QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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I PADRI NELLA LITURGIA - ANNO B

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2009 12:16
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26/09/2009 11:59

SOLENNITA` DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU`

 

(Venerdí della terza settimana dopo Pentecoste)

 

         La devozione al Cuore di Gesú risale al Medioevo: i mistici dei secoli XI e XII incoraggiano i fedeli alla meditazione della Passione del Signore, alla venerazione delle ferite di Cristo e del Cuore trafitto dalla lancia del soldato.

         Si sviluppa particolarmente in Francia ed in Germania, specialmente in alcuni monasteri. I missionari gesuiti portano il culto in America: in Brasile, nell`anno 1585, sorge la prima chiesa dedicata al Cuore di Gesú. Il culto al Cuore di Gesú resta comunque una devozione privata.

         San Giovanni Eudes per primo, avendo ricevuto il permesso dal vescovo di Rennes, introduce la festa del Cuore di Gesú in tutte le case della sua Congregazione nell`anno 1670; la festa viene celebrata il 31 agosto. Le altre diocesi di Francia, alcune d`Italia e di Germania seguono l`esempio del vescovo di Rennes.

         Le rivelazioni di santa Maria Margherita Alacoque (+1690) influiscono maggiormente sulla diffusione della festa. Nonostante le numerose richieste indirizzate alla Sede Apostolica, Roma esita a lungo. Dopo la rinnovata richiesta dei vescovi polacchi, Clemente XIII, nel 1765, dà il permesso di celebrare la festa del Cuore di Gesú il venerdí dopo l`ottava del Corpus Christi e cosí essa entra nel ciclo delle feste cristiane. Pio IX, nel 1856, estende la festa su tutta la Chiesa; Leone XIII, consacra al Cuore di Gesú tutto il genere umano, Pio X, raccomanda di farlo ogni anno. Nel popolo cristiano si è comunemente diffusa la pratica della Comunione nei primi nove venerdí del mese.

         Il Cuore di Gesú, trafitto dalla lancia del soldato, rimane per sempre il simbolo del grande ed inconcepibile amore di Dio verso l`uomo. Dio è amore. Lui ci ha amati per primo ed ha mandato il suo Figlio per salvarci. Non c`è amore piú grande che dare la propria vita per qualcuno - disse il Signore - ed ha messo in pratica infatti queste parole. Dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa. Dal costato trafitto di Cristo scorre sangue ed acqua, simbolo dei due Sacramenti: Battesimo ed Eucaristia.

         La chiave di lettura di tutta la storia della salvezza e della redenzione compiuta da Cristo è l`amore. Rendendo oggi il culto al Cuore di Gesú, ci rendiamo piú che mai conto che «l`amore non è amato». Perciò dobbiamo desiderare che i nostri cuori siano infiammati dal fuoco dell`amore di Dio, e vedendo quanti rimangono indifferenti alla chiamata del Signore, dobbiamo riparare alla loro mancanza di amore.

 

         Vieni in nostro aiuto, Signore,

         perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità,

         che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

 

         (Missale Romanum, Domenica V di Quaresima Ccllecta)

 

 

1. Rifocillarsi alla Fonte della vita

 

         Dateci ascolto, fratelli carissimi, come se doveste sentire qualcosa di necessario e rifocillate, senza stancarvene, la vostra sete alle acque di quella divina fonte, di cui vogliamo parlare; bevete; è la Fonte viva che c`invita; è la Fonte della vita che ci dice: Se uno ha sete, venga da me, e beva (Gv 7,37). Rendetevi conto di ciò che bevete. Sentite Geremia che fa dire alla Fonte: Hanno abbandonato me, Fonte di acqua viva, dice il Signore (Ger 2,13). Il Signore nostro Gesú Cristo in persona è, dunque, la Fonte della vita e ci invita, perché lo beviamo. Lo beve, chi lo ama; lo beve, chi si sazia della parola di Dio, chi ama molto, molto desidera; beve, chi arde d`amore per la sapienza. Corriamo a bere noi, dunque, pagani, ciò che hanno lasciato gli Ebrei. Per noi anche è stato scritto: «Apriamo le mandibole del nostro uomo interiore per mangiar con appetito e, per non esser visti, mangiamo svelti e in luogo nascosto». Per mangiare il pane, per bere alla fonte, che è lo stesso Signore Gesú Cristo, il quale ci dà a mangiare se stesso pane vivo, che dà la vita al mondo (Gv 6,33) e si fa fonte con le parole: Se uno ha sete, venga da me e beva (Gv 7,37). E di questa fonte anche il profeta dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35,10).

         Vedete da dove viene questa fonte. Viene dallo stesso luogo da dove viene il pane; perché la stessa persona è Pane e Fonte il Figlio unico, il Signor nostro Cristo Dio, del quale dobbiamo aver sempre fame; anche se lo mangiamo col nostro amore, anche se lo divoriamo col nostro desiderio, cerchiamolo ancora come affamati. E beviamolo sempre come una sorgente, con la sovrabbondanza del nostro amore; beviamolo sempre con pienezza di desiderio e godiamoci la soavità della sua dolcezza. E` dolce e soave il Signore: anche se lo mangiamo e beviamo, cerchiamolo con fame e sete, perché il nostro cibo e la nostra bevanda non può mai essere totalmente mangiato o bevuto. Lui, anche se è mangiato, non è mai consumato, anche se è bevuto, non viene mai esaurito, perché il nostro Pane è eterno, la nostra Fonte è perenne, la nostra Fonte è dolce, perché il profeta dice: Voi che avete sete, andate alla Fonte (Is 55,2): egli è la Fonte di chi ha sete, non di chi è sazio; e perciò chiama a sé gli assetati; coloro che non si saziano mai di bere, coloro che quanto piú berranno, tanto piú avranno sete. Giustamente, fratelli, la Fonte della Sapienza, il Verbo di Dio (Sir 1,5) dev`essere desiderato, cercato, amato, perché sono in esso tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) ai quali egli invita, perché vi attingano, tutti coloro che hanno sete. Se hai sete, bevi alla Fonte della vita; se hai fame, mangia il Pane della vita. Beati quelli che hanno fame di questo Pane e hanno sete di questa Fonte; quanto piú mangeranno e berranno, tanto piú vorranno bere e mangiare. E` dolce davvero ciò che si mangia e beve sempre, e se ne ha sempre fame e sete, lo si gusta e lo si vuole sempre. Perciò il re profeta dice: Gustate e vedete quanto è dolce, quanto è soave il Signore (Sal 33,9). Perciò, fratelli, diamo ascolto a questa chiamata; è la Vita, che ci chiama alla Fonte della vita, ed egli è la Fonte, non solo dell`acqua viva, ma è anche Fonte di vita eterna, Fonte di luce, e Fonte d`ogni lume; di là vengono tutte queste cose: la sapienza, la vita, la luce eterna. L`autore della vita è Fonte di vita, creatore della luce, Fonte di lume. Perciò, trascurando tutte queste cose terrene, portiamoci al di sopra dei cieli, perché, come pesci ragionevoli e sapientissimi, cerchiamo la Sorgente della luce, Sorgente di vita, Sorgente d`acqua viva, perché possiamo bere l`acqua viva, che zampilla in vita eterna (Gv 4,14).

         Oh, se ti degnassi, Signore, Dio di misericordia, di mettermi vicino a quella Sorgente, perché anch`io, con tutti i tuoi assetati, possa bervi l`acqua viva della Fonte viva! Son certo che, tutto preso dalla dolcezza di quell`acqua, vi starei sempre attaccato e direi: Quanto è dolce la Sorgente dell`acqua viva, non vien mai meno e zampilla in vita eterna! O Signore, sei tu stesso questa Sorgente, sempre desiderata, sempre bevuta e mai esaurita. Dacci sempre, Signore Gesú Cristo, che anche in noi scaturisca una sorgente d`acqua viva, che zampilli nella vita eterna. Chiedo tanto, chi non lo comprende? Ma tu, Re di gloria, sei avvezzo ai grandi doni e alle grandi promesse: non c`è niente piú grande di te, e tu ci hai donato te stesso, hai dato te stesso per noi. Perciò noi ti chiediamo di darci te stesso: tu sei il nostro tutto: vita, luce, salvezza, cibo, bevanda, il nostro Dio. Ispira i nostri cuori, Signore Gesú, con l`aura del tuo Spirito e trafiggi i nostri cuori col tuo amore, perché possiamo dire con verità: Dimmi dov`è il mio diletto (Ct 1,6), perché l`amore m`ha ferito. Beata l`anima ferita dall`amorel Quella, sì, cerca la Sorgente, quella, sí, beve, e ha sempre sete, si ciba e ha sempre fame; ama e cerca sempre, sta bene quand`è ferita. E si degni il nostro pio medico, il Signore Gesú Cristo trafiggere i nostri cuori con tale ferita; lui che con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.

 

         (Colombano il Giovane, Instructio 13)

 

 

2. Le piaghe del Salvatore, luogo della nostra pace

 

         E veramente, dove puoi trovare una pace sicura e solida se non nelle piaghe del Salvatore? Tanto piú sicuro mi sento là dentro, quanto piú forte è lui per salvarmi. Freme il mondo, urge il corpo, insidia il diavolo; sto saldo, son fondato sopra una pietra ben solida. Ho peccato tanto; la mia coscienza n`è turbata, ma non disperata, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore. Infatti lui è stato piagato per le nostre ferite (Is 53,5). Che cosa può essere cosí mortale, che non possa essere disciolto con la morte di Cristo? Se, dunque, ti ricorderai di una così potente ed efficace medicina, non ci sarà alcuna gravità di malattia che possa spaventarti.

         Sbagliò allora colui che disse: Il mio peccato è troppo grande, perché possa sperare perdono (Gen 4,13). Disse cosí perché non apparteneva alle membra di Cristo, non faceva conto sul merito di Cristo al punto da ritenere suo ciò che è di Cristo. Io invece, fiduciosamente, ciò che mi manca lo vado a prendere dalle viscere del Signore, che son piene di misericordia, e non vi mancan dei fori, perché ne venga fuori. Traforarono le sue mani e i suoi piedi, trapassarono il suo fianco con la lancia e attraverso queste fessure posso succhiare miele dalla pietra e olio dal piú duro dei sassi, cioè, posso gustare e vedere quant`è soave il Signore. Nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi, infatti, conosceva l`indole di Dio, o chi gli ha mai suggerito qualche cosa? (Ger 29,11). I chiodi mi son diventati chiavi per scoprire la volontà di Dio. Perché non dovrei guardare attraverso quei fori? I chiodi, le piaghe protestano che veramente, in Cristo, Dio si rappacifica col mondo. La spada gli trapassò l`anima e raggiunse il suo cuore (Sal 104,18) certo non perché non imparasse a compatire le mie debolezze. Si vede il mistero del cuore, attraverso i fori del corpo, si scopre quel gran mistero di pietà, si scoprono le viscere della misericordia del nostro Dio con la quale dalla sua altezza è venuto verso di noi (1Tm 3,16). Perché non dovrebbero vedersi le viscere attraverso le ferite? In che cosa, infatti, si sarebbe visto piú chiaramente, se non nelle tue ferite, che tu, Signore, sei soave e mite e pieno di misericordia (Sal 85,5)? Nessuno ha maggiore affetto di chi dà la vita per dei rei e dei condannati.

         Tutto il mio merito è la misericordia del Signore. Non sono affatto privo di meriti, finché lui non è privo di misericordia. Che se la misericordia del Signore è tanta, anche i miei meriti son tanti. E che farò se m`accorgerò d`esser reo di molti delitti? Appunto, quanto piú furon numerosi i delitti, tanto piú abbondò la grazia (Rm 5,20). E se le misericordie di Dio vanno da una eternità all`altra, anch`io canterò in eterno le misericordie del Signore (cf. Sal 102,17; 88,1).

 

         (Bernardo di Chiarav., In Cant. Cant., 61, 3-5)

 

 

3. La carità

 

         Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità (cf. Col 3,14) di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L`altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: «La carità copre la moltitudine dei peccati» (cf. 1Pt 4,8; Gc 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesú Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima.

         Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c`è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei piú, che saranno visti nel novero del regno di Cristo. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (cf. Is 26,20; Ez 37,12). Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità. E` scritto: «Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui peccati sono stati coperti; beato l`uomo del quale il Signore non considererà il peccato, né l`inganno è sulla sua bocca» (cf. Sal 32,1-2; Rm 4,7-8). Questa beatitudine è per quelli scelti da Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

         (Clemente Romano, Ad Corinth., 49 s.)

 

 

4. Invocazione a Dio buono

 

         T`invoco, Dio mio, misericordia mia (Sal 58,18), che mi hai creato e non hai dimenticato chi ti ha dimenticato. T`invoco nella mia anima, che prepari a riceverti col desiderio che le hai ispirato. Non trascurare ora la mia invocazione. Tu mi hai prevenuto (cf . Sal 58,11) prima che t`invocassi, insistendo con appelli crescenti e multiformi affinché ti ascoltassi da lontano e mi volgessi indietro chiamando te che mi richiamavi. Tu, Signore, cancellasti tutte le mie azioni cattive e colpevoli per non dover punire l`opera delle mie mani (cf. Sal 17,21), con cui ti ho fuggito; prevenisti tutti i miei meriti buoni per retribuire l`opera delle tue mani, con cui mi hai foggiato (cf. Sal 118,73). Tu esistevi prima che io esistessi, mentre io non esistevo cosí da offrirmi il dono dell`esistenza. Eccomi invece esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere. Tu non avevi bisogno di me, né io sono un bene che ti possa giovare, Signore mio e Dio mio (Gv 20,28). Il mio servizio non ti risparmia fatiche nell`azione, la privazione del mio ossequio non menoma la tua potenza, il mio culto per te non equivale alla coltura per la terra, cosí che saresti incolto senza il mio culto. Io ti devo servizio e culto per avere da te la felicità, poiché da te dipende la mia felicità.

         La tua creatura ebbe l`esistenza dalla pienezza della tua bontà.

 

         (Agostino, Confess., 13, 1)

 

 

5. Conformarci al valore di colui di cui siamo consanguinei

 

         Bisogna uniformare la volontà con colui col quale si ha in comune il sangue. Non si può essere un po` discordi, un po` concordi; un giorno amarsi e un giorno farsi guerra; essere figli e meritarsi rimproveri; esser membra, ma morte, per le quali non fa piú senso essere nato e cresciuto come un tralcio, se poi non sei rimasto attaccato alla vite. Il tralcio staccato finisce, a ogni modo, per essere gettato al fuoco.

         Perciò colui che ha stabilito di vivere secondo Cristo, bisogna che si conformi al cuore e alla volontà di Cristo e ne dipenda, è di là che deriviamo la nostra vita. Ma certamente non sono legati a Cristo coloro che non vogliono ciò che Cristo vuole, o vogliono ciò che Cristo non vuole; bisogna perciò che, per quanto ci è possibile, ci si accomodi, ci si eserciti e ci si formi secondo la volontà di Cristo, si desideri ciò che lui desidera e si goda delle sue stesse cose. Infatti non possono nascere da uno stesso cuore desideri contrastanti. Un malvagio non può cavar dal suo cuore altro che male e il buono non ne cava altro che bene. E come i primi fedeli in Palestina avevano, per l`unione delle loro volontà, un cuor solo e un`anima sola (At 4,32), cosí, se uno non è unito con Cristo in modo da formare una sola mente con lui, ma cammina anzi per una via diversa dai suoi precetti, egli non dirige piú il suo cuore nella stessa direzione di Cristo ed è chiaro che è legato a un altro cuore, non a quello di Cristo. David, infatti, fu trovato secondo il suo cuore, perché poté dire di sé: Non ho dimenticato la tua legge (Sal 98,16). Son privi di vita, dunque, coloro che non aderiscono a quel cuore, e non aderiscono a quel cuore, coloro che nutrono desideri diversi da quelli che animano quel cuore.

 

         (Nicola Cabasilas, De vita in Christo, 6)

 

 

6. Un soldato gli aprí il costato con la lancia

 

         Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all`altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprí il costato con la lancia, e subito ne uscí sangue ed acqua (Gv 19,32-34). L`evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpí, ferí il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprí, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati quell`acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell`arca (Gen 6,16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare ai diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell`uomo che dormiva (cf. Gen 2,22), e fu chiamata vita e madre dei viventi (cf. Gen 3,20). Indubbiamente era l`annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché cosí, con il sangue e l`acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c`è di piú puro di questo sangue? Che cosa c`è di piú salutare di questa ferita?

 

         (Agostino, In Io. Evang., 120, 2)

 

 

7. La grazia viene di là donde è venuta la colpa

 

         Al tempo della Passione del Signore, all`approssimarsi del grande sabato, poiché nostro Signore Gesú Cristo o i ladroni erano ancora in vita, alcuni vennero inviati per percuoterli. Al loro arrivo, trovarono che nostro Signore Gesú Cristo era morto. Allora, uno dei soldati gli trafisse il costato con la sua lancia, e dal suo fianco uscí acqua e sangue (cf. Gv 19,31-34). Perché l`acqua? Perché il sangue? L`acqua per purificare, il sangue per riscattare. Perché dal fianco? Perché la grazia viene di là donde è venuta la colpa. La colpa è venuta dalla donna, la grazia da nostro Signore Gesú Cristo (cf. Gv 1,17).

 

         (Ambrogio, De sacramentis, V, 1, 4)

 

 

8. «O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!»

 

         Ormai, te solo amo, te solo seguo, te solo cerco, te solo sono pronto a servire, perché solo la tua dominazione è giusta; e io desidero pormi sotto la tua giurisdizione. Ordina, te ne prego, comanda ciò che vuoi; però risana ed apri le mie orecchie, perché io ascolti le tue parole; risana ed apri i miei occhi, perché io scorga i tuoi cenni. Allontana da me l`insipienza, perché io ti riconosca. Dimmi dove dirigere i miei sforzi, perché ti possa vedere, e spero di poter eseguire tutti i tuoi ordini. Accogli, te ne prego, il tuo fuggitivo, o Signore, Padre clementissimo. Bastino le pene subite dalla servitú impostami dai nemici che tu tieni sotto i tuoi piedi; bastino le menzogne che hanno fatto di me il loro giocattolo. Accogli in me il tuo schiavo che fugge lungi da essi; me, lo straniero, essi hanno bene accolto quando fuggivo lontano da te! Sento che devo ritornare a te. Mi si apra la tua porta, alla quale busso! Insegnami come arrivare fino a te. Io non ho altro al di fuori della mia buona volontà; non so nulla al di fuori del disprezzo che merita tutto ciò che è mutevole e caduco, e la necessaria ricerca dell`immutabile e dell`eterno. Questo io faccio, o Padre, perché è la sola cosa che conosco; ma ignoro come si arrivi fino a te. Ispirami, guidami, provvedi alle necessità del mio viaggio. Se è attraverso la fede che ti trovano coloro che si rifugiano presso di te, dammi la fede; se è attraverso la fortezza, dammi la fortezza; se è attraverso la scienza, dammi la scienza. Accresci in me la fede, accresci la speranza, accresci la carità. O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!

         E` verso di te che voglio camminare; a te chiedo ancora quei mezzi che mi permettono di pervenirvi. Se tu ci abbandoni, è la morte! Ma tu non ci abbandoni perché sei il Sommo Bene che nessuno ha mai rettamente cercato senza trovarlo. Ognuno infatti lo ha rettamente cercato, se tu rettamente gli hai concesso di cercare. Insegnami dunque, o Padre, a cercarti; liberami dall`errore; a me che ti cerco, null`altro si presenti al di fuori di te. Se nient`altro desidero che te, possa io trovarti, te ne prego, o Padre. Ma se un qualche appetito superfluo permane in me, tu stesso purificami e rendimi capace di vederti.

         Per ciò che attiene la salute di questo corpo mortale, dato che ignoro quale utile trarne per me e per quelli che amo, te ne affido la cura, Padre ottimo e sapientissimo; ti chiederò per lui ciò che a tempo debito vorrai suggerirmi. Voglio solo invocare la tua sovrana clemenza, perché tu mi orienti interamente a te, e che nulla renda vano il mio sforzo verso di te; comanda che, anche con questo corpo da guidare e portare, io pratichi la purezza, il coraggio, la giustizia, la prudenza; che ami e percepisca pienamente la tua sapienza; che mi renda degno della tua dimora, e possa essere di fatto abitatore del tuo beatissimo regno. Amen, amen.

 

         (Agostino, Soliloquia, I, 1, 5 s.)

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II DOMENICA

 

Letture:         1 Samuele 3,3b-10.19

         1 Corinti 6,13c-15a.17-20

         Giovanni 1,35-42

 

1. Il sangue della redenzione

 

         "Il giorno seguente Giovanni ancora stava là, e con lui due dei suoi discepoli; e mirando Gesù che passava, esclama: «Ecco l`agnello di Dio»" (Gv 1,35-36).

         Certamente è l`agnello per eccellenza, dato che anche i discepoli sono chiamati agnelli: "Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi" (Mt 10,16). Essi sono chiamati anche luce: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,11), ma in un senso diverso da colui del quale è scritto: «Era la vera luce, che illumina ogni uomo che viene nel mondo». Così, in un altro senso, è l`agnello per eccellenza, il solo senza macchia, senza peccato; e non perché le sue macchie erano state cancellate ma perchè mai ne aveva avute. Cosa significano queste parole di Giovanni riguardo al Signore: «Ecco l`agnello di Dio»? Giovanni non era forse un agnello anche lui? non era un uomo santo? non era amico dello sposo?

         E che Cristo è l`agnello per eccellenza: questo è l`agnello di Dio: perchè unicamente per il solo sangue di questo agnello gli uomini poterono essere redenti.

         Quando il tempo della misericordia di Dio arrivò, l`agnello venne sulla terra. Che agnello è questo, che i lupi temono? Che agnello è questo che, ucciso, uccide il leone? Il diavolo è detto infatti leone ruggente che va attorno cercando chi divorare (cf. 1Pt 5,8); e dal sangue dell`agnello il leone fu vinto. Questi sono gli spettacoli dei cristiani. E ciò che è di più, noi vediamo la verità con gli occhi del cuore, gli altri la vanità con gli occhi della carne. Non crediate, fratelli, che il Signore Dio nostro ci abbia lasciato senza spettacoli: se non avessimo alcuno spettacolo, perchè oggi voi sareste convenuti? Ecco, ciò che abbiamo detto voi lo avete visto, e avete acclamato: non acclamereste, infatti, se non aveste veduto. In realtà, è grandissimo spettacolo vedere il leone, in tutto l`universo, vinto dal sangue dell`agnello vedere le membra di Cristo strappate ai denti del leone e ricongiunte al corpo di Cristo.

         "E lo conduce a Gesù. Gesù, riguardatolo, gli disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu ti chiamerai Cefa» che significa Pietro " (Gv 1,42).

         Non c`è da stupirsi che Gesù abbia detto a Simone di chi egli era figlio. Che cosa c`è di difficile per il Signore? Egli sapeva il nome di tutti i suoi santi, che aveva predestinato prima della creazione del mondo: e vi stupireste perchè disse a un uomo: - tu sei figlio del tale e ti chiamerai con il tal nome? C`è da stupirsi perchè gli cambiò il nome, e di Simone fece Pietro? Pietro deriva da pietra, e la pietra è la Chiesa: nel nome di Pietro, dunque, è figurata la Chiesa. Chi è più sicuro di colui che edifica sopra la pietra? Il Signore stesso lo dice: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile ad un uomo prudente, che ha costruito la sua casa sopra la pietra ("cioè, non cede alle tentazioni"). Cadde la pioggia a dirotto, i fiumi strariparono, soffiarono i venti e s`abbatterono su quella casa, ed essa non crollò, perchè fondata sulla pietra. Chiunque poi ascolta queste mie parole e non le mette in pratica ("e ciascuno di noi tema e stia attento"), sarà simile ad un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sopra la rena. Cadde la pioggia a dirotto, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e s`abbatterono su quella casa, ed essa crollò, e fu completa la sua rovina» (cf. Mt 7,24-27). A che serve entrare nella Chiesa, per colui che vuole costruire sulla rena? Ascoltando e non mettendo in pratica, si costruisce certamente sulla rena. Chi nulla ascolta, infatti, nulla edifica: se invece ascolta, edifica. Ma su che cosa? ci chiediamo. Se ascolta e mette in pratica, edifica sulla pietra; se ascolta e non mette in pratica, sulla rena. Si può edificare, insomma, in due modi ben diversi: sulla pietra e sulla rena.

         Che dire, allora, di coloro che non ascoltano? sono sicuri? Ma forse il Signore li dice sicuri, quelli che non edificano? Sono nudi sotto la pioggia, nudi ai venti, in faccia ai fiumi: quando verranno, la pioggia, i venti, i fiumi, li porteranno via, prima ancora di demolire le case. Dunque, la sicurezza sta in una cosa sola, edificare, ed edificare sulla pietra. Se vuoi ascoltare e non mettere in pratica, edifichi rovine: quando verrà la prova, porterà via la casa, e te con le rovine tue. Se poi non ascolti neppure, resti senza riparo, e la prova porterà via te direttamente. Ascolta, quindi, e metti in pratica, è l`unico rimedio. Quanti certamente sono coloro, oggi, che, ascoltando e non mettendo in pratica, son trascinati via dal fiume di questa festa? Ascoltano e non mettono in pratica: ecco, sopraggiunge il fiume di questa festa annuale, straripa come un torrente in piena, poi passerà e le acque si prosciugheranno: ma guai a coloro che avrà trascinato via!

         Siate ben convinti di una cosa: se uno non ascolta e non mette in pratica, non edifica sulla pietra, e non ha alcun rapporto con quel grande nome cui il Signore attribuì tanta importanza. Ha suscitato, questo nome, la tua attenzione. Infatti, se ancor prima si fosse chiamato Pietro, tu non avresti inteso il mistero della pietra, e avresti immaginato che per un caso egli si chiamava così, non per provvidenza di Dio. Per questo il Signore volle che egli prima si chiamasse diversamente, affinché, proprio per il cambiamento del nome, risaltasse la forza del mistero.

