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I FIORETTI DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 22:31
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Sesso: Femminile
21/09/2009 22:26

CAPITOLO TRENTUNESIMO

Come santo Francesco conosceva li segreti delle coscienze di tutti i suoi frati ordinatamente. Siccome il nostro Signore Gesù Cristo dice nell'Evangelico: lo conosco le mie pecorelle ed elleno conoscono me ecc.; così il beato padre santo Francesco, come buono pastore, tutti li meriti e le virtù delli suoi compagni, per divina rivelazione sapea, e così conoscea i loro difetti; per la qual cosa egli sapea a tutti provvedere d'ottimo rimedio, cioè umiliando li superbi, esaltando gli umili, vituperando i vizi e laudando le virtù; siccome si legge nelle mirabili rivelazioni le quali egli avea di quella sua famiglia primitiva. Fra le quali si truova ch'una volta, essendo santo Francesco con la detta famiglia in uno luogo in ragionamento di Dio, e frate Ruffino non essendo con loro in quello ragionamento ma era nella selva in contemplazione, procedendo in quello ragionare di Dio ecco frate Ruffino esce della selva e passò alquanto di lungi a costoro. Allora santo Francesco, veggendolo, si rivolse alli compagni e domandolli dicendo: "Ditemi, quale credete voi che sia la più santa anima, la quale Iddio abbia nel mondo?". E rispondendogli costoro, dissono che credeano che fusse la sua. E santo Francesco disse loro: "Carissimi frati, i' sono da me il più indegno e il più vile uomo che Iddio abbia in questo mondo ma vedete voi quel frate Ruffino il quale esce ora della selva? Iddio m'ha rivelato che l'anima sua è l'una delle tre più sante anime del mondo, e fermamente io vi dico che io non dubiterei di chiamarlo santo Ruffino in vita sua, con ciò sia cosa che l'anima sua sia confermata in grazia e santificata e canonizzata in cielo dal nostro Signore Gesù Cristo" E queste parole non diceva mai santo Francesco in presenza del detto frate Ruffino. Similemente, come santo Francesco conoscesse li difetti de' frati suoi, sì si comprendé chiaramente in frate Elia, il quale spesse volte riprendea della sua superbia; e in frate Giovanni della Cappella al quale egli predisse che si dovea impiccare per la gola se medesimo e in quello frate al quale il demonio tenea stretta la gola quando era corretto della sua disubbidienza; e in molti altri frati, i cui difetti segreti e le virtù chiaramente conosceva per rivelazione di Cristo. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTADUESIMO

Come frate Masseo impetrò da Cristo la virtù della santa umiltà. I primi compagni di santo Francesco con tutto isforzo s'ingegnavano d'essere poveri delle cose terrene e ricchi di virtù, per le quali si perviene alle vere ricchezze celestiali ed eterne Addivenne un dì che, essendo eglino raccolti insieme a parlare di Dio, l'uno di loro disse quest'esempio: "E' fu uno il quale era grande amico di Dio, e avea grande grazia di vita attiva e di vita contemplativa, e con questo avea sì eccessiva umiltà ch'egli si riputava grandissimo peccatore: la quale umiltà il santificava e confermava in grazia e facevalo continuamente crescere in virtù e doni di Dio, e mai non lo lasciava cadere in peccato". Udendo frate Masseo così maravigliose cose della umiltà e conoscendo ch'ella era un tesoro di vita eterna, cominciò ad essere sì infiammato d'amore e di desiderio di questa virtù della umiltà, che in grande fervore levando la faccia in cielo, fece voto e proponimento fermissimo di non si rallegrare mai in questo mondo, insino a tanto che la detta virtù sentisse perfettamente nell'anima sua. E d'allora innanzi si stava quasi di continuo rinchiuso in cella, macerandosi con digiuni, vigilie, orazioni, e pianti grandissimi dinanzi a Dio, per impetrare da lui questa virtù, sanza la quale egli si reputava degno dello inferno e della quale quello amico di Dio, ch'egli avea udito, era così dotato. E standosi frate Masseo per molti dì in questo disiderio, addivenne ch'un dì egli entrò nella selva e in fervore di spirito andava per essa gittando lagrime, sospiri e voci, domandando con fervente desiderio a Dio questa virtù divina. E però che Iddio esaudisce volentieri le orazioni degli umili e contriti, istando così frate Masseo, venne una voce dal cielo la quale il chiamò due volte: "Frate Masseo, frate Masseo!". Ed egli conoscendo per ispirito che quella era voce di Cristo, sì rispuose: "Signore mio!". E Cristo a lui: "E che vuoi tu dare per avere questa grazia che tu domandi.". Risponde frate Masseo: "Signore, voglio dare gli occhi del capo mio". E Cristo a lui: "E io voglio che tu abbi la grazia e anche gli occhi". E detto questo, la voce disparve; e frate Masseo rimase pieno di tanta grazia della disiderata virtù della umiltà e del lume di Dio, che d'allora innanzi egli era sempre in giubilo; e spesse volte quand'egli orava, faceva sempre un giubilo informe e con suono a modo di colomba ottuso: U U U, e con faccia lieta e cuore giocondo istava così in contemplazione. E con questo, essendo divenuto umilissimo, si riputava minore di tutti gli uomini del mondo. Domandato da frate Iacopo da Fallerone, perché nel suo giubilo egli non mutava verso, rispuose con grande letizia che, quando in una cosa si truova ogni bene, non bisogna mutare verso. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTATREESIMO

