QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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CHIAMAMI "PADRE" ( di don Novello Pederzini)

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 19:35
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21/09/2009 19:25

CHIAMAMI PADRE

L’incontro con il volto paterno e materno di Dio.




(Maria, Regina della Pace, presenta questo libretto al Padre, attraverso le tue mani candide e pure, acquisterà più valore, da parte di tutti i figli, Pino.)



Presentazione

"Chiamami Padre" nasce dopo i due precedenti libretti dedi­cati a Gesù Cristo (Riscopriamo i 'Eucaristia, 1998) e allo Spi­rito Santo (Lo Spirito Santo, ospite dolce dell'anima, dolcissi­mo sollievo, 1998). Come dice il titolo, questo volumetto tratta dell'ultimo tema proposto dal Papa Giovanni Paolo Il in prepa­razione al Giubileo del 2000: il Padre.

Il libro si compone di due parti e di una appendice:

- la prima parte (capp. 1-8) contiene alcuni dati rivelati sulla Persona del Padre e sui suoi rapporti con le altre divine Perso­ne, e, soprattutto, con noi;

- la seconda parte (capp. 9-11) cerca di portare sul piano della vita pratica i principi prima esposti, attraverso un colloquio che si fa intimo e personale.

L'appendice riporta la parte della Lettera apostolica Tertio mil­lennio adveniente del 10 novembre 1994, riguardante il Padre, con la descrizione degli obiettivi proposti dal Pontefice per una degna celebrazione dell'anno giubilare.

Ogni capitolo si apre con una preghiera liturgica, tratta dal Messale, per mettere in evidenza lo stretto legame fra ciò che si annuncia e ciò che è oggetto di preghiera nella Chiesa.

Il volumetto non pretende di esaurire l'ampia tematica legata all'argomento: vuole solo essere uno strumento pastorale che, partendo da sicure basi bibliche, cerca di avviare e sostenere un cammino incontro al "Padre che è nei cieli", il quale, rivelan­doci il suo infinito amore paterno e materno, ci invita a ri­scoprire e a vivere, in pienezza, la nostra originale vocazione, che è quella dell'amore e della gioia.

DON NOVELLO PEDERZINI

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L'amore paterno di Dio è l'unico punto fermo sul quale il mondo può ancora far leva.

SÒREN KIERKEGAARD



Io non ho paura di Dio perché lo amo; e, soprattutto, perché so che Lui è un Padre dolcissimo che ama me.

S. GIOVANNI EUDES



La fede è sapere che c'è un Padre che ci ha tratti dal nulla, per amore. È la ersuasione

che non siamo venuti al mondo per sbaglio, ma per un sapiente progetto d'amore.

La fede è aprirsi alla gioia di appartenenza alla Chiesa, che è la famiglia dei figli di Dio e il luogo dell 'incontro anticipato con il Padre.

GIACOMO BIFFI

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CHIAMAMI PADRE

Dio, fonte di ogni bene, principio del nostro essere e del nostro agire, fa che comprendiamo i benefici della tua bontà, e, chiamandoti e riconoscendoti Padre, ti amiamo con tutto il cuore e con tutte le forze.

(Cf. Colletta della Messa di Ringraziamento)



Chiamami Padre



IO PAURA? PAURA DI CHE? SONO COL MIO PAPÀ!



Un acrobata, un giorno, si esibì in un esercizio particolarmente difficile.

Salì su un grattacielo, si sporse dal cornicione, e tenendo in braccio il suo bambino, compì alcuni volteggi molto pericolosi. Quando scesero, gli spettatori, esterrefatti, chiesero al bimbo:

«ma non avevi paura di cadere nel vuoto e di morire?».

E lui, stupito della domanda, rispose: «io paura? paura di che? Io ero al sicuro, perché ero fra le braccia di papà !».

Per lui, nessun dubbio e nessun rischio. Bastava una sicurez­za: quella di avere vicino il suo papà!

Ed era contento così, sia che lo tenesse tranquillamente per mano, sia che lo portasse in alto e lo sospendesse nel vuoto.

L'unica cosa importante era la presenza di papà!



NOI, INVECE, ABBIAMO PAURA E CERCHIAMO UN PADRE



Il bimbo non si pone problemi, perché non li conosce, e perché sa che a tutto pensa papà.

È toccante la scena, abbastanza comune, del papà che, giocan­do, alza in alto il suo figlioletto e lo fa volteggiare sopra di sé. In questo momento il bimbo è la creatura

- più libera,

- più felice,

- più sicura del mondo.

C'è in lui una sicurezza pari alla sua ingenuità.

È ben lontano dal pensare che gli possa capitare qualcosa di spiacevole e che il papà possa cambiare sentimenti nei suoi confronti!

Il papà è il suo punto di riferimento incrollabile e sicuro!

Nessuno può rubargli un tesoro così prezioso!

Noi, uomini cresciuti, siamo ancora quei bimbi, con tanta nostalgia e con tanto bisogno di sicurezza, di affetti autentici e sinceri.

Abbiamo bisogno di riscoprire il volto di un Padre che ci richia­mi le caratteristiche di quel padre, che, forse, non abbiamo più, ma che continuiamo a rimpiangere.

Abbiamo bisogno di sapere se il Padre celeste può essere per noi

- una roccia,

- un baluardo,

- una sicura difesa,

- un dolce rifugio (cf. Sai 61),

sul quale riversare le nostre insicurezze, le nostre paure, le no­stre necessità, e, soprattutto, il nostro amore...

Abbiamo bisogno, in una parola, di riscoprire il volto di Dio-Padre!

Abbiamo bisogno di credere che, per dirla con Kierkegaard, «l'amore paterno di Dio è l'unico punto fermo sul quale il mondo può ancora far leva».



OGGI SEMBRA PIÙ DIFFICILE CHIAMARE DIO COL NOME DI PADRE



È arduo, per molti, accostare il nome di Dio al nome di Padre, per le tristi esperienze di cui si va riempiendo la loro vita. Non è raro incontrare fanciulli che alla parola padre associano l'idea di violenza, di conflitti familiari, di alcolismo, oppure di assenza totale.

È difficile credere all'amore del Padre celeste per chi non ha vissuto l'esperienza di essere amato da un padre terreno, e di non aver avuto la sua dolce presenza nei momenti più sofferti e significativi della vita.

Una serie di fattori sociali e culturali ha gettato il discredito sulla figura paterna, un tempo autorevole e simpatica.

Le varie forme

- di paternalismo,

- di autoritarismo,

- di maschilismo

hanno finito per associare l'idea di padre a quella di padrone. E quindi hanno portato a considerare la figura paterna come un qualcosa di lontano, di scostante, di antipatico.



DI DIO, QUANTE FALSE CONCEZIONI!



E alle concezioni correnti si aggiungono multiformi concezioni che, accumulatesi nei secoli, sono divenute quasi vere carica­ture di Dio.

Una certa iconografia ha dato man forte a fare del Padre un vec­chio dalla barba bianca, emergente da una nube pure bianca, con tutti i segni di una vecchiezza decrepita.

Sono largamente diffuse diverse concezioni che fanno di Lui:

- un Dio invidioso dell'uomo e suo antagonista;

- un Dio esigente e "fiscalista";

- un Dio amico solo dei ricchi;

- un Dio che spia l'uomo e si compiace di castigarlo;

- un Dio-carabiniere, che ti aspetta al varco solo per "arrestarti";

- un Dio nevrotico e vendicativo;

- un Dio assente, distaccato e muto;

- un Dio inutile.

Oppure, volendolo accogliere con simpatia,

- un Dio bonaccione, innocuo e remissivo, quasi un Babbo Natale, un nonno tenero che sa solo commuoversi e che fi­nisce per perdonare e abbracciare tutti.



PADRE: UNA PAROLA-CHIAVE TUTTA DA RISCOPRIRE



A fronte di queste contraffazioni, urge riscoprire la figura del Padre celeste.

Abbiamo bisogno di riscoprire il senso di questa parola quasi magica e insopprimibile.

Abbiamo bisogno di accostarci alla fonte di quell'energia vi­tale che sola può sostenerci, proteggerci, guidarci, farci vivere nel senso più pieno e più fecondo.

Abbiamo bisogno di scoprire l'amore sorgivo da cui sgorga la pienezza della vita.

Abbiamo bisogno di riscoprire la Paternità di Dio per poter cogliere ancora, fra le cose e le persone che ci circondano, l'in­confondibile voce che dall' intimo dolcemente ci sussurra: tu sei il mio figlio diletto: in te mi sono compiaciuto! (Cf. Mt 3, 17).



LA PAROLA "PADRE" NON È SOLO BIBLICA



La parola Padre non è nota solo all'interno dell'antico popolo ebraico e non è fiorita solo dal labbro di Gesù.

Molti popoli antichi l'hanno usata.

Nelle religioni indiane, era usata la parola padre per indicare il cielo, e la parola madre per indicare la terra: due principi che, secondo la concezione di quelle religioni, danno origine all'universo. Nella civiltà greco-romana spesso Zeus, Giove, è chiamato "padre degli dèi e degli uomini".

Platone chiama col nome di padre l'idea del bene, che, a suo dire, è la suprema realtà.

L'uomo, con le sue sole forze naturali, ha sempre intuito, più o meno chiaramente, che l'idea di Dio doveva essere associata a quella di padre, perché alla figura del padre è naturalmente col­legata l'idea della fecondità e della bontà.

Sono solo intuizioni, ma tutte convergono nel delineare il volto del Creatore come quello di un Padre buono.



NEL CAMMINO INCONTRO AL PADRE, QUALE DIFFERENZA FRA LA NOSTRA E LE ALTRE RELIGIONI?



Vi è una differenza abissale, quanto alle origini e quanto ai con­tenuti:

- le altre religioni nascono dal basso, cioè dalle ricerche umane protese a scoprire l'origine dell'universo e le carat­teristiche proprie del Creatore.

Sono ricerche che hanno soluzioni diverse e discutibili, senza un riscontro oggettivo e sicuro.

la nostra religione nasce invece dall'alto, come risposta

all'iniziativa di Dio di rivelarsi e di donarsi all'uomo.

La nostra religione nasce nel momento in cui la Rivelazione viene accolta. Anzi, la religione cristiana non è una religione propriamente detta: è una fede.

E per fede si intende l'accoglienza delle verità rivelate non per la loro intrinseca evidenza, ma per i 'Autorità infallibile di Dio che le rivela.

Queste verità sono oggettivamente valide e sicure.

Chi le accetta ha la certezza di ciò che crede, anche se le com­prende in minima parte.

Fede e ragione non si escludono, ma si completano (come riafferma Giovanni Paolo lI nella recentissima enciclica Fides etratio del 16 ottobre 1998).

L'accettazione della verità rivelata non dispensa l'uomo dal cer­care Dio per vie naturali; ma la sola ragione non può arrivare a scoprire ciò che Dio ha voluto rivelare.

Tre sono i modi per giungere a conoscere Dio:

- la via del cuore: io sento!

- la via della ragione: io so!

- la via della fede: io credo!

La fede, da sola, giunge là dove non arrivano il sentimento e la ragione; il sentimento e la ragione non possono sostituire in nessun modo la fede!



LA RIVELAZIONE, L'UNICA STRADA PER ARRIVARE A CAPIRE



Solo accostandoci alla Rivelazione possiamo quindi conoscere l'identità di Dio.

Solo accogliendo le notizie che lo stesso Padre ci ha voluto tra­smettere possiamo entrare nel suo mistero!

È quindi solo aderendo a Lui, nella fede, che possiamo metter­ci sulla via sicura.

Non c'è dunque che una via: questa!

Non la via della pura ragione o dell'istintivo sentimento, ma la via dell'adesione nella fede.

Solo il Padre può darci risposte adeguate e definitive; e, per questo, non ci resta che ascoltare la sua Parola, che è contenuta nella Bibbia.



CHIAMAMI PADRE



Ed ecco, in sintesi, il contenuto dell'intero messaggio rac­chiuso nella Bibbia: è rivolto a tutti gli uomini e quindi perso­nalmente anche a te:

"Sappi che hai in cielo un Padre che ti ama, e che nel suo infinito amore ti ha donato il suo unico Figlio, Gesù Cristo.

Questi si è fatto uomo come te e per te.

Con la sua Morte e Risurrezione ti ha salvato dal peccato e ti ha elevato ad essere, come Lui, figlio ed erede dei beni divini ed eterni

Ecco dunque il mistero, ecco il dono: "io sono tuo Padre, e con questo nome mi cercherai, mi chiamerai, mi accoglierai".



SONO TUO PADRE!



"Di più e di meglio non potevo annunciarti!

Questo annuncio aleggia su tutta la creazione, risponde a tutti i quesiti, placa ogni sete, riempie ogni speranza, giustifica ogni attesa, illumina tutte le oscurità: dice chi sei tu e chi sono Io!". È straordinario tutto questo! Dunque:

- se Tu sei mio Padre, posso stare tranquillo e vivere in pa­ce, perché sono assicurato per la vita e per la morte, per il tempo e per l'eternità;

- se Tu sei mio Padre, anch'io conto qualcosa e trovo in Te la mia vera dignità;

- se Tu sei mio Padre, non continuerò a ripetere fino alla noia: 'perché?... perché?... perché?', ma dirò con realismo e fiducia: 'Tu sai! Tu sai! Tu sai!

- se Tu sei mio Padre, non attribuirò solo al terreno e alla qualità del seme l'abbondanza del raccolto, ma mi abi­tuerò a ripetere ciò che Tu stesso mi hai suggerito di dire:

'dacci il nostro pane quotidiano', affidandomi con corag­gio e serenità alle avversità delle stagioni e al divenire del­la storia;

- se Tu sei mio Padre, non attribuirò al caso gli eventi della giornata, ma li considererò indicazioni del Tuo amore;

- se Tu sei mio Padre, non diventerò improvvisamente in­credulo davanti a un cataclisma della natura, non riuscen­do più a trovare il legame tra l'amore e le avversità, tra l'esistenza di Dio e il dolore che mi colpisce;

- se Tu sei mio Padre, io non tremerò anche se la terra tre­merà e i fiumi strariperanno; anche se il freddo mi gelerà le mani o un incidente mi costringerà a star fermo su una carrozzella per tutta la vita;

- se Tu sei mio Padre, io sono certo che saprai trasformare in bene quello che io chiamo male, e saprai dirigere con misteriosa sapienza tutti gli avvenimenti della mia vita e quelli del mondo.



TUTTO VIENE DA ME!



"Sono tuo Padre, non in senso metaforico e poetico, ma in senso vero, autentico, profondo, vitale.

E in questa mia paternità hai la fonte di tutti i doni:

- il dono della vita,

- il dono della verità,

- il dono dell'amore,

- il dono della "casa

Sì, il dono della casa, come rifugio, intimità, stabilità, riposo... perché sei fatto per condividere con me quella dimora eterna... ove non vi saranno più né lacrime, né lutti, né morte (cf. Ap 21, 2-4).

E se sono tuo Padre, ti amo, ti seguo, ti guardo, ti voglio con me.

Tu puoi metterti sempre in comunicazione con me. Puoi ascol­tarmi, parlarmi, chiedermi ogni cosa.

Puoi dirmi, dolcemente, in ogni momento: Padre mio e Dio mio!".

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2.

DIO, UN PADRE PER ISRAELE


O Padre, Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, Dio della vita e delle generazioni, Dio della salvezza, compi ancor oggi le tue meraviglie, perché nel deserto del mondo, camminiamo con la forza del tuo Spirito verso il regno che deve venire.

(25° Colletta per le ferie del Tempo ordinario)



Dio, un Padre per Israele



DIO SI È RIVELATO ALL'UMANITÀ



Se Dio non si fosse fatto conoscere, l'uomo non avrebbe potuto incontrarlo e penetrare nel suo intimo.

Avrebbe potuto tutt' al più giungere a percepire l'esistenza di un Essere superiore e di qualche suo attributo, ma l'intimità di Dio gli sarebbe rimasta nascosta ed estranea.