 

         (Agostino, Comment. in Ioan., 7, 5-6.14)

 

 

2. L`agnello di Dio e lo sguardo di Gesù

 

         Quando dice: "Ecco l`agnello di Dio", non solo vuole indicare il Cristo, ma vuole anche esprimere ammirazione per la sua potenza - "Il suo nome sarà Ammirabile" (Is 9,6) -. Ed è veramente un agnello di meravigliosa potenza questo che, ucciso, uccise il leone; il leone, dico, del quale parla Pietro - "Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente, cerca chi può divorare" (1Pt 5,8). Perciò lo stesso agnello venne chiamato leone vincitore e glorioso - "Ecco ha vinto il leone della tribù di Giuda" (Ap 5,5) -. "Ecco l`agnello di Dio" è una testimonianza molto breve; ma è breve perchè i discepoli, ai quali Giovanni parla, da ciò ch`egli aveva già detto di Cristo, erano bene informati su di lui; e anche perchè ciò che soprattutto interessava a Giovanni era di indirizzare i suoi discepoli a Cristo. E non dice «Andate da lui», perchè i discepoli non credano di fargli un favore, se lo seguono; ma ne esalta il prestigio, perchè capiscano che fanno bene a sé stessi, se lo seguono. Perciò dice: "Ecco l`agnello di Dio", cioè, ecco dov`è la grazia e la forza epuratrice del peccato; l`agnello, infatti, veniva offerto in espiazione dei peccati.

         "Gesù poi voltatosi": queste parole stanno a dire che Gesù compie ciò ch`era stato iniziato da Giovanni, perchè "la legge non portò nessuno alla perfezione" (Eb 7,19). Quindi Cristo esamina e istruisce i discepoli, poichè "dice loro: Venite e vedete". Cristo li esamina ed essi rispondono - "Ed essi dissero: Maestro, dove abiti?" E l`evangelista dice: "Gesù voltatosi e visto che lo seguivano, disse loro". Il senso letterale dice che Cristo andava avanti e i due discepoli, che lo seguivano, non ne vedevano la faccia, perciò Cristo, per incoraggiarli, si voltò verso di loro. E questo ci fa capire che Cristo dà speranza di misericordia a tutti coloro che si mettono a seguirlo con cuore puro. "Previene quelli che lo cercano" (Sap 6,14). Gesù si volta verso di noi, perché lo possiamo vedere. Questo avverrà in quella beata visione quando ci mostrerà il suo volto, come si dice nel salmo (Sal 79,4). "Mostraci il tuo volto e saremo salvi". Finché siamo in questo mondo però lo vediamo di spalla, perché arriviamo a lui per via di effetti, per cui nell`Esodo (Es 33,23) è detto: "Vedrai le mie spalle". Si volge anche Gesù per offrirci l`aiuto della sua misericordia. Questo chiedeva il Sal 89,13: "Signore, volgiti un pochino". Finché, infatti, Cristo non offre l`aiuto della sua misericordia, ci sembra ostile. Si voltò, dunque, Gesù ai discepoli di Giovanni, che s`eran messi a seguirlo, per mostrar loro il suo volto e infondere la sua grazia in essi. Li esamina poi quanto all`intenzione. Quelli che seguono Cristo non hanno tutti la stessa intenzione: alcuni lo seguono con la prospettiva di beni temporali, altri con la prospettiva di beni spirituali, perciò il Signore gli chiede: "Che cosa cercate?", non certo per venire a sapere, ma perchè, dando loro occasione di manifestare la loro intenzione, li vuole stringere più vicino a sé, giudicandoli degni del suo interessamento .

 

         (Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 1, 15, 1 s.)

 

 

3. Il mistero della Pasqua

 

         E` stata appena letta la Scrittura sull`esodo ebraico e sono state spiegate le parole del mistero: come viene immolato l`agnello e come viene salvato il popolo. Sforzatevi di ben comprendere, carissimi! E in questo modo che è nuovo e antico, eterno e temporaneo, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale il mistero della Pasqua: antico secondo la Legge, ma nuovo secondo il Logos; temporaneo per il simbolo, eterno per la grazia, corruttibile per l`immolazione dell`agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sepoltura [nella terra], immortale per la risurrezione dai morti.

         Antica è la Legge, ma nuovo il Logos; temporaneo il simbolo, eterna la grazia; corruttibile l`agnello, incorruttibile il Signore; immolato come agnello, risuscitato come Dio.

         Infatti, come pecora fu condotto al macello per essere immolato (cf. Is 53,7), e tuttavia egli non era una pecora; e a mo` di agnello senza voce, e tuttavia egli non era un agnello. In effetti, il simbolo è passato e la verità è stata trovata [verificata].

         Invero, al posto dell`agnello è venuto Dio e al posto della pecora un uomo, e nell`uomo, Cristo che contiene tutto.

         Così dunque l`immolazione dell`agnello, il rito della Pasqua e la lettera della Legge sono terminati in Cristo Gesù, in vista del quale tutto accadde nella Legge antica e più ancora nell`Ordine ("greco": Logos) nuovo.

         Infatti, anche la Legge diventata Logos, e l`antico nuovo - entrambi usciti da Sion e da Gerusalemme -, e il comandamento grazia, e il simbolo verità, e l`agnello Figlio, e l`agnello uomo, e l`uomo Dio.

         In effetti, partorito come Figlio, e condotto come agnello, e immolato come capretto, e sepolto come uomo, egli risuscitò come Dio, essendo per natura Dio e uomo.

         Lui che è tutto: legge in quanto giudica, Logos in quanto insegna, grazia in quanto salva, Padre in quanto genera, Figlio in quanto è generato, agnello in quanto soffre, uomo in quanto è sepolto, Dio in quanto è risuscitato.

         Questo è Gesù, il Cristo; "a lui la gloria nei secoli. Amen" (2Tm 4,18; Gal 1,5; 2Pt 3,18).

         E questo è il mistero della Pasqua, quale è descritto nella Legge, come abbiamo letto poc`anzi...

         O mistero strano e inesplicabile! L`immolazione dell`agnello risulta essere la salvezza d`Israele, e la morte dell`agnello diviene la vita del popolo, e il sangue intimidì l`angelo.

         Dimmi, o angelo, cosa ti ha intimidito: l`immolazione dell`agnello o la vita del Signore? Il sangue dell`agnello o lo Spirito del Signore?

         E` evidente che tu sei rimasto intimidito perché hai visto il mistero del Signore compiersi nell`agnello, la vita del Signore nell`immolazione dell`agnello, la prefigurazione del Signore nella morte dell`agnello.

         Ecco perchè tu non colpisci Israele, mentre privi l`Egitto dei suoi figli. Quale inatteso mistero!

 

         (Melitone di Sardi, In Pascha, 1-11; 31-34)

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26/09/2009 12:00

II DOMENICA

 

Letture:         1 Samuele 3,3b-10.19

         1 Corinti 6,13c-15a.17-20

         Giovanni 1,35-42

 

1. Il sangue della redenzione

 

         "Il giorno seguente Giovanni ancora stava là, e con lui due dei suoi discepoli; e mirando Gesù che passava, esclama: «Ecco l`agnello di Dio»" (Gv 1,35-36).

         Certamente è l`agnello per eccellenza, dato che anche i discepoli sono chiamati agnelli: "Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi" (Mt 10,16). Essi sono chiamati anche luce: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,11), ma in un senso diverso da colui del quale è scritto: «Era la vera luce, che illumina ogni uomo che viene nel mondo». Così, in un altro senso, è l`agnello per eccellenza, il solo senza macchia, senza peccato; e non perché le sue macchie erano state cancellate ma perchè mai ne aveva avute. Cosa significano queste parole di Giovanni riguardo al Signore: «Ecco l`agnello di Dio»? Giovanni non era forse un agnello anche lui? non era un uomo santo? non era amico dello sposo?

         E che Cristo è l`agnello per eccellenza: questo è l`agnello di Dio: perchè unicamente per il solo sangue di questo agnello gli uomini poterono essere redenti.

         Quando il tempo della misericordia di Dio arrivò, l`agnello venne sulla terra. Che agnello è questo, che i lupi temono? Che agnello è questo che, ucciso, uccide il leone? Il diavolo è detto infatti leone ruggente che va attorno cercando chi divorare (cf. 1Pt 5,8); e dal sangue dell`agnello il leone fu vinto. Questi sono gli spettacoli dei cristiani. E ciò che è di più, noi vediamo la verità con gli occhi del cuore, gli altri la vanità con gli occhi della carne. Non crediate, fratelli, che il Signore Dio nostro ci abbia lasciato senza spettacoli: se non avessimo alcuno spettacolo, perchè oggi voi sareste convenuti? Ecco, ciò che abbiamo detto voi lo avete visto, e avete acclamato: non acclamereste, infatti, se non aveste veduto. In realtà, è grandissimo spettacolo vedere il leone, in tutto l`universo, vinto dal sangue dell`agnello vedere le membra di Cristo strappate ai denti del leone e ricongiunte al corpo di Cristo.

         "E lo conduce a Gesù. Gesù, riguardatolo, gli disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu ti chiamerai Cefa» che significa Pietro " (Gv 1,42).

         Non c`è da stupirsi che Gesù abbia detto a Simone di chi egli era figlio. Che cosa c`è di difficile per il Signore? Egli sapeva il nome di tutti i suoi santi, che aveva predestinato prima della creazione del mondo: e vi stupireste perchè disse a un uomo: - tu sei figlio del tale e ti chiamerai con il tal nome? C`è da stupirsi perchè gli cambiò il nome, e di Simone fece Pietro? Pietro deriva da pietra, e la pietra è la Chiesa: nel nome di Pietro, dunque, è figurata la Chiesa. Chi è più sicuro di colui che edifica sopra la pietra? Il Signore stesso lo dice: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile ad un uomo prudente, che ha costruito la sua casa sopra la pietra ("cioè, non cede alle tentazioni"). Cadde la pioggia a dirotto, i fiumi strariparono, soffiarono i venti e s`abbatterono su quella casa, ed essa non crollò, perchè fondata sulla pietra. Chiunque poi ascolta queste mie parole e non le mette in pratica ("e ciascuno di noi tema e stia attento"), sarà simile ad un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sopra la rena. Cadde la pioggia a dirotto, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e s`abbatterono su quella casa, ed essa crollò, e fu completa la sua rovina» (cf. Mt 7,24-27). A che serve entrare nella Chiesa, per colui che vuole costruire sulla rena? Ascoltando e non mettendo in pratica, si costruisce certamente sulla rena. Chi nulla ascolta, infatti, nulla edifica: se invece ascolta, edifica. Ma su che cosa? ci chiediamo. Se ascolta e mette in pratica, edifica sulla pietra; se ascolta e non mette in pratica, sulla rena. Si può edificare, insomma, in due modi ben diversi: sulla pietra e sulla rena.

         Che dire, allora, di coloro che non ascoltano? sono sicuri? Ma forse il Signore li dice sicuri, quelli che non edificano? Sono nudi sotto la pioggia, nudi ai venti, in faccia ai fiumi: quando verranno, la pioggia, i venti, i fiumi, li porteranno via, prima ancora di demolire le case. Dunque, la sicurezza sta in una cosa sola, edificare, ed edificare sulla pietra. Se vuoi ascoltare e non mettere in pratica, edifichi rovine: quando verrà la prova, porterà via la casa, e te con le rovine tue. Se poi non ascolti neppure, resti senza riparo, e la prova porterà via te direttamente. Ascolta, quindi, e metti in pratica, è l`unico rimedio. Quanti certamente sono coloro, oggi, che, ascoltando e non mettendo in pratica, son trascinati via dal fiume di questa festa? Ascoltano e non mettono in pratica: ecco, sopraggiunge il fiume di questa festa annuale, straripa come un torrente in piena, poi passerà e le acque si prosciugheranno: ma guai a coloro che avrà trascinato via!

         Siate ben convinti di una cosa: se uno non ascolta e non mette in pratica, non edifica sulla pietra, e non ha alcun rapporto con quel grande nome cui il Signore attribuì tanta importanza. Ha suscitato, questo nome, la tua attenzione. Infatti, se ancor prima si fosse chiamato Pietro, tu non avresti inteso il mistero della pietra, e avresti immaginato che per un caso egli si chiamava così, non per provvidenza di Dio. Per questo il Signore volle che egli prima si chiamasse diversamente, affinché, proprio per il cambiamento del nome, risaltasse la forza del mistero.

 

         (Agostino, Comment. in Ioan., 7, 5-6.14)

 

 

2. L`agnello di Dio e lo sguardo di Gesù

 

         Quando dice: "Ecco l`agnello di Dio", non solo vuole indicare il Cristo, ma vuole anche esprimere ammirazione per la sua potenza - "Il suo nome sarà Ammirabile" (Is 9,6) -. Ed è veramente un agnello di meravigliosa potenza questo che, ucciso, uccise il leone; il leone, dico, del quale parla Pietro - "Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente, cerca chi può divorare" (1Pt 5,8). Perciò lo stesso agnello venne chiamato leone vincitore e glorioso - "Ecco ha vinto il leone della tribù di Giuda" (Ap 5,5) -. "Ecco l`agnello di Dio" è una testimonianza molto breve; ma è breve perchè i discepoli, ai quali Giovanni parla, da ciò ch`egli aveva già detto di Cristo, erano bene informati su di lui; e anche perchè ciò che soprattutto interessava a Giovanni era di indirizzare i suoi discepoli a Cristo. E non dice «Andate da lui», perchè i discepoli non credano di fargli un favore, se lo seguono; ma ne esalta il prestigio, perchè capiscano che fanno bene a sé stessi, se lo seguono. Perciò dice: "Ecco l`agnello di Dio", cioè, ecco dov`è la grazia e la forza epuratrice del peccato; l`agnello, infatti, veniva offerto in espiazione dei peccati.

         "Gesù poi voltatosi": queste parole stanno a dire che Gesù compie ciò ch`era stato iniziato da Giovanni, perchè "la legge non portò nessuno alla perfezione" (Eb 7,19). Quindi Cristo esamina e istruisce i discepoli, poichè "dice loro: Venite e vedete". Cristo li esamina ed essi rispondono - "Ed essi dissero: Maestro, dove abiti?" E l`evangelista dice: "Gesù voltatosi e visto che lo seguivano, disse loro". Il senso letterale dice che Cristo andava avanti e i due discepoli, che lo seguivano, non ne vedevano la faccia, perciò Cristo, per incoraggiarli, si voltò verso di loro. E questo ci fa capire che Cristo dà speranza di misericordia a tutti coloro che si mettono a seguirlo con cuore puro. "Previene quelli che lo cercano" (Sap 6,14). Gesù si volta verso di noi, perché lo possiamo vedere. Questo avverrà in quella beata visione quando ci mostrerà il suo volto, come si dice nel salmo (Sal 79,4). "Mostraci il tuo volto e saremo salvi". Finché siamo in questo mondo però lo vediamo di spalla, perché arriviamo a lui per via di effetti, per cui nell`Esodo (Es 33,23) è detto: "Vedrai le mie spalle". Si volge anche Gesù per offrirci l`aiuto della sua misericordia. Questo chiedeva il Sal 89,13: "Signore, volgiti un pochino". Finché, infatti, Cristo non offre l`aiuto della sua misericordia, ci sembra ostile. Si voltò, dunque, Gesù ai discepoli di Giovanni, che s`eran messi a seguirlo, per mostrar loro il suo volto e infondere la sua grazia in essi. Li esamina poi quanto all`intenzione. Quelli che seguono Cristo non hanno tutti la stessa intenzione: alcuni lo seguono con la prospettiva di beni temporali, altri con la prospettiva di beni spirituali, perciò il Signore gli chiede: "Che cosa cercate?", non certo per venire a sapere, ma perchè, dando loro occasione di manifestare la loro intenzione, li vuole stringere più vicino a sé, giudicandoli degni del suo interessamento .

 

         (Tommaso d`Aquino, Ev. sec. Ioan., 1, 15, 1 s.)

 

 

3. Il mistero della Pasqua

 

         E` stata appena letta la Scrittura sull`esodo ebraico e sono state spiegate le parole del mistero: come viene immolato l`agnello e come viene salvato il popolo. Sforzatevi di ben comprendere, carissimi! E in questo modo che è nuovo e antico, eterno e temporaneo, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale il mistero della Pasqua: antico secondo la Legge, ma nuovo secondo il Logos; temporaneo per il simbolo, eterno per la grazia, corruttibile per l`immolazione dell`agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sepoltura [nella terra], immortale per la risurrezione dai morti.

         Antica è la Legge, ma nuovo il Logos; temporaneo il simbolo, eterna la grazia; corruttibile l`agnello, incorruttibile il Signore; immolato come agnello, risuscitato come Dio.

         Infatti, come pecora fu condotto al macello per essere immolato (cf. Is 53,7), e tuttavia egli non era una pecora; e a mo` di agnello senza voce, e tuttavia egli non era un agnello. In effetti, il simbolo è passato e la verità è stata trovata [verificata].

         Invero, al posto dell`agnello è venuto Dio e al posto della pecora un uomo, e nell`uomo, Cristo che contiene tutto.

         Così dunque l`immolazione dell`agnello, il rito della Pasqua e la lettera della Legge sono terminati in Cristo Gesù, in vista del quale tutto accadde nella Legge antica e più ancora nell`Ordine ("greco": Logos) nuovo.

         Infatti, anche la Legge diventata Logos, e l`antico nuovo - entrambi usciti da Sion e da Gerusalemme -, e il comandamento grazia, e il simbolo verità, e l`agnello Figlio, e l`agnello uomo, e l`uomo Dio.

         In effetti, partorito come Figlio, e condotto come agnello, e immolato come capretto, e sepolto come uomo, egli risuscitò come Dio, essendo per natura Dio e uomo.

         Lui che è tutto: legge in quanto giudica, Logos in quanto insegna, grazia in quanto salva, Padre in quanto genera, Figlio in quanto è generato, agnello in quanto soffre, uomo in quanto è sepolto, Dio in quanto è risuscitato.

         Questo è Gesù, il Cristo; "a lui la gloria nei secoli. Amen" (2Tm 4,18; Gal 1,5; 2Pt 3,18).

         E questo è il mistero della Pasqua, quale è descritto nella Legge, come abbiamo letto poc`anzi...

         O mistero strano e inesplicabile! L`immolazione dell`agnello risulta essere la salvezza d`Israele, e la morte dell`agnello diviene la vita del popolo, e il sangue intimidì l`angelo.

         Dimmi, o angelo, cosa ti ha intimidito: l`immolazione dell`agnello o la vita del Signore? Il sangue dell`agnello o lo Spirito del Signore?

         E` evidente che tu sei rimasto intimidito perché hai visto il mistero del Signore compiersi nell`agnello, la vita del Signore nell`immolazione dell`agnello, la prefigurazione del Signore nella morte dell`agnello.

         Ecco perchè tu non colpisci Israele, mentre privi l`Egitto dei suoi figli. Quale inatteso mistero!

 

         (Melitone di Sardi, In Pascha, 1-11; 31-34)

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26/09/2009 12:01

III DOMENICA

 

Letture:         Giona 3,1-5.10

         1 Corinti 7,29-31

         Marco 1,14-20

 

1. Il tempo del pentimento

 

         "Ma dopo che Giovanni fu imprigionato, Gesú venne nella Galilea predicando il Vangelo del regno di Dio..." (Mc 1,13), con quel che segue.

         «Giustamente egli comincia a predicare dopo che Giovanni è stato imprigionato; tramontata la legge, di conseguenza sorge il Vangelo. E il Salvatore, predicando le stesse cose che Giovanni Battista aveva predicato in precedenza, mostra di essere il Figlio dello stesso Dio di cui Giovanni è il profeta». Ma non si pensi che Giovanni sia stato gettato in carcere subito dopo la fine della tentazione, durata quaranta giorni, e il digiuno del Signore; chiunque legge il Vangelo di Giovanni troverà che il Signore ha insegnato molte cose e compiuto molti miracoli prima della prigionia di Giovanni. Troviamo nello stesso Vangelo: "Gesú dette cosí inizio ai suoi miracoli a Cana di Galilea" (Gv 2,11), e aggiunge: "Giovanni non era stato ancora imprigionato" (Gv 3,24). Ma «alcuni sostengono che Giovanni, dopo aver letto i libri di Matteo, di Marco e di Luca, avrebbe approvato tutta quanta la trama storica dei fatti e avrebbe riconosciuto che essi avevano detto il vero, ma che avevano tracciato soltanto la storia dell`anno in cui il Signore subí la passione dopo la prigionia di Giovanni. Per questo, tralasciando i fatti di quell`anno che erano stati oggetto dell`esposizione dei tre evangelisti, ha raccontato le vicende accadute prima che Giovanni fosse stato imprigionato, come si può constatare chiaramente leggendo attentamente i quattro Vangeli. Questo fatto toglie di mezzo ogni discordanza che sembrava esistesse tra Giovanni e gli altri». Orbene Marco, dopo aver detto che «Gesú venne nella Galilea predicando il vangelo del regno di Dio», continua:

         "E diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; pentitevi e credete al vangelo " (Mc 1,15).

         «Il tempo è compiuto», è un`espressione, questa, che concorda perfettamente con la frase dell`Apostolo: "Ma quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sottoposti alla legge" (Gal 4,4-5). Il tempo dunque è compiuto, pentitevi. Da quanto tempo si ripete questa esortazione, e voglia il cielo che una buona volta venga ascoltata! Poiché il tempo è compiuto e «il regno di Dio è vicino, pentitevi e credete al vangelo»: cioè rinunziate alle opere morte e credete nel Dio vivente. A che giova credere senza le opere buone? Non è il merito delle opere buone che ci ha condotto alla fede; ma la fede comincia affinché le opere buone la seguano.

 

         (Beda il Vener., In Evang. Marc., 1, 1, 14-15)

 

 

2. Le esigenze della chiamata di Dio

 

         "E camminando lungo il mare di Galilea, vide Simone e suo fratello Andrea che gettavano le reti in mare: infatti essi erano pescatori " (Mc 1,16). Simone, che non ancora si chiamava Pietro, perché non ancora aveva seguita la Pietra (cf. Es 17,5-6; 1Cor 10,4) tanto da meritarsi il nome di Pietro, Simone, dunque, e suo fratello Andrea, erano sulla riva e gettavano le reti in mare. La Scrittura non precisa se, dopo aver gettato le reti, presero dei pesci. Dice soltanto: «Vide Simone e suo fratel!o Andrea che gettavano le reti in mare: infatti essi erano pescatori». Il Vangelo riporta che essi gettavano le reti, ma non aggiunge che cosa presero con esse. Cioè, ripeto, prima della passione essi gettarono le reti, ma non sta scritto se catturarono dei pesci. Invece, dopo la passione, gettano le reti e prendono i pesci: tanti ne prendono che le reti si rompono (cf. Lc 5,6; Gv 1,11). Qui, invece, si dice soltanto che gettavano le reti, perché erano pescatori.

         "E Gesú disse loro: «Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini»" (Mc 1,17). Oh, felice trasformazione della loro pesca! Gesú li pesca, affinché essi a loro volta peschino altri pescatori. Dapprima essi son fatti pesci, per poter essere pescati da Cristo: poi essi pescheranno altri. E Gesú dice loro: «Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini».

         "E quelli, subito, abbandonate le reti, lo seguirono" (Mc 1,18). «Subito», dice Marco. La vera fede non conosce esitazioni: subito ode, subito crede, subito segue e subito fa diventare pescatore. E subito, dice Marco, «abbandonate le reti». Credo che con le reti essi abbiano abbandonato le passioni del mondo. «E lo seguirono»: non avrebbero infatti potuto seguire Gesú se si fossero portati dietro le reti, cioè i vizi terreni.

         "E andato un poco avanti, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, anch`essi nella barca che riattavano le reti" (Mc 1,19). Dicendo che riattavano le reti, si fa capire che esse erano rotte. Essi gettavano le reti in mare: ma poiché le reti erano rotte, non potevano prendere pesci. Aggiustavano, stando in mare, le reti: sedevano sul mare, cioè sedevano nella barca insieme al padre Zebedeo e riattavano le reti della legge. Abbiamo spiegato tutto questo secondo il suo significato spirituale. Essi aggiustavano le reti, ed erano nella barca. Erano nella barca, non sulla riva, non sulla terraferma: erano nella barca, che era scossa dai flutti del mare.

         "E subito li chiamò: e quelli, lasciato il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni, lo seguirono" (Mc 1,20). Qualcuno potrebbe dire: - Ma questa fede è troppo temeraria. Infatti, quali segni avevano visto, da quale maestà erano stati colpiti, da seguirlo subito dopo essere stati chiamati? Qui ci vien fatto capire che gli occhi di Gesú e il suo volto dovevano irradiare qualcosa di divino, tanto che con facilità si convertivano coloro che lo guardavano (cf. Mc 11,5). Gesú non dice nient`altro che «seguitemi», e quelli lo seguono. E` chiaro che se lo avessero seguito senza ragione, non si sarebbe trattato di fede ma di temerarietà. Infatti, se il primo che passa dice a me, che sto qui seduto, vieni, seguimi, e io lo seguo, agisco forse per fede? Perché dico tutto questo? Perché la stessa parola del Signore aveva l`efficacia di un atto: qualunque cosa egli dicesse, la realizzava. Se infatti "egli disse e tutto fu fatto, egli comandò e tutto fu creato" (Sal 148,5), sicuramente, nello stesso modo, egli chiamò e subito essi lo seguirono.

