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CHIAMAMI "PADRE" ( di don Novello Pederzini)

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 19:35
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Sesso: Femminile
21/09/2009 19:30

7.

DIO, IL PADRE DEI POVERI E DEI SOFFERENTI


O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue, e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie.

(Colletta della 23° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, il Padre dei poveri e dei sofferenti



COME CONCILIARE LA PROVVIDENZA DEL PADRE CON LA SOFFERENZA DELL'UOMO?



Domanda: se Dio è onnisciente e onnipotente, come conciliare la sua Paternità, con la triste realtà della sofferenza, soprattutto quella nei piccoli e negli innocenti?

Come conciliare la Provvidenza con la sofferenza?

Cosa pensare di un Padre che si definisce onnipresente e prov­vidente e che sembra

- tanto lontano,

- tanto assente,

- tanto indifferente,

- tanto muto,

- tanto distaccato dalla realtà di un mondo nel quale sem­brano trionfare solo il male, il peccato, l'ingiustizia, l'ar­roganza, la morte?

Il problema angoscia tutti, e proprio perché «il mondo è radi­cato nella sofferenza», urge dare una risposta, «se non si vuole che la fede si tramuti in una droga consolatoria o in una superstizione paurosa e infantile».



QUANTI MALI!



È difficile compilare un elenco dei molti mali che, da sempre, affliggono gli uomini, anche perché le sofferenze, specie quelle morali, acquistano diverse forme a seconda del carattere e della sensibilità di ciascuno.

S. Agostino afferma che, nell'antichità, i termini usati per indi­care la felicità erano 288; ma quelli usati per indicare le varie forme di sofferenza erano oltre 400!

E commenta: «la vita presente è un pellegrinaggio faticoso, di incerta durata, pieno di miserie e intessuto di errori. Tutti i mali vi si danno convegno fino alla morte, e se la felicità vi appare, è solo per far sentire la sua assenza».

E stando così le cose, è davvero fallimentare la condizione dell'uomo, perché:

- è creato per la vita e sa che deve morire,

- è alla ricerca della gioia e non trova che sofferenza,

- cerca l'amore e deve vivere in un mondo di odi e di divi­sioni,

- aspira alla giustizia ed è circondato da tante ingiustizie,

- vuole la pace ed è oppresso dalla guerra.

Come dunque conciliare questi opposti? Come ammirare la sa­piente Provvidenza del Padre? Come continuare a dare credibi­lità a un Dio che sentiamo tanto lontano dai nostri problemi?



ALCUNI TENTATIVI DI SOLUZIONE



Lungo il corso della storia sono state tentate tante risposte e tante soluzioni ma esse sono risultate tutte parziali, provvisorie, inutili, e incapaci di dare senso e scopo al dramma della vita.

Nonostante le mille interpretazioni filosofiche e le mille scoper­te mediche e scientifiche, il dolore resta il compagno fedele e il denominatore comune di ogni esistenza umana.

Il problema non ha che due alternative:

- o ammettere che tutto è assurdo;

- o accettare la presenza del mistero.

Alcuni affermano: il dolore è un assurdo, è cioè una realtà inspiegabile, che non ha alcun fondamento razionale. E inam­missibile l'esistenza di un Dio creatore e provvidente, perché se esistesse, avrebbe già eliminato tutto ciò che si oppone alla sua bontà.

L'uomo non ha che una strada: soggiacere a un destino crudele e trascinare, con sofferta rassegnazione, un'esistenza che non ha senso e scopo.

Altri dicono: il dolore non è un assurdo, ma semplicemente un mistero.

L'assurdo è una contraddizione in termini (come ad es. un cer­chio quadrato).

Il mistero è una verità del tutto superiore, ma non contraria alla nostra mente, e che noi accettiamo non per l'evidenza della cosa rivelata, ma per l'autorità infallibile di colui che ce la rivela.

Il dolore, dicono, non è un assurdo, ma un mistero. Non esclude Dio, ma lo interpella perché dia una risposta accettabile all'uo­mo che, da solo, non sa rendersi conto della presenza del male e del dolore.



L'UNICA SOLUZIONE RAGIONEVOLE VIENE DALLA FEDE



Noi ci accostiamo al mistero della sofferenza attraverso la via della Fede, perché essa è la sola che può garantirci l'asso­luta verità di ciò che propone.

È troppo arduo il problema per accontentarci di opinioni umane sempre parziali e contraddittorie!

Abbiamo bisogno di sapere con certezza assoluta che cosa si nasconde dietro il buio dell'immenso dolore dell'umanità. Abbiamo bisogno di sapere chi è l'invisibile Regista che guida, dietro la scena, il susseguirsi delle vicende umane.

Abbiamo bisogno di sapere i criteri che ispirano i suoi interven­ti spesso per noi tanto strani e incomprensibili.

Ci accostiamo così all'unica fonte del nostro sapere.