Dio si è scelto un popolo, Israele, e, all'interno di questo po­polo, ha aperto un dialogo destinato a tutta l'umanità. Questa Rivelazione, espressa con parole e fatti intimamente collegati, è stata lunga e progressiva, ed è principalmente con­tenuta nella Bibbia.

Essa è stata scritta da alcuni uomini, che "nel pieno possesso delle loro facoltà" sono stati gli ispirati strumenti di Dio nella comunicazione del suo pensiero.



UNA RIVELAZIONE LENTA E PROGRESSIVA



Dio, rivelandosi, non ha usato forzature e violenze, ma si è ade­guato al lento e progressivo sviluppo dell'uomo.

Ha usato per lui

- benevolenza,

- discrezione,

- rispetto,

aspettando la sua maturazione e adeguandosi alla sua capacità di comprensione.

Non ha parlato di sé usando formule teologiche astratte e in-comprensibili, ma esprimendone il contenuto con fatti concreti e comprensibili da tutti.

Ed è da questo susseguirsi di eventi collegati con parole che possiamo risalire al pensiero e alla natura di Dio.

La vicenda dell'antico popolo di Dio, Israele, è divenuta così una singolare storia: la storia di ciò che Dio ha detto e fatto per rivelarsi all'umanità.



DIO RIVELA IL SUO NOME



Nella Bibbia il nome di una persona è sempre indicativo dell'i­dentità o della missione di chi lo porta.

Il nome di Dio per eccellenza e più usato è JAHVÉ, ed è quello co­municato da Dio stesso a Mosè sul Sinai nel momento in cui ebbe inizio la liberazione dalla schiavitù dell'Egitto (cf. Es 3, 7 ss.). Alla luce del significato letterale del nome e del contesto stori­co in cui venne rivelato, il termine ha vari significati fra loro complementari:2

1. Io sono Colui che è, cioè l'Esistente, l'Essere per eccellenza;

2. Io sono Colui che fa essere, cioè Colui che dona l'esistenza alle creature;

3. Io sono Colui che sono, cioè l'Essere inconoscibile, davanti al quale Israele dovrà mettersi in atteggiamento di fede e di obbedienza;

4. Io sono Colui che è qui, che è qui per essere benèfico; colui che è in grado di esserci sempre,

- di essere sempre disponibile,

- di essere aiuto e sostegno,

- di essere punto di riferimento sicuro.

JAHVÉ non è solo quindi il nome che definisce la natura di Dio, ma anche la garanzia di una presenza e di una salvezza con­tinuata, riservata al popolo che Lui si è scelto.



RIVELA I SUOI ATTRIBUTI



Nell'Antico Testamento, unitamente al nome, Dio rivela i suoi connotati o attributi inconfondibili. Dice di sé:

1. sono il Dio unico e vero: non sono uno dei tanti, sono 1' uni­co, e mi dovete amare sopra ogni cosa: «Ascolta, Israele:

il Signore è il nostro Dio. Il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-5);

2. sono il Creatore dell'universo e dell'uomo; tutto ho creato per libera scelta e per amore. E siccome la creazione continua nel tempo, nulla mi è estraneo. Tutto "porto nel grembo con l'amore con cui una donna attende un bambino";

3. sono il Dio trascendente, cioè Colui che possiede una qua­lità di vita diversa e superiore a quella delle creature;

4. sono immenso e onnipresente, e quindi non circoscrivibile o legato a questo o a quel luogo: «dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti» (Sai 139, 7-8);

5. sono eterno, senza limiti di tempo; senza inizio e senza fine, senza essere "segnato" dentro, come noi: «da sempre e per sempre tu sei»! (Sai 90, 2);

6. sono onnisciente, cioè conosco tutto, tutto vedo e prevedo: «pri­ma di formarti nel grembo materno, ti conoscevo» (Ger 1, 5);

7. sono onnipotente, cioè non condizionato da nessuno e da nessuna cosa. Tutto, nei cieli e sulla terra, è a me sottoposto;

8. sono immutabile:

- nell 'essere: «Tu resti lo stesso, e i tuoi anni non hanno fine» (cf. Gb 10, 5);

- nella volontà: sono fedele alle promesse!

Quando sembro mutevole, perché mostro sentimenti di ira, di odio, di pentimento ecc. mi servo di concetti a te familiari per esprimere la mia personale vitalità e la mia partecipa­zione sentita in maniera "non indifferente" alla storia del mio popolo;

9. sono una Persona concreta, e non un essere indefinibile e vago col quale non è possibile entrare in rapporto:

- sono un Qualcuno che entra in dialogo;

- sono un Io che si rivolge a un Tu;

- sono una Persona che chiama gli uomini ad ascoltarla;

- sono il Vivente per eccellenza;

10. sono il Santo, cioè il totalmente diverso e l'inaccessibile, ripieno di una superiore potenza, che suscita fascino e insie­me timore. Mosè, davanti a me che mi manifesto nel roveto ardente, deve togliersi i calzari; il popolo non può avvici­narsi; i sacerdoti devono tenersi in stato di purità prima di accostarsi a me (cf. Es 19, 16-25).

Dio è il Santo e trascende tutte le cose; eppure "tutta la terra è piena della sua gloria".



Non è quindi separato dalle cose e dal suo popolo; anzi, abita in mezzo ad esso.

Israele diventa così "il Santo di Israele", "il popolo Santo", il "po­polo visitato dal Dio Santo" dal quale riceve forza e sicurezza.

Il Profeta Isaia contempla Dio nella sua gloria e ode i Serafini che proclamano: "Santo, Santo, Santo è il Signore Dio dell'uni­verso" (cf. Is 6, 2 ss.).

Il termine "Santo", ripetuto tre volte, indica "Santissimo, infini­tamente Santo" e inneggia alla santità ontologica e morale di Dio, cioè alla sua superiorità e all' assenza in Lui di ogni imper­fezione e limite.



DIO SI RIVELA COME L'ALLEATO DI ISRAELE



Il Dio Santo, completamente diverso e trascendente, è un Dio sorprendentemente vicino.

Dio è, insieme, trascendente e immanente; è addirittura un Dio che "si costruisce" un popolo "su misura" per avere un amico, un confidente, un interlocutore, un mediatore per trasmettere il suo messaggio a tutta l'umanità.

Elegge Abramo, e, dopo avergli chiesto un generoso atto di fede, costruisce, con la sua discendenza, un popolo speciale e consacrato a Lui.

Gli dice: "Israele, il Signore Dio tuo ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli... Il Signore si è legato a te e ti ha scelto" (cf. Dt 7, 6-7).

Sul Sinai conclude con esso un'Alleanza, in questi termini precisi: Israele, io

- ti offro: aiuto, sostegno, protezione, una terra, una discenden­za, una Legge da osservare (i Comandamenti);

- ti chiedo: riconoscimento del mio ruolo, obbedienza, fedeltà, osservanza della Legge, astensione da ogni mescolanza con inconsistenti divinità straniere, fiducia e collaborazione. Se sarai fedele, avrai prosperità e sarai felice.

Questa alleanza è sancita da una solenne Liturgia ed è sigillata nel sangue di vittime offerte come sacrificio di lode e di comu­nione.

È un' alleanza atipica, singolare nel suo genere, perché è stipu­lata fra due contraenti che non sono alla pari, ma è il frutto di una libera scelta di Jahve.

È, comunque, un'alleanza che impegna le due parti, imponen­do reciproci diritti e doveri.

Ma come si comporteranno questi due alleati?

La storia di Israele, che è divenuta "la storia dell'antica Al­leanza", e una storia segnata da molte infedeltà: non da parte di Dio, ma da parte del suo popolo.

Dio resta l'alleato fedele.

Israele è l'alleato infedele, che però Dio, con sorprendente bontà, continua ad amare e a perdonare, ogni volta che sa ri­conoscere le sue infedeltà e i suoi errori.



È UN ALLEATO CHE SI FA SPOSO



I contenuti dell' alleanza, col passar del tempo, si fanno più ele­vati ed esaltanti.

I Profeti, e in particolare Osea, Isaia e Geremia, scoprono e annunciano che Jahvé non è solo un alleato che promette doni materiali, ma uno Sposo che ama la sua sposa con un amore tenerissimo, indissolubile e fedele.

Il tradire questo amore non è solo peccato di idolatria, ma anche e soprattutto peccato di adulterio.

Israele alterna momenti di amore dolce a momenti di adulterio degradante.

L'amore dolce trova nel Cantico dei Cantici espressioni di alta e toccante poesia; l'adulterio degradante è presentato in termini drammatici soprattutto nel profeta Osea.



DIO SI RIVELA COME PADRE



Il titolo di "Padre" dato a Jahvé si sviluppa parallelamente con quello dell'elezione e dell'alleanza.

Come abbiamo detto, la denominazione di "Dio come Padre", era comune a molte altre Religioni, perché il termine "Padre" si presta ottimamente a qualificare Dio come principio fecondo di tutto ciò che esiste.

L'Antico Testamento è però molto prudente nell'assumere que­sto termine, perché presso molte Religioni esso era inteso in senso materiale e fisico, e le divinità erano concepite in termini maschili e femminili.

Le attenzioni di Jahvé per il suo alleato sono tali e tante da far dire, in più parti della Sacra Scrittura, che Egli lo ama "come un padre".

Occorre però precisare che nell'Antico Testamento il termine "Padre" non viene normalmente riferito alle singole persone.

Dio ama Israele "con amore di Padre", ma lo ama "nel suo insieme", "in modo collettivo".

Israele è sì "il popolo di Jahvé", ma esso è tale non perché sia stato da Lui generato, ma perché è stato scelto.

Non è il frutto di una generazione, ma di una elezione.

Tra Dio e Israele c'è quindi un rapporto che ha tutte le caratteristiche dell'amore paterno, ma esso non è tale in senso proprio e personale.

I Profeti celebrano Dio come "un pastore che custodisce il suo gregge", come "un vignaiolo che ha cura della sua vigna", ma, soprattutto, "come un Padre amorevole che ama Israele come figlio".

Sono toccanti e significative espressioni come queste:

«Io sono un Padre per Israele, Efraim è il mio primogenito... Le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda te­nerezza» (Ger 31, 9.20).

«Quando Israele era giovanetto, io l'ho amato... A Efraim io in­segnavo a camminare tenendolo per mano...» (Os 11, 1-4).

«Tu, Signore, sei nostro Padre... Padre del tuo popolo e di ogni generazione» (Is 63, 16).



SI RIVELA COME MADRE



Parlando di Jahvé come "Padre di Israele", i Profeti mettono in rilievo la tenerezza del Dio dell'Alleanza, presentandola con caratteristiche paterne e materne insieme.

«Ecco, io farò scorrere verso Gerusalemme come un fiume, la prosperità. I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginoc­chia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Is 66,12-13).

«Sion ha detto: il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il fi­glio delle sue viscere? Anche se questa donna ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai...

Ecco, io ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49, 14-16).



Alcuni Profeti, specialmente Isaia e Geremia, parlano di "vi­scere di Dio".

Il termine originale ebraico è rahamim, che «nella sua radice

denota "l'amore della madre", perché viene da rehem che è il grembo materno, e sta a indicare una gamma di sentimenti, quali la bontà e la tenerezza, la pazienza e la comprensione, cioè la prontezza a perdonare».



I Salmi contengono elevazioni di grande tenerezza, esprimendo una religiosità che si fa via via più intima e personale, specie nei "poveri di Jahvé" che hanno scelto Dio come unico rifugio e unica speranza.

Sono significative le parole del Salmo 13 1: «io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia» (Sai 131, 2-3).



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21/09/2009 19:27

3

DIO, IL PADRE DI GESÙ


Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell'uomo. Colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli, con la fede e con le opere.

(Colletta della 15° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, il Padre di Gesù



DIO, "IL PADRE DEL SIGNORE NOSTRO GESU’ CRISTO"



La Rivelazione di Dio-Padre, iniziata nell'Antico Testamento, continua e raggiunge il suo vertice nel Nuovo, attraverso Gesù.

Il Dio unico, trascendente e vicino, dell'Antico Testamento, il Dio di Abramo, di Isacco, di Mosè, dei Profeti, si rivela come «Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1, 3) e come il Padre che, in Lui, vuole salvare tutti gli uomini e farli parte­cipi della sua stessa vita.

Gesù è la chiave per entrare nel mistero intimo e impenetrabile della vita divina, per comprendere:

- ciò che il Padre ha fatto per noi,

- ciò che continua a fare,

- ciò che vuole che noi facciamo per Lui.

L'Antico e il Nuovo Testamento non sono estranei l'uno all'al­tro, non sono opposti e neppure distanti, ma sono l'uno lo svi­luppo dell'altro, l'uno la continuità e il perfezionamento dell'al­tro. Dice S. Agostino: «nell'Antico è nascosto il Nuovo, e nel Nuovo si rende palese l'Antico».'



DIO SI RIVELA COME UNO E TRINO



La ricchezza viene ora pienamente rivelata.

Dio si rivela come uno nella natura e trino nelle Persone, realtà sconosciuta nell' Antico Testamento.

La novità nel Nuovo Testamento sta proprio in questo incredi­bile e originale mistero: il Dio antico, trascendente, inaccessibi­le e Santo, è un Dio in sé misteriosamente "composito": e un Dio solo, ma in tre Persone uguali e distinte, che si chiamano Padre, Figlio e Spirito Santo.

Come comprenderlo?

Non certamente con gli strumenti della ragione e del sentimen­to, ma unicamente con quelli della fede.

I dati essenziali della Rivelazione sono: nell'unico Dio una è la natura e tre le Persone. Esse hanno in comune la natura, ma sono Persone diverse, con diversa identità e ruoli diversi:

- il Padre è detto "padre" perché "genera" il Figlio;

- il Figlio è detto "figlio" perché "è generato" dal Padre;

- lo Spirito Santo è detto "spirito" perché "è spirato" cioè "procede dal Padre e dal Figlio".

I ruoli diversi emergono sul piano della creazione e della sal­vezza così come ci sono descritti nell' intera Bibbia.

Le tre divine Persone però, condividendo la stessa natura, sono un solo Dio e un solo Signore.



IL FIGLIO RIVELA L'ESISTENZA DEL PADRE



Nell' Antico Testamento Dio si è rivelato attraverso una lunga storia (18 secoli!) che è stata via via illustrata e interpretata dal­le parole dei Profeti.

Poi, "nella pienezza dei tempi e venuto Gesù: «Dio, che aveva parlato, in tempi antichi, molte volte e in molti modi, per mezzo dei Profeti, ultimamente, in questi giorni, ci ha parlato per mez­zo del Figlio» (Eb 1, 1-2).

Gesù non è soltanto uno dei Profeti, l'ultimo o il più grande, ma

- è il Profeta per eccellenza,

- è il Figlio del Padre,

- è Dio come il Padre,

- è l'unico portavoce autentico del Padre perché, essendo da Lui generato, è il solo a conoscerlo e a sapere tutto di Lui.

Dice Giovanni: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio Uni­genito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18).

Lui solo può quindi infallibilmente farci conoscere il Padre;

Lui che, pur essendo Dio come il Padre, facendosi uomo, può

far uso del nostro comune linguaggio umano.

Ovviamente, parlandoci attraverso l'umanità del Figlio, Dio si comunica attraverso un velo; e questo velo non consente un'esperienza immediata della divinità.

Il Dio rivelato in Gesù rimane quindi "un Dio nascosto e miste­rioso" (cf. Is 45, 15), per accogliere il quale occorre la fede.

Ecco perché all' apostolo Filippo che chiede di vedere il Padre Gesù dice: «chi vede me, vede il Padre» (Gv 14, 8), come per dire: io ti rivelo il volto del Padre, ma insieme te lo nascondo, perché non puoi vedere ora quello che per ora non puoi vedere:

per adesso ti basti vedere me! E in me tu vedi soltanto l'uomo e non vedi Dio!

La trascendente e misteriosa identità di Dio ci viene così rive­lata e comunicata, in modo pieno, attraverso l'unica Persona che, condividendo col Padre la natura divina, è in grado di rive­larci tutta la verità.