         «E subito li chiamò: e quelli subito, lasciato il loro padre Zebedeo...» ecc. "Ascolta, figlia, e guarda, e porgi il tuo orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre: il re desidera la tua bellezza" (Sal 44,11ss). Essi dunque lasciarono il loro padre nella barca. Ascolta, monaco, imita gli apostoli: ascolta la voce del Salvatore, e trascura la voce carnale del padre. Segui il vero Padre dell`anima e dello spirito, e abbandona il padre del corpo. Gli apostoli abbandonano il padre, abbandonano la barca, in un momento abbandonano ogni loro ricchezza: essi, cioè, abbandonano il mondo e le infinite ricchezze del mondo. Ripeto, abbandonarono tutto quanto avevano: Dio non tiene conto della grandezza delle ricchezze abbandonate, ma dell`animo di colui che le abbandona. Coloro che hanno abbandonato poco perché poco avevano, sono considerati come se avessero abbandonato moltissimo.

         Lasciato il padre Zebedeo nella barca con i garzoni, gli apostoli dunque lo seguirono. E` giunto ora il momento di spiegare ciò che prima abbiamo detto in modo oscuro, a proposito degli apostoli che aggiustavano le reti della legge. La rete era rotta, non poteva prendere i pesci, era stata corrosa dalla salsedine marina, ed essi non sarebbero mai stati in grado di ripararla se non fosse venuto il sangue di Gesú a rinnovarla completamente.

 

         (Girolamo, Comment. in Marc., 1 )

 

 

3. L`ascolto della parola di Dio rende potenti interiormente

 

         Un esame oculato e giudizioso della condotta degli apostoli di Gesú mostra che essi insegnavano il cristianesimo e riuscivano a sottomettere gli uomini alla parola di Dio per divina potenza. Non possedevano né eloquenza naturale né struttura di messaggio secondo i procedimenti dialettici e retorici dei Greci, che trascinavano gli uditori. Mi sembra, però, che se Gesú avesse scelto dei sapenti al cospetto della pubblica opinione, capaci di captare e di esprimere idee care alle folle, per farne i ministri del suo insegnamento, avrebbe senza alcun dubbio offerto il destro al sospetto di aver predicato seguendo un metodo consimile a quello di taluni capiscuola della filosofia, e il carattere divino della sua dottrina non sarebbe piú apparso in tutta la sua evidenza. La sua dottrina e la sua predicazione sarebbero consistite in discorsi persuasivi per sapienza, stile e composizione letteraria. La nostra fede, pari a quella che si accorda alle dottrine di filosofi di questo mondo, riposerebbe sulla «sapienza degli uomini» e non sulla «potenza di Dio». Vedere invece predicatori e pubblicani senza neppure i primi rudimenti letterari - secondo la presentazione che ne fanno i Vangeli, e Celso li crede veritieri quanto alla loro carenza di cultura -, tanto baldanzosi da predicare la fede di Gesú Cristo non solo ai Giudei, ma al resto del mondo e riuscirvi, come non chiedersi l`origine della loro potenza di persuasione? Essa, in effetti, non era quella che si aspettavano le folle, mentre rendeva ragione solo di questa parola: "Venite dietro di me, vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19), da Gesú realizzata con potenza divina nei suoi apostoli.

         Anche Paolo, come ho detto altrove, la propone in questi termini: "La mia parola e il mio messaggio non si basano su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito Santo e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio" (1Cor 2,4-5). Infatti, secondo quanto è detto nelle profezie dei profeti che con la loro conoscenza anticipata annunciano la predicazione del Vangelo, "il Signore darà la sua parola ai messaggeri con una grande potenza, il re degli eserciti del beneamato" (Sal 67,12-13), affinché si adempia questa profezia: "Perché corra rapida la sua parola" (Sal 147,4).

         E noi constatiamo, in effetti, che «la voce» degli apostoli di Gesú è giunta a tutta la terra, e le loro parole ai confini del mondo (Sal 18,5; Rm 10,18).

         Ecco perché sono ripieni di potenza coloro che ascoltano la parola di Dio annunciata con potenza, e la manifestano con la loro disposizione d`anima, con la loro condotta e la loro lotta fino alla morte per la verità (cf. Sir 4,28).

 

         (Origene, Contra Cels., 1, 62)

 

 

4. La sola penitenza non basta per la salvezza, occorre la carità

 

         La salvezza eterna non è, in effetti, promessa solo in nome della semplice penitenza, della quale il beato apostolo Pietro dice: "Fate penitenza e convertitevi, affinché siano cancellati i vostri peccati" (At 3,19), o Giovanni Battista e successivamente lo stesso Signore: "Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2); ma è del pari per l`effetto della carità che viene ricoperta la mole dei peccati: "la carità", infatti, "copre la moltitudine dei peccati" (1Pt 4,8).

         Parallelamente, anche l`elemosina arreca rimedio alle nostre ferite, poiché, come l`acqua spegne il fuoco, cosí l`elemosina espia i peccati (Sir 3,29).

 

         (Giovanni Cassiano, Collationes, 20, 8)

 

 

5. Il Signore è il nostro specchio

 

Appuntate gli sguardi!

Il Signore è il nostro specchio;

aprite gli occhi e specchiatevi,

imparate i tratti del vostro volto!

 

Levate inni al suo spirito,

nettatevi il fango dal vostro sembiante!

Amate la sua santità e indossatela,

starete con lui senza macchia nei secoli.

 

Alleluja!

 

 

         (Oda Salomonis, 13, 1-4)

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26/09/2009 12:01

IV DOMENICA

 

Letture:         Deuteronomio 18,15-20

         1 Corinti 7,32-35

         Marco 1,21-28

 

 

1. Dottrina e autorità di Cristo

 

         "E subito, giunto il sabato, entrato nella sinagoga, si mise a insegnare loro" (Mc 1,21).

         Il fatto che egli offra con larghezza i doni della sua medicina e della sua dottrina soprattutto di sabato, mostra che il Signore non è soggetto alla legge, ma sta sopra la legge, egli che è venuto per portare a compimento la legge e non per abrogarla (cf. Mt 5,17). Per insegnare egli sceglie non il sabato giudaico - nel quale era vietato accendere il fuoco o adoperare le mani e i piedi - ma il vero sabato, e mostra che il riposo preferito dal Signore consiste nell`aver cura delle anime astenendosi dalle opere servili, cioè da tutte le opere illecite.

         "E si stupivano della sua dottrina. Insegnava loro difatti come uno che ha autorità e non come gli scribi" (Mc 1,22).

         «Gli scribi insegnavano al popolo le cose che leggiamo in Mosè e nei profeti; Gesú invece, quasi fosse Dio e Signore di Mosè stesso, seguendo la sua libera volontà, dava maggiore importanza a precetti che sembravano secondari nella legge, oppure, modificando i comandamenti, si rivolgeva al popolo come leggiamo in Matteo: -fu detto agli antichi... ma io vi dico -» (Girolamo).

         "Or, ecco, c`era nella loro sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo, che gridava dicendo: - che c`è tra noi e te, Gesú Nazareno? Sei venuto per rovinarci? Conosco chi sei, il Santo di Dio! " (Mc 1,23-24).

         «Questa non è una spontanea confessione di fede cui faccia seguito il premio, ma una confessione necessariamente estorta che costringe chi non vuole. Come accade agli schiavi fuggiaschi che, incontrando dopo molto tempo il loro padrone, gridano implorazioni soltanto per evitare le bastonate, cosí i demoni, avendo visto d`improvviso apparire il Signore in terra, credevano che fosse venuto per giudicarli. La presenza del Salvatore è infatti tormento per i demoni» (Girolamo).

         "Ma Gesú lo rimproverò dicendo: - Taci, ed esci dall`uomo" (Mc 1,25).

         "Siccome la morte è entrata nel mondo per l`invidia del diavolo" (Sap 2,24), la medicina della salvezza ha dovuto dapprima operare contro lo stesso autore della morte per tacitare innanzi tutto la lingua del serpente, affinché non spargesse più oltre il suo veleno; poi per curare la donna, che fu per prima sedotta dalla febbre della concupiscenza carnale; in terzo luogo per purificare dalla lebbra del suo errore l`uomo che aveva ascoltato le parole della sposa che lo spingeva al male, affinché il piano di redenzione si compisse nel Signore come nei progenitori si era compiuta la caduta.

         "E dopo che l`ebbe agitato convulsamente, lo spirito immondo uscí da lui, emettendo un gran grido" (Mc 1,26).

         «Luca dice che lo spirito immondo uscí dall`uomo senza fargli male. Può sembrare una contraddizione, in quanto secondo Marco "dopo che l`ebbe agitato convulsamente, uscí da lui", oppure, come recano altri codici, "dopo che l`ebbe tormentato", mentre secondo Luca non gli fece alcun male. In realtà, però, anche Luca dice che il demonio uscí da lui dopo averlo gettato in terra, anche se non gli fece del male (cf. Lc 4,35). Si comprende, da ciò, perché Marco abbia detto che lo tormentò e lo agitò convulsamente intendendo ciò che ha detto Luca, scrivendo che lo gettò a terra. E quanto Luca aggiunge, cioè che non gli fece del male, significa che pur gettandolo in terra e agitandolo convulsamente, non lo mutilò, come sono soliti fare i demoni quando escono da qualcuno amputandogli o strappandogli le membra».

         "E si stupirono tutti, tanto che si domandavano l`un l`altro: - Cos`è questo? Che nuova dottrina è questa dato che egli comanda con autorità anche agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono?" (Mc 1,27).

         Di fronte alla grandezza del miracolo, ammirano la novità della dottrina del Signore, e sono spinti dalle cose che hanno viste a far domande su quello che hanno udito. Non v`è dubbio infatti che a questo miravano i prodigi che il Signore stesso operava servendosi della natura umana che aveva assunta, o che dava facoltà ai discepoli di compiere. Per mezzo di questi miracoli gli uomini credevano con maggior certezza al vangelo del regno di Dio che veniva loro annunciato: infatti coloro che promettevano agli uomini terreni la felicità futura mostravano di poter compiere in terra opere celesti e divine. In verità, mentre i discepoli operavano ogni cosa per grazia del Signore, come semplici uomini, il Signore operava miracoli e guarigioni da solo, per virtù della sua potenza, e diceva al mondo le cose che udiva dal Padre. Dapprima infatti il Vangelo attesta che «egli insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi»; e ora la folla testimonia che egli «con autorità comanda agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono».

 

         (Beda il Vener., In Ev. Marc. 1, 1, 21-27)

 

 

2. Entrare in Cafarnao, «campo della consolazione»

 

         "Ed entrarono a Cafarnao" (Mc 1,21). Significativo e felice è questo cambiamento: abbandonano il mare, abbandonano la barca, abbandonano i lacci delle reti ed entrano a Cafarnao. Il primo cambiamento consiste nel lasciare il mare, la barca, il vecchio padre, nel lasciare i vecchi vizi. Infatti nelle reti, e nei lacci delle reti, sono lasciati i vizi. Osservate il cambiamento. Hanno abbandonato tutto questo: e perché lo hanno fatto, per trovare che cosa? «Entrarono - dice Marco - a Cafarnao»: cioé entrarono nel campo della consolazione. "Cafar" significa campo "Naum" significa consolazione. Oppure (dato che le parole ebraiche hanno vari significati, e, a seconda della pronunzia, hanno un senso diverso), "Naum" vuol dire non solo consolazione, ma anche bellezza. Cafarnao, quindi, può essere tradotto come campo della consolazione o campo bellissimo...

         "Entrarono in Cafarnao, e subito, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava loro" (Mc 1,21), insegnava affinché abbandonassero gli ozi del sabato e cominciassero le opere del Vangelo. "Egli li ammaestrava come uno che ha autorità, non come gli scribi" (Mc 1,22). Egli non diceva, cioè «questo dice il Signore», oppure «chi mi ha mandato cosí parla»: ma era egli stesso che parlava, come già prima aveva parlato per bocca dei profeti. Altro è dire «sta scritto», altro dire «questo dice il Signore», e altro dire «in verità vi dico». Guardate altrove. «Sta scritto -egli dice - nella legge: Non uccidere, non ripudiare la sposa». Sta scritto: da chi è stato scritto? Da Mosè, su comandamento di Dio. Se è scritto col dito di Dio, in qual modo tu osi dire «in verità vi dico», se non perché tu sei lo stesso che un tempo ci dette la legge? Nessuno osa mutare la legge, se non lo stesso re. Ma la legge l`ha data il Padre o il Figlio? Rispondi, eretico. Qualunque cosa tu risponda, l`accetterò volentieri: per me, infatti, l`hanno data ambedue. Se è il Padre che l`ha data, è lui che la cambia: dunque il Figlio è uguale al Padre, poiché la muta insieme a colui che l`ha data. Se l`uno l`ha data e l`altro la muta è con uguale autorità che essa è stata data e che viene ora mutata: infatti nessuno che non sia il re può mutare la legge.

         "Si stupivano della sua dottrina (ibid.)". Perché, mi chiedo, insegnava qualcosa di nuovo, diceva cose mai udite? Egli diceva con la sua bocca le stesse cose che aveva già detto per bocca dei profeti. Ecco, per questo si stupivano, perché esponeva la sua dottrina con autorità, e non come gli scribi. Non parlava come un maestro ma come il Signore: non parlava per l`autorità di qualcuno piú grande di lui, ma parlava con la sua propria autorità. Insomma egli parlava e diceva oggi quello che già aveva detto per mezzo dei profeti. "Io che parlavo, ecco, sono qui" (Is 52,6).

 

         (Girolamo, Comment. in Marc., 2)

 

 

3. Il peccato degli angeli

 

         Tra le angeliche virtù il primo angelo dell`ordine terrestre, cui era stata affidata la cura della terra, pur essendo buono per natura e causa di bene e creato senza nessuna impronta di malizia, non tollerando piú lo splendore che aveva ricevuto per libera donazione del Creatore, da ciò che era in armonia con la sua natura, si rivolse a ciò che era contro la sua natura, e si oppose al suo Creatore; cosí per primo si allontanò dal bene e da buono divenne cattivo. Poiché il male non è altro se non la mancanza di un bene, come le tenebre non sono altro che la mancanza di luce. Il bene è una luce spirituale e il male è un buio spirituale. Lui ch`era stato fatto luce dal Creatore e buono - Dio "guardò tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone" (Gen 1,31) - di sua spontanea volontà si fece tenebre. Con lui si ribellò tutta la moltitudine innumerevole di angeli ch`era sotto di lui. Pur essendo, dunque, della stessa natura di tutti gli altri angeli, per propria scelta, divennero cattivi e di loro spontanea volontà si piegarono al male.

 

         (Giovanni Damasceno, De fide orthod., 2, 4)

 

 

4. Convertirsi con tutto il cuore

 

         Dice: «Ora ascoltami sulla fede. Con l`uomo sono due angeli, uno della giustizia e l`altro della iniquità». «Come, o signore, conoscerò le loro azioni, poiché entrambi gli angeli abitano con me?». «Ascolta, mi risponde, e rifletti. L`angelo della giustizia è delicato, verecondo, calmo e sereno. Se penetra nel tuo cuore, subito ti parla di giustizia, di castità, di modestia, di frugalità, di ogni azione giusta e di ogni insigne virtù. Quando tutte queste cose entrano nel tuo cuore, ritieni per certo che l`angelo della giustizia è con te. Sono, del resto, le opere dell`angelo della giustizia. Credi a lui e alle sue opere. Guarda ora le azioni dell`angelo della malvagità. Prima di tutto è irascibile, aspro e stolto e le sue opere cattive travolgono i servi di Dio. Se si insinua nel tuo cuore, riconoscilo dalle sue opere». «In che modo, signore, gli obietto, lo riconoscerò, non lo so». «Ascoltami, dice. Quando ti prende un impeto d`ira o un`asprezza, sappi che egli è in te. Poi, il desiderio delle molte cose, il lusso dei molti cibi e bevande, di molte crapule e di lussi vari e superflui, le passioni di donne, la grande ricchezza, la molta superbia, la baldanza e tutto quanto vi si avvicina ed è simile. Se tutte queste cose si insinuano nel tuo cuore, sappi che è in te l`angelo dell`iniquità. Avendo conosciuto le sue opere, allontanati da lui e non credergli in nulla, perché le sue opere sono malvagie e dannose ai servi di Dio. Hai, dunque, le azioni di ambedue gli angeli, rifletti e credi all`angelo della giustizia. Lungi dall`angelo della iniquità, perché il suo insegnamento è cattivo per ogni opera...».

         Gli dico: «Signore, ascoltami per poche parole». «Di` pure quello che vuoi». «L`uomo è desideroso di osservare i precetti di Dio, e nessuno non prega il Signore che lo rafforzi nei suoi precetti e lo sottoponga ad essi. Ma il diavolo è duro e domina». «Non può, replica, dominare i servi di Dio che sperano con tutto il cuore in Lui. Il diavolo può combattere, ma non può trionfare. Se lo contrastate, vinto e scornato fuggirà da voi. Quelli che sono vani temono il diavolo come se avesse forza. Quando l`uomo riempie di buon vino i recipienti piú adatti e tra questi pochi semivuoti, se torna ai recipienti non osserva i pieni, perché li sa pieni, ma osserva i semivuoti temendo che siano inaciditi. Presto, infatti, i recipienti semivuoti inacidiscono e svanisce il sapore del vino. Cosí pure il diavolo va da tutti i servi di Dio, per provarli (cf. 1Pt 5,8). Quelli che sono pieni di fede gli resistono energicamente, e lui si allontana da loro non avendo per dove entrare. Allora egli va dai vani e, trovando lo spazio, entra da loro ed agisce con questi come vuole e gli diventano soggetti».

         «Io, l`angelo della penitenza, vi dico: "Non temete il diavolo". Fui inviato per stare con voi che fate penitenza con tutto il vostro cuore e per rafforzarvi nella fede. Credete in Dio voi che per i vostri peccati avete disperato della vostra vita, accresciuto le colpe e appesantito la vostra esistenza. Se vi convertite al Signore con tutto il vostro cuore e operate la giustizia per i rimanenti giorni della vostra vita e lo servite rettamente secondo la sua volontà, vi darà il perdono per tutti i precedenti peccati e avrete la forza di dominare le opere del diavolo. Non temete assolutamente le minacce del diavolo. Egli è inerte come i nervi di un morto. Ascoltatemi, dunque, e temete chi può tutto salvare e perdere. Osservate questi precetti e vivrete in Dio». Gli chiedo: «Signore, ora mi sento rafforzato in tutti i comandamenti di Dio perché tu sei con me. So che abbatterai tutta la forza del diavolo e noi lo domineremo e vinceremo tutte le sue opere. E spero che il Signore dandomi la forza mi farà osservare questi precetti che hai ordinato». «Li osserverai, mi dice, se il tuo cuore diviene puro presso il Signore. Li osserveranno tutti quelli che purificheranno il loro cuore dalle vane passioni di questo mondo e vivranno in Dio».

 

         (Erma, Pastor, Precetti, VI, 2; XII, 5-6)

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V DOMENICA

 

Letture:         Giobbe 7,1-4.6-7

         1 Corinti 9,16-19.22-23

         Marco 1,29-39

 

1. «Il regno di Dio è dentro di voi» (Lc 17,21)

 

         "Ora la suocera di Simone stava a letto con la febbre" (Mc 1,30). Dio voglia ch`egli venga ed entri nella nostra casa, e guarisca con un suo ordine la febbre dei nostri peccati. Ciascuno di noi è febbricitante. Quando sono colto dall`ira, ho la febbre ogni vizio è una febbre. Preghiamo dunque gli apostoli affinché supplichino Gesú, ed egli venga a noi e tocchi la nostra mano: se la sua mano ci tocca, subito la febbre è scacciata. E il Signore un grande medico, un vero archiatra. Un medico era Mosè, un medico era Isaia, medici sono tutti i santi: ma questo è il maestro di tutti i medici. Egli sa toccare con cura le vene, sa scrutare nei segreti del male. Non tocca le orecchie, non tocca la fronte, né tocca alcuna altra parte del corpo: tocca soltanto la mano. Quella donna, infatti, aveva la febbre, perché non aveva opere di bene. Prima viene dunque sanata nelle opere e poi viene liberata dalla febbre. Non può liberarsi della febbre se non è guarita nelle opere. Quando la nostra mano opera il male, è come se fossimo costretti a stare a letto; non possiamo alzarci, non possiamo camminare: è come se fossimo ammalati in ogni parte del corpo.

         E "avvicinatosi" (Mc 1,31) a lei che era ammalata... Essa non poteva alzarsi, giaceva nel letto; quindi, non poteva venire incontro al Signore che entrava: ma questo misericordioso medico, che la teneva sulle sue spalle come fosse una morbida pecorella, va lui al letto. «E avvicinatosi...». Si avvicina spontaneamente, per guarirla di sua propria volontà. «E avvicinatosi...». Stai attento a che cosa dice. E` come se dicesse: Avresti dovuto correre incontro a me, venire alla porta per accogliermi, affinché la tua guarigione non fosse soltanto opera della mia misericordia, ma anche della tua volontà: ma, poiché sei in preda ad una violenta febbre e non ti puoi alzare, vengo io.

         E "avvicinatosi la fece alzare". Ella non poteva alzarsi, ed è alzata dal Signore. "E la fece alzare prendendola per mano" (Mc 1,31). Giustamente la prende per mano. Quando anche Pietro era in pericolo in mare e stava per essere sommerso, è toccato dalla sua mano e subito si alza. «E la fece alzare prendendola per la mano»: con la sua mano prese la mano di lei. O beata amicizia, o dolcissimo bacio! La fece alzare dopo averla presa per mano: la mano di lui guarí la mano di lei. La prese per mano come medico, sentí le sue vene, costatò la violenza della febbre, egli che è medico e medicina. Gesú tocca, e la febbre fugge. Tocchi anche le nostre mani, per rendere pure le nostre opere. Che entri nella nostra casa: alziamoci dal letto non restiamo sdraiati. Gesú sta dinanzi al nostro letto e noi non ci alziamo? Leviamoci, stiamo in piedi: è ignominioso per noi giacere dinanzi a Gesú. Ma qualcuno dirà: - Dov`è Gesú? Gesú è qui. "Sta in mezzo a voi uno che voi non conoscete" (Gv 1,26). "Il regno di Dio è dentro di voi" (Lc 17,21). Crediamo, e vedremo Gesú qui oggi. E se non possiamo toccare la sua mano, corriamo ai suoi piedi. Se non possiamo giungere alla sua testa, almeno laviamo con le nostre lacrime i suoi piedi. Il nostro pentimento è profumo per il Salvatore. Osserva quanto è grande la misericordia del Signore. I nostri peccati mandano un cattivo odore, sono putredine: tuttavia, se ci pentiamo dei nostri peccati, se piangiamo, i nostri puzzolenti peccati diventano il profumo del Signore. Preghiamo dunque il Signore affinché ci prenda per la mano...

         Che dice ancora David? "Mi laverai e io sarò piú bianco della neve" (Sal 50,9). Poiché mi hai lavato con le mie lacrime le mie lacrime e la mia penitenza hanno agito per me come ii battesimo. Potete costatare da qui quanto sia efficace la penitenza. Egli si pentí e pianse: perciò fu purificato. Che cosa dice subito dopo? "Insegnerò agli iniqui la tua via, e gli empi si convertiranno a te" (Sal 50,15). Il penitente è diventato maestro.

         Perché ho detto tutto questo? Perché qui sta scritto: "E subito la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli" (Mc 1,31). Non si accontenta di essere stata liberata dalla febbre, ma subito si mette al servizio di Cristo. «E si mise a servirli». Li serviva con i piedi, li serviva con le mani, correva di qua e di là, e venerava colui dal quale era stata guarita. Serviamo anche noi Gesú. Egli accoglie volentieri il nostro servizio, anche se abbiamo le mani sporche: infatti egli si degna di guardare ciò che si è degnato di guarire. Sia a lui gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

         (Girolamo, Comment. in Marc., 2)

 

 

2. «Io sono il Signore che ti guarisco» (Is 60,16)

 

         "E venuto nella casa di Pietro, lo serviva" (Mt 8,14-15). Entrato nella casa di Pietro, il Signore e Salvatore nostro guarí col solo contatto della sua mano la suocera di lui ammalata gravemente, ed in questo prodigio mostrò di essere l`autore di ogni sanità, l`autore della medicina celeste, che nel passato aveva parlato a Mosè dicendo: "Io sono il Signore che ti guarisco" (Is 60,16). Ma in questo, poiché donò la guarigione col contatto della mano, fu segno non di impotenza ma di grazia. In realtà, anche se precedentemente aveva guarito il paralitico soltanto con una parola, senz`altro facilmente avrebbe potuto anche ora fare scomparire le febbri con una parola, ma attraverso il contatto della sua mano mostrò il dono della sua benevolenza e si manifestò come colui del quale era stato scritto: "Per il contatto della sua mano presto ridona la sanità", poiché capiamo che è stato adempiuto in questa stessa opera. Immediatamente, infine, per il contatto della mano del Signore, la febbre scomparve, la guarigione ritorna con la fede alla credente, egli che scruta i reni e il cuore [degli uomini] dona i benefici della sanità, e quelle cose di cui bisognava per il servizio altrui, e restituita alla salute precedente, cominciò in persona a servire il Signore. Per queste prodigiose azioni senza dubbio si approva chiaramente la divinità del Cristo.

         "Venuta, poi, la sera gli presentarono molti, e curò le loro infermità" (Mt 8,16-17).

         Il Signore delle virtù ed autore della salvezza degli uomini, elargiva a tutti, come pio e misericordioso. Dio, il rimedio della medicina celeste, liberava i posseduti dal demonio, scacciava gli spiriti immondi, faceva scomparire anche tutte le malattie ed infermità del corpo con la parola del suo divino potere, affinché mostrasse di essere venuto per la salvezza del genere umano, e dimostrasse fino all`evidenza di essere Dio attraverso un cosí gran numero di azioni prodigiose, perché questi cosí grandi segni miracolosi non li può effettuare se non Dio solo.