Come santa Chiara, per comandamento del Papa, benedisse il pane il quale era in tavola; di che in ogni pane apparve il segno della santa croce. Santa Chiara, divotissima discepola della croce di Cristo e nobile pianta di messer santo Francesco, era di tanta santità che non solamente i Vescovi e' Cardinali, ma eziandio il Papa disiderava con grande affetto di vederla e di udirla e ispesse volte la visitava personalmente. Infra l'altre volte andò il Padre santo una volta al munistero a lei per udirla parlare delle cose celestiali e divine; ed essendo così insieme in diversi ragionamenti, santa Chiara fece intanto apparecchiare le mense e porvi suso il pane, acciò che il Padre santo il benedicesse. Onde, compiuto il ragionamento ispirituale, santa Chiara inginocchiandosi con grande reverenza sì lo priega che gli piaccia benedire il pane posto a mensa. Risponde il santo Padre: "Suora Chiara fedelissima, io voglio che tu benedica cotesto pane tu e faccia sopra ad essi il segno della santissima croce di Cristo, al quale tu ti se' tutta data". E santa Chiara dice: "Santissimo Padre, perdonatemi, ch'io sarei degna di troppo grande riprensione, se innanzi al Vicario di Cristo io, che sono una vile femminella, presumessi di fare cotale benedizione". E 'l Papa rispuose: "Acciò che questo non sia imputato a presunzione, ma a merito d'ubbidienza, io ti comando per santa obbidienza che sopra questo pane tu faccia il segno della santissima croce e benedicalo nel nome di Dio". Allora santa Chiara, siccome vera figliuola della obbidienza, que' pani divotissimamente benedisse col segno della santissima croce di Cristo. Mirabile cosa! subitamente in tutti quelli pani apparve il segno della croce intagliato bellissimo. E allora di que' pani parte ne fu mangiato e parte per lo miracolo riserbati. E il Padre santo veduto ch'ebbe il miracolo, prendendo del detto pane e ringraziando Iddio si partì, lasciando santa Chiara colla sua benedizione. In quel tempo dimorava in quel monastero suora Ortulana madre di santa Chiara, e suora Agnese sua sirocchia, amendue insieme con santa Chiara piene di virtù e di Spirito Santo, e con molte altre sante monache. Alle quali santo Francesco mandava di molti infermi; ed elleno con le loro orazioni e col segno della santissima croce a tutti rendevano sanità. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