Ora, secondo la Parola di Gesù, vediamo Dio «in modo confu­so e come in uno specchio»; e solo alla fine lo contempleremo «faccia a faccia» (J Cor 13, 12), verificando la perfetta identità:

- fra ciò che ci ha detto e ciò che è nella realtà;

- fra ciò che abbiamo creduto e ciò che vedremo;

- fra l'oggetto della fede e l'oggetto della gloria e della vi­sione.

Delle tre divine Persone della SS. Trinità rivelate nel Nuovo Testamento, una sola si è resa visibile agli occhi dei contempo­ranei; le altre due si sono rivelate attraverso segni e parole.



IL PADRE PRESENTA E ACCREDITA IL FIGLIO



Racconta Matteo: «In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "io ho bisogno di essere battez­zato da te e tu vieni da me?", ma Gesù gli disse: "lascia fare per ora, perché conviene che così adempiamo ogni giustizia. Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù usci dalle acque, ed ecco si aprirono i cieli, ed egli vide lo Spirito Santo scendere come una colomba, e venne su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse. "Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto"» (Mt 3, 13-17).

L'episodio ha un'importanza fondamentale, perché il Padre, alla presenza dello Spirito Santo, presenta Gesù con il termine ine­quivocabile di Figlio.



IL FIGLIO RIVELA L'IDENTITÀ DEL PADRE



Non vi sono dubbi sull'identità della Persona che viene presen­tata: quel Gesù, che, fra gli altri, si china per ricevere il Battesi­mo; è il Figlio amato del Padre ed è Dio come Lui!

Ma non vi sono dubbi nemmeno sull'identità della Persona che presenta il Figlio: è il Padre! E Dio che si rivela come il Pa­dre di Gesù! Sono ambedue legati da quella comune natura che

li fa essere Padre e Figlio!

Gesù, dunque, non è lì per caso: è fl per dare inizio alla sua mis­sione di salvezza; è lì per presentarsi come il dono che il Padre vuol fare e presentare all'umanità.

E presentando Gesù come "Figlio" vuole annunciare la sua vera e inconfondibile identità di Padre!

L'apostolo Giovanni dirà: «Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16).

E Paolo: «Dio non ha risparmiato il suo Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (cf. Rm 8, 32).

Il Dio dell'Antico Testamento è quindi divenuto "il Padre di Gesù", e come tale sarà considerato anche quando continuerà a essere chiamato semplicemente "Dio".



CHE SIGNIFICA L'ESPRESSIONE: "DIO È IL PADRE"?



L'espressione ha due fondamentali significati:

1. I termini "Dio" e "Padre" si identificano: il Padre, come ci è rivelato nel Nuovo Testamento, è veramente Dio. Quel Pa­dre che Gesù ha annunciato nell'intero Nuovo Testamento è lo stesso Dio, l'unico vero Dio che si è rivelato nell'Antico.

2. Il Padre rivelato da Gesù ha un carattere di "primarietà" rispetto alle altre due Persone. E la Fonte assolutamente prima, perché, mentre il Figlio e lo Spirito Santo scaturisco­no da Lui, Egli non ha origine da nessuno.

La fede monoteista dell'Antico Testamento culmina così nella fede nel «Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Col 1, 3).

Padre è il nome proprio di Dio nel Nuovo Testamento, ed è un annuncio così carico di conseguenze ideali e pratiche da dover­lo considerare il vertice di tutta la Rivelazione.

E proprio per questo, Filippo, chiedendo a Gesù di fargli vedere il Padre, si esprime così: «Signore, mostraci il Padre, e ci basta!» (Gv 14, 8).

Evidentemente aveva capito che, una volta compreso il ruolo del Padre, tutto viene a cambiare e ad acquistare un senso nuo­vo, una dimensione nuova.



COL PADRE GESÙ HA UN RAPPORTO UNICO E IRRIPETIBILE



Il rapporto fra Gesù e il Padre riveste un carattere di assoluta unicità e irripetibilità.

Il modo di comportarsi, le parole e le preghiere al Padre, sono quelle tipiche di uno che si sente figlio; di un figlio che ha la consapevolezza di essere stato da Lui generato alla vita divina; e Gesù, col Padre, ha

- un rapporto unico, esclusivo, non confondibile con altri.

Quando invita i discepoli a mettersi in rapporto col Padre, non dice mai: "nostro Padre", ma "il Padre vostro", "il Padre loro", "il Padre tuo"... E apparendo a Maria Maddalena, dopo la risurrezione: «non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre. Ma va' dai miei fratelli e dì loro: "io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"» (Gv 20, 17-18);

- un rapporto irripetibile, perché Gesù è l'unico figlio che procede dal Padre per via di naturale generazione: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero.3



Tutti gli altri, come vedremo, diventeranno figli per partecipa­zione, Lui per naturale generazione.



UN RAPPORTO DOLCE CHE LO PORTA A DIRE "ABBÀ"



Gli ebrei dell'Antico Testamento usarono il nome di Padre applicandolo a Dio in senso metaforico e collettivo.

Spetta a Gesù il merito di aver portato sulla terra la nozione ve­ra di Dio-Padre, e di averla accostata a una persona singola.



Anzi, Gesù va oltre.



Rivolgendosi al Padre, spesso usa il termine aramaico "Abbà", che era la parola usata dal bambino ebreo quando chiamava il suo papà.

Il Talmud afferma che un bimbo si doveva slattare solo quando era capace di dire immà (mamma) e abbà (papà).

L'evangelista Marco dice che Gesù, nel Getsemani, pregava così: «Abbà... tutto è possibile a te, allontana da me questo cali­ce» (Mc 14, 36).

Se non fosse stata un'espressione abituale sulla bocca di Gesù, Marco non l'avrebbe usata in un momento tanto solenne e tragico!

Il rivolgersi a Dio con la parola abbà era impensabile per gli ebrei, ma Gesù sapeva di poterla usare, perché il Padre era per lui intimo e familiare.

Lui solo poteva dire: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio, nes­suno conosce il Figlio se non il Padre e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 27).

«Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30).



IL PADRE DI GESÙ



Il Padre descrittoci da Gesù, il Padre del Nuovo Testamento, il Padre, soprattutto, rivelato nel Vangelo di Giovanni, ha le se­guenti caratteristiche:

- è la Fonte prima della vita divina: il Figlio e lo Spirito

Santo procedono da Lui, hanno origine da Lui, pur essen­do eterni come Lui;

- è l'Autore del Piano divino della Creazione e della Re­denzione, piano che scaturisce dalla "Fonte d'amore" che è la carità di Dio Padre;

- è il vero Signore dell'universo e dell'uomo, perché è la fonte prima di ogni cosa, e per questo è detto Dio per eccellenza;

- è l'Amore infinito, eterno, onnicomprensivo. È l'Amore dal quale e nel quale ogni altro essere trae origine e fonda­mento (cf.] Gv 4, 8.16).



GESÙ, FIGLIO DI DIO, FIGLIO DEL PADRE



Nei confronti del Padre, Gesù di Nazaret è ciò che di più alto si può immaginare:

- è, in senso proprio, Figlio di Dio;

- è l'Unigenito, cioè il Figlio unico nel suo genere;

- è eterno come il Padre (in principio era il Verbo);

- è perfettamente unito al Padre (e il Verbo era presso Dio);

- è della stessa natura del Padre (e il Verbo era Dio) (cf. Gv 1, 1);

- è uno col Padre nell'agire: «le opere che io compio nel

nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza... Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 25-30).



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21/09/2009 19:28

4.

DIO, NOSTRO PADRE


Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell 'eredità che ci hai promesso.

(Colletta della 19° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, nostro Padre



FIN D'ORA SIAMO FIGLI DI DIO!



Due testi fondamentali per comprendere.

1. Il Verbo «venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accol­to. A quanti però lo hanno accolto, ha dato il potere di di­ventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 11 - 13).

2. «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Caris­simi, fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non èstato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 1-2).



CON SENSO DI STUPORE, QUASI DI ESTASI!



L'Amore del Padre ha fatto di noi dei figli: è incredibile, ma vero!

E l'Apostolo Giovanni, testimone attento e fedele, scrivendo queste cose è preso da un senso di stupore, quasi di estasi!

Non è possibile non commuoversi di fronte a un annuncio come questo!

Non si tratta di una comunicazione ordinaria e scontata, ma di un messaggio che trascende:

- ogni pensiero,

- ogni immaginazione,

- ogni aspettativa.

È un annuncio che innalza l'uomo dalla sua normale condi­zione limitata alla vertiginosa altezza di una vita superiore e divina.

È un salto di qualità senza precedenti e senza confronti!

È ben comprensibile lo stupore dell' Apostolo! Egli ci dice che il Padre, nel suo amore per noi,

- ci unisce realmente al suo Figlio, così da farci una sola co­sa con Lui;

- ci genera, sia pure in maniera diversa, nella stessa genera­zione del suo medesimo Figlio;

- si dona a noi nel suo Figlio, facendosi una sola cosa con Lui;

- ci fa suoi figli, nel Figlio suo;

- ci fa partecipi della sua stessa vita divina.



SIAMO CHIAMATI FIGLI



Quando nasciamo non siamo figli di Dio, ma semplicemente sue creature.



Dio è Creatore perché, nel seme generato dai genitori, Egli infonde l'anima, che è il principio dinamico della vita.

Per diventare suoi figli, occorre un ulteriore intervento so­prannaturale, una seconda generazione.

Cerchiamo di capire.

Figlio è colui che procede da un altro per via di naturale gene­razione.

La generazione è l'origine di un vivente da un altro vivente della stessa specie.

Noi siamo figli dei nostri genitori perché ci hanno generato nella loro identica specie. Un tavolo non può dirsi generato dal falegname, perché il tavolo non è un essere vivente e non pro­viene dal falegname per via di naturale generazione.

Siamo figli dei nostri genitori e, insieme, creature di Dio, per­ché Dio ha infuso in noi quell'anima intelligente che ci fa vive­re e ci fa comprendere.

L'essere uomini, sia maschio che femmina, significa già pos­sedere una grande dignità.

Nella "scala degli esseri" l'uomo è al vertice di una scala che parte dai minerali e prosegue con le piante e gli animali. E anzi, di essi, il signore e il sacerdote, perché tutto è stato creato per lui, e di essi egli è l'interprete intelligente e cosciente per dar lode al Creatore.

È già tanto così!

Ma qui nasce lo stupore: nell'apprendere che il Padre ha volu­to per l'uomo un ulteriore salto di dignità e di qualità, un ulteriore intervento creativo, una seconda generazione.

Questa rigenerazione, ci dice Giovanni,

- non è dovuta al volere di uomo,

- non si realizza attraverso i canali della carne e del sangue,

- non è imposta a nessuno, ma è liberamente offerta a quan­ti accolgono il Figlio di Dio e credono in Lui.

Tutto si opera nel Battesimo, che ci immerge nel mistero della Morte e Risurrezione di Cristo Salvatore e opera quella realtà per la quale diventiamo

- figli di Dio,

- figli nel Figlio,

- figli come il Figlio,

con una sola differenza: Gesù è figlio per natura; noi lo diven­tiamo per partecipazione.



LO SIAMO REALMENTE!



L'amore di Dio verso l'uomo era già motivo di stupore per gli uomini dell'Antico Testamento:

Esclama il Salmista: «che cosa è l'uomo perché te ne ricor­di...?»(Sal8,5).

Il Dio onnipotente e trascendente aveva scelto Israele e aveva stretto con lui un'alleanza sponsale, ma non aveva ancora fatto dell'uomo un suo figlio.

Anche se Dio nell'Antico Testamento veniva, a volte, chiamato Padre, la paternità divina si estendeva a tutto il popolo "nel suo insieme" e in senso metaforico.

È nel Nuovo Testamento che l'uomo:

- entra nel mistero della vita intima divina,

- diviene partecipe di questa vita divina,

- diventa personalmente figlio di Dio. Diviene figlio:

- il singolo uomo,

- il singolo credente,

- il singolo battezzato,

e non l'umanità nel suo complesso, il "popolo di Dio" nel suo insieme, la Chiesa come realtà mistica.



È COLMATO L'ABISSO!



Siamo figli di Dio!

E diventando tali, veniamo in un certo senso a colmare l'abis­so, per sé invalicabile, che separa l'uomo finito dal Dio infi­nito.

Padre è colui che comunica a qualcuno la sua stessa natura. Dio Padre comunica la sua stessa natura al Figlio, che è tale perché è "della stessa sostanza del Padre".

Ma questo unico Figlio, incarnandosi, è divenuto una cosa sola con noi, e noi, in un certo modo, diveniamo "figli nel Figlio".



NELL'UNICO FIGLIO DIVENTIAMO TUTTI FRATELLI



Nell'unico Figlio diventiamo, dunque, tutti fratelli.

Tutti: cioè gli uomini che, senza alcuna distinzione, liberamente accettano di diventare partecipi dell'unica natura divina.

E diventando figli, diventano fratelli, perché acquistano la generazione dal Padre e la comunione col suo unico Figlio.

È dunque questo l'autentico fondamento della cristiana frater­nità: la comune dignità di figli.

Siamo tutti fratelli perché diciamo "Padre" alla stessa Per­sona, e perché il Primogenito, Gesù, ci unisce in Lui in un unico Corpo, in un'unica realtà divina.



"CIO’ CHE SAREMO NON È ANCORA RIVELATO"



Ma non tutto è ancora stato rivelato, e quindi non tutto è anco­ra evidente.

Occorre fare un arduo passaggio da ciò che è visibile a ciò che è invisibile.

Ogni realtà sensibile è segno di una realtà sopra-sensibile. Occorre fare un balzo nella fede per riuscire a immaginare ciò che è ancora nascosto.

Il Regno di Dio sulla terra, la Chiesa, racchiude realtà divine, ma agli occhi terreni, queste realtà sono ben poca cosa~ Basta pensare all'Eucaristia: che cosa c'è di più umile di quella piccola ostia? Eppure è segno e presenza del Corpo di Gesù!

Noi siamo una realtà fragile e mortale, ma già possediamo una tale dignità che ci farà esplodere di gioia nel momento nel

quale essa ci sarà pienamente e definitivamente rivelata. È celebre la frase di J. H. Newman: «Grace is glory in exile. Glory is grace at home» (La grazia è la gloria in esilio. La glo­ria è la grazia giunta a casa).



"GIÀ" E "NON ANCORA"



Il Padre fa di noi dei figli.

Nati da un padre e da una madre che ci hanno trasmesso le real­tà terrene, nel Battesimo siamo rinati a figli delle realtà celesti.

Ora siamo come un feto immaturo, a mezza strada:

- fra il passato e il futuro,

- fra le cose che vediamo e quelle che non vediamo,

- fra il bene e il male,

- fra il rischio di accogliere il dono divino o di rifiutarlo,

in una lotta perenne con le nostre cattive tendenze e con l'azio­ne di Satana che ci ostacola, con ogni mezzo, nel nostro cammi­no incontro alla piena e perfetta figliolanza divina.

Non siamo in una posizione né facile né comoda, e per questo soffriamo:

- di incompletezza, perché non abbiamo ancora la maturità definitiva;

di cecità, perché siamo chiusi nelle cose, non vediamo ancora con chiarezza;

di nostalgia, perché abbiamo già nelle vene il sangue di Dio e siamo costretti a sopportare il sangue turbolento e malato di uomini.'



L'UNICO PROGETTO DEL PADRE: FARCI SUOI FIGLI COMPLETI



Farci suoi figli: non in senso ontologico, perché col Battesimo lo siamo già, ma in senso morale, cioè nel senso di una matu­rità che ci porta a essere figli in senso completo.

La nostra storia terrena non è che la storia della nostra gestazio­ne come figli di Dio.

Siamo come il feto nel seno della mamma.

Noi amiamo il ventre della mamma, ma ne siamo usciti appena abbiamo potuto.

Non basta essere concepiti: bisogna uscire dal seno materno, crescere, svilupparsi in piena autonomia personale.

Il cosmo e la storia sono come il seno immenso e molteplice dove si compie questa nostra gestazione, e tutto è predisposto per questo.

E se l'unico progetto divino è quello di farci pienamente figli, è bello pensare alla presenza di un Padre che lavora per noi e con noi per realizzare il suo progetto.