         "Affinché si adempisse, disse, ciò che è stato detto per il profeta Isaia: Poiché egli stesso si addossò le nostre infermità, e portò le nostre malattie" (Mt 8,17).

         Inoltre il Figlio di Dio si addossò le infermità del genere umano, affinché rendesse noi, una volta deboli, forti e ben radicati nella sua fede; per questo prese un corpo da una razza peccatrice, per cancellare i nostri peccati col mistero della sua carne. Di sera poi ciò che conferí secondo l`intelligenza dello spirito, fu mostrato come sacramento della passione del Signore, quando lo stesso Figlio di Dio, che è chiamato sole di giustizia per la nostra salvezza accettò la pena di morte.

         E dopo la sua passione tutti quelli che si sono offerti al Signore, o che si offrono, liberati dalle diverse malattie dei peccati, e dai vari legami del demonio, ottengono dal Signore e Salvatore nostro ed eterno medico, la salvezza eterna: a Lui la lode e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

         (Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 40, 1-4)

 

 

3. Cristo, salute del corpo

 

         L`evangelista Marco aggiunge la parola «immediatamente» volendo sottolineare la rapidità con cui la guarigione si verifica (cf. Mc 1,29). Matteo, invece, si limita a menzionare il miracolo senza dare indicazioni di tempo. Gli altri evangelisti riferiscono, inoltre, che l`inferma stessa chiede a Gesú di guarirla (cf. Mc 1,30; Lc 4,38), mentre Matteo omette anche questo particolare. Ciò, naturalmente, non significa che vi sia contraddizione tra gli evangelisti, ma soltanto che l`uno mira alla concisione, gli altri a una piú completa narrazione dei fatti.

         Ma per qual motivo il Signore entra nella casa di Pietro? Secondo me è per prender cibo; l`evangelista lo lascia capire dicendo che la donna «levatasi, si mise a servirlo». Cristo, infatti si trattiene spesso in casa dei suoi discepoli, come fa anche alla chiamata di Matteo, e in tal modo li onora e rende piú ardente il loro fervore.

         Osservate anche in questa circostanza il profondo rispetto che Pietro nutre per il Maestro. Benché egli abbia in casa la suocera ammalata e con febbre alta, non lo trascina a casa sua. ma attende che abbia terminato il suo insegnamento sulla montagna e che tutti gli altri malati siano risanati. Solo quando il Signore entra nella sua casa, l`apostolo lo prega di guarire la suocera: cosí, fin dall`inizio, l`apostolo è stato educato ad anteporre gli interessi degli altri ai propri. Non è infatti Pietro che conduce il Signore a casa sua: è il Salvatore che vi entra spontaneamente, dopo che il centurione ha detto: «Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto», dimostrando sino a qual punto favorisca il suo discepolo. Pensate, in realtà, quali abitazioni potevano avere quei pescatori; ma Gesú non disdegna di entrare nei loro miseri tuguri, insegnandoci in tutti i modi a disprezzare il fasto e le vanità del mondo.

         Notiamo inoltre che il Signore a volte guarisce i malati con le sole parole, a volte stende la mano; altre volte invece usa parole e gesti insieme per evidenziare meglio la guarigione. Egli difatti non vuole operare sempre miracoli in maniera straordinaria. Deve star nascosto ancora qualche tempo, soprattutto per i suoi discepoli, i quali nell`eccesso della loro gioia proclamerebbero pubblicamente tutto ciò che sanno. E ciò risulta evidente dal fatto che, dopo la sua trasfigurazione sul monte, deve ordinar loro di non riferire a nessuno ciò che hanno visto (cf.Mt 17,9).

         In questa circostanza Gesú, toccando la mano della donna malata, non soltanto spegne l`ardore della febbre, ma le restituisce perfetta salute. Trattandosi di una malattia leggera, egli manifesta la sua potenza nel modo in cui la guarisce: il che nessun`arte medica avrebbe potuto fare. Voi ben sapete che anche dopo la caduta della febbre occorre molto tempo prima che i malati riacquistino completamente la salute. In questa occasione invece la guarigione e il completo recupero delle forze si ottengono nello stesso istante. E non solo qui, ma anche sul mare, si hanno contemporaneamente due effetti. Non soltanto allora Gesú calmò i venti e la tempesta, ma placò istantaneamente anche il movimento delle onde, operando un prodigio insolito. Come ben si sa, quando cessa la tempesta, le acque rimangono ancora per molto tempo agitate. La parola di Cristo opera dlversamente: fa cessare tutto in un momento e la stessa cosa si verifica anche nel caso della suocera di Pietro. Volendo far intendere ciò, l`evangelista precisa: «levatasi, si mise a servirlo»: il che conferma da un lato la potenza di Cristo, e dall`altro la gratitudine che la donna prova per lui.

         Un altro punto che qui dovremmo considerare è il fatto che Cristo per la fede di alcuni concede la guarigione ad altri - qui, infatti, altri l`hanno pregato (cf. Lc 4,38), come pure nel caso del servo del centurione. Tuttavia la concede a condizione che colui che sta per essere guarito non sia incredulo e solo a causa della sua malattia non possa presentarsi a lui e per ignoranza o per giovane età non riesca a comprendere la sua grandezza.

         "Fattosi sera, gli condussero molti indemoniati, ed egli con una parola scacciò gli spiriti e guarí i malati, affinché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia: Ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie" (Mt 8,16-17; Is 53,4). Notate come è cresciuta ormai la fede della moltitudine. Non si rassegnano infatti ad andarsene, nonostante l`incalzare del tempo, né ritengono inopportuno condurre a Cristo i loro malati di sera. Vi prego inoltre di considerare quale numero di persone risanate gli evangelisti qui sorvolano, senza menzionare e raccontare i dettagli di ogni guarigione. Con pochissime parole infatti essi passano sopra un mare infinito di miracoli

 

         (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 27, 1)

 

 

4. La suocera di Pietro (Mt 8,14-15)

 

Dalla febbre del vizio ero tormentato

Dell`impurità abominevole,

E in letti per mollezza ignobili

Son caduto, incapace di rialzarmi.

 

Come la suocera del beato Pietro,

Piacciati rialzarmi, Destra del Potente,

Affunché come lei anch`io ti serva,

Tu che ridai la vita alla mia anima.

 

         (Nerses Snorhalí, Jesus, 440-441 )

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26/09/2009 12:03

VI DOMENICA

 

Letture: Levitico 13,1-2.44-46

     1 Corinti 10,31; 11,1

     Marco 1,40-45

 

1. Gesú e il lebbroso

 

     "Ed ecco un lebbroso, fattosi avanti, gli si prostrava ai piedi e gli diceva: «Signore se tu vuoi, mi puoi mondare»" (Mt 8,2). Grande è la prudenza e la fede di quest`uomo che s`avvicina a Cristo. Egli non ha interrotto il suo discorso, né si è gettato tra la folla, ma ha atteso il momento favorevole: quando Gesú scende dal monte gli si accosta. E non lo supplica in un modo qualunque, ma con grande fervore, prostrandosi ai suoi piedi, come riferisce un altro evangelista (cf. Mc 1,40), con vera fede e con quel rispetto che di lui si deve avere. Non gli dice: Se chiedi a Dio, oppure: Se tu preghi, ma: «Se tu vuoi, mi puoi mondare». Nemmeno gli chiede: Signore guariscimi, ma affida tutto nelle sue mani; lo riconosce padrone assoluto della sua guarigione, testimoniando che egli possiede tutta l`autorità e il potere.

     Ora qualcuno potrebbe obiettare: se l`opinione del lebbroso fosse sbagliata? In quel caso il Signore dovrebbe confutarla, rimproverare e correggere il lebbroso. Ma Cristo, fa questo? No assolutamente; anzi fa tutto il contrario, confermando e rafforzando quanto dice quell`uomo. Ecco perché non si limita a dire «sii mondato», ma dichiara: "Lo voglio: sii mondato" (Mt 8,3), affinché la verità della sua onnipotenza non si fondi soltanto sull`opinione di quell`uomo, ma sulla conferma esplicita che egli stesso ne dà. Gli apostoli non parleranno cosí, quando compiranno miracoli. Come parleranno, allora? Quando tutto il popolo rimarrà sorpreso e colpito dai loro prodigi, essi diranno: «Perché ci guardate con ammirazione quasi che per nostra propria potenza e autorità abbiamo fatto camminare quest`uomo?» (cf. At 3,12). Il Signore, invece, che pure di solito parla di sé con tanta umiltà e in modo inferiore alla sua gloria, che dice ora per confermare l`opinione di tutti coloro che lo guardano ammirati della sua potenza? «Lo voglio: sii mondato». In verità, benché il Signore abbia operato infiniti e straordinari miracoli, soltanto in questa circostanza pronunzia una tale affermazione.

     Qui, sicuramente per rafforzare il pensiero che il lebbroso e tutta la folla si sono fatti della sua autorità e della sua potenza, egli aggiunge: «Lo voglio». E non dice questo per poi non mandarlo ad effetto, ma l`opera segue immediatamente le parole. Se la sua dichiarazione non fosse vera, e si trattasse di una bestemmia, il fatto miracoloso non potrebbe realizzarsi. Ecco, invece, che la natura obbedisce all`ordine di Gesú con assoluta immediatezza, anzi ancora piú rapidamente di quanto possa esprimere l`evangelista. L`espressione "sull`istante" (Mt 8,3) da lui usata, non esprime a sufficienza la rapidità con cui il miracolo si verifica.

     Cristo, inoltre, non si limita a dire: «Lo voglio: sii mondato», ma stende anche la sua mano e tocca il lebbroso (cf. Mt 8,3). Questa circostanza merita di essere esaminata. Perché, dato che guarisce il malato con la sua volontà e con la sua parola, aggiunge anche il tocco della sua mano? Io ritengo che per nessun altro motivo lo faccia, se non per mostrare anche in quest`occasione che egli non è affatto soggetto alla legge, ma che è al di sopra di essa; e, infine, che non c`è niente di impuro per un uomo puro. In una occasione simile il profeta Eliseo non volle neppure vedere Naaman e, pur sapendo che costui era scandalizzato perché egli non si accostava né lo toccava, per rispettare rigorosamente la legge rimase in casa, limitandosi a mandarlo al Giordano perché si lavasse in quelle acque (cf. 2Re 5). Il Signore, invece, vuol mostrare che egli guarisce non da servitore, ma da padrone, e perciò tocca il lebbroso. Non è la mano infatti che diventa impura al contatto con la lebbra: al contrario, il corpo lebbroso è purificato dal tocco di quella santa mano. Cristo non è venuto solo per guarire i corpi, ma per condurre le anime alla virtù. E come quando istituisce quell`ottima legge che permette di mangiare ogni genere di cibi, egli dice altresí che non è piú proibito sedere a mensa senza lavarsi le mani, cosí qui per insegnare che si deve aver cura dell`anima e che, senza darsi pensiero per le esteriori purificazioni, bisogna mantenerla pura e temere soltanto la lebbra spirituale, che è il peccato, - la lebbra del corpo non è di ostacolo alla virtù -, Gesú per primo tocca il lebbroso; e nessuno lo rimprovera. Non era infatti quello della folla un tribunale corrotto, né gli spettatori erano testimoni dominati dall`invidia. Perciò non solo non lo accusano, ma ammirano stupefatti il miracolo e, ritirandosi, adorano la sua irresistibile potenza, manifestatasi nelle parole e nelle opere.

 

     (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 25, 1 s.)

 

 

2. «Signore, se vuoi, puoi guarirmi»

 

     Grande la fede di questo lebbroso e perfetta la sua professione! Per primo, infatti, adorò, quindi disse: «Signore, se vuoi, puoi guarirmi» (Mt 8,2-4). In ciò che egli adorò, mostrò di aver creduto a quel Dio che egli adorò, poiché la legge prescriveva che non si deve adorare se non un solo Dio.

     Quandi, col dire: «Signore, se vuoi, puoi guarirmi» prega la sua onnipotenza e la natura della divina potestà sotto l`influsso della sua volontà affinché voglia soltanto il Signore, come rimedio, poiché sapeva che il potere della virtù divina, si sottometteva alla sua volontà. Per conseguenza poiché credette che al Figlio di Dio soltanto il volere significava (era) potere, e il potere, volere, per questo disse: «Signore, se vuoi, puoi guarirmi».

     Non senza ragione, il Signore conoscendo l`animo devoto e fedele del lebbroso che credeva in sé, per confermare la sua fede subito lo ricompensò del dono della sanità, dicendo: «Lo voglio, sii guarito» (Mt 8,2-4). Quindi, «stendendo la mano, lo toccò. E istantaneamente la lebbra scomparve» (Mt 8,3).

     E cosí facendo pubblicamente si dichiarò il Signore del potere assoluto come già aveva creduto il lebbroso. Immediatamente e come volle, la virtù del suo manifesta la sua volontà. Cosí, infatti, disse: «Voglio, sii guarito. E subito la sua lebbra scomparve». E Gesú gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va`, presentati al sacerdote, e poi fa` l`offerta che Mosè prescrisse in testimonianza ad essi» (Mt 8,3-4). Il Signore comanda a colui al quale aveva guarito la lebbra e di presentarsi al sacerdote e di offrire sacrifici per sé prescritti nella legge. E in questo volle manifestare compiuti da sé i misteri (le adempienze) della legge, e accusare l`infedeltà dei sacerdoti, affinché constatando il lebbroso guarito che né la legge, né i sacerdoti avevano potuto mondare, o credessero che Egli era il Figlio di Dio e riconoscessero che Egli stesso era il padrone della legge; a causa della giustizia e della fede del lebbroso e della testimonianza della sua stessa opera, ricevessero la condanna della loro infedeltà.

     Chi, infatti, avrebbe potuto col potere della propria virtù guarire il lebbroso, che la legge non poté mondare, se non colui che è il padrone della legge, e che è il Signore di tutte le virtù, del quale leggiamo scritto: «Il Signore delle virtù è con noi chi ci accoglie è il Dio di Giacobbe» (Sal 45,8-12), anche prima che fosse mondato, credette con religiosa professione di fede che il Figlio di Dio era Dio; i sacerdoti, invece, neppure dopo il prodigio della divina virtù vollero credere.

     In verità se (riusciamo a capire) comprendiamo che per questo il Signore aveva comandato a colui che aveva liberato dalla lebbra, affinché offrisse sacrifici prescritti nella legge per sé, mostrasse con questo che egli era l`autore del precetto dato, e per gli stessi misteri adempiuti nella verità, che erano stati in antecedenza manifestati come figure.

 

     (Cromazio di Aquileia, In Matth. Tract., 38, 10)

 

 

3. La fede che salva

 

     «Signore, se tu vuoi, puoi mondarmi» (Mt 8,2). Chi supplica la volontà, non dubita del potere.

     E stendendo la mano Gesú lo toccò e disse: «"Lo voglio: sii mondato». E sull`istante fu mondato dalla sua lebbra" (Mt 8,3)

     Appena il Signore stende la mano, subito la lebbra scompare. Ma osserva anche quanto sia umile e immune da vanità la sua risposta. Il lebbroso aveva detto: «Se tu vuoi», e il Signore risponde: «Lo voglio». Il lebbroso aveva detto: «Puoi mondarmi» e il Signore replica dicendo: «Sii mondato». Non dobbiamo congiungere le due parti della risposta, come credono molti latini, che leggono: «Ti voglio mondare»; dobbiamo tenerle separate, sicché egli prima dice: «Lo voglio», e poi, dando un ordine: «Sii mondato».

     "E Gesú disse: «Guardati dal dirlo ad alcuno"» (Mt 8,4). E, in verità, che necessità aveva il lebbroso di fare tanti discorsi sulla sua guarigione, quando il suo corpo guarito parlava per lui?

     «Ma va`, mostrati ai sacerdoti e presenta l`offerta che Mosè ha prescritto, affinché serva a loro di testimonianza» (Mt 8,4). Per varie ragioni lo manda dai sacerdoti. In primo luogo, per un atto di umiltà, affinché cioè il lebbroso risanato rendesse onore ai sacerdoti: era infatti prescritto dalla legge che coloro che venivano mondati dalla lebbra presentassero un`offerta ai sacerdoti. Poi perché i sacerdoti, vedendo che il lebbroso era stato mondato, potessero credere al Salvatore, oppure si rifiutassero di farlo: se avessero creduto sarebbero stati salvi; se si fossero rifiutati di farlo, la loro colpa sarebbe stata senza attenuanti. E infine perché si rendessero conto che egli non infrangeva affatto la legge, cosa di cui tanto spesso lo accusavano.

 

     (Girolamo, Comment. in Matth., 1, 8, 2-4)

 

 

4. Il sacramento è dato dall`unione di materia e forma

 

     Volle anche toccare, per darci un`idea della virtù che è nei sacramenti, nei quali non basta toccare, ci vogliono anche le parole, perché quando si fondono forma e materia, allora nasce il sacramento.

 

     (Tommaso d`Aquino, In Matth. Ev., 8, 1)

 

 

5. Il lebbroso (Mt 8,1-4)

 

Anche a me, come al lebbroso, rivolgi la parola,

Come a lui che con fede s`accostava:

«Lo voglio sii mondato integralmente

E sii puro dalle brutture del Maligno».

 

     (Nerses Snorhalí, Jesus, 437)

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26/09/2009 12:04

VII DOMENICA

 

Letture:    Isaia 43,18-19.21-22.24b-25

       2 Corinti 1,18-22

       Marco 2,1-12

 

1. La guarigione del paralitico e la salvezza dell`anima

 

       "E vennero conducendo a lui un paralitico che era portato da quattro persone" (Mc 2,3).

       La guarigione di questo paralitico raffigura la salvezza dell`anima, la quale, sospirando verso Cristo dopo la lunga inerzia dell`ozio carnale, ha dapprima bisogno dell`aiuto di tutti per essere sollevata e portata a Cristo, cioè dell`aiuto dei buoni medici che le ispirino la speranza nella guarigione e intercedano per lei. A buon diritto viene riferito che il paralitico era condotto da quattro persone; sia perchè sono i quattro libri del Santo Vangelo che convalidano la parola e l`autorità di chi diffonde il Vangelo, sia perchè sono quattro le virtù che infondono sicurezza allo spirito e lo portano alla salvezza. Di tali virtù si parla quando si loda l`eterna sapienza: "Temperanza e prudenza ella insegna, e giustizia e fortezza, delle quali niente c`è li più necessario per gli uomini nella vita" (Sap 8,7). Alcuni, penetrando il senso di questi nomi, chiamano tali virtù prudenza, fortezza, temperanza e giustizia.

       "E non riuscendo a portarlo davanti a lui per la folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli stava" (Mc 2,4).

       Desiderano presentare a Cristo il paralitico, ma ne sono impediti dalla folla che li preme da ogni parte. Accade ugualmente sovente all`anima, dopo l`inerzia del torpore carnale, che volgendosi a Dio e desiderando essere rinnovata dalla medicina della grazia celeste, sia ritardata dagli ostacoli delle antiche abitudini. Spesso, quando l`anima è immersa nella dolcezza della preghiera interiore e intrattiene quasi un soave colloquio con il Signore, sopraggiunge la folla dei pensieri terreni e impedisce che lo sguardo dello spirito veda Cristo. Che cosa dobbiamo fare in tali frangenti? Non dobbiamo certamente restat fuori e in basso dove tumultuano le folle; dobbiamo salire sul tetto della casa nella quale Cristo insegna, cioè dobbiamo tentare di raggiungere le altezze della Sacra Scrittura e meditare, di giorno e di notte, con il salmista, la legge del Signore. «Come» infatti «potrà un giovane serbare puro il proprio cammino? Nel custodire - dice il salmista - le tue parole» (cf. Sal 118,9).

       "E praticata un`apertura, calarono giù il lettuccio sul quale giaceva il paralitico" (Mc 2,4).

       Scoperchiato il tetto, l`infermo è calato dinanzi a Gesù: infatti, svelati i misteri delle Scritture, si giunge alla conoscenza di Cristo, cioè si discende alla sua umiltà con la pietà della fede. Secondo il racconto di un altro evangelista, non è senza un motivo che la casa di Gesù appaia coperta da tegole, in quanto, se c`è chi squarcia il velo della lettera che pure può apparire d`insignificante valore, vi troverà la potenza divina della grazia spirituale. Togliete le tegole alla casa di Gesù, significa scoprire nell`umiltà della lettera il significato spirituale dei misteri celesti. Infine, il fatto che l`infermo sia calato giù insieme con il lettuccio, significa che dobbiamo conoscere Cristo mentre siamo ancora in questa nostra carne.

 

       (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 3-5)

 

 

2. La remissione dei peccati

 

       "Giunse nella sua città e gli presentarono un paralitico disteso su di un letto. E vedendo", dice, "Gesù la loro fede, disse al paralitico: Abbi fiducia, figlio! Ti sono rimessi i tuoi peccati (Mt 9,1.2). Ode il perdono, e tace il paralitico, senza nulla rispondere in ringraziamento perchè aspirava più alla guarigione del corpo che dell`anima e si lamentava talmente delle sofferenze temporali del corpo snervato da non deplorare le pene eterne dell`anima ancor più infiacchita, giudicando per sé più gradita la vita presente della futura. Giustamente Cristo guarda alla fede di quelli che lo presentano, senza far caso alla stoltezza dell`infermo in manieta che, per suffragio della fede di altri, del paralitico fosse curata l`anima prima del corpo.

       "Guardando, dice, alla loro fede" (Mt 9,2). Vedete in questo caso, fratelli, che Dio non cerca le disposizioni degli stolti, non aspetta la fede degli insipienti, non indaga i desideri scriteriati di un ammalato, ma asseconda la fede di altri pur di concedere, di non rifiutare, per sola grazia, tutto ciò che spetta alla divina volontà. E in realtà, fratelli, quando mai il medico s`informa o tien conto delle preferenze dei pazienti, visto che sempre un malato desidera e chiede quel che nuoce? E` per questo che somministra ed impone [loro], anche se non vogliono, ora il ferro, ora il fuoco, ora amare pozioni così che comprendano i sani la cura che avrebbero potuto sperimentare da malati. E se l`uomo non bada alle ingiurie, non fa caso alle maledizioni pur di tirare da parte sua vita e salute a quanti sian colpiti da malattie, quanto più Cristo, medico di divina bontà, restituisce alla salute gli infermi, i sofferenti del delitio dei peccati e dei delitti, anche se son contrati e recalcittano?

       Magari volessimo, fratelli, magari volessimo tutti renderci ben conto della paralisi del nostro spirito! Vedremmo l`anima nostra, spogliata delle virtù, distesa sul giaciglio dei vizi; ci apparirebbe chiaro che Cristo, mentre guarda ogni giorno ai nostri nocivi desideri, ci attira e ci sollecita, anche se riluttanti, a salutari rimedi.

       "Figlio", dice, "ti sono rimessi i tuoi peccati (ibid.)." Dicendo questo, voleva esser riconosciuto Dio, quale ancora non appariva agli occhi umani a causa della [sua] umanità. Per le facoltà ed i miracoli, infatti, era paragonato ai profeti, i quali, da parte loro, per mezzo di lui avevano compiuto prodigi; il rimettete i peccati, invece, dato che non spetta all`uomo e costituisce segno distintivo della divinità, ai cuori degli uomini lo dimostrava Dio.

       Lo prova il livore dei farisei; infatti quando ebbe detto: "Ti sono rimessi i tuoi peccati, risposero i farisei: "Costui bestemmia: chi infatti può rimettere i peccati, se non Dio solo?" (Mt 9,3).

       Fariseo, che sapendo ignori, confessando neghi, quando testimoni smentisci: se è Dio che rimette i peccati, perchè Cristo non è Dio per te, lui che, è dimostrato, ha tolto i peccati di tutto il mondo per opera della sua sola misericordia?

       "Ecco", dice, "l`agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo" (Gv 1,29). Perchè poi tu possa ricevere maggiori prove della sua divinità, ascolta come ha penetrato l`intimo del tuo cuore, guarda come ha attraversato le tenebre dei tuoi pensieri, comprendi come ha messo a nudo i taciti disegni del tuo animo.

       "Ed avendo visto", dice, "Gesù i loro pensieri, disse loro: Che cosa pensate di male nei vostri cuori? Cos`è più facile dire: ti sono rimessi i tuoi peccati, oppure dire: Alzati e cammina? E perchè sappiate che il Figlio dell`uomo ha il potere di rimettere i peccati, disse al paralitico: Alzati, prendi il tuo letto e vattene a casa tua. E quello si alzò e se ne andò a casa sua" (Mt 9,4-7)

       Scrutatore delle anime, ha prevenuto i maligni disegni delle menti ed ha dimostrato con la testimonianza delle opere la potenza della sua divinità, assestando le membra di un corpo deforme, tendendo i nervi, congiungendo le ossa, sistemando gli organi, confermando gli arti e destando alla corsa i passi, ormai sepolti in un cadavere vivente.

       "Prendi il tuo letto" (Mt 9,6), cioè porta quello che portava [te], scambia il carico, in maniera che quella che è la prova dell`infermità sia testimonianza di guarigione, il letto del tuo dolore sia segno della mia cura, la gravità del peso attesti la grandezza della forza riacquistata.

 

       (Pier Crisologo, Sermo, 50, 3-6)

 

 

3. Il Logos, nostro Pedagogo e nostro Medico

 

       Il Logos, nostro Pedagogo, cura quindi con i suoi consigli le passioni innaturali della nostra anima. In senso proprio si chiama medicina la cura delle malattie del corpo; è un`arte insegnata dalla sapienza umana (cf. 1Cor 2,13). Ma il Logos del Padre è il solo Medico delle infermità morali dell`uomo; egli è il guaritore e il «mago» sacro che libera l`anima malata. "Salva il tuo servo / Tu sei mio Dio", è scritto, "perchè a te si affida; pietà di me, Signore / poiché verso di te grido tutto il giorno" (Sal 85,2-3).