Come santo Lodovico re di Francia personalmente, in forma di pellegrino, andò a Perugia a visitare il santo frate Egidio. Andò santo Lodovico re di Francia in peregrinaggio a visitare li Santuari per lo mondo, e udendo la fama grandissima della santità. di frate Egidio, il quale era stato de' primi compagni di santo Francesco, si puose in cuore e diterminò al tutto di visitarlo personalmente. Per la qual cosa egli venne a Perugia, ove dimorava allora il detto frate Egidio. E giugnendo alla porta del luogo de' frati, come un povero pellegrino e sconosciuto, con pochi compagni, domanda con grande istanza frate Egidio, non dicendo niente al portinaio chi egli fussi che 'l domandava. Va adunque il portinaio a frate Egidio e dice che alla porta è uno pellegrino che n'addimanda, e da Dio gli fu ispirato e rivelato in ispirito ch'egli era il re di Francia; di che subitamente con grande fervore esce di cella e corre alla porta, e senza altro domandare, o che mai eglino s'avessino veduti, insieme con grandissima divozione inginocchiandosi, s'abbracciarono insieme e baciaronsi con tanta dimestichezza, come se per lungo tempo avessino tenuta grande amistà insieme, ma per tutto questo non parlavano nulla l'uno all'altro, ma stavano così abbracciati con quelli segni d'amore caritativo in silenzio. Ed istati che furono per grande spazio nel detto modo senza dirsi parola insieme, si partirono l'uno dall'altro; e santo Lodovico se n'andò al suo viaggio, e frate Egidio si tornò alla cella. Partendosi il re, un frate domandò alcuno de' suoi compagni chi era colui che s'era cotanto abbracciato con santo Egidio; e colui rispuose ch'egli era Lodovico re di Francia, lo quale era venuto per vedere frate Egidio. Di che dicendolo costui agli altri frati, eglino n'ebbono grandissima malinconia che frate Egidio non gli avea parlato parola; e rammaricandosene, sì gli dissono: "O frate Egidio, perché se' tu stato tanto villano, che uno così fatto re, il quale è venuto di Francia per vederti e per udire da te qualche buona parola, e tu non gli hai parlato niente?". Rispuose frate Egidio: "O carissimi frati, non vi maravigliate di ciò; imperò che né egli a me né io a lui pote' dire parola, però che sì tosto come noi ci abbracciammo insieme, la luce della divina sapienza rivelò e manifestò a me il cuore suo e a lui il mio; e così per divina operazione ragguardandoci ne' cuori, ciò ch'io volea dire a lui ed egli a me troppo meglio conoscemmo che se noi ci avessimo parlato con la bocca, e con maggiore consolazione, e se noi avessimo voluto esplicare con voce quello che noi sentivamo nel cuore, per lo difetto della lingua umana, la quale non può chiaramente esprimere li misteri segreti di Dio, ci sarebbe stato piuttosto a sconsolazione che a consolazione. E però sappiate di certo che il re si partì mirabilmente consolato". A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

Come essendo inferma santa Chiara, fu miracolosamente portata la notte della pasqua di Natale alla chiesa di santo Francesco, ed ivi udì l'ufficio. Essendo una volta santa Chiara gravemente inferma, sicché ella non potea punto andare a dire l'ufficio in chiesa con l'altre monache, vegnendo la solennità della natività di Cristo, tutte l'altre andarono al mattutino; ed ella si rimase nel letto, mal contenta ch'ella insieme con l'altre non potea andare ad avere quella consolazione ispirituale. Ma Gesù Cristo suo sposo, non volendola lasciare così sconsolata, sì la fece miracolosamente portare alla chiesa di santo Francesco ed essere a tutto l'ufficio del mattutino e della messa della notte, e oltre a questo ricevere la santa comunione, e poi riportarla al letto suo. Tornando le monache a santa Chiara, compiuto l'ufficio in santo Damiano, sì le dissono: "O madre nostra suora Chiara, come grande consolazione abbiamo avuta in questa santa natività! Or fusse piaciuto a Dio, che voi fossi stata con noi!". E santa Chiara risponde: "Grazie e laude ne rendo al nostro Signore Gesù Cristo benedetto, sirocchie mie e figliuole carissime, imperò che ad ogni solennità di questa santa notte, e maggiori che voi non siate state, sono stata io con molta consolazione dell'anima mia; però che, per procurazione del padre mio santo Francesco e per la grazia del nostro Signore Gesù Cristo, io sono stata presente nella chiesa del venerabile padre mio santo Francesco, e con li miei orecchi corporali e mentali ho udito tutto l'ufficio e il sonare degli organi ch'ivi s'è fatto, ed ivi medesimo ho presa la santissima comunione. Onde di tanta grazia a me fatta rallegratevi e ringraziate Iddio". A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTASEIESIMO

Come santo Francesco dispuose a frate Lione una bella visione ch'avea veduta. Una volta che santo Francesco era gravemente infermo e frate Lione gli servia, il detto frate Lione, stando in orazione presso a santo Francesco, fu ratto in estasi e menato in ispirito ad uno fiume grandissimo, largo e impetuoso. E istando egli a guatare chi passava, egli vide alquanti frati incaricati entrare in questo fiume, li quali subitamente erano abbattuti dallo empito del fiume ed affogavano, alquanti altri s'andavano insino al terzo del fiume, alquanti insino al mezzo del fiume, alquanti insino appresso alla proda, i quali tutti, per l'empito del fiume e per li pesi che portavano addosso, finalmente cadevano e annegavano. Veggendo ciò, frate Lione avea loro grandissima compassione; e subitamente, stando così, eccoti venire una grande moltitudine di frati e sanza nessuno incarico o peso di cosa nessuna, ne' quali rilucea la santa povertà ed entrano in questo fiume e passano di là sanza nessun pericolo. E veduto questo, frate Lione ritornò in sé. E allora santo Francesco, sentendo in ispirito che frate Lione avea veduta alcuna visione, sì lo chiamò a sé e domandollo di quello ch'egli avea veduto; e detto che gli ebbe frate Lione predetto tutta la visione per ordine, disse santo Francesco: "Ciò che tu hai veduto è vero. Il grande fiume è questo mondo, i frati ch'affogavano nel fiume sì son quelli che non seguitano la evangelica professione e spezialmente quanto all'altissima povertà, ma coloro che sanza pericolo passavano, sono que' frati li quali nessuna cosa terrena né carnale cercano né posseggono in questo mondo, ma avendo solamente il temperato vivere e vestire, sono contenti seguitando Cristo ignudo in croce, e il peso e il giogo soave di Cristo e della santissima obbidienza portano allegramente e volentieri; e però agevolmente della vita temporale passano a vita eterna" A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTASETTESIMO

Come Gesù Cristo benedetto, a priego di santo Francesco, fece convertire uno ricco e gentile cavaliere e farsi frate, il quale avea fatto grande onore e profferta a santo Francesco. Santo Francesco servo di Cristo, giugnendo una sera al tardi a casa d'un grande gentile uomo e potente, fu da lui ricevuto ad albergo, egli e 'l compagno, come agnoli di Dio, con grandissima cortesia e divozione. Per la qual cosa santo Francesco gli puose grande amore, considerando che nello entrare della casa egli sì lo avea abbracciato e baciato amichevolmente, e poi gli avea lavati i piedi e rasciutti e baciati umilemente, e racceso un grande fuoco e apparecchiata la mensa di molti buoni cibi, e mentre costui manglava, con allegra faccia serviva continovamente. Or, mangiato ch'ebbe santo Francesco e 'l compagno, sì disse questo gentile uomo: "Ecco, padre mio, io vi proffero me e le mie cose, quandunque avete bisogno di tonica o di mantello o di cosa veruna, comperate e io pagherò; e vedete che io sono apparecchiato di provvedervi in tutti i vostri bisogni, però che per la grazia di Dio io posso, con ciò sia così che io abbondi in ogni bene temporale, e però per amore di Dio, che me l'ha dato, io ne fo volentieri beni alli poveri suoi". Di che veggendo santo Francesco tanta cortesia e amorevolezza in lui e le larghe profferte, concedettegli tanto amore, che poi partendosi egli andava dicendo col compagno suo: "Veramente questo gentile uomo sarebbe buono per la nostra religione e compagnia, il quale è così grato e conoscente inverso Iddio e così amorevole e cortese allo prossimo e alli poveri. Sappi, frate carissimo, che la cortesia è una delle proprietà di Dio, il quale dà il suo sole e la sua piova alli giusti e agli ingiusti per cortesia; e la cortesia si è sirocchia della carità, la quale spegne l'odio e conserva l'amore. E perché io ho conosciuto in questo buono uomo tanta virtù divina, volentieri lo vorrei per compagno; e però io voglio che noi torniamo un dì a lui, se forse Iddio gli toccasse il cuore a volersi accompagnare con noi nel servigio di Dio; e in questo mezzo noi pregheremo Iddio che gli metta in cuore questo desiderio e diagli grazia di metterlo in effetto". Mirabile cosa! ivi a pochi dì, fatto ch'ebbe santo Francesco l'orazione, Iddio mise questo desiderio nel cuore di questo gentile uomo; e disse santo Francesco al compagno: "Andiamo, fratello mio, all'uomo cortese, imperò ch'io ho certa speranza in Dio ch'egli con la cortesia delle cose temporali, donerà se medesimo e sarà nostro compagno". E andarono. Vegnendo appresso alla casa sua, disse santo Francesco al compagno: "Aspettami un poco, imperò che io voglio in prima pregare a Dio che faccia prospero il nostro cammino, che la nobile preda, la quale noi pensiamo di torre al mondo, piaccia a Cristo di concedere a noi poverelli e deboli, per la virtù della sua santissima passione". E detto questo, si puose in orazione in luogo ch'e' poteva essere veduto dal detto uomo cortese; onde, come piacque a Dio, guatando colui in là e in qua, ebbe veduto santo Francesco stare in orazione divotissimamente dinanzi a Cristo, il quale con grande chiarità gli era apparito nella detta orazione e stava dinanzi a lui; e in questo istare così, vedea santo Francesco essere per buono spazio levato da terra corporalmente. Per la qual cosa egli fu sì toccato da Dio e ispirato a lasciare il mondo, che di presente egli uscì fuori dal palagio suo e in fervore di spirito corre verso santo Francesco, e giugnendo a lui, il quale stava in orazione, gli si inginocchiò a' piedi e con grandissima istanza e divozione il pregò che gli piacesse di riceverlo e fare penitenza insieme con seco.