Il progetto non è finito e il lavoro non è ancora compiuto: se fosse finito, sarebbe già la fine del mondo!

E infatti "tutta la creazione, anelando alla gloriosa manifestazione dei figli di Dio, geme e soffre nei dolori del parto" (cf. Rm 8, 19-22). Chi vive nella fede, è consapevole di stare realizzando in se stesso un piano superiore e a lieto fine.

- Sa di dover andare oltre le realtà contingenti e sensibili.

- Sa che il meglio per lui è nel futuro.

- Sa che il domani sarà meglio dell'oggi.

- Sa che il Padre lo sta attirando, attraverso vie misteriose e spesso dolorose, verso una maturità che sarà piena solo quando riuscirà a vivere totalmente la sua realtà di figlio.

E quando, divenuto pienamente figlio, lascerà questa terra nella quale è stato generato, potrà dire con entusiasmo: finalmente! Finalmente sono giunto a casa, da mio Padre!



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21/09/2009 19:28

5

DIO, UN PADRE PROVVIDENTE


Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno... operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno.

(Colletta dell' 8° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, un Padre provvidente



IL PADRE HA "CURA E PROVVIDENZA" DELLE COSE CREATE



Dio ha creato l'uomo e lo ha posto al centro della creazione. Ha fatto di lui l'oggetto:

- delle sue attenzioni,

- del suo amore,

- della sua tenerezza paterna e materna.

L'uomo è il suo vero e insuperabile capolavoro.

Su di lui ha un solo grande progetto: farlo suo alleato e suo figlio in senso pieno e definitivo.

Nel momento nel quale lo ha creato, non ha cessato la sua opera, ma la continua ininterrottamente, perché l'uomo, che èuna causa seconda, nulla può fare senza l'intervento della Causa prima.

È come il raggio di luce che si fa presente e agisce solo se, al­l'origine, sussiste il sole dal quale proviene.

Che significa che Dio è provvidente?

Significa che il Creatore «ha cura e provvidenza delle cose create e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita».'

La Provvidenza è quindi la continuazione e lo sviluppo della creazione. È l'amorevole presenza e l'efficace sostegno che il Padre dona all'uomo perché possa raggiungere lo scopo per cui è stato creato.



L'ANTICO TESTAMENTO RIVELA APERTAMENTE LA VIGILE PROVVIDENZA DEL PADRE



- A livello cosmico.

Jahvé è il Signore della natura. Tutto è diretto da lui: il sole, la luna, le stelle, il mare, le piogge, le stagioni ecc.

È un dominio esercitato sempre per il bene del suo popolo: «Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li mettere­te in pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti, e gli alberi della campagna daranno frutti» (Lv 26, 3-4).

- A livello personale.

Giuseppe è venduto dai fratelli e deve molto soffrire, ma tutto si risolverà per il bene suo e degli stessi fratelli che l'hanno perse­guitato. Esclama: «non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio» (Gen45,8).

Tobia deve sottostare a molte vicende dolorose, ma deve con­statare il trionfo della Provvidenza che interviene a premiare il giusto (cf. Tb 11, 14-15).

Giobbe sopravvive alle prove perché è sorretto e guidato dalla Provvidenza. Afferma: «Vita e benevolenza tu mi hai concesso e la tua premura ha custodito il mio spirito» (Gb 10, 12).

Il Libro della Sapienza inneggia sovente alla Provvidenza con espressioni significative come queste: «In suo potere siamo noi e le nostre parole» (Sap 7, 16); "la tua Provvidenza, o Padre, guida la barca perché tu hai predisposto una strada anche nel mare" (cf. Sap 14, 3).2

- A livello sociale e storico.

Tutta la storia del popolo di Dio è contrassegnata da interventi prodigiosi, a cominciare dalla liberazione dalla schiavitù del­l'Egitto e di Babilonia e dall'assistenza nel deserto.

Jahvé non abbandona un istante il suo popolo, ed è sempre pronto a sostenerlo, a difenderlo, a nutrirlo, a proteggerlo.3

Dio interviene anche sui popoli stranieri: dirige i destini degli Etiopi, dei Filistei, degli Aramei (cf. Am 9, 7), degli Egiziani (cf. Is 19, 21-25).

E si serve di Ciro, re dei Persiani, per ricondurre il suo popolo da Babilonia a Gerusalemme. Di lui dice: «Io l'ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni» (Is 45, 1).



I SALMI CANTANO LA PROVVIDENZA



Alcune espressioni fra le più note:

- «non abbandoni chi ti cerca, Signore» (Sal 9, 10-lì).

- «il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» (Sal 23, 1).

- «mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (Sal 27, 10).

- «Signore, tu mi scruti e mi conosci, ... dove andare lontano dal tuo spirito... Sei tu che hai creato le mie viscere, e mi hai tes­suto nel seno di mia madre» (Sal 139, 1.7.13).

- «tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportu­no. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni» (Sal 104, 27-28).

- «Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l'erba sui monti. Provvede il cibo al bestiame... Manda una sua parola ed ecco si scioglie, fa soffiare il vento e scorrono le acque» (Sal 147, 8-9.18); «Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia» (Sal 147, 11).

Poche verità sono rivelate in termini così espliciti e rassicu­ranti, come quella della Provvidenza.

Non per nulla il Dio dell'Antico Testamento si rivela con un no­me, Jahvé, il cui significato, fra gli altri, è quello di "Io sono Colui che è qui": e quindi un Padre che è sempre disponibile ed è l'unico punto di riferimento sicuro per qualsiasi necessità.



NUOVO TESTAMENTO: GESÙ RIVELA CHIARAMENTE LA DOLCE PROVVIDENZA DEL PADRE



Lo fa principalmente in questi due testi immediati e comprensi­bili:

1. «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, per­ché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo so­le sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 44-45).

2. «Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indos­serete: la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro ce­leste li nutre. Non contate voi forse più di loro?

E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?

E perché vi affannate per il vestito?

Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.

Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e doma­ni sarà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?

Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo?

Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani, il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.

Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte

queste cose vi saranno date in aggiunta.

Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani

avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 25-34).



FIDUCIA E ABBANDONO



Gesù usa parole semplici e comprensibili, partendo dalla con­siderazione di ciò che tutti vedono e sentono.

Egli conosce i problemi della gente comune in mezzo alla quale vive, e che è in continuo assillo:

- per il cibo,

- per le bevande,

- per il vestito,

- per la sofferenza personale e familiare,

- per le miserie fisiche della vecchiaia,

- per la morte,

- per le ingiustizie a tutti i livelli...

Gesù conduce la sua vita terrena in mezzo a persone inquiete, preoccupate, ribelli, polemiche, protese al raggiungimento di un futuro migliore. Ed è continuamente interpellato e contestato.

Come si comporta?

Con un atteggiamento di grande fiducia e di pieno abbandono alla volontà del Padre.

Gesù è forte e sereno perché è consapevole di fare la volontà del Padre e perché è certo che nulla gli può accadere senza che lo sappia Lui!

Poi dice: avete problemi? siete preoccupati per il futuro? volete spiegazioni?

Non cercate risposte o soluzioni, ma semplicemente: guardate! Guardate come il Padre si comporta con gli esseri più umili e insignificanti, e state certi che farà altrettanto con voi, che valete ben più di loro!

Di conseguenza:

- niente paura: a voi pensa il Padre!;

- vivete alla giornata: basta a ciascun giorno il suo affanno!;

- non fate confronti: sforzatevi di amare i nemici, perché anch'essi sono amati e assistiti dal Padre!;

- preoccupatevi di cercare come prima cosa il regno di

Dio, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta!

La Provvidenza quindi, secondo Gesù, non la si insegna, ma la si vede nel tessuto ordinario e straordinario delle cose che sono disegnate dalla mano sapiente e amorevole del Padre.

È un disegno di amore che solo chi ha l'occhio puro e il cuore buono riesce a capire!



PROVVIDENZA SÌ, MA CON IMPEGNO PERSONALE



La Provvidenza è l'aiuto che il Padre dona a ogni uomo per aiutarlo a raggiungere lo scopo che Egli ha fissato per lui.

Dio non si sostituisce all 'uomo, ma lo invita a collaborare, la­sciandogli:

- la sua libertà,

- la sua responsabilità,

- la sua personalità;

lo pone nelle condizioni di dare il suo personale e insostitui­bile apporto.

A ciascuno la sua parte:

- la Provvidenza non può fare tutto senza l'uomo;

- l'uomo non può far nulla senza la Provvidenza.

Madre Teresa di Calcutta scrive: «se a volte i nostri poveri arri­vano a morire di fame, non dipende dal fatto che Dio non si prende cura di loro. Dipende piuttosto dal fatto che né voi, né io siamo abbastanza generosi. Dal fatto che non siamo strumenti impegnati nelle mani di Dio per dare loro cibo e vestito».



UNITÀ E VARIETÀ DELLA PROVVIDENZA



Il Padre ama tutti con un amore personale, originale, unico e diverso.

È il Padre di tutti e di ciascuno, e la sua Provvidenza raggiun­ge ogni singola persona.

Il suo primo e grande scopo è quello di "salvare tutti gli uomi­ni e di farli arrivare alla conoscenza della verità".

E siccome la salvezza si attua attraverso Cristo, tutto Egli di­spone in modo che ogni uomo, prima o poi, si possa incontrare con Lui.

Cristo è l'unico Salvatore del mondo: l'azione della Provvidenza è quindi rivolta a condurre, direttamente o indirettamente, a Lui. Le vie per arrivare sono tante, e tutte sono predisposte per questo incontro, che resta il più importante e decisivo nella vita di ciascuno.

La Provvidenza, che è unica per tutti, acquista aspetti diversi a seconda delle diverse persone e dei loro diversi ruoli.

Dio accetta il rischio di sembrare ingiusto.

Non rifiuta l'indispensabile a nessuno, ma a certe persone sem­bra dare con più abbondanza...

Sembra ingiusto ma non lo è, perché a chi ha dato di più chie­de di più; chi riceve di più, riceve per gli altri. Deve servire di più. Deve vivere per servire.



RESTA IL MISTERO



Scrive Rosmini: «stimo necessario dare alla gioventù una gran­de idea della divina Provvidenza, e infonderle il rispetto per tut­te le disposizioni divine, senza mai prendere scandalo dagli avvenimenti, siano quali si vogliano»!

"Senza prendere scandalo": sì, perché è assai difficile non restare sconcertati e addirittura scandalizzati di fronte a tante si­tuazioni complesse, sconvolgenti, assurde e insolubili.

Non resta che dire: le vie della Provvidenza sono avvolte da oscurità misteriose. E non è in nostro potere la facoltà di com­prendere e di comporre ogni cosa.

«Solo in certi speciali istanti ci è permesso gettare uno sguar­do fugace in tale mistero, per averne un presentimento e perce­pirne una minima traccia».

Il credente, il figlio consapevole della bontà del Padre, non ha che una possibilità intelligente e valida: attendere, riflettere, pregare, e, soprattutto, abbandonarsi con filiale confidenza fra le braccia di Colui che tutto volge per il suo vero bene, anche se non lo comprende.



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21/09/2009 19:29

6

DIO, UN PADRE MISERICORDIOSO


O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza ad ogni uomo che desiste dal male:

il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola, e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù.

(Colletta della 26° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, un Padre misericordioso



IL DIO DELL'ANTICA ALLEANZA È UN DIO "RICCO DI MISERICORDIA"



La storia dell' antico popolo di Dio si può definire una peculiare esperienza della misericordia di Dio, a livello individuale e so­ciale.

Israele è il popolo dell'Alleanza.

Si è alleato con Dio, con solenni giuramenti, con tante promes­se vicendevoli e sacrifici a non finire:

Ma quante infedeltà! Quanti tradimenti!

Ma Dio non si dà per vinto, e per questo suo alleato fragile e imprevedibile riserva solo:

- comprensione,

- compassione,

- perdono.

È un Dio

- ricco di misericordia,

- pieno di tenerezza e di grazia,

- lento all'ira,

- sempre in attesa di un pentimento e di un ritorno.

L'Antico Testamento, per esprimere la misericordia, usa diversi

termini con alcune sfumature, che si completano a vicenda.

I due principali sono:

- hesed, che significa bontà e fedeltà. Viene spesso usato unito all' altro termine we-emet, che significa grazia e fedeltà;

- rahamin, che ha una sfumatura materna, perché rehem è il grembo materno.

Indica il particolare rapporto di amore che si instaura fra la madre e il suo bambino.

È un amore gratuito, un'esigenza del cuore, che genera una gamma di sentimenti, fra i quali la tenerezza, la pazienza, l'atte­sa, il perdono facile e generoso.'

Nella predicazione dei Profeti, la misericordia è una speciale potenza dell'amore, che prevale sempre sul peccato e sull'infe­deltà.

Per quanto grande sia il peccato, la misericordia divina lo su­pera infinitamente, "quanto l'Oriente dista dall'Occidente".

Sarebbe lunga e interessante l'elencazione dei numerosi testi dei Profeti e dei Salmi che parlano della misericordia, ma è forse preferibile concentrare l'attenzione su ciò che ha detto e fatto Gesù.



GESÙ RIVELA E TESTIMONIA L'INFINITA MISERICORDIA DEL PADRE



È ascoltando e guardando Gesù che possiamo riuscire a com­prendere l'infinito amore e la sorprendente misericordia del Pa­dre!

Si può dire che il tema della misericordia è stato al centro di tutta la sua vita terrena: una vita segnata dall' amore, dal perdo­no, dal dono di sé fino alla morte, per cancellare e riparare il peccato di tutta l'umanità.

Gesù è «la vera incarnazione della misericordia».2

Dice la Preghiera eucaristica quinta: «il Padre misericordioso ci ha donato il suo Figlio, come fratello e redentore.

In Lui ha manifestato il suo amore per i piccoli e per i poveri, per gli ammalati e gli esclusi.

Mai Egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli.

Con la vita e la parola, ha annunziato al mondo che Tu sei Pa­dre e che hai cura dei tuoi figli».

Dunque: il Padre, per dimostrarci la sua infinita misericordia, ci ha fatto un incomparabile dono: il Figlio!

Gesù rende presente, quindi, fra gli uomini, il suo Padre; èanzi lo stesso Padre che, in Lui, agisce e parla, dimostrando, con la sua vita e con la sua parola, che

- Dio è Padre,

- Dio è Amore (cf. 1 Gv 4, 8.16),

- Dio è ricco di misericordia (cf. Ef 2, 4).

Anzi: Gesù fa della misericordia non solo il centro della sua predicazione, ma anche la verifica dell'autenticità della sua missione!

Infatti:

- a Nazaret, nella Sinagoga Gesù aveva detto che lo Spirito era su di lui e che lo aveva consacrato e inviato ai poveri, ai cie­chi, ai prigionieri, agli oppressi ecc. (cf. Lc 4, 14-27);

- agli inviati di Giovanni Battista dice di essere il vero Messia perché sta attuando tutta questa misericordia: i ciechi vedono, gli zoppi camminano ecc. (cf. Lc 7, 22).



CON LA VITA



Tutta la vita pubblica di Gesù è dono di sé, è accoglienza, ècura di malati e sofferenti, è ascolto, è compatimento, è aiuto, è conforto, è gesto di amore, è, soprattutto, perdono.

Sono così numerosi i peccatori che a Lui ricorrono, da farlo definire amico dei peccatori (cf. Mt 11, 19).

Lui stesso ripetutamente dirà «non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 13).

E qual è, in particolare, il suo rapporto con essi?

Un atteggiamento:

- di estrema comprensione,

- di grande compassione,

- di attenta distinzione per il peccato in sé e il peccatore che lo compie.

Gesù è sempre disponibile a perdonare e a scusare. Una sola cosa lo trattiene: "il peccato contro lo Spirito Santo" che è l'accettazio­ne a occhi aperti della menzogna, il capire cosa sia male e volerlo fare ugualmente, la mancanza di pentimento (cf. Mt 12, 31). Al paralitico Gesù dice: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi pecca­ti» (Mc2, 5).