       La medicina, secondo Democrito, cura le malattie del corpo, ma è la sapienza che sbarazza l`anima dalle sue passioni. Il nostro Pedagogo, Sapienza e Logos del Padre, per mezzo del quale è stato creato l`uomo, si prende cura della sua creatura tutta intera: ne cura ad un tempo corpo e anima, lui, il Medico dell`umanità, capace di guarire tutto.

       Il Salvatore dice a colui che giaceva sul letto: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e vattene a casa tua" (cf. Mt 9,6 e parr.); e immediatamente l`uomo svigorito ritrova le sue forze. E dice del pari al morto: "Lazzaro, vieni fuori" (Gv 11,43); e il morto uscì dalla sua tomba, tal quale a prima che morisse, esercitandosi così alla risurrezione.

       Certamente, egli guarisce egualmente l`anima in sé, con i suoi insegnamenti e con le sue grazie; agendo con i consigli, forse occorre del tempo; attraverso le grazie, invece, egli è ricco abbastanza per dire a noi poveri peccatori: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Lc 5,20.23).

 

       (Clemente di Ales., Paedagogus, I, II, 6, 1-4)

 

 

4. La fede ci rende mediatori

 

       E` tale, perciò, il potere che ha la fede, da rendere salvo non solo colui che crede, ma da salvare altresì altri in grazia della fede dei credenti. Il paralitico di Cafarnao non era in verità un credente; però coloro che lo trasportavano, e che poi lo calarono giù dal tetto, avevano la fede: infatti, insieme con il corpo era malata anche l`anima dell`infermo. E perchè tu non reputi che io lo accusi senza fondamento, di lui lo stesso Vangelo ha detto: "Vedendo Gesù", non già la sua fede, bensì la loro fede, disse al paralitico: "Alzati". Quelli che lo avevano portato, credevano; ma a colui che era paralitico, sopraggiunse la guarigione.

 

       (Cirillo di Gerus. Catech., 5, 8)

 

 

5. Gesù usa misericordia a chi ha fede

 

       Se, di fatto, al paralitico che mancava di fede (cf. Mt 9,2), ma a causa delle fiduciosa speranza dimostrata dai suoi portantini che lo hanno calato dinanzi a Te, nella tua compassione, Tu hai usato misericordia, quanto di più la tua onnipotente parola sarà capace di purificare il mio corpo pieno di infermità, io che verso di Te grido nei sospiri!...

       Tu sei capace, o Misericordioso, di operare anche qui meraviglie con la tua potenza che è per sempre, dicendo: Sii risollevato dalla rovina della tua anima (cf. Mc 5,34), oppure: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mt 9,2), o ancora: Va` in pace, sei purificato dai tuoi peccati (cf. Lc 7,50).

 

       (Gregorio di Narek, Liber orat., 35, 1; 73, 2)

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26/09/2009 12:04

VIII DOMENICA

 

Letture:    Osea 2,14b.15b.19-20

       2 Corinti 3,1b-6

       Marco 2,18-22

 

1. Il vecchio e il nuovo

 

       "Portò loro" - infatti - "un paragone: «Nessuno strappa una pezza da un vestito nuovo per metterla sopra un vestito vecchio»" (Lc 5,36).

       Egli ha detto che i figli dello sposo, cioè i figli del Verbo, i quali per mezzo del lavacro di rigenerazione sono ammessi ai diritti della generazione divina, non potranno digiunare, finché lo sposo sarà con essi. Non l`ha detto certo per condannare quel digiuno che indebolisce le voglie della carne e reprime la sensualità del corpo: il digiuno, anzi, ci viene raccomandato da Dio; e come avrebbe potuto proibire ai discepoli di digiunare, se egli stesso digiunò, e se disse che i peggiori spiriti maligni sono soliti cedere soltanto al digiuno e alla preghiera? (cf. Lc 4,2; Mt 17,21). Dunque, in questa circostanza egli chiama il digiuno un vecchio abito, un abito che l`Apostolo stimò giusto si dovesse togliere, quando disse: "Spogliatevi del vecchio uomo con tutte le sue azioni", allo scopo di rivestire l`abito che rinnova nella santificazione del battesimo (cf. Col 3,9-10).

       I precetti che seguono concordano con lo stesso insegnamento: non mischiare le azioni dell`uomo vecchio con quelle del nuovo, poiché il primo uomo, che è carnale, non compie che le opere della carne, mentre l`altro, l`uomo interiore, che rinasce, non deve mai presentare una commistione di azioni vecchie e di nuove, ma, in quanto reca i colori di Cristo deve applicare la sua anima a imitare colui per mezzo del quale egli ha avuto, con il battesimo, una nuova nascita. Lungi quindi da noi queste sgualcite vesti dell`anima, che tanto dispiacciono allo sposo; a lui non è gradito chi non porta la veste nuziale (cf. Mt 22,12). Che cosa può piacere allo sposo, se non la pace dell`anima, la purezza del cuore, la carità dello spirito?

       Lo sposo buono è il Signore Gesú. Egli ha inaugurato, con una nuova nascita, una nuova vita, che sposata a lui viene liberata dalle corruzioni della carne. Questa non cerca dei figli mortali -non si diletta nei dolori di Eva (cf. Gen 3,16) -, non cerca un marito soggetto al peccato, né l`eredità di un padre condannato. Essa ha scoperto le piaghe di questa carne che un tempo desiderava, ha visto che non ha vera bellezza ciò che è sfigurato dal vizio.

       Che c`è, dunque, fra te e un tale sposo, o donna? Guardalo con attenzione e su tutto il suo corpo troverai delle piaghe. Osserva invece l`altro sposo, che è circonfuso della luce, la cui bellezza non può perire. Porta questo sposo nella tua anima, adoralo nel tuo tempio, portalo nel tuo corpo, come sta scritto: "Portate il Signore nel vostro corpo" (1Cor 6,20). Entra nel suo nuovo talamo, contempla la sua eccezionale bellezza, rivestiti di lui, guardalo mentre sta alla destra del Padre, e gioisci di avere un simile sposo. Egli ti coprirà di benedizioni, affinché non ti ferisca la piaga del peccato.

       Conserviamo dunque l`abito di cui il Signore ci ha rivestito al nostro uscire dal sacro fonte. Questo abito si strapperà presto se le nostre azioni non saranno confacenti ad esso: sarà presto corroso dalla tigna della carne (cf.Mt 6,19-20) e si macchierà con gli errori del vecchio uomo. Ci è dunque proibito di mischiare e di unire il nuovo con il vecchio: e l`Apostolo (cf. Col 3,9-10; 2Cor 5,3) ci vieta anche di mettere il vecchio abito sul nuovo, e ci invita a svestire il vecchio e indossare il nuovo, affinché non si resti nudi dopo che ci siamo spogliati. Ci spogliamo per vestire un abito migliore: siamo invece denudati, quando l`abito ci è strappato da qualche inganno, senza che noi lo abbandoniamo di nostra volontà.

       "E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi" (Lc 5,37). La fragilità della nostra natura è messa allo scoperto, quando i nostri corpi sono paragonati alle spoglie degli animali morti. A Dio piaccia che noi si possa adempiere la funzione dei buoni otri, per conservare il mistero che abbiamo ricevuto. L`arte di evitare che il vino inacidisca, consiste nell`affidare il vino nuovo agli otri nuovi. E noi dobbiamo tenere questi otri sempre pieni: se sono vuoti, la tigna e la scabbia li consumano presto, mentre la grazia li conserva se sono pieni.

 

       (Ambrogio, Exp. in Luc., 5, 22-26)

 

 

2. Il vero digiuno

 

       Mentre digiunavo e stavo seduto su di un monte a ringraziare il Signore per tutto ciò che ha fatto per me, vedo il pastore che mi si siede accanto e dice: «Perché mai di buon`ora sei venuto qui?». «Perché ho "stazione", signore «. «Che significa stazione?». «Digiuno signore». «Cosa è questo digiuno?». «Come si suole, cosí io digiuno». «Non sapete, dice, digiunare per amore di Dio, né è digiuno questo inutile che fate a lui». «Perché, signore, dici questo?». «Ti dico che non è digiuno questo che vi sembra di fare. Ti insegnerò quale è il digiuno completo e accetto al Signore». «Sí, signore, mi farai contento e conoscerò il digiuno accetto a Dio». «Ascoltami. Dio non vuole questo digiuno vano; cosí digiunando per amore di Dio nulla operi per la giustizia. Digiuna, invece, per amore di Dio cosí. Non far nulla di male nella tua vita, ma servi il Signore con cuore puro; osserva i suoi comandamenti, camminando nei suoi precetti, e non entri nel tuo cuore alcun desiderio malvagio e credi in Dio. Se ciò farai e Lo temerai, astenendoti da ogni opera malvagia, vivrai in Dio. Se adempi queste cose farai un grande digiuno accetto al Signore».

       «Ascolta la similitudine che sto per dirti che concerne il digiuno. Un tale possedeva un podere e molti servi e piantò la vigna in una parte del podere. Doveva partire. Scelto un servo fedele e stimato, lo chiamò e gli disse: "Prendi la vigna che piantai, muniscila di una palizzata e, sino a quando io non torni, altro non fare alla vigna. Osserva questo mio precetto, e per me sarai libero". Il padrone partí per terra straniera. Partito [il padrone], il servo cinse di palizzata la vigna. Finita la palizzata, vide che la vigna era piena di erbe. Tra sé pensò: ho adempiuto l`ordine del padrone. Vangherò poi la vigna che vangata sarà piú curata, e, non soffocata dalle erbe, darà piú frutto. Zappò la vigna ed estirpò tutte le erbe che erano nella vigna. La vigna divenne bellissima e rigogliosa, senza le erbe che la soffocavano. Dopo un po` di tempo venne il padrone del campo e del servo ed entrò nella vigna. Vide la vigna ben recinta di steccato, che era pure vangata, e con tutte le erbe estirpate e che le viti erano rigogliose. Si rallegrò dei lavori del servo. Chiamato il figlio che gli era molto caro e suo erede, e gli amici che aveva consiglieri, dice loro ciò che aveva ordinato al servo e ciò che aveva trovato. Essi si congratularono col servo per la testimonianza resagli dal padrone. Dice loro: «A questo servo promisi la libertà, se avesse osservato l`ordine che gli davo. L`osservò e in aggiunta fece un bel lavoro alla vigna che mi piacque molto. Per questo lavoro che ha fatto, voglio crearlo erede insieme a mio figlio. Egli ha pensato una cosa buona, non l`ha scartata, ma l`ha mandata a termine. A questa intenzione il figlio del padrone acconsentí che il servo divenisse con lui erede. Dopo pochi giorni il suo padrone di casa diede un festino e gli mandò molte vivande del banchetto. Il servo prese le vivande che il padrone gli aveva mandato e, tolto il necessario per sé, diede poi il resto a tutti i suoi conservi. I conservi ricevendo le vivande gioirono e incominciarono a pregare per lui perché egli, che li aveva trattati cosí bene, trovasse grazia ancora piú grande presso il padrone. Il padrone seppe tutto questo e molto si rallegrò per la condotta del servo. Il padrone di nuovo chiamò gli amici e il figlio e parlò loro del comportamento che il servo tenne per le vivande ricevute. Essi ancor piú approvarono che il servo divenisse erede insieme al figlio».

       Gli dico: «Signore, non comprendo queste similitudini né potrei coglierle se non me le spieghi». «Tutto ti spiegherò chiarendoti quanto ti dirò. Osserva i precetti del Signore e gli sarai gradito e sarai annoverato tra quelli che custodiscono i suoi comandamenti. Se farai qualche cosa di buono oltre il comandamento di Dio, ti procurerai una gloria maggiore e piú gloriosa di quello che dovevi essere sarai presso Dio. Se osservando i precetti di Dio aggiungi anche questi servizi gioirai, facendoli secondo il mio volere». Gli dico: «Signore, osserverò ciò che tu vuoi. So che tu sei con me». «Sarò con te, dice, perché hai tanto desiderio di fare il bene, e sarò con tutti quanti hanno lo stesso desiderio. Il digiuno, con i precetti del Signore osservati, è molto bello. Cosí osserverai, dunque, il digiuno che stai per fare. Prima di tutto guardati da ogni parola cattiva e da ogni desiderio malvagio e purificati il cuore da tutte le cose vane di questo mondo. Se osserverai ciò, sarà questo il digiuno perfetto. Farai poi cosí. Compiute le cose prescritte, il giorno in cui digiunerai non gusterai nulla, tranne pane e acqua. Dei cibi che avresti mangiato calcola la quantità del denaro di quella giornata che avresti speso, mettila da parte e la darai alla vedova o all`orfano o al bisognoso. In questo modo ti farai umile e, per questa umiltà, chi ha ricevuto riempie la sua anima e pregherà il Signore per te. Se compi il digiuno che ti ho comandato, il tuo sacrificio sarà accetto al Signore, e questo digiuno sarà notato e il servizio che compi è bello e gioioso e ben accolto dal Signore. Questo osserverai tu con i tuoi figli e tutta la tua casa e osservandolo sarai felice. E quelli che udendo i precetti li osservano, saranno beati e riceveranno dal Signore le cose che chiedono».

 

       (Erma, Pastor, Similitudine V, 1-3)

 

 

3. Carità e prudenza devono temperare tutte le nostre azioni

 

       Tutto ciò che ha costituito oggetto di un preciso comandamento, comporta per noi la morte, se non adempiuto: le cose invece che sono piú consigliate che imposte, giovano se osservate, non attirano un castigo se disattese. E` questo il motivo per cui i nostri antenati hanno raccomandato di non votarsi a tutte quelle pratiche, almeno ad alcune, se non con prudenza e discrezione, tenuto conto delle circostanze di tempo, di luogo, del modo e del perché. Infatti, tutto va bene se esse capitano opportunamente; intraprese invece a sproposito, si rivelano nocive quanto fuori posto. Se uno, ad esempio, vede arrivare un fratello, nel quale deve con tutta umanità ripetere Cristo, ricevendolo con la piú amabile carità e volesse, per contro, osservare rigidamente il digiuno intrapreso, non si merita il rimprovero di disumanità, piú che la lode e il merito per il suo atto religioso?...

       In effetti, la misericordia, la pazienza, la carità o le altre virtù nominate piú sopra e nelle quali indubbiamente risiede il bene essenziale, non devono essere osservate in rapporto al digiuno; e questo anzi che va subordinato ad esse. Occorre lavorare per conquistarle come beni in sé, magari servendosi dei digiuni, e non assegnando loro i digiuni come fine. Affliggere la carne ha la sua utilità; l`astinenza è certamente un buon trattamento da riservarle: quale il perché? Per conseguire, con questo metodo, la carità in cui consiste il bene immutabile e perpetuo, senza eccezioni di tempi.

       La medicina, l`oreficeria, le altre arti e professioni del mondo non vengono esercitate, invero, allo scopo di costruire strumenti idonei al loro esercizio; è vero il contrario: sono gli strumenti che vengono predisposti in vista della pratica delle arti e professioni...

       Teniamo quindi ferma questa valutazione del digiuno, per poi disporci ad esso con tutte le potenze dell`anima, sapendo che ci sarà di giovamento se le circostanze di tempo, di qualità e di misura saranno convenienti e senza riporvi il termine della nostra speranza, bensí con l`intento di pervenire, per suo mezzo, alla purezza del cuore e alla carità insegnateci dall`Apostolo.

 

       (Giovanni Cassiano, Collationes, 21, 14, 3; 15, 1; 17, 1)

 

 

4. Digiuno incompleto

 

       Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t`arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: "Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore? " (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l`ira, non dico un`intera notte, ma un intero ciclo lunare e di piú? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione.

 

       (Girolamo, Epist., 22, 37)

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26/09/2009 12:05

IX DOMENICA

 

Letture:    Deuteronomio 5,12-15

       2 Corinti 4,6-11

       Marco 2,23; 3,6

 

1. Cristo non si ferma al sabato, mira a tutto l`uomo

 

       Gesú adduce quest`altra ragione. "Dopo tutto il Figlio dell`uomo è padrone del sabato" (Mt 12,4); e parla di se stesso. Secondo Marco, invece, il Maestro si riferisce a tutti gli uomini in generale e perciò afferma: "Il sabato è fatto per l`uomo e non l`uomo per il sabato" (Mc 2,27). Ma allora - voi mi direte - perché quell`uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato fu punito con la morte? (cf. Nm 15,33). Vi rispondo che a quel tempo Dio usava tanta severità perché se già in principio si fosse tollerato il disprezzo delle leggi, certamente gli uomini le avrebbero osservate molto meno in seguito. L`osservanza del sabato portava del resto molti e grandi vantaggi. Ad esempio insegnava agli ebrei a essere piú miti e benevoli verso i loro familiari e compatrioti; faceva loro conoscere la provvidenza di Dio e le sue opere, come appunto testimonia Ezechiele (cf. Ez 20); educava gradualmente gli uomini ad allontanarsi dalla malvagità e li abituava ad applicarsi alle cose dello spirito. Se Dio, dando questa legge agli ebrei, avesse loro detto di dedicarsi a qualche opera buona nel giorno del sabato e di astenersi da ogni opera malvagia, essi non si sarebbero trattenuti dal lavorare in tal giorno. Per questo motivo Dio proibí tutto in egual modo e prescrisse di non compiere assolutamente nulla di sabato. Tuttavia, neppure cosí essi obbedirono a quella legge. Dio in realtà, promulgando quella legge, voleva far intendere che egli non desiderava altro dagli ebrei che l`astinenza dalle opere malvagie. «Non farete niente» - egli aveva detto - «eccetto quelle cose che farà l`anima» (cf. Es 12,16). Nel tempio, infatti, tutto si faceva di sabato come negli altri giorni, anzi con maggior fervore e con raddoppiato zelo. In tal modo, anche per mezzo di ombre e di immagini, il Signore rivelava ai suoi ascoltatori la verità. Ma Cristo - mi direte - viene ad abolire tutti questi vantaggi? Dio non voglia che pensiate una tal cosa. Ben lungi dall`abolirla, Gesú ne estende grandemente la portata. E` venuto infatti il tempo di insegnare agli uomini tutta la verità, nel modo piú sublime ed elevato. Non c`è piú alcun bisogno che queste antiche disposizioni leghino le mani all`uomo che, liberato dal male, vola ora verso tutti i beni. Non è piú necessario un giorno speciale per apprendere che Dio ha creato tutte le cose, né per divenire piú miti e umani, dato che ora tutti sono chiamati a imitare l`amore stesso di Dio per gli uomini. "Siate misericordiosi come il vostro Padre celeste è misericordioso" - dice Gesú (Lc 6,36). Coloro a cui Dio ordina di fare di tutta la vita una festa non devono piú solennizzare soltanto un giorno solo della settimana. "Celebriamo dunque la festa" - dice Paolo - "non con lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con gli azzimi di purezza e di verità" (1Cor 5,8). Non è piú necessario, infatti, che si trattengano presso l`arca e l`altare d`oro, coloro che hanno il Signore di tutto l`universo dimorante con loro e conversano sempre con lui mediante la preghiera, le offerte, la lettura delle Sacre Scritture, le elemosine e la sua stessa presenza nel loro intimo. Che bisogno ha del sabato chi trascorre la sua vita in una continua festa e ha la sua cittadinanza in cielo?

       Viviamo dunque anche noi incessantemente in festa e non commettiamo nessun peccato: questa è vera festa...

       Considerate, vi prego, come egli adduce in modo sempre vario e nuovo a ogni circostanza le sue argomentazioni relative alla violazione del sabato. Nel miracolo del cieco nato non si difende dall`accusa che i suoi avversari gli rivolgono di aver impastato del fango in giorno di sabato. Eppure anche allora essi lo accusavano, ma è anche vero che in quell`occasione il modo in cui aveva operato il miracolo era sufficiente per dimostrare ch`egli era il Signore della legge. Nel caso del paralitico che si carica sulle spalle il letto in giorno di sabato, i giudei accusano Gesú; egli allora si difende in parte come Dio e in parte come uomo. Come uomo, quando dice: «Se dunque l`uomo anche di sabato riceve la circoncisione, affinché non sia violata la legge (e non dice: affinché l`uomo sia beneficato), come vi adirate contro di me, perché di sabato ho risanato tutt`intero un uomo?» (cf. Gv 7,23). Come Dio, quando afferma: "Il Padre mio opera ancora adesso e anch`io opero (Gv 5,17). Accusato invece a motivo dei suoi discepoli, replica: "Non avete voi letto cbe cosa fece David quando egli e i suoi compagni ebbero fame? Come cioè entrò nella casa di Dio e mangiò i pani di presentazione?" (Mt 12,3-4), e ricorda inoltre l`esempio dei sacerdoti. Qui, domanda ai giudei: E` lecito in giorno di sabato fare del bene, o fare del male?" (Mc 3,4); infatti «chi è tra voi che avendo una pecora...». Gesú conosce molto bene la loro avarizia e sa che amano le ricchezze piú degli uomini. L`altro evangelista narra infatti che, facendo tale domanda, Gesú gira lo sguardo su di loro (cf. Mt 3,5), per vedere di attirarli anche con lo sguardo: ma neppure cosí essi modificano il loro comportamento. In questo caso il Signore si limita a guarire con la parola; però in molte altre occasioni risana gli infermi imponendo le mani. Niente, tuttavia, calma l`ira dei farisei e mentre il malato è risanato essi, dopo la sua guarigione, diventano ancor peggiori. Cristo da parte sua avrebbe voluto guarire i suoi avversari prima ancora dell`infermo: perciò ha sperimentato mille metodi di cura sia in atti che in parole.

       Vedendo però che il loro male è incurabile, passa al miracolo. Allora disse a quell`uomo: «Stendi la tua mano». "La distese e ridivenne sana come l`altra" (Mt 12,13).

       Che fanno allora i giudei? Escono e si consultano tra loro per ucciderlo; riferisce, infatti, l`evangelista: "I farisei, usciti, tennero consiglio contro di lui, sul modo di toglierlo di mezzo" (Mt 12,14).

 

       (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 39, 3; 40, 1)

 

 

2. Il Padre agisce nel Figlio, e agisce sempre, anche di sabato

 

       Sono grandi le opere di Dio: tenere insieme il cielo, dar la luce al sole e agli altri astri, dar la forza di crescere ai semi della terra, tenere in piedi l`uomo, perfezionare un`anima; ma c`è dell`altro di gran lunga piú grande...

       Queste cose per volontà di Dio Padre stanno nel cielo e sulla terra; e sebbene tutte le cose siano state fatte attraverso il Figlio, tuttavia tutto è stato fatto da Dio. Lui è la sorgente e il principio di tutte le cose, e in lui tutto è stato fondato, sebbene poi in seguito dai tesori nascosti in se stesso, secondo un piano della sua potenza eterna, abbia tirato fuori le singole cose. Però, sebbene Cristo operi in tutte le cose, l`opera rimane tuttavia di colui che opera in Cristo; e perciò: "Il Padre mio agisce ogni giorno e io agisco in lui" (Gv 5,17), perché è opera del Padre tutto quello che fa il Figlio di Dio, mentre il Padre è in lui; ma è anche vero perciò che ogni giorno tutte le cose son fatte dal Figlio, perché il Padre agisce nel Figlio...

       C`è, dunque, un lavoro di Dio nel giorno di sabato? Ma certo; e se cosí non fosse, il sole cadrebbe, la luce del sole si spegnerebbe, la terra non starebbe compatta, la crescita dei frutti verrebbe meno; la vita dell`uomo finirebbe, se, in omaggio alla legge del sabato, l`esercizio di tutte le potenze naturali si mettesse a riposo. Ma non c`è riposo e il corso è sempre uguale e, come negli altri sei giorni, cosí anche di sabato tutti gli elementi fanno i compiti loro assegnati. Dunque, in ogni tempo, attraverso le cose create, il Padre agisce; agisce nel Figlio, che vien da lui, e per mezzo di lui, tutte queste cose sono opera del Padre... e attraverso il Figlio, l`opera del Padre viene eseguita anche di sabato; cosí non c`è riposo in Dio, poiché per Iddio non c`è un giorno senza attività.

       Ci son, dunque, le opere di Dio; bisognerebbe cercare quale sia il suo riposo. L`opera di Dio è l`opera di Cristo; il riposo di Dio è Cristo Dio; cosí che tutte le cose che son di Dio, son vere in Cristo, in modo che il Padre possa trovar riposo in esse.

 

       (Ilario di Poitiers, In Psalm., 94, 48 s.)

 

 

3. I singoli precetti erano legati al loro tempo

 

       Nota quali precetti dovessero servire solo al loro tempo e ad esso fossero adattati, e non lasciarti sconcertare se odi detti scritturistici contrari l`uno all`altro. Per esempio un detto suona cosí: «Voglio i sacrifici», un altro: «Odio i sacrifici». Un detto dice ancora: «Purifica i cibi da ciò che è impuro», un altro: «Mescolali e mangiali». Un altro ancora: «Osserva le feste!» un altro: «Io profano le feste». Un detto suona: «Santifica ii giorno sacro», un altro: «Io abbomino i sabati». Un detto dice: «Circoncidi ogni maschio», e un altro: «Abbomino la circoncisione». Quando odi ciò, renditi conto, ragionando, della diversità, e non lasciarti sconvolgere come molti che il demonio avvolge fra le sue spire!