Allora santo Francesco, veggendo che la sua orazione era esaudita da Dio - e che quello ch'e' disiderava, quello gentile uomo addomandava con grande istanza, lievasi suso in fervore e in letizia di spirito e abbraccia e bacia costui, divotissimamente ringraziando Iddio, il quale uno così fatto cavaliere avea accresciuto alla sua compagnia. E dicea quello gentile uomo a santo Francesco: "Che comandi tu, che io faccia, padre mio? Ecco ch'io sono apparecchiato al tuo comandamento, dare a' poveri ciò ch'io posseggo, e teco seguitare Cristo, così iscaricato d'ogni cosa temporale". E così fece, secondo il consiglio di santo Francesco, ch'egli distribuì il suo a' poveri ed entrò nell'Ordine, e vivette in grande penitenza e santità di vita e conversazione onesta. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTOTTESIMO

Come santo Francesco conobbe in ispirito che frate Elia era dannato e dovea morire fuori dell'Ordine; il perché a' prieghi di frate Elia fece orazione a Cristo per lui e fu esaudito. Dimorando una volta in un luogo insieme di famiglia santo Francesco e frat'Elia, fu rivelato da Dio a santo Francesco che frate Elia era dannato e dovea apostolare dall'Ordine e finalmente morire fuori dell'Ordine. Per la qual cosa santo Francesco concepette una cotale displicenza inverso di lui, in tanto che non gli parlava né conversava con lui; e se avvenia alcuna volta che frate Elia andasse inverso di lui egli torcea la via e andava dall'altra parte per non si scontrare con lui. Di che frate Elia si cominciò ad avvedere e comprendere che santo Francesco avea dispiacere di lui; onde volendo sapere la cagione, un di s'accostò a santo Francesco per parlargli; e ischifando santo Francesco, frate Elia sì lo ritenne cortesemente per forza e cominciollo a pregare discretamente che gli piacesse di significargli la cagione per la quale egli ischifava così la sua compagnia e 'l parlare con seco. E santo Francesco gli risponde: "La cagione si è questa, imperò che a me è suto rivelato da Dio che tu per li tuoi peccati apostaterai dell'Ordine e morrai fuori dell'Ordine, e anche m'ha Iddio rivelato che tu sei dannato". Udendo questo, frate Elia si dice così: "Padre mio reverendo, io ti priego per lo amore di Cristo, che per questo tu non mi ischifi né iscacci da te; ma come buono pastore, ad esempio di Cristo, ritruova e ricevi la pecora che perisce, se tu non l'aiuti; e priega Iddio per me che, se può essere, e' rivochi la sentenza della mia dannazione; imperò che si truova scritto che Iddio sa mutare la sentenza, se il peccatore ammenda il suo peccato; e io ho tanta fede nelle tue orazioni, che se io fossi nel mezzo dello inferno, e tu facessi per me orazione a Dio, io sentirei alcun rifrigerio; onde ancora io ti priego che me peccatore tu raccomandi a Dio, il quale si venne per salvare i peccatori, che mi riceva alla sua misericordia". E questo dicea frate Elia con grande divozione e lagrime; di che santo Francesco come pietoso padre, gli promise di pregare Iddio per lui; e così fece. E pregando Iddio divotissimamente per lui, intese per rivelazione che la sua orazione era da Dio esaudita quanto alla revocazione della sentenza della dannazione di frate Elia, che finalmente l'anima sua non sarebbe dannata, ma che per certo egli s'uscirebbe dell'Ordine e fuori dell'Ordine morrebbe. E così addivenne; imperò che, ribellandosi dalla Chiesa Federigo re di Cicilia ed essendo iscomunicato dal Papa egli e chiunque gli dava aiuto o consiglio; il detto frate Elia, il quale era reputato uno de' più savi uomini del mondo, richiesto dal detto re Federigo, s'accostò a lui e diventò ribelle della Chiesa e apostata dell'Ordine; per la quale cosa fu iscomunicato dal Papa e privato dell'abito di santo Francesco.