Il malato chiede la guarigione, e Lui gli dà la guarigione del corpo e dello spirito. E una fede grande quella del paralitico, una fede che lo salva; ma è grande l'amore del medico divino! All'adultera dice: «Neanch'io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11).

Gesù non approva il suo peccato, ma dona il suo perdono a lei, peccatrice da tutti rifiutata.

Anche a Zaccheo, usuraio e imbroglione, Gesù perdona: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9).

Motivo di questo perdono? «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19, 8).

Alla peccatrice, in casa di Simone, Gesù dice: «Ti sono perdo­nati i tuoi peccati... la tua fede ti ha salvata, va' in pace!» (Lc 7, 48-50).



Il perché di tanto perdono? «Le sono perdonati i suoi molti pec­cati, poiché ha molto amato (Lc 7, 47).

Al buon ladrone sulla croce, che grida a Gesù: «ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», Gesù risponde con prontezza: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23, 42-43).



La schiettezza e la fede fanno breccia nel cuore di Gesù.

Il perdono per Gesù è una festa!

Afferma: «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conver­sione» (Le 15, 7).

Dio si rallegra della pecorella ritrovata «più che per le novanta-nove che non si erano smarrite» perché «il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli»

(Mt 18, 12-13).



CON LA PAROLA: "LE PARABOLE DELLA MISERICORDIA"



Quante volte Gesù si è dilungato a illustrare la misericordia e il perdono con parole, con esempi, con parabole ricavate dal co­mune modo di vivere dei suoi contemporanei!

Soprattutto le parabole, che vengono appunto chiamate "le pa­rabole della misericordia".

Sono tre:

- la pecorella smarrita e ritrovata (Le 15, 4-7);

- la dramma perduta e ritrovata (Le 15, 8-10);

- il figlio (o figliol prodigo) perduto e ritrovato (Le 15, 11-32).

Esse furono pronunciate davanti a un pubblico eterogeneo, composto in prevalenza da persone che "si credevano giuste", ma che in realtà erano ben lontane dall'atteggiamento di umiltà e di disponibilità richiesto per accogliere il dono della miseri­cordia e del perdono... e dal comprendere il vero senso della parola del Salvatore!



LA PARABOLA DEL FIGLIOL PRODIGO, O DEL FIGLIO PERDUTO E RITROVATO



È la parabola che, pur non usando la parola "misencordia", ne esprime il contenuto in modo particolarmente limpido.

La si può dividere in tre parti:

- il dramma del figlio che abbandona il padre (cf. Le 15, 12-19);

- la festa e il perdono accordato dal padre al suo ritorno (cf. Le 15, 25-31);

- il rifiuto del fratello di perdonare e accogliere il fratel­lo (cf. ibid.).



1. Voglio andarmene di casa!

È il dramma di un figlio che ha la fortuna di avere una casa e un padre, e quindi ciò che di meglio si possa desiderare, ma che se ne vuole andare, forse suggestionato e traviato dagli amici.

Vuole lasciare la sua casa, perché?

Perché vuole essere pienamente libero, senza controllo alcuno; perché vuole divertirsi senza alcun freno;

perché vuole disporre dei beni "che gli spettano" senza dover rendere conto a nessuno;

perché non può più sopportare l'ambiente di casa!

2. Il padre lo guarda angosciato, ma non lo maledice, non lo maltratta, e neppure gli impedisce con la forza di realizzare il suo folle disegno.

Soffre in silenzio e piange lacrime amare!

L'amore è tolleranza, resistenza, pazienza infinita.

Dio è tutto questo... e non per un solo figlio insensato, ma per ogni uomo che decide di voltargli le spalle.

3. Il figlio non si lascia commuovere e mette in atto la sua deci­sione; "parte per un paese lontano e là sperpera, le sue ricchezze, vivendo da dissoluto".

È inizialmente "felice", perché ha raggiunto il suo scopo.

Poveretto! Non sa che sta distruggendo la sua fortuna, e, soprat­tutto, la propria persona!

4. Scoppia il dramma.

Il denaro finisce, gli amici si dileguano, e si profila la dispera­zione. E avviene l'inevitabile: la fame, la solitudine, il tradi­mento dei compagni di baldoria, il disastro!

- Lui, l'indipendente che rifiutava il padre, è obbligato a guada­gnarsi il pane;

- Lui, non abituato a "contare i soldi", deve umiliarsi a fare il garzone;

Lui, il sensuale, il gaudente, lo sprecone, vorrebbe saziarsi con il cibo per i porci, ma non gli è concesso.

Dio conduce dolcemente l'errante a "toccare con mano" la sua povertà e lo fa con infinita pazienza, rispettando i tempi e la libertà di ciascuno.



5. Incominciano i ripensamenti e i pentimenti.

"Ma come posso continuare a vivere così? Non ho più mezzi per tirare avanti e non ho più alcuna dignità per presentarmi a nessuno!... Com'era bella la mia casa! Come mi sentivo amato, rispettato, servito!... Quanta nostalgia, quanto rimpianto!".

E affiora un pensiero di speranza, anzi una certezza: "tutti mi hanno abbandonato, tutti mi possono abbandonare... ma mio padre no! Non è possibile che lui mi abbia dimenticato! Non è possibile che lui non mi aspetti ancora!... Io l'ho tradito e abbandonato, ma lui non può tradirmi e abbandonarmi! Non è possibile... perché lui è mio padre!"



L'amore di Dio, creativo e inesauribile, aiuta a riflettere e a prendere decisioni fino ad allora impensabili!

6. Decide di tornare a casa!

La decisione avviene dopo molti ripensamenti ed è determinata dalla nostalgia di casa e dalla certezza di ritrovarvi un padre buono, accondiscendente, comprensivo oltre ogni limite.

È umiliante ripercorrere quella strada che ha conosciuto la sua fuga! Mille timori lo assalgono: mio padre riconoscerà in questa larva di uomo suo figlio? Mi accoglierà, mi aprirà la porta (almeno quella di servizio!)? Mi perdonerà?

Eccolo: è già sulla porta! Lo attende l'esperienza di un perdono che non avrebbe mai potuto immaginare!

Il perdono, nel cuore del Padre celeste, è presente fin dall'ini­zio di ogni traviamento, ma non può raggiungere il figlio se questi non decide, in piena libertà, di ritornare a casa!



7. Il padre lo attende con impazienza.

Il padre non ha mai perduto la speranza! Era sicuro che le tristi esperienze della lontananza lo avrebbero maturato! E "commos­so gli corre incontro e lo bacia". Nulla si frappone a questo abbraccio tanto atteso! Nulla di più bello di questo bacio tanto amorevole!

Dio è sempre in attesa del peccatore. Conta i passi del suo ritorno.

E quando arriva, non si comporta come un papà offeso e ferito, desideroso di rivalsa, e non è vendicativo, perché ama soltanto.

Il peccato ha già in sé la sua punizione; perché infierire ancora? Il padre bacia il figlio: il bacio è il segno del perdono pieno, soprattutto se scambiato in silenzio, senza disturbare l'intima e traboccante effusione del cuore!



8. Il figlio si confessa: "Padre, ho peccato contro il Cielo e contro dite...". Mette Dio prima del Padre! Ha già capito che il tradi­mento nei confronti del padre è una cosa orribile davanti a Dio! Non si sente degno davanti al Padre celeste e a quello terreno.



9. Il padre lo perdona senza esitazione e senza attese.

Non vuol perdere tempo! Vuole fare festa! Vuole rivestire il figlio degli abiti belli, degli abiti festivi. Vuole gli abiti della Pasqua, quello delle nozze. Vuole una festa bella, ricca, con la pre­senza di tutti i componenti della famiglia. Occorre che tutto sia come prima, figlio come prima, erede come prima, responsabile come prima.

È un padre impazzito per la felicità, come il protagonista della Parabola parallela del pastore che ha ritrovato la pecora smarrita. È pazzo di gioia perché "ci sarà più festa in cielo per un pecca­tore pentito che per novantanove giusti".



10. Incominciano a far festa.

È una festa grande, anche se rattristata dal rifiuto del fratello maggiore.

La festa è tanto più sentita quanto meno immaginata prima: chi poteva pensarla?

È la festa della vita: il figlio era morto ed è tornato in vita.

È la festa del grande ritorno: era perduto ed è stato ritrovato. Era morto, dato per morto da tutti.

Ma non per il cuore del Padre, che non si dava pace per lui e lo inseguiva ostinatamente, con coraggio e con fiducia.

Dio, nonostante tutto, è il Padre insostituibile e l'amico fedele.

Nella parabola del Padre è celebrata la vittoria dell'amore misericordioso. La vittoria di un Padre che è anche Madre, perché, ovviamente, quella figura è onnicomprensiva di un infi­nito amore paterno e materno insieme.5

Scrive il Card. Biffi: «il Padre è l'unico che resta alla fine. Pri­ma vogliamo provare tutto, ci rivolgiamo a tutti, tentando di sfuggirgli in qualche modo; poi cadiamo fra le sue braccia... Lo lasciamo per ultimo, perché possediamo la certezza di ritrovar­lo, quando ogni altra speranza sarà andata in fumo».6



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21/09/2009 19:30

7.

DIO, IL PADRE DEI POVERI E DEI SOFFERENTI


O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue, e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie.

(Colletta della 23° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, il Padre dei poveri e dei sofferenti



COME CONCILIARE LA PROVVIDENZA DEL PADRE CON LA SOFFERENZA DELL'UOMO?



Domanda: se Dio è onnisciente e onnipotente, come conciliare la sua Paternità, con la triste realtà della sofferenza, soprattutto quella nei piccoli e negli innocenti?

Come conciliare la Provvidenza con la sofferenza?

Cosa pensare di un Padre che si definisce onnipresente e prov­vidente e che sembra

- tanto lontano,

- tanto assente,

- tanto indifferente,

- tanto muto,

- tanto distaccato dalla realtà di un mondo nel quale sem­brano trionfare solo il male, il peccato, l'ingiustizia, l'ar­roganza, la morte?

Il problema angoscia tutti, e proprio perché «il mondo è radi­cato nella sofferenza», urge dare una risposta, «se non si vuole che la fede si tramuti in una droga consolatoria o in una superstizione paurosa e infantile».



QUANTI MALI!



È difficile compilare un elenco dei molti mali che, da sempre, affliggono gli uomini, anche perché le sofferenze, specie quelle morali, acquistano diverse forme a seconda del carattere e della sensibilità di ciascuno.

S. Agostino afferma che, nell'antichità, i termini usati per indi­care la felicità erano 288; ma quelli usati per indicare le varie forme di sofferenza erano oltre 400!

E commenta: «la vita presente è un pellegrinaggio faticoso, di incerta durata, pieno di miserie e intessuto di errori. Tutti i mali vi si danno convegno fino alla morte, e se la felicità vi appare, è solo per far sentire la sua assenza».

E stando così le cose, è davvero fallimentare la condizione dell'uomo, perché:

- è creato per la vita e sa che deve morire,

- è alla ricerca della gioia e non trova che sofferenza,

- cerca l'amore e deve vivere in un mondo di odi e di divi­sioni,

- aspira alla giustizia ed è circondato da tante ingiustizie,

- vuole la pace ed è oppresso dalla guerra.

Come dunque conciliare questi opposti? Come ammirare la sa­piente Provvidenza del Padre? Come continuare a dare credibi­lità a un Dio che sentiamo tanto lontano dai nostri problemi?



ALCUNI TENTATIVI DI SOLUZIONE



Lungo il corso della storia sono state tentate tante risposte e tante soluzioni ma esse sono risultate tutte parziali, provvisorie, inutili, e incapaci di dare senso e scopo al dramma della vita.

Nonostante le mille interpretazioni filosofiche e le mille scoper­te mediche e scientifiche, il dolore resta il compagno fedele e il denominatore comune di ogni esistenza umana.

Il problema non ha che due alternative:

- o ammettere che tutto è assurdo;

- o accettare la presenza del mistero.

Alcuni affermano: il dolore è un assurdo, è cioè una realtà inspiegabile, che non ha alcun fondamento razionale. E inam­missibile l'esistenza di un Dio creatore e provvidente, perché se esistesse, avrebbe già eliminato tutto ciò che si oppone alla sua bontà.

L'uomo non ha che una strada: soggiacere a un destino crudele e trascinare, con sofferta rassegnazione, un'esistenza che non ha senso e scopo.

Altri dicono: il dolore non è un assurdo, ma semplicemente un mistero.

L'assurdo è una contraddizione in termini (come ad es. un cer­chio quadrato).

Il mistero è una verità del tutto superiore, ma non contraria alla nostra mente, e che noi accettiamo non per l'evidenza della cosa rivelata, ma per l'autorità infallibile di colui che ce la rivela.

Il dolore, dicono, non è un assurdo, ma un mistero. Non esclude Dio, ma lo interpella perché dia una risposta accettabile all'uo­mo che, da solo, non sa rendersi conto della presenza del male e del dolore.



L'UNICA SOLUZIONE RAGIONEVOLE VIENE DALLA FEDE



Noi ci accostiamo al mistero della sofferenza attraverso la via della Fede, perché essa è la sola che può garantirci l'asso­luta verità di ciò che propone.

È troppo arduo il problema per accontentarci di opinioni umane sempre parziali e contraddittorie!

Abbiamo bisogno di sapere con certezza assoluta che cosa si nasconde dietro il buio dell'immenso dolore dell'umanità. Abbiamo bisogno di sapere chi è l'invisibile Regista che guida, dietro la scena, il susseguirsi delle vicende umane.

Abbiamo bisogno di sapere i criteri che ispirano i suoi interven­ti spesso per noi tanto strani e incomprensibili.

Ci accostiamo così all'unica fonte del nostro sapere.

Ovviamente, con l'umiltà dovuta e con quel senso dei nostri limiti che allontana ogni atteggiamento di meschina arroganza.

Affidiamo alla divina Rivelazione la soluzione del mistero.



GIOBBE E TOBIA



La Bibbia, che nel suo insieme è stata definita "un grande libro sulla sofferenza", già nell'Antico Testamento presenta molte descrizioni impressionanti di vicende, situazioni e persone immerse nelle sofferenze più varie e sconvolgenti.

Due casi-limite molto significativi: Giobbe e Tobia.~ Giobbe è un uomo giusto che soffre atrocemente. Senza sua colpa, perde i figli e tutti i suoi beni; e infine viene colpito egli stesso da una grave e ripugnante malattia.

Gli amici lo ritengono colpevole. Ai loro occhi, la sofferenza può avere un solo senso: è una giusta pena per i suoi peccati!

Interviene Dio, ma non dà la soluzione del problema. Solo afferma che l'uomo non ha diritto di chiedergli il perché dei mali che lo colpiscono.

Giobbe accetta con umiltà, ovviamente senza capire. Riesce a capire che deve accettare le sue sofferenze e che non può pretendere di avere una risposta definitiva.

Tobia, in forma più semplice, propone lo stesso tema. Egli è divenuto cieco, e la moglie gli dice: "dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue opere buone? Ecco... lo si vede bene da come ti sei ridotto!".

Più oltre però si dice che, appunto perché era giusto, era neces­sario che subisse una grande prova!

Non c'è dunque ancora una chiara rivelazione sul perché della sofferenza, e di una sua ricompensa nella vita futura.

Nei Salmi si susseguono considerazioni diverse e alterne, ma in essi già si accentua la certezza:

- che la sorte del giusto sarà diversa da quella del malvagio,

- che è meglio soffrire con Dio che contro di Lui,

- che un giorno Dio "potrà riscattare il giusto e strapparlo dalla mano della morte" (cf. Salì; 49, 15-16; 53; 37; 73). La prima luce del Nuovo Testamento non è lontana!



IN GESÙ LA SOFFERENZA È VINTA DALL'AMORE



È con Gesù che il mistero viene ad assumere una sua luce piena e convincente.

È Lui a rivelarci l'infinito amore del Padre che proprio nella sofferenza e attraverso la sofferenza, realizza i suoi progetti.

Seguiamo Gesù nel suo incontro col mondo della sofferenza.