       Senti dunque: i detti scritturistici sono usciti da una sola bocca, diretti però a generazioni diverse. Un detto si rivolge a una generazione, quella generazione svanisce e il precetto con lei; giunge un`altra generazione, ed ecco un altro detto che gli impone una nuova legge. I detti rivolti a tutte le generazioni si sommano e ammucchiano per l`ultima generazione. Ora si fanno avanti dei pazzi che spiegano la contraddittorietà di questi detti ammettendo diversi dèi, quali loro autori: essi non vedono che le singole generazioni sono diverse l`una dall`altra, e distinte anche nel loro modo di agire. E` necessario che a tutte le generazioni vengano date le disposizioni corrispondenti, ed ecco perciò ad ogni generazione detti stimolanti alla pietà, rivolti ai suoi figli. Ma in tal modo questi detti si sono moltiplicati ed ammucchiati; il cumulo di detti sconvolge gli insipienti, tanto che si staccano dall`unico Iddio.

       Molti furono i detti dei profeti, miranti a curare le infermità; tutte le medicine possibili furono usate contro la malattia della caducità. Vi sono precetti che perdono l`efficacia quando i mali precedenti non sono piú attuali; e ve ne sono altri, invece, che sussistono, perché anche i mali sussistono. Gli apostoli e i profeti sono medici delle anime: essi prescrivono i mezzi corrispondenti alla miseria dell`umanità; preparano le medicine per le malattie caratteristiche della loro generazione. Le loro medicine servono sia dopo che prima, perché vi sono malattie che sono proprie di qualche generazione e vi sono malattie comuni a tutte le generazioni. E contro le malattie nuove, essi prescrissero medicine nuove; per le malattie sussistenti in tutte le generazioni, essi porsero sempre le stesse medicine. Cosí fu dato il precetto: «Non rubare!». E` una malattia che continua, perciò continua anche il rimedio. Fu dato anche il precetto della circoncisione: quella malattia è svanita, perciò è venuto meno anche il rimedio. Si porse ai circoncisi uno strumento contro malattie che sarebbero sorte; ma tali strumenti, adatti contro malattie precedenti, ora sono diventati inutili, perché queste malattie oggi piú non si riscontrano. Non v`è piú il danno da esse causato, perciò il rimedio è diventato inutile. Cosí oggi i precetti del sabato, della circoncisione e della purità levitica sono superflui per noi; agli uomini invece di quei tempi erano senz`altro utili. Ai primi uomini erano inutili, perché essi erano sani per la conoscenza; anche a noi, ultimi uomini, sono inutili, perché siamo sani per la fede. Servirono solo agli uomini del periodo intermedio, perché erano aggravati dal paganesimo.

 

       (Efrem, De fide, 40-42)

 

 

4. La libertà dal sabato

 

       Nello stesso giorno, egli vide un uomo che lavorava di sabato e gli disse: «Uomo, se sai ciò che fai, sei beato; ma se non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge! «.

 

       (J. Jeremias, Gli agrapha di Gesú, Brescia 1965, p. 83)

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26/09/2009 12:06

X DOMENICA

 

Letture:     Genesi 3,9-15

       2 Corinti 4,13; 5,1

       Marco 3,20-35

 

1. Quale peccato contro lo Spirito Santo sia irremissibile

 

       Cerchino dunque di comprendere che Cristo non intese dire che non sarà perdonato alcun peccato contro lo Spirito Santo, ma solo un certo peccato speciale. Cosí anche quando disse: "Se non fossi venuto, non avrebbero colpa" (Gv 15,22), non voleva intendere qualsiasi colpa, dal momento che i Giudei erano macchiati di molti e gravi peccati, ma voleva alludere a un certo peccato particolare che se non lo avessero commesso si sarebbero potuti rimetter loro tutti gli altri peccati commessi; alludeva cioè al peccato consistente nel rifiutare di credere in Lui, venuto nel mondo, peccato che non avrebbero commesso, s`Egli non fosse venuto tra loro. Cosí pure quando disse: "Chi peccherà contro lo Spirito Santo" (Mt 12,32), o: "Chi bestemmierà contro lo Spirito Santo" (Gv 20,22-23), non voleva intendere qualsiasi peccato commesso contro lo Spirito Santo con azioni o parole, ma un peccato ben determinato, quello cioè che consiste nell`ostinazione del cuore fino alla fine della vita, per cui uno rifiuta di ricevere il perdono dei peccati nell`unità del Corpo di Cristo (cf. Gv 6,64), vivificato dallo Spirito Santo. Infatti, subito dopo aver detto ai discepoli: "Ricevete lo Spirito Santo", soggiunse: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; saranno ritenuti a chi voi li riterrete". Chi dunque respingerà questo dono della grazia di Dio e vi si opporrà, e in qualsiasi modo si mostrerà ad esso maldisposto fino alla fine di questa vita terrena, non gli sarà perdonato né in questa vita né in quella futura poiché è un peccato naturalmente sí grave, che impedisce la remissione di tutti gli altri. Che però uno l`abbia commesso, non si potrà avere alcuna prova, se non dopo la morte. Finché uno vive quaggiú, la "pazienza di Dio" - come dice l`Apostolo - "cerca solo di spingerlo al pentimento" (Rm 2,4); ma s`egli, rimanendo ostinatamente ribelle a Dio "nella misura dell`ostinazione del suo cuore, del suo cuore impenitente" - come soggiunge subito l`Apostolo - "accumula sul proprio capo la collera di Dio per il giorno dell`ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio" (Rm 2,5), allora non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura.

       Non si deve comunque disperare di coloro con cui trattiamo o di cui ora parliamo, poiché sono ancora in vita. Essi però non cerchino lo Spirito Santo fuori dell`unità del Corpo di Cristo di cui posseggono bensí il sacramento esternamente, ma non hanno in cuore la realtà di cui quello è segno e perciò mangiano e bevono la loro condanna (cf. 1Cor 11,29). Un unico pane è infatti il segno sacramentale dell`unità; "poiché" - dice l`Apostolo - "c`è un solo pane, noi, sebbene molti, siamo un solo Corpo" (1Cor 10,17). Solamente la Chiesa cattolica è quindi l`unico Corpo di Cristo, essendo egli stesso il Capo e il Salvatore del proprio Corpo (cf. Ef 5,23). Fuori di questo Corpo nessuno è vivificato dallo Spirito Santo "poiché", sempre al dire dell`Apostolo: "la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, che ci è stato elargito" (Rm 5,5). Ora, non può esser partecipe della divina carità chi è nemico dell`unità. Di conseguenza, quelli che son fuori della Chiesa, non hanno lo Spirito Santo, poiché di essi sta scritto: "Quelli che si separano sono animaleschi, privi dello Spirito" (Gd 19).

 

       (Agostino, Epist. 185, 11, 49 s.)

 

 

2. Il perdono a chi bestemmia contro lo Spirito Santo

 

       Coloro che bestemmiano contro lo Spirito Santo o contro la divinità di Cristo dicendo: "Caccia i demoni nel nome di Beelzebub, principe dei demoni", certo non potranno ottener perdono né in questo né nell`altro mondo. Bisogna tener conto che Cristo non disse che uno che "bestemmia e poi si pente" non può essere perdonato, ma uno che bestemmia e persevera nella bestemmia; poiché una adeguata penitenza lava tutti i peccati.

 

       (Atanasio, Fragm. in Matth. )

 

 

3. Legame di sangue e legame di spirito di Maria con Gesù

 

       Il brano che ho qui proposto ha molti nodi. Come ha potuto il Signore Gesú Cristo con tutta la sua pietà tenere a distanza sua madre, la Vergine madre, alla quale egli stesso diede tale fecondità che non ne distruggesse la verginità, Vergine nel concepire, Vergine nel partorire, Vergine sempre-Vergine. Una tal madre egli tenne a distanza, perché il materno amore non si insinuasse nell`opera ch`egli faceva e gli fosse d`impedimento. Che cosa, infatti, faceva? Parlava ai popoli, distruggeva i vecchi uomini, edificava i nuovi, liberava le anime, scioglieva gl`incatenati, illuminava i ciechi, faceva il bene, s`impegnava al bene in opere e parole. Mentre era impegnato in queste cose gli fu portato il messaggio del suo legame con la madre. Avete sentito la sua risposta; non ho bisogno di ripeterla. La ritengano le madri, perché non sian d`ostacolo alle opere buone dei figli. Se cercheranno d`impedirli e faranno dei guasti, saranno allontanate dai figli. Oso dire: Saranno allontanate, per rispetto saranno allontanate. E non dovrà essere tenuta a distanza dal figlio intento a un`opera buona, una madre irata, sia sposata o vedova, quando la Vergine Maria fu tenuta a distanza? Forse mi dirai: Vuoi paragonare mio figlio a Cristo? Non paragono tuo figlio a Cristo, ma neanche te a Maria. Non condannò il Signore Gesú l`affetto materno, ma il suo esempio dimostrò che, per l`opera di Dio, anche una madre dev`essere tenuta a distanza...

       State piú attenti, fratelli miei carissimi a ciò che dice il Signore, stendendo le mani verso i suoi discepoli: "Questa è mia madre, questi i miei fratelli. Chi fa la volontà del Padre, che mi ha mandato, mi è fratello, sorella e madre" (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale per fede credette, per fede concepí, fu scelta perché da lei venisse a noi la salvezza, fu creata da Cristo, prima che Cristo fosse fatto? Fece, fece certamente la santa Maria la volontà del Padre ed essa è piú discepola che madre di Cristo. C`è piú felicità ad essere discepola che madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima che lo concepisse, portava il maestro nel suo seno. Vedi se non è come dico io. Mentre Gesú passava tra turbe di gente e faceva miracoli divini, una certa donna disse: "Beato il ventre che t`ha portato!" E il Signore, perché non si cercasse la felicità in un rapporto di carne, che cosa rispose? "Anzi, beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la tengono ben custodita" (Lc 11,27-28). Anche Maria beata, allora, perché ascoltò e conservò la parola di Dio. Maria custodí piú Cristo con la mente, che non ne abbia tenuto la carne nel seno.

 

       (Agostino, Sermo 25, 3.7)

 

 

4. Che significa «fratelli» di Gesù?

 

       "Dopo ciò egli scese a Cafarnao" - dice l`evangelista - "con la madre e i fratelli e i discepoli suoi, ma non vi si fermarono che per pochi giorni (Gv 2,12).

       Dunque, ha una madre, ha dei fratelli, ha discepoli; ha dei fratelli perché ha una madre. La Scrittura non usa chiamare fratelli soltanto quelli che nascono dagli stessi genitori, o soltanto dalla stessa madre, o dallo stesso padre benché da madri diverse, oppure coloro che hanno un medesimo grado di parentela, come i primi cugini per parte di padre o per parte di madre. Ma non solo questi la Scrittura usa chiamare fratelli. E secondo il suo modo di parlare, cosí bisogna capirla. La Scrittura ha un suo linguaggio; chi non lo conosce, può turbarsi e dire: Come fa il Signore ad avere fratelli? Allora Maria partorí nuovamente? Lungi da noi il pensare ciò. Da lei ha avuto origine la dignità delle vergini. Ella ha potuto essere madre, non "donna". Se poi è chiamata donna, è per il suo sesso, non per la perdita della sua integrità. E questo si ricava dal linguaggio usato dalla Scrittura. Infatti anche Eva, non appena formata dalla costola del suo uomo, e non ancora toccata da lui, è chiamata "donna: E ne formò la donna" (Gen 2,22). In che senso, allora, si parla di fratelli? Essi erano parenti di Maria, in un qualsivoglia grado. Come provarlo? Sempre con la Scrittura. Lot è chiamato fratello di Abramo, sebbene fosse figlio del fratello di lui (cf. Gen 13,8; 14,14). Leggete, e troverete che Abramo era zio paterno di Lot, eppure la Scrittura li chiama fratelli. Perché? Perché erano parenti. Parimenti, Giacobbe aveva come zio Laban il Siro, che era fratello di Rebecca, madre di Giacobbe, sposa di Isacco (cf. Gen 28,2). Leggete ancora la Scrittura, e troverete che lo zio e il nipote sono chiamati fratelli (Gen 29,15).

Una volta conosciuta questa regola, capirete che tutti i parenti di Maria erano fratelli del Signore.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 10, 2)

 

 

5. Chi fa la volontà di Dio diventa fratello e madre del Signore

 

       Non costituisce meraviglia che colui che fa la volontà del Padre sia detto fratello e sorella del Signore; per entrambi i sessi è infatti la chiamata alla fede. La meraviglia cresce piuttosto per il fatto che quegli venga anche detto «madre». Invero, (Gesú) si è degnato di chiamare fratelli i suoi fedeli discepoli, dicendo: "Andate, annunziate ai miei fratelli" (Mt 28,10). Ora però è il caso di chiedersi: Come può diventare sua madre chi, venendo alla fede, ha potuto divenire fratello del Signore? Quanto a noi, dobbiamo sapere che chi si fa nella fede fratello e sorella di Cristo, diventa sua madre nella predicazione. Quasi partorisce il Signore, chi lo ha infuso nel cuore dell`ascoltatore. E si fa sua madre, se attraverso la di lui voce l`amore di Dio viene generato nella mente del prossimo.

 

       (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 3, 2)

 

 

6. Il diavolo è principe del mondo, cioè dei cattivi

 

       Guardiamoci bene dal pensare che il diavolo sia il principe del mondo, nel senso che egli possa dominare il cielo e la terra. Il mondo, in questo caso, deriva il suo nome dagli uomini malvagi che sono diffusi in tutta la terra, nello stesso senso in cui una casa trae la sua qualificazione da coloro che la abitano. Cosí diciamo: questa è una buona casa, oppure è una casa malvagia, non in quanto lodiamo o rimproveriamo l`edificio, le pareti o il tetto, ma in quanto lodiamo o rimproveriamo i costumi degli uomini buoni o malvagi che vi abitano. In questo senso dunque si dice: «principe di questo mondo», cioè principe degli uomini malvagi che abitano nel mondo. E il mondo si può intendere anche quello dei buoni, che analogamente sono diffusi in tutto l`orbe: in questo senso l`Apostolo dice: "Dio stava in Cristo, riconciliando con sé il mondo" (2Cor 5,19). Questi sono i buoni, dai cui cuori il principe di questo mondo è cacciato fuori.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 52, 10)

 

 

7. La superbia degli angeli cattivi

 

       La causa piú vera della beatitudine degli angeli buoni la riscontriamo nella loro unione a colui che sommamente è. Se invece si ricerca la causa della miseria degli angeli cattivi, ci si presenta, ovviamente, il fatto che essi, allontanatisi da colui che sommamente è, si ripiegarono su sé stessi, che pur non hanno l`essere in grado sommo. Questo vizio, come lo chiameremo se non superbia? Infatti "l`inizio di ogni peccato è la superbia" (Sir 10,13). Non vollero dunque custodire presso di lui la loro fortezza e, pur potendo essere qualcosa di piú se avessero aderito a colui che sommamente è, scelsero di essere qualcosa di meno, preferendo a lui sé stessi. Questo è il difetto principale, la prima mancanza, il primo vizio di quella natura che è stata creata tale da non avere l`essere sommo, ma da poter ottenere la beatitudine, poter cioè godere di colui che ha l`essere sommo; se da lui invece si allontana, non cade nel nulla, ma il suo essere viene diminuito, e perciò essa diventa ben misera.

 

       (Agostino, De civit. Dei, 12, 6)

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XI DOMENICA

 

Letture:     Ezechiele 17,22-24

       2 Corinti 5,6-10

       Marco 4,26-34

 

1. I tempi della semina e i tempi del bene

 

       Il regno di Dio è come se un uomo getta un seme sulla terra e se ne va a dormire; lui va per i fatti suoi e il seme germina e cresce e lui non ne sa niente; la terra produce da sé prima l`erba, poi la spiga e poi il grano pieno nella spiga. Quando il frutto è maturo, l`uomo manda i mietitori, perché è tempo della messe (cf. Mc 4,26s).

       L`uomo sparge il seme, quando concepisce nel cuore una buona intenzione. Il seme germoglia e cresce, e lui non lo sa, perché finché non è tempo di mietere il bene concepito continua a crescere. La terra fruttifica da sé, perché attraverso la grazia preveniente, la mente dell`uomo spontaneamente va verso il frutto dell`opera buona. La terra va a gradi: erba, spiga, frumento. Produrre l`erba significa aver la debolezza degli inizi del bene. L`erba fa la spiga, quando la virtù avanza nel bene. Il frumento riempie la spiga, quando la virtù giunge alla robustezza e perfezione dell`opera buona. Ma, quando il frutto è maturo, arriva la falce, perché è tempo di mietere. Infatti, Dio Onnipotente, fatto il frutto, manda la falce e miete la messe, perché quando ha condotto ciascuno di noi alla perfezione dell`opera, ne tronca la vita temporale, per portare il suo grano nei granai del cielo.

       Sicché, quando concepiamo un buon desiderio, gettiamo il seme; quando cominciamo a far bene, siamo erba, quando l`opera buona avanza, siamo spiga e quando ci consolidiamo nella perfezione, siamo grano pieno nella spiga...

       Non si disprezzi, dunque, nessuno che mostri di essere ancora nella fase di debolezza dell`erba, perché ogni frumento di Dio comincia dall`erba, ma poi diventa grano!

 

       (Gregorio Magno, In Exod., II, 3, 5 s.)

 

 

2. Il granello di senape (Lc 13,18-19)

 

       "A che cosa somiglia il regno di Dio, a che cosa dirò che è simile? E` simile a un granello di senape, che, preso e gettato da un uomo nel suo orto, crebbe ed è divenuto un albero, e gli uccelli del cielo si sono posati sui suoi rami" (Lc 13,18-19).

       Questo passo ci insegna che bisogna guardare alla natura delle similitudini, non alla loro apparenza. Vediamo dunque perché il sublime regno dei cieli è paragonato a un granello di senape. Ricordo di aver letto, anche in un altro passo, del granello di senape, dove dal Signore è paragonato alla fede con queste parole: "Se avrete fede quanto un granello di senape, direte a questo monte: Spostati e gettati in mare (Mt 17,20). Non è certo una fede mediocre, ma grande, quella che è capace di comandare a una montagna di spostarsi: ed infatti non è una fede mediocre quella che il Signore esige dagli apostoli, sapendo che essi debbono combattere l`altezza e l`esaltazione dello spirito del male. Vuoi esser certo che bisogna avere una grande fede? Leggi l`Apostolo: "E se avessi cosí tanta fede da trasportare le montagne" (1Cor 13,2).

       Orbene, se il regno dei cieli è come un granello di senape e anche la fede è come un granello di senape, la fede è certamente il regno dei cieli, e il regno dei cieli è la fede. Quindi, chi ha la fede ha il regno dei cieli; e il regno dei cieli è dentro di noi come dentro di noi è la fede. Leggiamo infatti: "Il regno dei cieli è dentro di voi" (Lc 17,21); e altrove: "Abbiate la fede in voi" (Mc 11,22). E infine Pietro, che aveva tutta la fede, ricevette le chiavi del regno dei cieli, per aprirne le porte agli altri.

       Consideriamo ora, tenendo conto della natura della senape, la portata di questo paragone. Il suo granello è senza dubbio una cosa modesta e semplice, ma si comincia a tritarlo, diffonde il suo vigore. E cosí la fede sembra semplice di primo acchito: ma triturata dalle avversità, diffonde la grazia della sua virtù, in modo da penetrare del suo profumo anche coloro che leggono o ascoltano.

       Granello di senape sono i nostri martiri Felice, Nabor e Vittore. Essi avevano il profumo della fede, ma li si ignorava. Venne la persecuzione; essi deposero le armi, porsero il collo e, abbattuti dal fendente della spada, diffusero la grazia del loro martirio per tutto il mondo, tanto da potersi dire giustamente: "La loro eco si è propagata per tutta la terra" (Sal 18,5).

       Ma la fede talvolta è tritata, talvolta premuta, talvolta seminata.

       Lo stesso Signore è un granello di senape. Egli non aveva subito ingiurie, ma, come il granello di senape, prima di essersi accostato a lui, il popolo non lo conosceva. Egli volle essere stritolato, in modo che noi potessimo dire: "Noi siamo per Dio il buon profumo di Cristo" (2Cor 2,15); volle essere premuto, sicché Pietro disse: "La folla ti preme intorno" (Lc 8,45) ed infine volle essere anche seminato come il granello che fu «preso e gettato da un uomo nel suo orto». Infatti in un orto Cristo fu catturato e poi seppellito; in un orto crebbe, dove pure risorse. E` divenuto un albero, cosí come sta scritto: "Come un albero di melo tra gli alberi della foresta, cosí è mio fratello tra i giovani" (Ct 2,3).

       Dunque, anche tu semina Cristo nel tuo orto - l`orto è un luogo pieno di fiori e di frutti diversi - in modo che vi fiorisca la bellezza della tua opera e profumi l`odore vario delle diverse virtù. Là dunque sia Cristo, dove c`è il frutto. Tu semina il Signore Gesú: egli è un granello quando viene arrestato, un albero quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il mondo. E` un granello quando viene sepolto in terra, ma è un albero quando si eleva al cielo...

       Vuoi sapere che Cristo è il granello, e che è stato seminato? "Se il granello di grano non cade in terra e vi muore, esso resta solo: ma quando è morto produce molto frutto" (Gv 12,24). Non abbiamo dunque sbagliato dicendo ciò che egli stesso ha già detto. Egli è anche il granello di grano, perché fortifica il cuore degli uomini (cf. Sal 103,14-15), e granello di senape, perché accende il cuore degli uomini. E, sebbene sia l`una che l`altra similitudine appaiano adatte, egli sembra tuttavia il granello di grano quando si tratta della sua risurrezione: egli è infatti il pane di Dio disceso dal cielo (cf. Gv 6,33), affinché la parola di Dio e il fatto della risurrezione nutrano l`anima, accrescano la speranza e consolidino l`amore. E` invece granello di senape, affinché sia piú amaro e austero il discorso sulla passione del Signore: più amaro, perché spinga alle lacrime, piú austero perché generi commozione. Cosí, quando leggiamo o ascoltiamo che il Signore ha digiunato, che il Signore ha avuto sete, che il Signore ha pianto, che il Signore è stato flagellato, che il Signore ha detto al momento della passione: "Vigilate e pregate per non entrare in tentazione" (Mt 26,41), noi, colpiti, per cosí dire, dall`aspro sapore di questo discorso, siamo spinti a moderare la troppo gradevole dolcezza dei piaceri del corpo.

       Dunque, chi semina il granello di senape, semina il regno dei cieli.

       Non disprezzare questo granello di senape: "E` certamente il piú piccolo di tutti i semi, ma diviene, una volta cresciuto, il piú grande di tutti gli ortaggi" (Mt 13,32). Se Cristo è il granello di senape, in che modo egli è il piú piccolo, e in che modo cresce? Non è nella sua natura, ma secondo la sua apparenza che cresce. Vuoi sapere in qual modo è il piú piccolo? "Lo abbiamo visto e non aveva né bella apparenza né decorosa" (Is 53,2). Apprendi ora come è il piú grande: "Risplendeva di bellezza al di sopra dei figli degli uomini" (Sal 44,3). Infatti colui che non aveva né bella apparenza né decorosa, è stato fatto superiore agli angeli (cf. Eb 1,4), oltrepassando tutta la gloria dei profeti...

       Cristo è il seme, in quanto è seme di Abramo: "Poiché le promesse furono fatte ad Abramo e al suo seme. Egli non dice: ai suoi semi, come parlando di molti; ma, come parlando di uno solo: al suo seme, che è il Cristo" (Gal 3,16). E non soltanto Cristo è il seme, ma è il piú piccolo di tutti i semi, perché non è venuto né nella regalità, né nella ricchezza, né nella sapienza di questo mondo. Orbene, subito egli ha allargato, come un albero, la cima elevata della sua potestà, in modo che noi possiamo dire: "Sotto la sua ombra con desiderio mi sedetti" (Ct 2,3).

       Sovente, credo, egli appariva contemporaneamente albero e granello. E` granello quando si dice di lui: "Non è costui il figlio di Giuseppe l`artigiano?" (Mt 13,55). Ma, nel corso di queste stesse parole, egli subito è cresciuto, secondo la testimonianza dei giudei, perché essi non riescono neppure a toccare i rami di quest`albero divenuto gigantesco: "Donde gli viene" - essi dicono - "questa sapienza"? (Mt 13,54).

       E` dunque granello nella sua apparenza, albero per la sua sapienza. Tra le foglie dei suoi rami, l`uccello notturno nel suo nido, il passero sperduto sul tetto (cf. Sal 101,8), colui che fu rapito in paradiso (cf. 2Cor 12,4), e colui che dovrà essere trasportato sulle nubi in aria (cf. 1Ts 4,17), hanno ormai un luogo sicuro dove riposare. Là riposano anche le potenze e gli angeli del cielo, e tutti coloro che per le azioni spirituali meritarono di volare. Vi riposò san Giovanni, quando reclinava la testa sul petto di Gesú, o meglio, egli era come un ramo nutrito dal succo vitale di quest`albero. Un ramo è Pietro, un ramo è Paolo "dimenticando ciò che sta dietro e tendendo a ciò che sta davanti" (Fil 3,13): e noi, che eravamo lontani, che siamo stati radunati dalle nazioni, che per lungo tempo siamo stati sballottati nella vanità del mondo dalla tempesta e dal turbine dello spirito del male, spiegando le ali della virtù, voliamo nel loro seno e come nei recessi della loro predicazione, affinché l`ombra dei santi ci protegga dal fuoco di questo mondo.

       Cosí, nella tranquillità di un sicuro riposo, la nostra anima, che una volta era curva, come quella donna, sotto il peso dei peccati, «scampata come un uccello dalle reti dei cacciatori» (cf. Sal 123,7) si è levata sui rami e i monti del Signore (cf. Sal 10,1).