Ovviamente, con l'umiltà dovuta e con quel senso dei nostri limiti che allontana ogni atteggiamento di meschina arroganza.

Affidiamo alla divina Rivelazione la soluzione del mistero.



GIOBBE E TOBIA



La Bibbia, che nel suo insieme è stata definita "un grande libro sulla sofferenza", già nell'Antico Testamento presenta molte descrizioni impressionanti di vicende, situazioni e persone immerse nelle sofferenze più varie e sconvolgenti.

Due casi-limite molto significativi: Giobbe e Tobia.~ Giobbe è un uomo giusto che soffre atrocemente. Senza sua colpa, perde i figli e tutti i suoi beni; e infine viene colpito egli stesso da una grave e ripugnante malattia.

Gli amici lo ritengono colpevole. Ai loro occhi, la sofferenza può avere un solo senso: è una giusta pena per i suoi peccati!

Interviene Dio, ma non dà la soluzione del problema. Solo afferma che l'uomo non ha diritto di chiedergli il perché dei mali che lo colpiscono.

Giobbe accetta con umiltà, ovviamente senza capire. Riesce a capire che deve accettare le sue sofferenze e che non può pretendere di avere una risposta definitiva.

Tobia, in forma più semplice, propone lo stesso tema. Egli è divenuto cieco, e la moglie gli dice: "dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue opere buone? Ecco... lo si vede bene da come ti sei ridotto!".

Più oltre però si dice che, appunto perché era giusto, era neces­sario che subisse una grande prova!

Non c'è dunque ancora una chiara rivelazione sul perché della sofferenza, e di una sua ricompensa nella vita futura.

Nei Salmi si susseguono considerazioni diverse e alterne, ma in essi già si accentua la certezza:

- che la sorte del giusto sarà diversa da quella del malvagio,

- che è meglio soffrire con Dio che contro di Lui,

- che un giorno Dio "potrà riscattare il giusto e strapparlo dalla mano della morte" (cf. Salì; 49, 15-16; 53; 37; 73). La prima luce del Nuovo Testamento non è lontana!



IN GESÙ LA SOFFERENZA È VINTA DALL'AMORE



È con Gesù che il mistero viene ad assumere una sua luce piena e convincente.

È Lui a rivelarci l'infinito amore del Padre che proprio nella sofferenza e attraverso la sofferenza, realizza i suoi progetti.

Seguiamo Gesù nel suo incontro col mondo della sofferenza.



1. Gesù è sempre circondato da sofferenti e da malati.

Matteo: «Gesù andava intorno per tutta la Galilea... predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità del popolo» (Mt 4, 23). Luca: «Tutta la folla cercava di toccarlo perché usciva da lui una forza che sanava tutti»; «Al calar del sole tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 6, 19; 4,40).

Dunque: un mondo di malati circonda ovunque Gesù. Sono tan­ti e non danno tregua: lebbrosi, paralitici, zoppi, idropici, cie­chi, sordi, muti, storpi, indemoniati... Malati nel corpo e nello spirito.

Sono insistenti, petulanti, ossessivi. Non lasciano in pace Gesù. Ciascuno vuole poterlo avere per sé, per interessarlo al suo par­ticolare problema.

2. Come si comporta con essi?

- Con un grande senso di pietà e di compassione;

- con atteggiamento di simpatia, e non di rifiuto;

- con un trattamento uguale per tutti, senza distinzioni;

- con un tocco personale di amore, che si traduceva in gesti di tenerezza;

- a volte, con interventi straordinari miracolosi.



Mai reazioni nervose, mai parole meno che dolci e gradevoli; mai processi alle intenzioni, mai ricerche di colpe e responsabi­lità...; ma per tutti: interessamento, rispetto, disponibilità.

A Pietro che domanda: «chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?», Gesù, con una risposta che preclu­de la via a ogni discussione, risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 2-3).



3. A volte compie miracoli.

E perché non sempre e per tutti?

Evidentemente perché non era questo lo scopo della sua missione! I veri miracoli compiuti, (pochi in confronto alle richieste!) non sono direttamente finalizzati soltanto a guarire qualche malato, anche per questo, ma soprattutto per dare autorevolezza e sostegno alla sua Persona e al suo messaggio.

Attraverso i miracoli Gesù vuol dimostrare di essere venuto per salvare gli uomini e non per guarirli dai loro malanni.

Gesù si presenta come il Salvatore dell'uomo: dell'uomo tutto intero, anima e corpo, dell'uomo bisognoso di essere liberato dal peccato e di essere reso partecipe della vita divina; dell'uo­mo destinato alla vita eterna.

La salute fisica può entrare nel piano della salvezza globale del­l'uomo, ma resta un aspetto limitato e transitorio.

Ecco perché



4. a tutti, indistintamente, dà una "cura su misura Ed è la cura dello spirito.

L'espressione "li curava tutti" va presa quindi in senso spiritua­le e morale: una cura su misura per tutti e per ciascuno, comuni­cata attraverso quel tocco personale rivolto alla persona che lo cercava.