1. Gesù è sempre circondato da sofferenti e da malati.

Matteo: «Gesù andava intorno per tutta la Galilea... predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo» (Mt 4, 23). Luca: «Tutta la folla cercava di toccarlo perché usciva da lui una forza che sanava tutti»; «Al calar del sole tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 6, 19; 4,40).

Dunque: un mondo di malati circonda ovunque Gesù. Sono tan­ti e non danno tregua: lebbrosi, paralitici, zoppi, idropici, cie­chi, sordi, muti, storpi, indemoniati... Malati nel corpo e nello spirito.

Sono insistenti, petulanti, ossessivi. Non lasciano in pace Gesù. Ciascuno vuole poterlo avere per sé, per interessarlo al suo par­ticolare problema.

2. Come si comporta con essi?

- Con un grande senso di pietà e di compassione;

- con atteggiamento di simpatia, e non di rifiuto;

- con un trattamento uguale per tutti, senza distinzioni;

- con un tocco personale di amore, che si traduceva in gesti di tenerezza;

- a volte, con interventi straordinari miracolosi.



Mai reazioni nervose, mai parole meno che dolci e gradevoli; mai processi alle intenzioni, mai ricerche di colpe e responsabi­lità...; ma per tutti: interessamento, rispetto, disponibilità.

A Pietro che domanda: «chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?», Gesù, con una risposta che preclu­de la via a ogni discussione, risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 2-3).



3. A volte compie miracoli.

E perché non sempre e per tutti?

Evidentemente perché non era questo lo scopo della sua missione! I veri miracoli compiuti, (pochi in confronto alle richieste!) non sono direttamente finalizzati soltanto a guarire qualche malato, anche per questo, ma soprattutto per dare autorevolezza e sostegno alla sua Persona e al suo messaggio.

Attraverso i miracoli Gesù vuol dimostrare di essere venuto per salvare gli uomini e non per guarirli dai loro malanni.

Gesù si presenta come il Salvatore dell'uomo: dell'uomo tutto intero, anima e corpo, dell'uomo bisognoso di essere liberato dal peccato e di essere reso partecipe della vita divina; dell'uo­mo destinato alla vita eterna.

La salute fisica può entrare nel piano della salvezza globale del­l'uomo, ma resta un aspetto limitato e transitorio.

Ecco perché



4. a tutti, indistintamente, dà una "cura su misura Ed è la cura dello spirito.

L'espressione "li curava tutti" va presa quindi in senso spiritua­le e morale: una cura su misura per tutti e per ciascuno, comuni­cata attraverso quel tocco personale rivolto alla persona che lo cercava.

Una cura che aiutava il sofferente a comprendere il significato e il valore del dolore e a sollevarlo nel suo arduo compito di portare la croce.

Una cura che doveva aiutare il malato ad accogliere e a valo­rizzare il suo dono: quello appunto del soffrire!



GESÙ NON ABOLISCE MA PRENDE SU DI SÉ LA SOFFERENZA UMANA



Gesù è l'immagine del Padre che in Lui si fa visibile. Facendosi uomo, avrebbe potuto eliminare ogni sofferenza in sé e negli altri, attraverso tanti modi, non esclusi i miracoli.

E invece, proprio per realizzare il suo piano di salvezza, ha scelto la via della sofferenza fisica e del dolore morale.

Non fu solo in mezzo ai malati per lenire le loro sofferenze e per confortarli, ma

- fu addolorato,

- fu messo alla prova,

- fu tentato,

- fu tribolato Lui stesso.

E apparve fra gli uomini come "l'Uomo dei dolori", come Colui che assommava in sé tutto ciò che nel mondo si può sof­frire, così che nessuna sofferenza gli si potesse dire estranea o incompresa.

E la sua Croce divenne il simbolo e la sintesi delle infinite pic­cole e grandi croci disseminate in tutte le vie e in tutti i cuori della terra.

Lui, innocente, soffrì come e più di tutti, non per espiare i pec­cati che non aveva, ma per operare, con l'altissimo valore della sua sofferenza, la salvezza attesa.

Si fece esempio e punto di riferimento di tutti gli afflitti, pro­mettendo loro aiuto, consolazione, autorevole presenza:

«Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5, 4); «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ri­storerò... Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 28.30).



NELLA SOFFERENZA RISPLENDONO LA SAPIENZA E L'AMORE DEL PADRE



Ed ecco il mistero!

Ma perché Dio, che aveva tante possibilità di scelta, ha voluto scegliere proprio il dolore come mezzo di salvezza e di vita? Perché ha scelto uno strumento tanto scomodo non solo per noi ma anche e soprattutto per il suo Figlio divino?

Come conciliare dunque sofferenza e Provvidenza?

Risponde S. Agostino: «tutto ciò che quaggiù ci accade contro la nostra volontà, non accade che per volontà di Dio, per disposizione della Provvidenza, per i suoi decreti e sotto la sua direzione.

E se, considerata la debolezza della nostra mente, non possiamo cogliere la ragione di questo o di quell'avvenimento, attribuia­molo alla Divina Provvidenza, facendole l'onore di riceverlo dalle sue mani.

E crediamo che non è senza ragione che essa ce lo manda!».

E il Manzoni aggiunge: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e più grande». Ecco allora l'unica soluzione possibile e ragionevole: accetta­re la volontà divina, comunque essa si manifesti, facendole credito, nella sicura convinzione che ciò che proviene da essa è sempre e solo per il nostro bene.

Un giorno vedremo come e perché!



L'IMMENSO BENE CHE NASCE DALLA SOFFERENZA ACCOLTA CON AMORE



Sul piano soprannaturale, tutti i battezzati formano, con Cri­sto, un corpo solo.

In ciascuno palpita la vita della grazia, che viene trasmessa dal Capo.

Tutto quello che appartiene a uno, entrando nel circuito divino del Corpo, viene comunicato all 'intero Corpo, nel bene e nel male.

Tutti però devono vivere in sé il mistero del Capo, che sarà veramente completo solo quando tutti avranno dato il loro con­tributo di amore e di sofferenza.

Ciascuno quindi, con la sua sofferenza, "completa la passione di Cristo" (cf. Col 1, 24), e rende perfetto e maturo l'intero Corpo.

La sua sofferenza diviene indispensabile e preziosa per la sal­vezza e la crescita del Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Sul piano naturale, nulla come la sofferenza agisce sull'uomo con insostituibili effetti che potremmo chiamare "le beatitudini del dolore".

Il dolore:

- conduce alla scoperta di noi stessi;

- ci matura;

- affina ed eleva lo spirito;

- abilita alla comprensione degli altri;

- espia i nostri errori e peccati;

- è il messaggero e l'alleato di Dio.

Sono "beatitudini" naturali che ci aiutano a capire la razio­nalità e l'utilità del dolore, ma non ci danno quella piena luce alla quale aspiriamo.

E per questo il Concilio Vaticano Il dice: «solo per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime».

«Gesù di Nazaret rischiara per noi il senso del mondo, non istruendoci sulla sua legge e sui suoi misteri, ma dandoci fiducia sul suo fondamento, quella fiducia che i credenti affer­mano dicendo "Padre nostro"».

«Questo dunque è il senso vera mente soprannaturale e insieme umano della sofferenza. E soprannaturale perché ci radica nel mistero divino della Redenzione del mondo; ed è altresì umano perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione».



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8

LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL PADRE NOSTRO


Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore, e donaci il tuo Spirito, perché invocandoti con fiducia e perseveranza, come ci hai insegnato, cresciamo nell 'esperienza del tuo amore.

(Colletta della 27~ Domenica del Tempo ordinario)



La preghiera dei figli: il Padre nostro



UN NUOVO MODO DI PREGARE



Gesù, figlio del Padre, divenuto uomo per mezzo di Maria ha imparato a pregare con cuore di uomo.

Da chi ha imparato a pregare Gesù-uomo?

Anzitutto da sua madre, che serbava e meditava nel suo cuore le grandi cose che il Signore operava in lei (cf. Le 1, 49; 2, 19; 2, 51). E poi dalle parole e dai ritmi della preghiera del suo popolo. Ma la sorgente principale era il suo cuore, per quell'unione inti­ma che, fin da bambino, sentiva col Padre.

A 12 anni, smarrito e poi ritrovato nel tempio, Gesù afferma di "doversi occupare delle cose del Padre suo", dimostrando di avere con Lui un rapporto profondo e personale (cf. Le 2, 49).

È con Lui che rinasce il modo nuovo di pregare.

Quella preghiera filiale che il Padre attendeva dai suoi figli viene finalmente espressa dallo stesso Figlio unigenito, nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.



GESÙ PREGA



La preghiera accompagna Gesù sempre e ovunque, lungo tutto il suo cammino terreno.

Si ritira spesso in disparte, specie di notte, interrompendo talu­ne conversazioni pur ritenute urgenti e importanti.

Prega a lungo, nella solitudine, solo col Padre (cf. Mc 1, 35; 6, 46; Le 5, 16).

Prega, pubblicamente, prima di compiere azioni salvifiche, nei momenti più decisivi della sua missione (cf. Le 5, 12; 22, 32; 9, 18-20).

A volte prega a voce alta, sia per chiedere al Padre determinate cose, sia per ringraziarlo anticipatamente per ciò che sta per ri­cevere (cf. Gv 11, 41-42).

Usa spesso brevi parole, ma talvolta prolunga la sua preghie­ra, per far comprendere il senso di ciò che sta facendo. Quando prega, usa spesso espressioni tolte dai Salmi, e che quin­di erano note alle persone che lo ascoltavano.

E prega con un tale trasporto da far pensare non solo di essere profondamente unito al Padre, ma di essere perennemente con Lui, in un dialogo che non si interrompe mai.

La preghiera pubblica più lunga e più densa di significato èquella pronunciata da Gesù nel Cenacolo, nella cena di addio, e che è considerata come il suo testamento (cf. Gv 17).



GESÙ INSEGNA A PREGARE



Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare.

Ma come un perfetto pedagogo, guida i suoi discepoli nella sco­perta e nella pratica della preghiera, partendo dai contenuti del­l'Antico Testamento e giungendo a perfezionarla alla luce della Rivelazione nuova.

Fin dal "Discorso della Montagna" insiste sulla conversione del cuore, come premessa per un'autentica preghiera. Essa consiste in determinati atteggiamenti, prima poco considerati:

- riconciliati col fratello, prima di presentare la tua offerta (cf. Mt 5, 23-24);

- ama i nemici e prega per i tuoi persecutori (cf. Mt 5, 44-45);

- prega il Padre "nel segreto", senza sprecare parole (cf. Mt 6, 6-7);

- perdona dal profondo del cuore (cf. Mt 6, 14-15); purifica il tuo cuore, nella ricerca del Regno (cf. Mt 6, 21. 25.33).

«Questa conversione è orientata al Padre: è filiale».

Il cuore, deciso a convertirsi e in questo atteggiamento filiale, incomincia a pregare:

- con fede, cioè con adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo.

Diventa possibile perché il Figlio ci ha aperto l'accesso al Pa­dre, e ci permette di "cercare" e di "bussare", perché egli stesso è la porta e il cammino (cf. Mt 7, 7-11);

- con audacia, nella certezza di ottenere: «tutto è possibile per chi crede» (Me 9, 23);

- con piena adesione alla volontà divina: «Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21).

E con la determinazione di collaborare al disegno divino, che si attua con l'apporto di tutti e di ciascuno (cf. Mt 9, 38; Le 10, 2; Gv4,34);

- in comunione con Gesù, e anzi in suo nome: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16, 24).

E per una preghiera fatta così, il Padre dona "l'altro Consolatore, lo Spirito di verità", che "rimane con noi" per illuminarci e so­stenerci nella nostra preghiera e nella nostra vita filiale (cf. Gv 14, 16-17).



LE TRE PARABOLE DELLA PREGHIERA



1. L'amico importuno (cf. Le lì, 5-13), che insegna 1' insisten­za con cui dobbiamo pregare. A chi prega così il Padre assi­cura di dare "tutto ciò di cui ha bisogno", e specialmente "il dono dello Spirito Santo".

2. La vedova importuna, che insegna la pazienza della fede, an­che quando essa sembra inascoltata e inutile (cf. Le 18, 1-8).

3. Il fariseo e il pubblicano, che insegna l'umiltà del cuore, che spesso porta l'orante a dire semplicemente: "O Dio, abbi pietà di me" (cf. Le 18, 9-14).



GESÙ CI ASSICURA CHE LA PREGHIERA È SEMPRE ESAUDITA



La parabola dell'amico importuno non ammette dubbi: «Chie­dete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto...

Quale padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?

O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?

Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Le 11, 9-13).

Gesù ci dice sostanzialmente tre cose:

- ogni preghiera, espressa con fede, con fiducia, con perseveran­za, è certamente esaudita.

- Dio, che è Padre infinitamente buono, accoglie sicuramente la preghiera dei figli: se essi, "che sono cattivi", sono sensi­bili alle richieste degli importuni, come non potrà esserlo Lui con i figli suoi, che Egli ama?

Egli però non sempre accorda ciò che i figli domandano: perché?

Evidentemente le richieste non sono per il loro vero bene. È certo comunque che non dà loro le cose che chiedono ma quelle che sono loro realmente necessarie.

Dice P. Pio: «se Dio ti concede la grazia richiesta, digli grazie; se non te la concede, digli ugualmente grazie: è tutto un gioco d'amore!».



COME CONCILIARE PREGHIERA E PROVVIDENZA?



Ora ci chiediamo:

- che senso ha pregare, quando tutto è stato deciso?

- qual è il compito della preghiera nello svolgimento di un dise­gno, che è già stato previsto dall'eternità?

a che serve pregare quando il Padre "già sa quello di cui ab­biamo bisogno"?

Risposta: la preghiera non è

- un chiedere a Dio di cambiare la sua volontà nei nostri con­fronti;

e neppure il mezzo per informare il Padre delle nostre neces­sità, perché le conosce già (cf. Mt 6, 8);

- o un alibi per dispensare dall 'agire, e per assumere un atteg­giamento di passività e di distacco: «sarebbe uno scambiare la fede per superstizione».

È anzi dalla fede che si attinge la forza per compiere azioni impegnative e costruttive. Come quelle dei Santi!

La preghiera invece è:

- un chiedere al Padre l'aiuto per corrispondere con amore al suo piano provvidenziale su di noi: "sia fatta la tua volontà e non la mia" (cf. Me 14, 36);

- un uniformarci intimamente alla volontà divina; con una collaborazione rispettosa verso la sua decisione di volerci sal­vare e aiutare anche in dipendenza della preghiera.

Dio ha voluto far dipendere la realizzazione di determinate cose dal nostro desiderio e quindi dalla nostra preghiera.

Ed è per questo che lo Spirito Santo prega' in noi, suggerendoci ciò che è meglio chiedere per il nostro vero bene.

La preghiera diventa così una risposta alla grazia divina:

preghiamo perché Dio ci dà la grazia di pregare!

Con essa diventiamo corresponsabili del Progetto del Padre che ci vuole protagonisti liberi e attivi.

È un progetto:

- che onora Dio, e non lede i suoi diritti;

- che onora noi, che ci adeguiamo liberamente con la preghiera ai suoi voleri.



LA PREGHIERA DEI FIGLI: IL "PADRE NOSTRO"



«Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: Quando pregate, dite:

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male» (cf. Le 11, 1-4; Mt 6, 9-13)4

Dice Tertulliano: «l'orazione domenicale è veramente la sin­tesi di tutto il Vangelo.

Dopo che il Signore ebbe trasmesso questa formula di preghie­ra, aggiunse: "chiedete e vi sarà dato". Ognuno può dunque in­nalzare al cielo preghiere secondo i propri bisogni, però inco­minciando sempre con la Preghiera del Signore, la quale resta la preghiera fondamentale».



OSIAMO DIRE: PADRE



Nella Messa, prima della Comunione, la Liturgia ci invita alla recita del "Padre nostro", premettendo una significativa precisa­zione: "osiamo"!

Osiamo, perché?

Perché entrando nel mistero trascendente di Dio, siamo consa­pevoli dell'infinita distanza che ci separa da Lui.