 

       (Ambrogio, Exp. in Luc., 7, 176-180; 182-186)

 

 

3. Il seme piú piccolo per l`evento piú grande

 

       "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo" (Mt 13,31). Siccome Gesú aveva detto che i tre quarti della semente sarebbero andati perduti, che una sola parte si sarebbe salvata e che nella parte restante si sarebbero verificati tanti gravi danni, i suoi discepoli potevano bene chiedergli: Ma quali e quanti saranno i fedeli? Egli allora toglie il loro timore inducendoli alla fede mediante la parabola del granello di senape e mostrando loro che la predicazione della buona novella si diffonderà su tutta la terra.

       Sceglie per questo scopo un`immagine che ben rappresenta tale verità. "E` vero che esso è il piú piccolo di tutti i semi; ma cresciuto che sia, è il piú grande di tutti i legumi e diviene albero, tanto che gli uccelli dell`aria vengono a fare il nido tra i suoi rami" (Mt 13,32). Cristo voleva presentare il segno, la prova della loro grandezza. Cosí - egli spiega - sarà anche della predicazione della buona novella. In realtà i discepoli erano i piú umili e deboli tra gli uomini, inferiori a tutti; ma, siccome in loro c`era una grande forza, la loro predicazione si è diffusa in tutto il mondo.

 

       (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 46, 2)

 

 

4. La parabola del granello di senapa (Mt 13,31-32)

 

La fede quanto un granellin di senapa,

Simbolo del tuo Regno,

Io non l`ho accolta dentro la mia anima,

Perché le perverse montagne fossero spostate (cf. Mt 17,20).

E neppure, come uccel del cielo,

Mi son posato sui rami del precetto,

Dove le anime pure si riposano,

Eredi del santo Tabernacolo dei cieli.

Né mi son reso aspro al palato,

O troppo duro alla bocca dei vermi;

Sbriciola i lor dentini, te ne prego,

Ricollocami sui rami dell`albero.

 

       (Nerses Snorhali, Jesus, 477-479)

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XII DOMENICA

 

Letture:     Giobbe 38,1.8-11

       2 Corinti 5,14-17

       Marco 4,35-40

 

1. Il sonno di Cristo sulla barca

 

       Tutte le volte che Cristo dorme nella nostra nave, e a causa del sonno della nostra ignavia s`addormenta nel nostro corpo, insorge una totale tempesta per la violenza dei venti, infieriscono minacciose le onde, e mentre troppo frequentemente si innalzano e cadono con flutti spumeggianti, amaramente suscitano nei naviganti con l`attesa i naufragi, come ha detto la lettura del nostro evangelista...

       "E lo prendono", disse, "cosí com`era nella nave" (Mc 4,36). Altro è il Cristo in Cielo, altro è il Cristo in nave: altro nella maestà del Padre, altro nella umiltà dell`umanità si avverte; altro si vede coeterno al Padre, altro temporale in rapporto alle età; altro dorme nel nostro corpo, altro veglia nella santità del suo spirito. "Lo prendono cosí com`era", disse, "nella nave". Lode di fede è ricevere il Cristo come è e si ha nella nave, cioè, nella Chiesa, dove è nato, dove crebbe, dove soffrí, dove fu crocifisso e sepolto, dove ascese al Cielo, siede alla destra di Dio Padre, donde verrà come giudice dei vivi e dei morti: professare tutto questo è di singolare salvezza. Colui che avrà accolto nella nostra nave e confessato il Cristo, qualora venga sommerso dagli scandali delle onde, non è immerso dai pericoli e coperto dalle onde... "Quella burrasca gettava le ondate nella nave" (Mc 4,37): poiché come le onde dei popoli e la ferocia delle persecuzioni agitano e squassano la nave del Signore esternamente, cosí all`interno i burrascosi flutti degli eretici irrompono ed infieriscono [contro di essa]. Il beato Paolo dichiara di aver sofferto questa tempesta, quando dice: "Al di fuori le lotte, internamente i timori: talmente che la nave fosse sommersa" (2Cor 7,5). Giustamente l`evangelista, a causa dei flutti spumeggianti, riferisce che la nave fosse ripiena [d`acqua], soffrendo la Chiesa un numero cosí grande di eresie, quante controversie della legge leggiamo che ci siano.

       "Ed egli", disse, "dormiva a poppa sopra un capezzale. Lo svegliano e gli dicono: Maestro, niente t`importa che affondiamo? E, alzandosi, minacciò il vento e disse al mare: Taci e ritorna tranquillo. E cessarono i venti ed il mare ritornò calmo" (Mc 4,38-39). Mentre avveniva ciò gli insegnamenti si resero palesi, e il tempo lo addita all`esempio. Dal momento che grande e abbastanza violenta incombe una burrascosa tempesta, mentre da ogni parte il turbine pericoloso dei venti ruggisce e infierisce, muggisce il mare, le stesse isole sono scosse dalle fondamenta e i litorali sono scossi da pauroso fragore. Ma poiché dicemmo: Cristo dorme nella nostra nave, avviciniamoci a lui piú con la fede che col corpo, e bussiamo alla sua porta [svegliamolo] piú con le opere di misericordia che con il contatto di disperati; scegliamolo non con un frastuono indecoroso ma con grida di canti spirituali: non mormorando maliziosamente, ma supplicandolo con animo vigile.

       Offriamo a Dio qualcosa del tempo della nostra vita, affinché questa infelice vanità e miseranda sollecitudine non sciupi tutto il tempo [della nostra vita]; affinché l`eccessivo sonno e il vano torpore non sciupi tutta la notte ma parimenti parte del giorno e della notte noi stessi dedichiamo all`autore del tempo.

       Vigila, uomo, vigila! Hai l`esempio, e ciò che il gallo ti impedisce all`ospite, tu offrilo al tuo creatore, soprattutto quando egli ti suggerisce che ti sarà di aiuto, quando ti spinge al lavoro, quando già vicina la luce del nuovo giorno; quanto piú con inni celesti ti conviene rivolgerti a Dio con virtù celeste per la tua salvezza. Ascolta il profeta che dice: "Durante la notte il mio spirito veglia presso di te, o Dio" (Is 26,9). E il salmista: "Sono con le mie mani di notte davanti a lui, e non sono stato ingannato" (Sal 76,3). Del giorno, invero, tre momenti lo stesso salmista ammonisce che bisogna riservare a Dio, dicendo: "Di sera, al mattino e nel mezzogiorno narrerò ed annunzierò, ed egli esaudirà la mia voce" (Sal 54,18). Mentre Daniele supplicava diligentemente Dio, in questi tre momenti [della giornata], ottenne non solo la prescienza del futuro, ma meritò la liberazione del suo popolo a lungo prigioniero. Ripetiamo, dunque, col profeta: "Sorgi, sorgi e non respingermi fino alla fine" (Mc 4,38). Diciamo con gli apostoli: "Maestro, niente t`importa che affondiamo?" (Mc 4,38). E veramente il maestro, non solo è il creatore di tutti gli elementi, ma anche il moderatore e il reggitore di essi. Ed egli quando ci avrà ascoltato, quando si sarà degnato di vigilare, si calmeranno le onde, e gli spaventosi marosi si appianeranno e cosí i colli, i venti si allontaneranno, cesserà la tempesta e quella che è imminente e la grande burrasca si trasformeranno nella piú grande calma.

 

       (Pier Crisologo, Sermo, 21, 1 ss.)

 

 

2. L`esempio dei buoni pastori

 

       La Chiesa che naviga, come una grande nave, attraverso il mare di questo mondo, che è flagellata in questa vita da diversi flutti di tentazioni, non dev`essere abbandonata, ma diretta. E di questo ci diedero esempio i primi Padri, Clemente, Cornelio e altri assai nella città di Roma, Cipriano a Cartagine, Atanasio in Alessandria, i quali governarono, sotto imperatori pagani, la nave di Cristo, o meglio la sua carissima sposa, la Chiesa, insegnando, difendendo, lavorando e soffrendo fino allo spargimento del loro sangue...

       [I pastori che pascolano sé stessi] non guariscono col consiglio spirituale colui che è ammalato nei peccati, non ristabiliscono con l`aiuto sacerdotale chi è oppresso da varie tribolazioni, non riportano, colui che sbaglia, sulla via della salvezza, non richiamano al perdono con pastorale sollecitudine colui che s`è perduto nella disperazione, né difendono gli afflitti dalla violenza dei potenti, che come belve, s`avventano contro di loro...

       Perciò, fratello carissimo, poiché le cose stanno proprio cosí e la verità può essere tormentata, ma non può esser vinta né ingannata, la nostra mente afflitta ricorra a colui che attraverso Salomone dice: "Abbi fiducia nel Signore con tutto il tuo cuore e non contare sulla tua scaltrezza in tutte le tue cose. Ricordati di lui ed egli guiderà i tuoi passi" (Pr 3,5), e altrove: "E` torre fortissima il nome di Dio" (Pr 18,10). In questa si rifugia il giusto, e sarà salvo. Stiamo nella giustizia, prepariamoci alla tentazione, per aiutare l`aiuto di Dio e diciamogli: «Signore, sei il nostro rifugio da sempre». Confidiamo in colui che ci ha messo il peso sulle spalle. Ciò che non possiamo portare da noi, soli, portiamolo per mezzo di colui che è onnipotente e ci dice: "Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero" (Mt 11,30). Stiamo nella battaglia nel giorno del Signore, poiché è giunto per noi il tempo dell`angustia e della tribolazione. Moriamo, se Dio lo vuole, per le sante leggi dei nostri padri, per poter meritare con loro l`eredità eterna. Non siamo cani muti, non siamo osservatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono innanzi al lupo, ma pastori solleciti, vigilanti sul gregge di Cristo, messaggeri del pensiero di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri, a tutte le condizioni sociali a tutte le età con tutta la forza che Dio ci darà.

 

       (Bonifacio di Magonza, Epist. ad Cutheb.)

 

 

3. Se la fede è in noi, Cristo è in noi

 

       Se la fede è dentro di te, dentro di te c`è Cristo che freme e si turba; poiché se la fede è in noi, Cristo è in noi. Lo attesta l`Apostolo: "Per mezzo della fede, Gesú Cristo abita nei nostri cuori" (Ef 3,17). Se la tua fede deriva da Cristo, Cristo è nel tuo cuore.

       Ricordatevi l`episodio del Vangelo, in cui si narra di Cristo che dormiva nella barca: i discepoli vedendosi esposti al pericolo di un imminente naufragio, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si alzò, comandò ai venti e alle onde, subito si fece gran calma sul mare. Fai anche tu cosí. I venti entrano nel tuo cuore, come se tu navigassi in questa vita su un mare procelloso e pieno di scogli pericolosi: il vento entra, sconvolge le onde, e la tua navicella ne è quasi travolta. Chi sono questi venti? Ti è stata rivolta un`offesa e tu sei colto dall`ira: l`offesa è il vento, l`ira è l`onda travolgente. Sei in pericolo, perché ti prepari a rispondere, ti prepari a restituire l`offesa con un`altra piú grave, e già la tua nave si avvicina al naufragio. Sveglia a questo punto Cristo che dorme. Tu eri travolto dalle onde, stavi per rispondere con una ingiuria all`oltraggio che ti è stato fatto, perché Cristo dormiva sulla tua navicella. Il sonno di Cristo nel tuo cuore è l`oblio della fede. Infatti, se svegli Cristo, cioè se fai appello alla fede, che cosa ti dice Cristo, sveglio nel tuo cuore? Ti dice: Ho sentito i miei nemici dirmi: tu hai il demonio in corpo, e io ho pregato per loro. Il Signore sente l`offesa e la sopporta: il servo invece sente l`offesa e si indigna! Anzi, tu ti vuoi vendicare. Ma come? Io - continua Cristo nel tuo cuore - mi sono forse vendicato? Quando la fede parla cosí nel tuo cuore, è come se comandasse ai venti e alle onde: subito si fa una gran calma.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 49, 19)

 

 

4. Simbologia della Chiesa

 

       Il mare è il mondo, in cui la Chiesa, come una nave nelle onde del mare, è sbattuta dai flutti, ma non fa naufragio; perché ha con sé Cristo, il suo accorto timoniere. Ha anche nel centro il trofeo eretto contro la morte, la croce del Signore. La sua prora è Oriente, la poppa Occidente, la carena Mezzogiorno, i chiodi i due Testamenti, le corde son la Carità di Cristo che tiene stretta la Chiesa, il lino rappresenta il lavacro di rigenerazione che rinnova i fedeli. Il vento è lo Spirito che vien dal cielo, per il quale i fedeli son condotti a Dio. Con lo Spirito ha anche àncore di ferro nei precetti di Cristo. Né le mancano marinai a destra e a sinistra, poiché i santi angeli la circondano e difendono. La scala, che sale sull`antenna, è immagine della salutare passione di Cristo, che porta i fedeli fino al cielo. Le segnalazioni in cima all`antenna son le luci dei Profeti, dei Martiri, degli Apostoli, che riposano nel regno di Cristo.

 

       (Ippolito di Roma, De Christ. et antichr., 59)

 

 

5. La tempesta sedata (Mt 8,23-27)

 

Quando del mare l`onde s`agitarono

E la barca sballottata si affondava,

Tu le rimbrottasti, ed esse tacquero;

Le onde minacciose si placarono.

 

Come già a Pietro, tendimi la mano (cf. Mt 14,31)

Per ritrarmi dall`onde del Maligno

Affinché l`onda agitata del peccato

In sé non mi affoghi.

 

       (Nerses Snorhalí, Jesus, 446-447)

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XIII DOMENICA

 

Letture:     Sapienza 1,13-15; 2,23-25

       2 Corinti 8,7-9.13-15

       Marco 5,21-43

 

1. I medici e il medico

 

       La sua fede arrestò in un istante, come in un batter d`occhio, il flusso di sangue che era sgorgato per dodici anni. Numerosi medici l`avevano visitata moltissime volte, ma l`umile medico, il figlio unico la guardò soltanto un momento. Spesso, quella donna aveva profuso forti somme per i medici; ma all`improvviso, accanto al nostro medico, i suoi pensieri sparsi si raccolsero in un`unica fede. Quando i medici terreni la curavano, ella pagava loro un prezzo terreno (cf. Mc 5,26); ma quando il medico celeste le apparve, ella le presentò una fede celeste. I doni terrestri furono lasciati agli abitanti della terra, i doni spirituali furono elevati al Dio spirituale nei cieli.

       I medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come una belva abbandonata alla sua ferocia. Cosí, per reazione, come una belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel dolore, una potenza uscí, rapida, dalla frangia del mantello di Nostro Signore; colpí violentemente il male, lo bloccò e s`attirò l`elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che s`erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile. Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta; diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio, quello della guarigione nascosta...

       E coloro che non erano stati capaci di guarire quest`unica donna coi loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte. Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo; conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che avrebbero detto: "Tu, con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera" (Gv 8,13). La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio soffocava l`orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi mi ha toccato?" (Lc 8,45) e con la sua opera, la sua verità era proclamata.

       Se non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero piú il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.

       E` cosí che una donna si presentò a lui e che la guarí. Si era presentata davanti a parecchi uomini che non l`avevano guarita avevano perduto il loro tempo con lei. Ma un uomo la guarí, quando il suo volto era girato da un`altra parte; egli biasimava cosí coloro che, con grande cura, si volgevano verso di lei, ma non la guarivano: "La debolezza di Dio è piú forte degli uomini" (1Cor 1,25). Sebbene il volto umano di Nostro Signore non poté guardare che da una sola parte, la sua divinità interiore aveva occhio dappertutto poiché vedeva da ogni lato.

 

       (Efrem, Diatessaron, VII, 6, 19-23)

 

 

2. La guarigione dell`emorroissa

 

«Colei che veniva a me, ha ricevuto la forza,

poiché un segreto vigore mi ha sottratto.

Perché, Simone figlio di Giovanni, tu mi dici

che una immensa folla addosso mi si accalca?

La mia divinità, essi non toccano.

Ma questa donna, nella visibil veste

la natura mia divina ha conquistato

in modo manifesto, e la salute ha avuto

gridandomi: Salvami, Signore! «.

 

Vedendosi non rimasta inavvertita,

cosí tra sé la donna rifletteva:

«Mi farò scorgere dal salvatore mio, Gesú,

adesso che dalle brutture mie sono mondata.

E invero adesso non ho piú paura:

per suo volere infatti io compivo questo.

Ho fatto solo quel ch`ei desiderava:

Incontro a lui son corsa con la fede

dicendogli: Salvami, Signore!

 

Non ignorava certo il Creatore

quel ch`io facevo, bensí pietoso

egli mi ha sopportata. Solo toccandolo,

ho vendemmiato la forza, perché lui

s`è lasciato spogliare volentieri.

Cosí ora è sparita la paura d`esser vista,

davanti a Dio gridando ch`egli è il medico

degli infermi e il salvatore d`anime, signor

della natura, al quale io dico: Salvami, Signore!

 

A te ho ricorso, medico mio buono,

l`obbrobrio mio alfine rigettando.

Non levar contro di me tua collera,

non adirarti contro la tua serva:

solo per tuo volere io ho agito,

poiché, ancor prima di pensare all`atto,

presente, m`assistevi e m`incitavi a farlo.

Sapevi che il cuor mio gridava: Salvami, Signore!».

 

«Donna, coraggio ormai che per la fede

e col mio assenso tu mi hai spogliato.

Rassicurati ora, perché non è per farti biasimare

che in mezzo a tanta gente t`ho condotto,

ma per dar loro sicurezza: quando mi si spoglia

io mi rallegro, non muovo alcun rimbrotto.

Resta in buona salute, tu che in tutto il tuo male

mi gridavi: Salvami, Signore!

 

Non opra di mia mano è questo, ma della fede tua.

Molti infatti han toccato la mia veste,

senza però ricever forza, perché la fede non portavan seco.

Tu che con molta fede m`hai toccato,

hai colto della salute il frutto;

ecco perché davanti a tutti t`ho portato,

per farti dire ancora: Salvami, Signore!».

 

O Figlio incomprensibile di Dio, incarnato

per noi per amor dell`uomo,

come la donna dal suo sangue hai liberata,

cosí libera me dai miei peccati,

tu che unico senza peccato sei.

Per le preci e le suppliche dei santi,

inclina il cuore mio o sol potente,

alla meditazione incessante della tua parola,

sí che tu possa salvarmi.

 

       (Romano il Melode, Hymn., 33, 15-21)

 

 

3. Cristo ha vinto la morte

 

       "Giunto poi alla casa del capo della sinagoga e veduti i sonatori di flauto e molta gente che faceva grande strepito, cominciò a dire: «Ritiratevi, ché non è morta la fanciulla, ma dorme». E quelli lo deridevano" (Mt 9,23-24).

       Durante la tempesta riprende dapprima i discepoli; cosí, qui, dissipa anzitutto il turbamento che era nell`anima dei presenti e al tempo stesso dimostra che per lui è facile risuscitare i morti. Si comporta nell`identico modo prima di operare la risurrezione di Lazzaro, dicendo: "Lazzaro, l`amico nostro, dorme" (Gv 11,11). Insegna, inoltre, a non temere la morte: essa infatti non è piú morte, ma è diventata sonno. Cristo, infatti, doveva di lí a poco morire, e voleva perciò preparare i discepoli, nella persona di altri, ad aver coraggio e a sopportare pazientemente la sua morte. Da quando egli è venuto sulla terra, la morte è divenuta soltanto un sonno...

       A quel tempo non era palese che la morte era diventata un sonno: oggi, invece, questa verità è piú chiara del sole. Cristo non ha risuscitato la tua figliola? Ebbene, la risusciterà con assoluta certezza e con una gloria piú grande. Quella fanciulla, dopo essere stata risuscitata, piú tardi morí di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà, rimarrà per sempre immortale. Nessuno, dunque, pianga piú i morti, nessuno si disperi, né rigetti cosí la vittoria di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno. A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d`esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo cosí disonorevole in tali circostanze? Come potrà farsi perdonate tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli? Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: "Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial? O quale cosa di comune tra il fedele e l`infedele?" (2Cor 6,15). Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con coraggio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla. E tu che ascolti parole tanto piú sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo piú sconveniente dei pagani? Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c`è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre. Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l`immortalità e l`eredità stessa degli angeli. Non senti il salmo che dice: "Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia" (Sal 114,7)? Dio chiama «grazia» la morte, e tu ti lamenti?

 

       (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 31, 2)

 

 

4. Dio offre misericordia; la disperazione viene dal demonio

 

       Non devi, o uomo, diffidare di Dio e disperare della sua misericordia; non voglio che tu dubiti di poter cambiare in meglio; se il diavolo ti ha potuto trascinare dalle altezze celesti della virtù fino in fondo al baratro del male, quanto piú potrà Dio riportarti al vertice piú alto del bene e non solo rifarti quello che eri, ma anche farti molto piú beato di quanto fossi prima? Non ti scoraggiare e non ti nascondere la speranza del bene perché non ti avvenga ciò che avviene agli empi; non è, infatti, la moltitudine dei peccati che induce la disperazione, ma l`empietà; perciò Salomone disse: "Tutti quelli che giungono al fondo del male, disprezzano" (Pr 18,3). E` proprio degli empi, dunque, disperare e disprezzare, quando son giunti al fondo del peccato. L`empietà non gli consente di rivolgersi a Dio e di tornare là donde son caduti. Questo pensiero, dunque, che stronca la speranza della conversione, nasce da empietà e come un masso pesantissimo grava sulla cervice dell`anima, la forza a guardare sempre a terra, non le consente di alzar gli occhi verso il suo Signore; ma un animo virile e una mente illuminata deve strappare dal suo capo un peso inimicissimo dell`anima sua, deve cacciare il diavolo che l`opprime e imporsi alla sua anima per dire al Signore cantando le parole profetiche: «Come gli occhi degli schiavi son nelle mani dei loro padroni, come gli occhi della schiava son nelle mani della sua padrona, cosí gli occhi nostri si volgono al Signore Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Signore, pietà di noi, perché siamo strapieni d`avvilimento» (cf.Sal 122,2). E` singolare questa dottrina e di celeste filosofia. Dice: «Siamo strapieni d`avvilimento» e ci vuole insegnare che, sebbene siamo ricolmi d`umiliazione a causa della moltitudine dei nostri peccati, i nostri occhi tuttavia si rivolgono al Signore nostro Dio, perché abbia pietà di noi e non finiremo di pregare finché non abbiamo ottenuto il perdono. Questo è proprio dell`anima perseverante, che non tralasci mai di sperare, ma che insista sempre nella preghiera fino a quando ottiene misericordia. E perché tu non pensi di far piuttosto una offesa, chiedendo troppo importunamente una cosa che non meriti, ricordati la parabola del Vangelo e ivi troverai che i peccatori insistenti non sono sgraditi al Signore, il quale, anzi, dice: «Se non lo darà a titolo di amicizia, almeno, per liberarsi da un fastidio, si alzerà e gli darà tutto ciò che gli serve». Renditi conto, allora, o carissimo, che il diavolo insinua la disperazione nella preghiera, proprio per sradicare la speranza nella misericordia di Dio, che è l`ancora della nostra salvezza e il fondamento della nostra vita, guida nel cammino, che porta al cielo, onde l`Apostolo dice: "Per la speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24).

 

       (Rabano Mauro, De moto poenit., 4)

 

 

5. Cristo è toccato dalla fede

 

       Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.

       Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...

       Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.

       Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall`altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?

 

       (Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59)

 

 

6. Dio è la gloria dell`uomo

 

       Dio è, in verità, la gloria dell`uomo; e, d`altro canto, l`uomo stesso è il ricettacolo dell`attività di Dio, di tutta la sua sapienza e potenza. E come il medico effettua i suoi esperimenti su coloro che sono malati, cosí Dio si manifesta negli uomini.

 

       (Ireneo di Lione, Adv. haer., III, 20, 2)

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26/09/2009 12:08

XIV DOMENICA

 

Letture:     Ezechiele 2,2-5

       2 Corinti 12,7-10

       Marco 6,1-6

 

1. Il profeta è disprezzato nella sua patria

 

       Venuto, dunque, nel suo paese, Gesú si astiene dai miracoli per non infiammare ulteriormente l`invidia dei suoi compaesani e non doverli condannare piú duramente per la loro testarda incredulità; ma, in cambio, espone loro la sua dottrina, che, certo, non merita minor ammirazione dei miracoli. Tuttavia, costoro, completamente insensati, mentre dovrebbero ascoltare con intenso stupore e ammirare la forza delle sue parole, al contrario lo disprezzano per l`umile condizione di colui che ritengono suo padre. Eppure hanno molti esempi, verificatisi nei secoli precedenti, di figli illustri nati da padri oscuri. Cosí David era figlio di Jesse, umile agricoltore; Amos era figlio di un guardiano di capre e pastore lui stesso; Mosè, il legislatore, aveva un padre assai meno illustre di lui. Dovrebbero, quindi, onorare e ammirare Gesú proprio per questo fatto: che, pur sembrando loro di umile origine, insegna quella dottrina. E` ben evidente cosí che la sua sapienza non deriva da studio, ma dalla grazia divina. Invece lo disprezzano per ciò che dovrebbero, al contrario, ammirare. D`altra parte Gesú frequenta le sinagoghe per evitare di essere accusato come solitario e nemico della convivenza umana, il che sarebbe accaduto se egli fosse vissuto sempre nel deserto. "Ed essi ne restavano stupiti e dicevano: Donde viene a costui questa sapienza e questa potenza?" (Mt 13,54), chiamando potenza la sua facoltà di operare miracoli o anche la sua stessa sapienza. "Non è questi il figlio del falegname?" (Mt 13,55). Quindi piú grande il prodigio, e maggiore lo stupore. "Sua madre non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe Simone e Giuda? E le sorelle sue non sono tutte qui fra noi? Donde mai gli viene tutto questo? E si scandalizzavano di lui" (Mt 13,55-57). Vedete che Gesú parla proprio a Nazaret? Non sono suoi fratelli, dicono, il tale e il tal altro? E che importa? Questa dovrebbe essere la ragione piú valida per credere in lui. Purtroppo l`invidia è una passione malvagia e spesso combatte e contraddice se stessa. Ciò che è straordinario, sorprendente e suscettibile di attirarli a Gesú, questo invece li scandalizza.