E stando così iscomunicato, infermò gravemente; la cui infermità udendo uno suo fratello frate laico, il quale era rimasto nell'Ordine ed era uomo di buona vita e onesta, sì lo andò a visitare, e tra l'altre cose si gli disse: "Fratello mio carissimo, molto mi dolgo che tu se' iscomunicato e fuori dell'Ordine tuo, e così ti morrai; ma se tu vedessi o via o modo per lo quale io ti potessi trarre di questo pericolo, volentieri ne prenderei per te ogni fatica". Risponde frate Elia: "Fratello mio, non ci veggo altro modo se non che tu vadi al Papa, e priegalo che per lo amore di Dio e di santo Francesco suo servo, per li cui ammaestramenti io abbandonai il mondo, m'assolva della sua iscomunicazione e restituiscami l'abito della Religione". Dice questo suo fratello che volentieri s'affaticherà per la sua salute: e partendosi da lui, se ne andò alli piè del santo Papa, pregandolo umilemente che faccia grazia al suo fratello per lo amore di Cristo e di san Francesco suo servo. E come piacque a Dio, il Papa gliel concedette: che tornasse e, se e' ritrovasse vivo frate Elia, si lo assolvesse dalla sua parte della iscomunicazione e ristituissegli l'abito. Di che costui si parte lieto e con grande fretta ritorna a frate Elia, e trovalo vivo, ma quasi in su la morte, e si lo assolvette della scomunicazione; e rimettendogli l'abito, frate Elia passò di questa vita, e l'anima sua fu salva per li meriti di santo Francesco e per la sua orazione, nella quale frate Elia avea avuta sì grande isperanza. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TRENTANOVESIMO

Della maravigliosa predica la quale fece santo Antonio da Padova frate minore in consistorio. Il maraviglioso vasello dello Spirito Santo messer santo Antonio da Padova, uno degli eletti discipoli e compagni di santo Francesco, il quale santo Francesco chiamava suo vescovo, una volta predicando in consistorio dinanzi al Papa e a' Cardinali, nel quale consistorio erano uomini di diverse nazioni, cioè greca, latina, francesca, tedesca, ischiavi e inghilesi e d'altre diverse lingue del mondo, infiammato dallo Spirito Santo, sì effcacemente, sì divotamente, sì sottilemente, sì dolcemente, sì chiaramente e sì intendevolmente propuose la parola di Dio, che tutti quelli che erano in consistorio, quantunque fossino di diversi linguaggi, chiaramente intendeano tutte le sue parole distintamente, siccome egli avesse parlato in linguaggio di ciascuno di loro; e tutti stavano istupefatti, e parea che fusse rinnovato quello antico miracolo degli Apostoli al tempo della Pentecoste, li quali parlavano per la virtù dello Spirito Santo in ogni lingua. E diceano insieme l'uno coll'altro con ammirazione: "Non è di Spagna costui che predica? e come udiamo tutti noi in suo parlare il nostro linguaggio delle nostre terre?". Il Papa simigliantemente, considerando e maravigliandosi della profondità delle sue parole, disse: "Veramente costui è arca del Testamento e armario della Iscrittura divina". A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUARANTESIMO

Del miracolo che Iddio fece quando santo Antonio, essendo a Rimino, predicò a' pesci del mare. Volendo Cristo benedetto dimostrare la grande santità del suo fedelissimo servo messere santo Antonio, e come divotamente era da udire la sua predicazione e la sua dottrina santa; per gli animali non ragionevoli una volta tra l'altre, cioè per li pesci, riprese la sciocchezza degli infedeli eretici, a modo come anticamente nel vecchio Testamento per la bocca dell'asina avea ripresa la ignoranza di Balaam. Onde essendo una volta santo Antonio a Rimino, ove era grande moltitudine d'eretici, volendoli riducere al lume della vera fede e alla via della verità, per molti dì predicò loro e disputò della fede di Cristo e della santa Scrittura, ma eglino, non solamente non acconsentendo alli suoi santi parlari, ma eziandio come indurati e ostinati non volendolo udire, santo Antonio un dì per divina ispirazione sì se ne andò alla riva del fiume allato al mare; e standosi così alla riva tra 'l mare e 'l fiume, cominciò a dire a modo di predica, dalla parte di Dio alli pesci: "Udite la parola di Dio voi, pesci del mare e del fiume, dappoi che gl'infedeli eretici la schifano d'udire". E detto ch'egli ebbe così, subitamente venne alla riva a lui tanta moltitudine di pesci grandi, piccoli e mezzani, che mai in quel mare né in quel fiume non ne fu veduta sì grande moltitudine; e tutti teneano i capi fuori dell'acqua e tutti stavano attenti verso la faccia di santo Antonio, e tutti in grandissima pace e mansuetudine e ordine: imperò che dinanzi e più presso alla riva istavano i pesciolini minori, e dopo loro istavano i pesci mezzani, poi di dietro, dov'era l'acqua più profonda, istavano i pesci maggiori.

Essendo dunque in cotale ordine e disposizione allogati li pesci, santo Antonio cominciò a predicare solennemente e dice così: "Fratelli miei pesci, molto siete tenuti, secondo la vostra possibilità, di ringraziare il Creatore che v'ha dato così nobile elemento per vostra abitazione, sicché, come vi piace, avete l'acque dolci e salse e havvi dati molti refugi a schifare le tempeste, havvi ancora dato elemento chiaro e trasparente e cibo per lo quale voi possiate vivere. Iddio vostro creatore cortese e benigno quando vi creò, sì vi diede comandamento di crescere e di multiplicare, e diedevi la sua benedizione. Poi quando fu il diluvio generalmente, tutti quanti gli altri animali morendo, voi soli riserbò Iddio senza danno. Appresso v'ha date l'ali per potere discorrere dovunque vi piace. A voi fu conceduto, per comandamento di Dio, di serbare Giona profeta e dopo il terzo dì gittarlo a terra sano e salvo. Voi offeriste lo censo al nostro Signore Gesù Cristo, il quale egli come poverello non aveva di che pagare. Voi fusti cibo dello eterno re Gesù Cristo innanzi resurrezione e dopo, per singolare mistero. Per le quali tutte cose molto siete tenuti di lodare e di benedire Iddio, che v'ha dati e tanti e tali benefici più che all'altre creature". A queste e simiglianti parole e ammaestramenti di santo Antonio, cominciarono li pesci aprire la bocca e inchinaron li capi, e con questi e altri segnali di reverenza, secondo li modi a loro possibili, laudarono Iddio. Allora santo Antonio vedendo tanta reverenza de' pesci inverso di Dio creatore, rallegrandosi in ispirito, in alta voce disse: "Benedetto sia Iddio eterno, però che più l'onorano i pesci acquatici che non fanno gli uomini eretici, e meglio odono la sua parola gli animali non ragionevoli che li uomini infedeli". E quanto santo Antonio più predicava, tanto la moltitudine de' pesci più crescea, e nessuno si partia del luogo ch'avea preso. A questo miracolo cominciò a correre il popolo della città fra li quali vi trassono eziandio gli eretici sopraddetti; i quali vedendo lo miracolo così maraviglioso e manifesto, compunti ne' cuori, tutti si gittavano a' piedi di santo Antonio per udire la sua predica. E allora santo Antonio cominciò a predicare della fede cattolica, e sì nobilemente ne predicò, che tutti quegli eretici convertì e tornarono alla vera fede di Cristo, e tutti li fedeli ne rimasono con grandissima allegrezza confortati e fortificati nella fede. E fatto questo, santo Antonio licenziò li pesci colla benedizione di Dio, e tutti si partirono con maravigliosi atti d'allegrezza, e similemente il popolo. E poi santo Antonio stette in Arimino per molti dì, predicando e facendo molto frutto spirituale d'anime. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

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