Non avremmo il coraggio di chiamarlo Padre e di avvicinarci confidenzialmente a Lui se non ci avesse promossi alla dignità di figli e non ci avesse invitati a entrare nel suo dolce e conso­lante mistero!

Se osiamo è perché siamo divenuti figli, e, a pregare con noi, c'è il suo Figlio unigenito, col quale siamo divenuti una sola cosa!

Se osiamo, è perché lo Spirito Santo grida in noi: "Abbà, Pa­dre", sostenendo e illuminando il nostro incontro col Padre!

Solo Gesù poteva superare la soglia della Santità divina!

Solo Lui, che, avendo "compiuto la purificazione dei peccati", poteva introdurci davanti al Volto del Padre e dirgli: "eccoci, ci sono Io e ci sono i figli che tu mi hai dato".

Il "Padre nostro" è così "la Preghiera dei figli di Dio"; la pre­ghiera di coloro che, nel Figlio e col Figlio, hanno un audace, confidenziale, gioioso, filiale rapporto, sostenuto dalla certezza di essere amati.



IL PADRE NOSTRO: UNA PREGHIERA DA DIRE E DA FARE



Gesù, dandoci il "Padre nostro", ha tracciato la via della pre­ghiera.

Il "Padre nostro" non e una preghiera "finita", ma uno schema per pregare.

Più che una preghiera già "confezionata", e una preghiera da sviluppare.

Più che una preghiera da "dire", è una preghiera da "fare". Il "Padre nostro" non lo si può solo recitare: bisogna pensarlo, penetrarlo, assimilarlo, perché è tutto un programma di vita.

Gesù, insegnandocelo, non ci ha messo solo delle parole sulle labbra, ma ci ha dato dei concetti da sviluppare con le nostre parole.

Il "Padre nostro" è la preghiera riservata ai discepoli: "inse­gnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli".

È il distintivo di appartenenza a Lui.

Per questo la Chiesa lo consegna solennemente al battezzato. Per questo possiamo dire che è la preghiera del nostro Battesimo!

È la preghiera dell"'uomo nuovo", che è rinato, in Cristo, alla vita divina, alla vita eterna.


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9.

SONO TUO PADRE: NON AVERE PAURA!


O Padre, presente nel cuore di ogni uomo, rivèlati a quanti sono nelle tenebre e nell'ombra di morte, perché nella tua luce riconoscano l'altissima dignità di tuoi figli, da te eternamente scelti, chiamati alla grazia e destinati alla gloria.

(19° Colletta per le ferie del Tempo ordinario)



Sono tuo Padre: non avere paura!



NON AVERE PAURA DI ME



Tutto è stato detto fin qui per illustrare la mia identità: sono il tuo Creatore e il tuo Signore, ma soprattutto sono tuo Padre.

Ora ti dico: avvicinati e chiamami col mio vero nome; dimmi con amore la parola che attendo: Papà!

Non avere paura, perché non sono estraneo alla tua vita, non sono un "padrone" cattivo, non sono vendicativo, non sono un giudice impietoso e senza cuore: sono semplicemente tuo Padre; e ti amo con un amore dolce, tenero, attento, misericor­dioso, forte... anche se divinamente esigente (cf. Sal 62, 1-10; Sal 16, 11).

Se tu sapessi fino a che punto ti amo, non avresti paura!

Ti getteresti perdutamente nelle mie braccia. Vivresti nel fidu­cioso abbandono alla mia immensa tenerezza, e non mi lascere­sti un momento.

Cercami nel silenzio e nella preghiera.

Cercami "nel segreto della tua camera" (cf. Mt 6, 6), nell'inti­mità del tuo cuore.

E dopo aver fatto tacere le voci dispersive dell'orgoglio, della ri­bellione, dell' aggressività, degli affanni indebiti, delle evasioni sterili, della superficialità... concentrati su questa parola: Padre.

Ripeti più volte, dolcemente: Padre mio, Dio mio!...

E poi apri la Bibbia e leggi quel che ti dico attraverso Parole scritte tanti secoli fa, ma che sono vive e attuali: per te, oggi, e qui!

Non avere paura!

Accostati con fiducia e parlami. Raccontami la tua giornata, esponimi i tuoi progetti, i tuoi fastidi, le tue difficoltà...

Chi più di tuo Padre può capirti e aiutarti a risolverli?

Avvicinati con l'anima semplice con cui il tuo bimbo si avvi­cina a te. È commovente il suo slancio, perché è sicuro di essere amato dal suo papà!



NON AVERE PAURA DEL PASSATO



La vita è breve e, nel suo rapido scorrere, si trascina dietro le cose belle, con tanti nostalgici rimpianti.

Tu pensi: poter tornare indietro!

Il passato ti affligge per due motivi:

- perché vorresti rivivere una felicità perduta che non torna più;

- perché vorresti cancellare tutta una serie di errori e scel­te sbagliate che, al momento, ti danno solo tormento.

Non avere paura del tuo passato, qualunque esso sia!

Anche se ti sei macchiato di colpe gravi, nulla è irreparabile ai miei occhi, perché sono Bontà e Misericordia infinita!

Io non amo il tuo peccato, ma amo te; e tutta la mia attenzione non è rivolta a calcolare l'entità del peccato, ma a suscitare in te un salutare ravvedimento.

Mi bastano due cose: l'umile accettazione e il Sacramento della Confessione... Dopo di che, stanne certo, tutto ritorna come prima.

Io dimentico sul serio, ti rinnovo la mia piena fiducia, ti faccio completamente nuovo (cf. Ez 11, 19-20).

Non avere paura, perché «il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11, 8).

Nel perdonare e nel dimenticare io ripongo il sommo trionfo del mio amore,' perché il mio Figlio "non è venuto per cercare e sal­vare i giusti, ma i peccatori" (cf. Le 5, 32). Che cosa vuoi di più?



NON AVERE PAURA DEL FUTURO



So benissimo che la tua fantasia è tutta protesa verso il futu­ro... e che non ti dà pace!

Quanta paura, quante angosce!

Invece di vivere in serenità il momento presente, non fai che tormentarti per ciò che sarà domani.

E tutto diventa un problema: la salute, la casa, il lavoro, la vec­chiaia, i figli, i parenti, la politica...

Rifletti: ma perché vuoi fasciarti la testa prima ancora che si sia rotta?

Come fai a sapere quello che sarà domani, quando ogni evento sarà determinato da fattori oggi imprevedibili e inconoscibili? Non perdere tempo cercando di inoltrarti nel labirinto delle varie combinazioni possibili: il futuro è nelle mie mani.

Tu pensa all'oggi.

Vivi con impegno e pace ogni ora, come fosse la prima, come fosse l'unica, come fosse l'ultima.

Per l'affanno di oggi ti sono vicino con una Provvidenza adat­ta e proporzionata al bisogno.

Per l'affanno di domani ti sarò vicino con una Provvidenza ugualmente adatta e proporzionata al bisogno.

Il Vangelo ti garantisce questa mia presenza provvidenziale e ti invita a confidare soprattutto in me, che sono tuo Padre (cf. Lc 12, 22-34).

E ti assicura che nulla ti potrà mancare se saprai cercare, prima di ogni cosa, "le cose mie" e l'attuazione della mia volontà (cf. Lc 12, 31).



NON AVERE PAURA NELL'ORA DELLA PROVA



Chiamami Padre soprattutto nell'ora del dolore, nel quale non hai che due vie da percorrere:

- una in discesa, che porta alla disperazione e al rifiuto;

- una in salita, che faticosamente ti conduce a me.

Nulla è più importante, nulla è più prezioso nella tua vita della sofferenza accettata con umiltà, sopportata con pazienza, offerta con amore.

Io ti sono vicino specialmente in questo duro momento, ma tu forse non lo sai ancora.

Ricorda che nella tua vita nulla avviene per caso: tutto è da me per­sonalmente voluto o permesso, e solo per il tuo bene (cf. Rm 8, 28).

Non sono quindi estraneo al tuo dolore, che è da me previsto e sapientemente sostenuto da una Provvidenza adatta al mo­mento.

Poi, sèntiti personalmente invitato a questa o a quella prova, dal mio Figlio Gesù. È Lui che, staccando la mano insanguina­ta, sceglie un pezzetto della sua croce, e te lo porge, dicendo:

"non temere, te lo offro io! Ho bisogno del tuo apporto per completare il mio sacrificio" (cf. Coli, 24-25). "Ho scelto la croce adatta per te e ti aiuterò a portarla. Tutto ti sarà più faci­le se starai con me!".

Chi soffre con me vince sempre. Chi soffre senza di me è solo da compiangere. Quando sei nella prova, non dire più: "come mai, come mai?", ma piuttosto "Padre, tu lo sai!". E ne avrai tanta pace!



NON AVERE PAURA DELLA MORTE



Chiamami Padre soprattutto quando pensi alla morte, e hai l'impressione che essa si stia avvicinando.

Non pensare al come essa verrà e a ciò che ti attende oltre i confini della vita.

Tutto sarà più semplice e bello di quanto tu possa pensare!

In quel momento importante ti sarò vicino come non mai: ti accoglierò con l'amore di un Padre che attende da lungo tempo il figlio e per il quale ha già preparato la casa (cf. Gv 14, 2). Allora capirai che ti ho amato con un'intensità di amore che ora non sei in grado di immaginare.

Allora capirai perché e a chi saranno servite le tue sofferenze, le tue battaglie, le tue conquiste, la tua complessa vita.

E allora mi ringrazierai per averti condotto, fra rischi e peri­coli, all'ambito premio promesso ai figli.

Pensa al nostro incontro nella luce!

Per questo incontro sei stato creato, hai lavorato, hai sofferto. Verrà il giorno nel quale ti accoglierò, per un abbraccio di gioia, di festa e di amore che non avrà fine.

Pensaci con serenità, e offrimi in anticipo l'accettazione della tua morte, unendola fin d'ora a quella del mio Figlio Gesù.

Preparati

- con fede, accettando senza la pretesa di pre-vedere il dopo;

- con fiducia, credendo che tutto sarà più semplice di ciò che pensi;

- con amore, pregustando nella pace i doni che ti darò!

Non avere paura!

Con la mia Provvidenza ti ho aiutato e ti aiuto a ben vivere.

Con uguale Provvidenza, ti assisterò e ti aiuterò a ben morire.

Se non facessi questo, che Padre sarei?



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21/09/2009 19:32

10.

SONO TUO PADRE: ABBANDÒNATI A ME!


O Padre, tu sei l'unico Signore, e non c'è altro Dio all 'infuori di te: donaci la grazia dell 'abbandono totale e del docile ascolto alla tua parola, perché i cuori, i sensi e le menti si aprano al Vangelo del tuo Figlio, unico nostro Salvatore.

(Colletta della 31 a Domenica del Tempo ordinario)



Sono tuo Padre: abbandénati a me!



HO UN PROGETTO PER TE



Credilo: nonostante che tu sia un piccolo granello di sabbia di­sperso nel grande universo, sei oggetto del mio amore personale. Ti conosco e ti chiamo per nome (cf. ] Sam 3, 1-18; Is 48, 1.5; Ger 1,4-10; Mc 1, 16-10; Lc 5, 27).

Ti amo come se al mondo non ci fossi che tu solo.

Come il piccolo fiore del campo ha tutto il sole per sé, così tu hai tutto e indiviso il mio amore infinito.

Se esisti, è perché ti ho pensato, ti ho voluto, ti ho realizzato e conservato con amore e per amore.

Ho un progetto su dite, e, per questo, non sei venuto al mondo per caso.

È un progetto che si inquadra nel grande progetto del mondo, e nel quale tu hai una parte ben definita che è tua e soltanto tua (cf. Rm 12, 3-8; 1 Cor 12, 13-14).

Sei come il piccolo tassello del grande mosaico di cui scopri l'importanza solo se malauguratamente viene a cadere.

Il progetto ha un solo scopo: la salvezza e la felicità tua e dell'in­tero universo (cf. Rm 8, 14-30; Gal 3, 6-7.15-18; 4, 1-7; 5, 16). Io conosco l'intero progetto e conosco anche il tuo, e ho predi­sposto ogni cosa per la sua realizzazione.

A te non chiedo di sapere e di giudicare: chiedo solo dì colla­borare, in uno spirito di fiducia e di amore.

Non avere paura!

Sii anzi felice di essere una pietra insostituibile e preziosa per la costruzione di una grande "cattedrale".



ACCÈTTATI PER QUELLO CHE SEI



Dunque sei una realtà unica, distinta, irripetibile.

Non esisterà più nel mondo una persona come la tua, e nessuno ti potrà sostituire nella realizzazione del tuo personale progetto. Ti ho voluto così, esattamente come sei!

A volerti così, sono stato io, e per motivi che conosco soltanto io!

Non invidiare nessuno: tu sei quello che sei e la tua persona corrisponde a quel progetto che ho predisposto per te.

Accetta con gioia la tua persona, il tuo corpo, il tuo carattere, la tua sensibilità... tutto ciò che è positivo in te.

E accetta serenamente anche ciò che, ovviamente, positivo non è.

La tua realtà è meravigliosa: "ti ho fatto come un prodigio"

(cf SaI 139, 14); e sarai il mio vero capolavoro se accetterai di collaborare con me.

Devi lavorare sul materiale che sei tu, e che ti ritrovi non per scelta, ma per mia volontà.

Non perdere tempo a cercare altro materiale, altri modelli, altre strade.

Realizzati con ciò che già sei e per le vie che ti sto indicando.

Non avere paura di te stesso!

Forse non hai ancora compreso il potenziale che racchiudi e che non lasci esplodere perché sei complessato e trattenuto da mille timori.

Fa' leva sul positivo e dimentica il negativo.

Vivi nella persuasione di essere una realtà interessante e insosti­tuibile di cui io, tuo Padre, continuo a essere innamorato.



ABBANDÒNATI A ME



Voglio fare di te la mia immagine vivente, modellata sulla Persona più amata e perfetta: il mio Figlio Gesù.

Non intralciare un così prezioso disegno: lasciami fare, lasciami piena libertà, perché sono come lo scultore che deve modellare una statua artistica da un blocco di marmo informe.

Lasciami fare, lasciati fare.

Lascia decidere a me, lascia che scelga gli strumenti più oppor­tuni per costruirti e per realizzarti secondo il progetto preparato per te.

Tu abbandònati

- ciecamente,

- serenamente,

- incondizionatamente.

Fai come quel bimbo nelle mani dell'acrobata sul cornicione del grattacielo: non si pone problemi, perché ai problemi pensa papà.

Torna bambino anche tu!

L' "infanzia spirituale" è quella indicata da Gesù come la via più completa e più sicura (cf. Lc 18, 17).

È l'atteggiamento del bimbo che rinuncia a discutere, e giunge direttamente al Padre per la via diretta del cuore.

In ogni circostanza, specie se dolorosa, sappi raccogliere tutte le tue forze e gridarmi, anche se con fatica: l'hai detto tu, l'hai deciso tu, l'hai permesso tu... e questo mi basta! Impara a dire con S. Francesca Cabrini: «Ti ringrazio, o Dio, perché le cose non vanno come voglio io!».

È l'atteggiamento dell'abbandono pieno e incondizionato.

Non ti dà le spiegazioni che vorresti, ma ti dà l'assoluta garan­zia che nel mio abbraccio c'è tutta la forza di cui hai bisogno!



SONO UN PADRE-AMICO



Si può essere padre senza essere amico, ed essere amico senza essere padre.

Io sono e voglio essere per te un Padre-amico.

Voglio essere il tuo confidente: voglio confidarmi con te e voglio che tu ti confidi con me... Voglio uno scambio sincero e profondo perché nessuno mi può superare nella lealtà e nella fedeltà (cf. Rm 9, 6).

È bello avere amici e amiche; è anzi indispensabile!

Non puoi isolarti e "chiudere con tutti" perché hai avuto quel torto e quella delusione. La prima condizione per mantenere l'a­micizia è la consapevolezza che, fra amici, tutto è relativo e per­ché tutti sono limitati, egoisti, imperfetti... e quindi deludenti. E allora?

E allora... eccomi! Mi propongo come l'Amico perfetto in assoluto (cf. Gv 15, 15).