Una cura che aiutava il sofferente a comprendere il significato e il valore del dolore e a sollevarlo nel suo arduo compito di portare la croce.

Una cura che doveva aiutare il malato ad accogliere e a valo­rizzare il suo dono: quello appunto del soffrire!



GESÙ NON ABOLISCE MA PRENDE SU DI SÉ LA SOFFERENZA UMANA



Gesù è l'immagine del Padre che in Lui si fa visibile. Facendosi uomo, avrebbe potuto eliminare ogni sofferenza in sé e negli altri, attraverso tanti modi, non esclusi i miracoli.

E invece, proprio per realizzare il suo piano di salvezza, ha scelto la via della sofferenza fisica e del dolore morale.

Non fu solo in mezzo ai malati per lenire le loro sofferenze e per confortarli, ma

- fu addolorato,

- fu messo alla prova,

- fu tentato,

- fu tribolato Lui stesso.

E apparve fra gli uomini come "l'Uomo dei dolori", come Colui che assommava in sé tutto ciò che nel mondo si può sof­frire, così che nessuna sofferenza gli si potesse dire estranea o incompresa.

E la sua Croce divenne il simbolo e la sintesi delle infinite pic­cole e grandi croci disseminate in tutte le vie e in tutti i cuori della terra.

Lui, innocente, soffrì come e più di tutti, non per espiare i pec­cati che non aveva, ma per operare, con l'altissimo valore della sua sofferenza, la salvezza attesa.

Si fece esempio e punto di riferimento di tutti gli afflitti, pro­mettendo loro aiuto, consolazione, autorevole presenza:

«Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5, 4); «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ri­storerò... Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 28.30).



NELLA SOFFERENZA RISPLENDONO LA SAPIENZA E L'AMORE DEL PADRE



Ed ecco il mistero!

Ma perché Dio, che aveva tante possibilità di scelta, ha voluto scegliere proprio il dolore come mezzo di salvezza e di vita? Perché ha scelto uno strumento tanto scomodo non solo per noi ma anche e soprattutto per il suo Figlio divino?

Come conciliare dunque sofferenza e Provvidenza?

Risponde S. Agostino: «tutto ciò che quaggiù ci accade contro la nostra volontà, non accade che per volontà di Dio, per disposizione della Provvidenza, per i suoi decreti e sotto la sua direzione.

E se, considerata la debolezza della nostra mente, non possiamo cogliere la ragione di questo o di quell'avvenimento, attribuia­molo alla Divina Provvidenza, facendole l'onore di riceverlo dalle sue mani.

E crediamo che non è senza ragione che essa ce lo manda!».

E il Manzoni aggiunge: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e più grande». Ecco allora l'unica soluzione possibile e ragionevole: accetta­re la volontà divina, comunque essa si manifesti, facendole credito, nella sicura convinzione che ciò che proviene da essa è sempre e solo per il nostro bene.

Un giorno vedremo come e perché!



L'IMMENSO BENE CHE NASCE DALLA SOFFERENZA ACCOLTA CON AMORE



Sul piano soprannaturale, tutti i battezzati formano, con Cri­sto, un corpo solo.

In ciascuno palpita la vita della grazia, che viene trasmessa dal Capo.

Tutto quello che appartiene a uno, entrando nel circuito divino del Corpo, viene comunicato all 'intero Corpo, nel bene e nel male.

Tutti però devono vivere in sé il mistero del Capo, che sarà veramente completo solo quando tutti avranno dato il loro con­tributo di amore e di sofferenza.

Ciascuno quindi, con la sua sofferenza, "completa la passione di Cristo" (cf. Col 1, 24), e rende perfetto e maturo l'intero Corpo.

La sua sofferenza diviene indispensabile e preziosa per la sal­vezza e la crescita del Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Sul piano naturale, nulla come la sofferenza agisce sull'uomo con insostituibili effetti che potremmo chiamare "le beatitudini del dolore".

Il dolore:

- conduce alla scoperta di noi stessi;

- ci matura;

- affina ed eleva lo spirito;

- abilita alla comprensione degli altri;

- espia i nostri errori e peccati;

- è il messaggero e l'alleato di Dio.

Sono "beatitudini" naturali che ci aiutano a capire la razio­nalità e l'utilità del dolore, ma non ci danno quella piena luce alla quale aspiriamo.

E per questo il Concilio Vaticano Il dice: «solo per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del Vangelo ci opprime».

«Gesù di Nazaret rischiara per noi il senso del mondo, non istruendoci sulla sua legge e sui suoi misteri, ma dandoci fiducia sul suo fondamento, quella fiducia che i credenti affer­mano dicendo "Padre nostro"».

«Questo dunque è il senso vera mente soprannaturale e insieme umano della sofferenza. E soprannaturale perché ci radica nel mistero divino della Redenzione del mondo; ed è altresì umano perché in esso l'uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione».



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