel colmare in questa vita la beata Vergine di privilegi speciali.

Tuttavia questi doni sono divisi fra molti santi, mentre lo Spirito Santo li ha tutti riuniti magnificamente in Gesù Cri­sto. Ma c'è ancora di più: Egli ha ricolmato l'umanità del Salva­tore di molte altre grazie, oserei quasi dire, di grazie infinite, di ricchezze, di tesori celesti che non si riscontrano in nessun altro, nemmeno in Maria.

Con ciò si proclama altamente che questo oceano di perfezioni è al disopra di ogni lode. Tale è il dono che il Sommo Sacerdote Gesù Cristo, Figlio unico di Dio, offre quotidianamen­te alla SS. Trinità nel santo Sacrificio della Messa. Non offre, però, soltanto questo dono, ma vi aggiunge ancora tutto quello che ha fatto per la gloria di Dio durante i trentatré anni che ha passato sulla terra; le amare sofferenze che ha sopportato, i digiuni, le veglie, i viaggi e tutte le fatiche del suo apostolato; tante persecu­zioni, umiliazioni, schemi e ingiurie; la sua flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione, le piaghe, le angosce, le la­crime, il sudore nel giardino degli Ulivi; la sua spaventosa agonia, l'acqua del costato, l'adorabile sangue che ne sgorgò.

Gesù Cristo si offre vittima di amore

Nella Messa Gesù Cristo, con il più ardente amore, mette tutto questo sotto gli occhi della SS. Trinità e la costringe a gradirlo.

Ma ecco il colmo delle meraviglie: questa umanità così perfetta, così ricca di meriti è inseparabile dal Verbo; cioè, se il Verbo non è nella sua divinità l'oggetto stesso del Sacrificio, lo èrealmente nella natura umana in cui risiede e che è divenuta sua per l'Incarnazione. Concepire il valore e la dignità di un tal dono è superiore a ogni intelligenza.

Altra considerazione: Gesù Cristo non offre la sua umanità come è attualmente in Cielo, ma nello stato in cui èsull'altare.

Nel cielo è tanto gloriosa che gli angeli tremano davan­ti alla sua maestà, mentre sull'altare si inabissa in un tale eccesso di umiliazione e di abbassamento che quei puri spiriti ne sono confusi. Noi la vediamo coperta dalle apparenze dell'Ostia come da un vestito grossolano e chiusa come in una prigione. Le spe­cie che la circondano la tengono talmente avvinta che quando esse sono trasportate da un luogo all'altro, essa pure è trasporta­ta e finché esse sussistono nessuna potenza può separarle. In cielo ha le sue proporzioni naturali, ma sull'altare non sorpassa le dimensioni della santa Ostia. E tutta intera in ogni parte del­l'Ostia, ma occupa tanto poco spazio quanto la particella stessa. Dal fondo di quell'umile riduzione, il Salvatore non può natu­ralmente né stendere il Corpo, né muovere i piedi e le mani, né compiere alcuna delle azioni che fanno gli esseri viventi. Egli giace compresso e spogliato di tutta la potenza dei suoi organi.

Così annichilito si presenta davanti alla SS. Trinità e si offre a Lei in una maniera così commovente che il celeste eserci­to ne è sorpreso ed estasiato.

Davanti a questo ineffabile spettacolo che cosa potra pensare o dire la SS. Trinità? Quale immenso onore riceve Id­dio dal Figlio suo che si annienta così soltanto per rendergli glo­ria! E quale eccellenza, quale virtù ne ritrarrà poi il Sacrificio nel quale si compiono questi divini misteri? Che soccorso sara esso per gli uomini a pro dei quali è offerto? Quanta consolazio­ne e quanto sollievo riceveranno le anime del purgatorio allorché il Sacrificio sarà offerto per la loro liberazione?

Sappiamo che quel luogo di sofferenza è la prigione temporanea delle anime che hanno lasciato la terra in stato di peccato veniale o senza avere scontato le pene meritate per i peccati già perdonati. Esse sono impotenti ad abbreviare da sole la loro espiazione.

Come nel bucato la biancheria non recupera il cando­re primitivo che dopo essere passata a più riprese per l'acqua e asciugata poi ai raggi del sole, così le anime del purgatorio non recuperano lo splendore necessario per entrare nel regno di Dio, se non con le lacrime di penitenza che per loro scorrono dagli occhi dei cristiani e per la grazia di Gesù Cristo. I raggi di que­sto sole di giustizia si concentrano nella santa Messa come in uno specchio ustorio. Sforzatevi dunque di assistere spesso con fede e pietà al santo Sacrificio per portare soccorso ai vostri in­felici fratelli. La Messa quotidiana è l'arma della grazia, la forza della misericordia e Dio non può ricusare niente a quelli che l'ascoltano con fervore. Ringraziamo Gesù dal fondo del cuore di avere istituito, per noi miserabili, questo onnipotente Sacrifi­cio e ringraziamolo di averci dato un mezzo così sicuro per atti­rare la divina misericordia.

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