Gli altri ti deludono? Io non ti deludo!

Ti tradiscono? Io non ti tradisco!

Ti abbandonano? Io non ti abbandono!

Si stancano? Io non mi stanco!

Sono e resto un Padre-Amico, e ti assicuro che ti sarò vicino e ti rincorrerò quando tenderai ad abbandonarmi e a fuggire da me. Vivi di me: nutriti dei miei pensieri e della mia volontà. Vivi con me: chiedimi pareri, consigli, aiuto e vedrai quanta importanza io attribuisca al fatto che mi tratti da amico.

Vivi per me: dai valore a ogni ora, riempendola di me. Tutto è sottratto alla banalità e alla inconsistenza quando si vive con e per un Amico quale sono io!



CONDIVIDIAMO GLI AMICI



Ti sembrerà strano questo mio modo di presentarti i miei primi e veri amici, gli "amici del cuore", ma essi formano un tutt'uno con me e, pur nella distinzione, formiamo insieme la più esal­tante "Comunità".

Siamo originariamente in tre: Padre, Figlio e Spirito Santo. Inoltre, da due millenni, un ruolo speciale lo ha assunto una donna: Maria di Nazaret.



1. Gesù è Dio come me e uomo come te.

Vive col suo corpo glorioso con me nel Paradiso.

Si fa presente nella Messa e continua la sua presenza nel Tabernacolo.

Qui ti attende per una visita "di calore", per un dialogo perso­nale, per un colloquio confidenziale.

Dal Tabernacolo ti fissa con i suoi occhi meravigliosi e con intensa amicizia pronuncia il tuo nome: chi più di Lui può com­prenderti?

Ricorda che io vengo a te per mezzo di Lui, e tu vieni a me attraverso di Lui... e nello Spirito Santo.



2. Lo Spirito Santo: è Dio come me e come Gesù. È l'Amore fatto Persona; è il datore di ogni dono; è il Dono per eccellenza.

È con me e con Gesù l'ospite dolce del tuo cuore e "la vita della tua vita".



3. Maria di Nazaret non è una dea, ma una donna elevata alla dignità di Madre della natura umana di Gesù.

Nel suo cuore materno "batte il mio cuore" e, attraverso questo cuore, giunge a te tutto il calore del mio cuore di Padre.

In lei ti amo con amore umano! Ti amo con amore di mamma!



RECITA SPESSO LA "PREGHIERA DELL'ABBANDONO"



Ti propongo una preghiera a me particolarmente gradita. Recitala spesso e ne avrai una grande pace e una grande forza.

"Padre mio, mi abbandono a Te. Fa' di me quello che ti piace. Sono pronto a tutto, accetto tutto, perché la tua volontà si compia in me, e in tutte le creature.

Non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo.

Ed è per me un'esigenza d'amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura con una confidenza infinita, poiché tu sei il Padre mio".'



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21/09/2009 19:34

11.

SONO TUO PADRE, SAPPIMI ACCOGLIERE NEI TUOI FRATELLI


La parola che risuona nella tua Chiesa, o Padre, come fonte di saggezza e norma di vita, ci aiuti a comprendere e ad amare i nostri fratelli, perché non diventiamo giudici presuntuosi e cattivi, ma operatori di bontà e di pace.

(Colletta della 8° Domenica del Tempo ordinario)



Sono tuo Padre, sappimi accogliere nei tuoi fratelli



SEI CREATO PER AMARMI



Ti ho creato perché ti amo; ti ho quindi creato per amore.

E, ovviamente, ti ho dato come legge l'amore.

Sei in questo mondo con un solo scopo: quello di amare.

Amare chi?

- il Signore, tuo Dio e Padre,

- te stesso,

- il tuo prossimo.

A me il primato assoluto.

Al dottore della legge che lo ha interpellato, Gesù dice: "ame­rai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente... e il prossimo tuo come te stesso" (cf. Mt 22, 37-39).

E a chi gli domanda il modo "per entrare nella vita eterna": "ama il Signore, Dio tuo, e il prossimo come te stesso" (cf. Lc 10, 25-28). Non ci sono dubbi: creandoti per amore, non potevo assegnarti che un solo scopo degno della tua nobile natura: me stesso!

L'unica cosa importante e seria per te è quella "di conoscer­mi, di amarmi, di servirmi in questa vita per godermi nell' altra in Paradiso".' "Mi devi amare in ogni cosa e sopra ogni cosa".2 E se così stanno le cose, non hai che due alternative:

- o ti apri liberamente a me col dono dell'amore,

- o snaturi la tua esistenza, rendendola inquieta e vuota.

Se sei costruito per accogliere l'Amore assoluto, non puoi appagarti di sole realtà terrene, anche se buone e valide. Sei pienamente libero; ma non lasciarti ingannare da facili illu­sioni. Ti ho creato per me, tutto per me, soprattutto per me!



PER AMARE ME, DEVI AMARE I FRATELLI



Per amare me hai due vie diverse e complementari.

La prima consiste nel creare un rapporto diretto attraverso le forme di comunicazione proprie delle persone umane.

Mi ami pregandomi, parlandomi, invocandomi, offrendomi le tue gioie e le tue sofferenze, adeguandoti con fede alla mia vo­lontà...

La seconda consiste nel riconoscermi presente nella persona dei fratelli e amarmi in essi.

Se Gesù ha detto: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40; cf. Rm 13, 8-10), ciò significa che ogni fratello, chiunque esso sia, è la mia immagine terrena, l'involucro dentro al quale io mi nascondo, il segno più evidente e parlante della mia presenza. Io e il fratello siamo due termini che si richiamano e si com­pletano.

E per questo motivo, arrivi a me, attraverso il fratello, servi me, servendo il fratello, ami me, amando il fratello.

E reciprocamente:

se vuoi aprirti a me, devi aprirti al fratello, se vuoi incontrare me, devi incontrare il fratello, se vuoi camminare con me, devi camminare col fratello.

La celebre espressione di Tertulliano: "hai visto il fratello: hai visto Dio!" richiama efficacemente il comandamento evangeli­co che può essere espresso così: "amerai il Signore Dio tuo amando il tuo prossimo".



TU E GLI ALTRI



Quali sono i fratelli da amare?

Semplicissimo: tutti!

Fratello da amare è quello che io, nella mia Provvidenza, di atti­mo in attimo, ti metto accanto, cioè ti faccio prossimo. Mettendotelo accanto, non ti chiedo di farlo oggetto di giudizi, di lodi o di condanne, ma solo di amarlo, ricordando che qua­lunque sia la persona che tu incontri è dono mio, è mio rappre­sentante, è ponte di collegamento fra me e te (cf. Mt 7, 1-6; cf. Col 3, 12-15).

Ogni fratello ha un titolo divino al tuo amore, perché è mio figlio.

Per lui rispondo io, perché mi appartiene.

Non ti illudere di potermi amare senza di lui; ma anche di poterlo amare senza di me, perché non puoi accogliere lui come fratello, se non accogli me come padre!

Ti ho creato come realtà unica e distinta, ma ti ho collocato in una comunità di fratelli:

- come uomo, appartieni alla comunità civile;

- come figlio di Dio, cioè cristiano, fai parte di un Corpo vi­sibile che è la Chiesa, e di un Corpo invisibile che è il Corpo Mistico di Gesù (cf.] Cor 12, 12-27).

Non puoi isolarti! Non puoi credere di bastare a te stesso e di non aver bisogno di confrontarti e di integrarti col tuo prossimo.

Non avere paura degli altri!

Vinci le tue timidezze e le tue riserve e sappi far tuo l'inestima­bile patrimonio delle loro ricchezze!



IO PERDONO: PERDONA ANCHE TU!



Io sono buono, l'unico buono, il buono in assoluto (cf. Lc 18, 19). Ed è per questo che io perdono:

- sempre,

- tutti,

- tutto,

a una sola condizione: che tu riconosca i tuoi errori, e, avvici­nandoti al Sacramento della Confessione, decida di cambiare.

Il mio perdono è sicuro: ne è garanzia l'assoluzione che, nel Sacramento, rimuove, in mio nome, ogni peccato (cf. Gv 20, 22-23).

Mio Figlio, col suo sacrificio, ha pagato per tutti: in Lui avete «la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1, 14; cf. Ef 1, 7). E durante la sua vita terrena ha offerto il suo perdono con tale comprensione da suscitare stupore e perplessità (cf. Mt 9, 4).

Tu, come Lui, sei invitato a riconciliarti con me e con i fra­telli; e a perdonare, come io ho perdonato e perdono a te.

Devi perdonare non sette volte, ma "settanta volte sette" (cf. Mt 18, 22).

Devi perdonare come condizione indispensabile per avere il mio perdono (cf. Mt 6, 14).

So bene quanto sia difficile perdonare!

È così innaturale che non riuscirai a perdonare:

- senza guardare all'esempio di Gesù, che è morto perdo­nando (cf. Lc 23, 34); e soprattutto,

- senza una particolare grazia che ti viene attraverso la preghiera e i Sacramenti (Confessione e Comunione) (cf. Gv 15, 1-12).

Una vera riconciliazione incomincia sempre da un gesto di umil­tà e di perdono.



VIVI IN PACE, DIFFONDI LA PACE



1. Vivi in pace: in te stesso, con te stesso.

È la tua suprema aspirazione, ma quanta fatica per raggiungerla!

Richiede:

- equilibrio fisico e psichico,

- ordine interiore,

- rispetto della gerarchia dei valori,

- volontà di amare tutti e di perdonare sempre,

- riconoscimento del valore altrui,

- accettazione serena del proprio posto e della propria persona,

- rinuncia a ogni forma di invidia, di rivalità e di critica,

- adesione serena alla volontà del Padre, nella fede e con ottimismo.

La pace è conquista, ma soprattutto, dono: è il dono del mio Fi­glio risorto! E il dono di Gesù nello Spirito Santo! (cf. Gv 14, 1; 20, 19.26).

2. Diffondi la pace: in ogni ambiente e con tutti i mezzi possibili. La pace esterna non dipende solo da te; ma tu impegnati per la tua parte e con tutte le tue forze.

Esercitati nella pratica delle quattro virtù che sono il fonda­mento di una pace autentica e duratura:

- la verità: nel parlare, nel giudicare, nel riferire;

- la libertà: nell'agire tuo e nel rispetto dell'agire altrui;

- la giustizia: nel dare a ciascuno ciò che gli spetta;

- l'amore: quel tocco di bontà e di cortesia che rende più ricco ogni rapporto e gradito ogni servizio.

Madre Teresa di Calcutta ha detto: «Grazie, Signore, perché ci hai dato l'amore che è capace di cambiare la sostanza delle cose». La pace è l'impegno e il distintivo dell"'uomo nuovo" che sa di avere un Padre da amare e tanti fratelli da accogliere nel suo nome.



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21/09/2009 19:35

Appendice



IL "GRANDE GIUBILEO"




Oggi non abbiamo più neppure il tempo per guardarci, per parlarci. Per questo, siamo affamati d'amore.

MADRE TERESA DI CALCUTTA

Il grande Giubileo



ANNO 1999: L'ANNO DEL "PADRE CHE È NEI CIELI"



Il Papa Giovanni Paolo Il, nella Lettera apostolica Tertio mil­lennio adveniente, scrive:' «Il 1999... avrà la funzione di dilata­re gli orizzonti del credente secondo la prospettiva stessa di Cri­sto: la prospettiva del "Padre che è nei cieli"» (cf. Mt 5, 45), dal quale è mandato e al quale è ritornato.

Tutta la vita cristiana è come un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si scopre ogni giorno l'amore incondi­zionato per ogni creatura umana, e in particolare per "il figlio perduto" (cf. Lc 15, 11-32).

Tale pellegrinaggio coinvolge l'intimo della persona, allar­gandosi poi alla comunità credente per raggiungere l'intera umanità.

Il Giubileo, centrato sulla figura di Cristo, diventa così un gran­de inno di lode al Padre...

In questo terzo anno il senso del "cammino verso il Padre, dovrà spingere tutti a intraprendere, nell'adesione a Cristo Redentore dell'uomo, un cammino di autentica conversione".

È questo il contesto adatto per la riscoperta e la intensa celebra­zione del Sacramento della Penitenza.

Mettendo in risalto la virtù teologale della Carità, ricordando che Dio è Amore, si dovrà giungere all'amore per Dio e per i fratelli.

Si dovrà affrontare la vasta tematica della crisi di civiltà, so­prattutto nell' Occidente tecnologicamente più sviluppato, ma interiormente impoverito dalla dimenticanza o dall'emargina­zione di Dio.

Alla crisi di civiltà occorrerà rispondere con la civiltà dell'a­more, fondata sui valori universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà, che trovano in Cristo la loro piena attuazione.

Maria, figlia prescelta dal Padre, sarà presente allo sguardo dei credenti, come esempio perfetto di amore.

E perché possiamo fare ritorno alla casa del Padre, ascoltiamo la sua voce materna: «fate quello che (Cristo) vi dirà» (Gv 2, 5).



ANNO 2000: L'ANNO DEL GRANDE GIUBILEO



Le riflessioni sulle tre divine Persone, e in particolare sul Padre, sono rivolte dunque a celebrare degnamente il Giubileo, che èla festa del compleanno di Gesù, una data questa eccezional­mente importante perché coincide con la fine e l'inizio di due millenni.

L'anno sarà scandito da un succedersi di manifestazioni varie e solenni, già programmate e attese da tutto il mondo.

Ma tutto dovrà convergere al raggiungimento dei traguardi proposti dal Papa alla cristianità e al mondo intero.





I TRAGUARDI DEL GIUBILEO



Il Giubileo, secondo il pensiero del Papa, dovrà essere:

1. "Un grande atto di lode al Padre", secondo quanto dice l'Apostolo Paolo: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella ca­rità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Ge­sù Cristo» (Ef 1, 3-5).

Al Padre si deve il ringraziamento e la lode perché Egli: èl'origine e la fonte di tutto ciò che esiste, dentro e fuori la vita trinitaria; e perché ci ha amati dall'eternità. Essere cristiani «non è solo amare, ma prima di tutto scoprire di essere amati».



2. L'avvio di un cammino di autentica conversione, a livello

personale e sociale, reagendo a due tristi primati:

- il primato del fare sul contemplare;

- il primato della tecnica sull'etica, per cui si afferma che

quanto è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito. Convertirsi è riprendere la strada che ogni uomo deve percorre­re per potersi riconoscere come uomo.

La strada è una sola, e si chiama Cristo, che ha detto di sé: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).



3. La riscoperta del Sacramento della Penitenza.

Il Padre che "ci ha riconciliati in Cristo" (cf. 2 Cor 5, 18.20), ha affidato alla Chiesa il compito di annunciare e di attuare la riconciliazione, attraverso il Sacramento della Penitenza o Con­fessione.

Occorre riscoprire la Confessione:

- come ringraziamento al Padre, che nella sua infinita miseri­cordia, non conosce limiti nel dispensare il perdono (Confessio laudis);

- come revisione di vita, nel riconoscimento dei propri peccati (Confessio vitae);

- come certezza che Dio ci accoglie e ci risana (Confessiofidei).

Il Giubileo deve divenire così l'atteso momento di una grande riconciliazione, e di un sincero abbraccio col Padre comune per una universale festa del perdono.



4. Il rilancio della civiltà dell'amore, attraverso l'esercizio della virtù teologale della carità.

Il Padre comune, riscoperto e celebrato nell' anno del Giubileo, in­vita gli uomini di buona volontà a un impegno di amore e di so­lidarietà, imitando l'esempio del buon Samaritano del Vangelo.



Occorre realizzare una civiltà fondata sui valori universali di pace, di solidarietà, di giustizia e di libertà, che trovano in Cri­sto la loro piena attuazione.



Maria, "la figlia prediletta del Padre" e la madre del Salvatore, sarà presente all'evento giubilare col suo vigile amore di mam­ma.

Sarà guida ed esempio per tutti coloro che vorranno mettersi in ascolto del Padre, che, con infinito amore, dolcemente continua a ripeterci l'irresistibile invito:



VIENI!

[SM=g27998]

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