       Che risponde loro Cristo? «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e nella propria sua casa». "E non operò molti miracoli, a causa della loro incredulità" (Mt 13,57-58). Anche Luca da parte sua riferisce che non fece lí molti miracoli (cf. Lc 4,16-30). Ma, mi direte voi, sarebbe stato naturale e logico farli. Se Gesú aveva la possibilità di suscitare ammirazione - come in realtà avvenne -, per qual motivo non operava miracoli? Sta di fatto che egli non aveva di mira la propria gloria, ma il loro bene. Tuttavia poiché questo bene non si realizzava, Cristo trascurò la propria manifestazione per non aumentare il castigo dei suoi compaesani. Osservate dopo quanto tempo e dopo quale dimostrazione di miracoli egli torna presso di loro: ma neppur cosí lo accolgono, anzi si accendono piú vivamente di invidia. E perché allora, voi chiederete, Gesú ha operato qualche miracolo? L`ha fatto perché non gli dicessero: "Medico, cura te stesso" (Lc 4,23), e non affermassero che egli era avversario e nemico loro e disprezzava i suoi concittadini; non voleva infine sentir dire: Se avesse operato miracoli, noi pure avremmo creduto. Per questo egli opera qualche miracolo e in seguito si ritira, compiendo, da una parte, ciò che spetta a lui ed evitando dall`altra di condannarli piú severamente. Ebbene, osservate ora la potenza delle parole di Cristo: malgrado fossero dominati dall`invidia, quelli tuttavia restano stupiti. E come nelle sue opere non biasimano l`atto in se stesso, ma immaginano cause inesistenti dicendo: «In virtù di Beelzebul caccia i demoni», cosí anche ora non condannano la sua dottrina, ma ricorrono, per disprezzarlo, all`umiltà della sua origine. Ammirate d`altra parte la moderazione del Maestro: egli non li biasima con violenza, ma dichiara con molta mitezza: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria», e non si ferma qui, ma aggiunge: «e nella sua stessa casa», alludendo, io credo, con queste ultime parole ai suoi parenti.

 

       (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 48, 1)

 

 

2. La famiglia di Gesú

 

       Circa l`esclamazione: "Donde gli viene tanta sapienza?" (Mt 13,54), essa mostra chiaramente la sapienza superiore e sconvolgente delle parole di Gesú, che si è meritata l`elogio: "Ed ecco che qui vi è piú di Salomone" (Mt 12,42). E i miracoli da lui compiuti erano piú grandi di quelli di Elia e di Eliseo, persino piú grandi di quelli, piú antichi, di Mosè e di Giosuè figlio di Nun. Mormoravano stupiti, perché non sapevano che egli era nato da una vergine, oppure non lo avrebbero creduto neppure se glielo avessero detto, mentre supponevano che egli fosse il figlio di Giuseppe, l`artigiano: "Non è egli figlio del falegname?" (Mt 13,55). E pieni di disprezzo verso tutto ciò che poteva sembrare la sua parentela piú prossima, dicevano: "Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra dí noi?" (Mt 13,55.56). Lo ritenevano dunque figlio di Giuseppe e di Maria. Quanto ai fratelli di Gesú, taluni pretendono, appoggiandosi al cosiddetto vangelo «secondo Pietro» o al «libro di Giacomo» [apocrifi], che essi siano i figli di Giuseppe, nati da una prima moglie che egli avrebbe avuto prima di Maria. I sostenitori di questa teoria vogliono salvaguardare la credenza nella verginità perpetua di Maria, non accettando che quel corpo, giudicato degno di essere al servizio della parola che dice: "Lo Spirito di santità scenderà su di te e la potenza dell`Altissimo poserà su di te la sua ombra" (Lc 1,35), conoscesse il letto di un uomo, dopo aver ricevuto lo Spirito di santità e la potenza discesa dall`alto, che la ricoprí con la sua ombra. Da parte mia, penso che sia ragionevole vedere in Gesú le primizie della castità virile nel celibato, e in Maria quelle della castità femminile, sarebbe in effetti sacrilego attribuire ad un`altra tali primizie della verginità...

       Le parole: "E le sue sorelle non sono tutte tra di noi?", mi sembrano avere il seguente significato: la loro sapienza e la nostra, non certo quella di Gesú, e nulla vi è in loro che sia a noi estraneo, la cui comprensione ci rimanga difficile, come in Gesú. E` possibile che, attraverso queste parole, affiori un dubbio circa la natura di Gesú, che non sarebbe un uomo, bensí un essere superiore, poiché, pur essendo, come essi credono, figlio di Giuseppe e di Maria, e pur avendo quattro fratelli, come pure alcune sorelle, non somiglia ad alcuno dei suoi prossimi e, senza aver ricevuto una istruzione e senza maestri, ha raggiunto un tale grado di sapienza e di potenza. Difatti, dicevano altrove: "Come fa costui a conoscere le Scritture, senza avere studiato?" (Gv 7,15). E` un testo simile a quello qui riportato. Tuttavia coloro che parlavano in questo modo, pieni di un tal dubbio e di stupore, ben lontani dal credere, si scandalizzavano a suo riguardo (cf. Mt 13,57), come se gli occhi della loro mente fossero asserviti (cf. Lc 24,16) da potenze di cui egli avrebbe trionfato (cf. Col 2,15) sul legno, nell`ora della sua Passione...

       E` venuto il momento di illustrare il passo: "Colà, egli non fece molti miracoli, a causa della loro incredulità" (Mt 13,58). Queste parole ci insegnano che i miracoli si compivano in mezzo ai credenti, poiché "a chi ha sarà dato e sarà nell`abbondanza" (Mt 25,29), mentre invece tra gli increduli i miracoli non solo non producevano effetto, ma addirittura, come ha scritto Marco, non potevano produrlo. Fa` attenzione, infatti, a queste parole: "Non poté compiere alcun miracolo"; difatti, non ha detto: "Non volle".... bensí: "Non poté"... (Mc 6,5), perché si sovrappone al miracolo che sta per compiersi una collaborazione efficace proveniente dalla fede di colui su cui agisce il miracolo, e che l`incredulità impedisca tale azione. Di modo che, è il caso di sottolinearlo, a coloro che hanno detto: "Per quale motivo non abbiamo potuto scacciarlo?", egli ha risposto: "A causa della vostra poca fede" (Mt 17,19-20), e a Pietro che cominciava ad affondare, fu detto: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31). L`emorroissa, al contrario, senza aver neppure richiesta la guarigione, diceva tra sé semplicemente che "se avesse potuto toccare solo il lembo del suo mantello" (Mc 5,28), sarebbe guarita, e lo fu all`istante (cf. Mt 9,22; Lc 8,47); e il Signore riconobbe quel modo di guarire, quando disse: "Chi mi ha toccato? Perché ho avvertito una potenza uscire da me" (Lc 8,46; cf. Mt 5,30). E come taluni, quando si tratta dei corpi, esercitano una specie di attrazione naturale sugli altri - sul tipo di ciò che avviene tra la calamita e il ferro o tra la nafta e il fuoco -, cosí una fede del genere attira forse il miracolo divino; ecco perché egli ha anche detto: "Se aveste fede quanto un granello di senapa, direte a questo monte: «spostati da qui a là"», ed esso si sposterà" (Mt 17,20).

       Mi sembra che, però, Matteo e Marco abbiano voluto stabilire la netta superiorità della potenza divina, capace di agire anche in mezzo all`incredulità, senza tuttavia dimostrare la stessa potenza che di fronte alla fede di coloro che beneficiano del miracolo; quando il primo non ha detto che "egli non fece miracoli a causa della loro incredulità," bensí che "colà, egli non fece molti miracoli" (Mt 13,58); quando invece Marco dice: "In quel luogo non poté compiere alcun miracolo", non si limita a questo bensí aggiunge: "tranne che impose le mani su alcuni malati e li guarí"(Mc 6,5), poiché la potenza che è in lui trionfa, in tali condizioni, della stessa incredulità.

 

       (Origene, Comment. in Matth., 10, 17-19)

 

 

3. Domiziano dà ordine di uccidere i discendenti di David

 

       Il medesimo Domiziano comandò che fossero uccisi quelli di stirpe davidica. Un`antica tradizione racconta che degli eretici denunziarono [perfino] i discendenti di Giuda, fratello del Signore secondo la carne, rilevando la loro derivazione genealogica da David e la loro parentela con Cristo. Egesippo stesso mette in chiaro tutto ciò esprimendosi in questi termini:

       «In quel tempo vivevano ancora i parenti del Salvatore vale a dire i nepoti di Giuda, che fu detto fratello di Lui secondo la carne (cf. Mt 13,55; Mc 6,3). Denunziati come discendenti di David, "dall`evocatus" furono condotti davanti a Domiziano, il quale al pari di Erode paventava la venuta di Cristo.

       L`imperatore cominciò a domandar loro se provenissero dalla stirpe di David e quelli risposero di sí. Domandò loro quante possessioni avessero e quanto denaro. Risposero che tutti e due assieme possedevano novemila denari, metà ciascuno; aggiunsero però che non li avevano in contanti, ma in terre dell`estensione di trentanove pletri, da essi lavorate per pagare i tributi e per il necessario alla vita.

       E gli mostrarono le mani e, a prova della loro personale fatica, gli facevano vedere le membra rudi e le callosità delle ruvide palme a causa del continuo lavoro.

       Interrogati intorno al Cristo e al Suo regno, intorno alla natura, al tempo e al luogo della Sua venuta, risposero che l`impero di Cristo non è mondano e terreno, ma celeste e angelico; che si attuerà alla fine dei tempi, quando Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e renderà a ciascuno secondo le opere sue (cf. Mt 16,27; At 10,42; Rm 2,6; 2Tm 4,1).

       Udito questo, non li condannò: ebbe invece un pensiero di sprezzo per la loro condizione sí bassa, li rimise in libertà e, con un editto, fece cessare la persecuzione contro la Chiesa.

       Essi, poi, liberati, furono posti a capo delle Chiese, come martiri e parenti del Signore e, venuta la pace, vissero fino ai tempi di Traiano».

 

       (Eusebio di Cesarea, Hist. eccles., 3, 19 s.)

 

 

4. Solo Dio è autore in senso proprio

 

       Vediamo, dunque, da quale fonte abbia origine questo nostro sole! Come è vero nasce da Dio, che ne è l`autore. E` figlio pertanto della divinità; dico, della divinità non soggetta a corruzione, intatta, senza macchia. Capisco il mistero facilmente. Perciò la seconda nascita per mezzo della immacolata Maria, poiché in un primo tempo era rimasta illibata a causa della divinità, la prima nascita fu gloriosa, affinché la seconda non diventasse ingiuriosa, cioè come vergine la divinità lo aveva generato, cosí anche la Vergine Maria lo generasse. E` scritto di avere un padre presso gli uomini, come leggiamo nel Vangelo ai Farisei che dicevano: " Non è questi figlio di Giuseppe il falegname, e Maria non è sua Madre?" (Mt 13,55).

       In questo anche avverto il mistero.

       Il padre di Gesú è chiamato falegname; è pienamente fabbro Dio Padre, che ha creato le opere di tutto il mondo.

 

       (Massimo di Torino, Sermo, 62, 4)

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XV DOMENICA

 

Letture:     Amos 7,12-15

       Efesini 1,3-14

       Marco 6,7-13

 

1. Le caratteristiche della missione dei discepoli

 

       "E percorreva i villaggi circostanti insegnando. Chiamò poi i dodici e cominciò a mandarli a due a due a predicare e dava loro il potere sugli spiriti immondi" (Mc 6,6-7).

       «Benevolo e clemente, il Signore e maestro non rifiuta ai servi e ai discepoli i suoi poteri, e, come egli aveva curato ogni malattia e ogni debolezza, cosí dà agli apostoli il potere di curare ogni malattia ed ogni infermità. Ma c`è molta differenza tra l`avere e il distribuire, il donare e il ricevere. Gesú, quando opera, lo fa col potere di un padrone; gli apostoli, se compiono qualcosa, dichiarano la loro nullità e la potenza del Signore con le parole: "Nel nome di Gesú, alzati e cammina"» (Girolamo).

       "E ordinò loro di non prender nulla per il viaggio se non un bastone soltanto, non bisaccia, non pane, né denaro nella cintura, ma andassero calzati di sandali e non indossassero due tuniche" (Mc 6,8-9).

       «Tanto grande dev`essere nel predicatore la fiducia in Dio che, sebbene non si preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve sapere con certezza che non gli mancherà niente. E questo per evitare che, se la sua mente è presa da preoccupazioni terrene, egli non rallenti nell`impegno di comunicare agli altri le parole eterne (Greg. Magno).

       Quando infatti - secondo Matteo - disse loro: "Non vogliate possedere né oro né argento" - con quel che segue, - subito aggiunse: "Perché l`operaio ha diritto al suo sostentamento" (Mt 10,9-10). Mostra insomma chiaramente perché non ha voluto che essi possedessero né portassero seco quei beni; non perché questi non siano necessari al sostentamento di questa vita, ma perché egli li inviava in modo da far capire loro che tali beni erano loro dovuti dai credenti ai quali avrebbero annunziato il vangelo. E` chiaro dunque che il Signore non ordinò queste cose come se gli evangelisti non dovessero vivere di altro che di ciò che offrivano loro i fedeli cui essi annunziavano il vangelo (altrimenti si sarebbe comportato in modo opposto a questo precetto l`Apostolo [cf. 1Ts 2,9], che era solito ricavare il sostentamento dal lavoro delle sue mani per non essere di peso a nessuno), ma dette loro una libertà di scelta nell`uso della quale dovevano sapere che il sostentamento era loro dovuto. Quando il Signore comanda qualcosa, se questa non si compie, la colpa è della disobbedienza. Ma quando è concessa la facoltà di scelta, è lecito a ciascuno non usufruirne o sottostarvi liberamente. Ebbene il Signore, col dare l`ordine, che l`Apostolo ci riferisce (cf. 1Cor 2,9) essere stato da lui dato, a quanti annunziano il Vangelo, cioè di vivere della predicazione del Vangelo, intendeva dire agli apostoli che non dovevano possedere né dovevano avere preoccupazioni; che non dovevano portare con sé né tanto né poco di ciò che era necessario a questa vita; per questo aggiunse: "neppure il bastone", per sottolineare che da parte dei fedeli suoi tutto è dovuto ai suoi ministri che non chiedono nulla di superfluo. Aggiungendo poi "infatti l`operaio ha diritto al suo sostentamento", ha chiarito e precisato il perché delle sue parole. Ha simboleggiato nel bastone questa facoltà di scelta, dicendo che non prendessero per il viaggio altro che un bastone, per fare unicamente intendere che in grazia di quella potestà ricevuta dal Signore, e raffigurata nel bastone, gli apostoli non mancheranno neppure delle cose che non portano seco. La stessa cosa deve intendersi delle due tuniche nessuno di loro ritenga di doverne portare un`altra oltre quella che indossa, timoroso di poterne avere bisogno, in quanto può averla grazie a quella potestà di cui abbiamo parlato».

 

       (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 6, 6-9)

 

 

2. La vocazione degli apostoli

 

       I discepoli di Giovanni, avendolo sentito parlare con Nostro Signore, abbandonarono il loro maestro e seguirono Nostro Signore. La voce non poteva trattenere discepoli accanto a sé, e li inviò al Verbo (cf.Gv 1,29-37). Conviene, infatti, che all`apparire della luce del sole, si spenga la luce della lanterna. Giovanni non restò che per porre fine al proprio battesimo con i] battesimo di Nostro Signore; poi morí, e tra i morti fu un araldo coraggioso come lo era stato nel seno di sua madre, simbolo del sepolcro.

       Le parole: "Abbiamo trovato il Signore" (Gv 1,41), manifestano che la fama del Signore si era diffusa fin dall`epoca dei Magi e si era rafforzata a motivo del battesimo da parte di Giovanni e della testimonianza dello Spirito. Ora il Signore si era allontanato, si era reso di nuovo invisibile per il suo digiuno di quaranta giorni. Sicché le anime rattristate desideravano avere sue notizie; erano suoi strumenti, secondo la sua parola: "Io ho scelto voi prima della creazione del mondo" (Gv 15,16.19; Ef 1,4). Si è scelto dei Galilei, un popolo rozzo - infatti i profeti li hanno chiamati gente rozza e abitatori delle tenebre (cf. Is 9,1) -, ma sono essi che hanno visto la luce e i dottori della legge ne restarono confusi: "Dio ha scelto gli stolti del mondo per confondere con essi i sapienti" (1Cor 1,27) ...

       Vennero a lui pescatori di pesci e divennero pescatori di uomini (cf. Lc 5,10), come è scritto: "Ecco io invierò numerosi pescatori" - dice il Signore -" che li pescheranno; quindi invierò numerosi cacciatori che daranno loro la caccia su ogni monte, su ogni colle" (Ger 16,16). Se avesse inviato dei sapienti, si sarebbe potuto dire che essi avrebbero persuaso il popolo e l`avrebbero di conseguenza conquistato, o che essi l`avrebbero ingannato e cosí preso. Se avesse inviato dei ricchi, si sarebbe detto che essi avrebbero schernito il popolo nutrendolo oppure che l`avrebbero corrotto con l`argento, e in questo modo dominato. Se avesse inviato degli uomini forti, si sarebbe detto che questi li avrebbero sedotti con la forza, o costretti con la violenza.

       Ma gli apostoli non avevano nulla di tutto ciò. Il Signore lo indicò a tutti con l`esempio di Simone. Era pusillanime, poiché fu colto da spavento alla voce di una serva; era povero, infatti non poté nemmeno pagare la sua parte di tributo, un mezzo statere: "Non possiedo né oro, dice, né argento" (At 3,6; cf. Mt 17,24-27). Era incolto, poiché quando rinnegò il Signore, non seppe tirarsi indietro con l`astuzia.

       Dunque partirono, questi pescatori di pesci, e riportarono la vittoria sui forti, i ricchi e i sapienti. Miracolo grande! Deboli com`erano, attraevano, senza violenza, i forti alla loro dottrina; poveri, istruivano i ricchi; ignoranti, facevano dei saggi e dei prudenti i loro discepoli. La sapienza del mondo ha ceduto il posto a quella sapienza che è di per sé sapienza delle sapienze.

 

       (Efrem, Diatessaron, 4, 3, 17 s. 20)

 

 

3. Tipologia dell`annunciatore del Regno

 

       "E ogni volta che qualcuno non vi riceverà, uscendo da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi, in testimonianza contro di loro" (Lc 9,5).

       Gli insegnamenti del Vangelo indicano come deve essere colui che annunzia il Regno di Dio: senza bastone, senza bisaccia, senza calzature, senza pane, senza denaro, cioè a dire non preoccupato di cercare l`appoggio dei beni di questo mondo, stando sicuro nella sua fede che quanto meno cercherà i beni temporali tanto piú essi gli basteranno. Chi vuole, può intendere tutto questo passo nel senso che esso ha lo scopo di formare uno stato d`animo tutto spirituale, come di chi si è spogliato del corpo a mo` d`un vestito, non soltanto rinunziando a ogni forma di potere e disprezzando le ricchezze, ma ignorando anche ogni bisogno della carne.

       A costoro è fatta, prima di tutto, una raccomandazione generale che riguarda la pace e la costanza: essi porteranno ovunque la pace, andranno con costanza, osserveranno le norme e gli usi dell`ospitalità, poiché non si addice al predicatore del regno celeste correre di casa in casa e mutare con ciò le leggi inviolabili appunto dell`ospitalità. Ma se si suppone che generalmente sarà loro offerto il beneficio dell`ospitalità, tuttavia, nel caso che essi non siano bene accolti, vien loro impartito l`ordine di scuotersi la polvere di dosso e uscire dalla città. Questo ci insegna che una generosa ospitalità non riceve una ricompensa mediocre: non soltanto infatti noi procuriamo la pace ai nostri ospiti ma, se essi sono coperti da una leggera polvere di colpa, potranno togliersela accogliendo bene i predicatori apostolici. Non senza motivo in Matteo viene ordinato agli apostoli di scegliere bene la casa dove entreranno (cf. Mt 10,11), in modo da non trovarsi nella necessità di cambiare casa o di violare gli usi dell`ospitalità. Tuttavia, non si rivolge la stessa raccomandazione a colui che riceve l`ospite, nel timore che, operando una scelta fra gli ospiti, si finisca col limitare il dovere di ospitalità.

       Se noi con tutto questo abbiamo offerto, nel suo senso letterale, un valido precetto che riguarda il carattere religioso dell`ospitalità, tuttavia ci viene suggerita l`interpretazione spirituale del mistero. Ecco, quando si sceglie una casa, si ricerca un ospite degno. Vediamo un po` se per caso non sia la Chiesa che viene indicata alla nostra ricerca, e vediamo se l`ospite da scegliere non sia per caso Cristo. C`è una casa piú degna della santa Chiesa per accogliere la predicazione apostolica? E quale ospite potrà essere preferito a tutti gli altri, se non il Cristo? Egli è solito lavare i piedi ai suoi ospiti (cf. Gv 13,5) e, quanti egli riceve nella sua casa, non tollera che vi soggiornino con i piedi sporchi, ma, per quanto fangosi possano essere a causa della vita passata, egli si degna di lavarli per consentire che sia proseguito il viaggio. E` dunque lui che nessuno deve lasciare, né cambiare con un altro. A lui giustamente si dice: "Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna, e noi crediamo" (Gv 6,68-69).

 

       (Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 65-67)

 

 

4. Non possedere due tuniche

 

       E` infatti un dovere proprio degli apostoli, piuttosto che del popolo, che se uno ha due tuniche, una la dia a chi non ne ha. E perché tu sappia che questo consiglio conviene agli apostoli piú che alle folle, ascolta ciò che il Salvatore dice loro: "Non portate per via due tuniche" (Mt 10,10).

       Sta di fatto che questi due abiti, dei quali uno serve a vestirci e l`altro ci vien consigliato di darlo a chi non ne ha, hanno un altro significato. Insomma il Salvatore, cosí come noi «non dobbiamo servire due padroni» (cf.Lc 16,3; Mt 6,24), vuole che non possediamo due tuniche e non siamo avvolti in un duplice abito, in quanto uno è l`abito del vecchio uomo e l`altro l`abito dell`uomo nuovo. Egli al contrario desidera vivamente che noi «ci spogliamo del vecchio uomo per rivestirci dell`uomo nuovo» (cf. Col 3,9-10). Fin qui la spiegazione è facile.

       Ma ci si chiede soprattutto perché, alla luce di questa interpretazione, venga ordinato di dare una tunica a chi non ne ha. Qual è l`uomo che non ha sul suo corpo neppure un abito, che è nudo, che non è coperto assolutamente da nessuna veste? Io non dico in verità che con questo precetto non ci venga comandato di essere generosi, di avere pietà per i poveri e di possedere una bontà illimitata, tanto da spingerci a coprire coloro che sono nudi coll`altra nostra tunica; ma affermo che questo passo ammette un`interpretazione piú profonda. Noi dobbiamo donare una tunica a chi ne è completamente sprovvisto: chi è quest`uomo senza tunica? E` colui che è assolutamente privo di Dio. Noi dobbiamo spogliarci e dare la tunica a chi è nudo. Uno possiede Dio, e l`altro, cioè il potere avversario, ne è del tutto privo. E cosí come sta scritto: "precipitiamo i nostri delitti in fondo al mare" (Mi 7,19), nello stesso senso dobbiamo buttar via lontano da noi i vizi e i peccati e gettarli su colui che è stato per noi la causa di essi.

 

       (Origene, In Evang. Luc., 23, 3)

 

 

5. L`unzione dell`olio

 

       Cose simili a queste sono anche in Luca. Guarivano i malati ungendoli di olio è un particolare del solo Marco (Mc 6,13), ma c`è qualcosa di simile nella lettera Cattolica di Giacomo ove dice: "Sta male qualcuno in mezzo a voi, ecc." (Gc 5,14-15). L`olio è un rimedio per la stanchezza ed è fonte di luce e di gioia. L`unzione dell`olio, quindi, significa la misericordia di Dio, il rimedio delle malattie e l`illuminazione del cuore. Che la preghiera faccia tutto questo lo sanno tutti; l`olio, come credo, è simbolo di queste cose.

 

       (Cirillo di Ales., In Marcum comment. 6, 13)

 

 

6. Il sacerdote, profeta di verità, anche se sgradito

 

       Non è degno d`un imperatore interdire la libertà di parola e non è degno d`un sacerdote non dire ciò che pensa. Niente in voi imperatori è cosí democratico e amabile, quanto gradire la libertà, anche in quelli che vi devono l`obbedienza militare. Questa è la differenza che passa tra i buoni e i cattivi principi: i buoni amano la libertà, i cattivi la schiavitú. Niente in un sacerdote è cosi pericoloso presso Dio e turpe presso gli uomini quanto il non dire liberamente ciò ch`egli pensa. Sta scritto: "Parlavo a tua testimonianza in faccia ai re e non mi vergognavo" (Sal 118,46) e altrove: "Figlio dell`uomo, ti ho messo a guardia della casa d`Israele, perché, se il giusto dovesse lasciar la via della giustizia e commettesse un delitto e tu non gli dicessi niente, non rimarrà nessun ricordo della sua passata giustizia e chiederò conto a te della sua condanna. Se però tu aprirai gli occhi al giusto, in modo che non cada nel peccato, ed egli non peccherà, il giusto vivrà e, perché tu gli parlasti, anche la tua vita sarà salva" (Ez 3,17-19).

 

       (Ambrogio, Epist., 40, 2)

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XVI DOMENICA

 

Letture:     Geremia 23,1-6

       Efesini 2,13-18

       Marco 6,30-34

 

1. Gesù esige l`impegno di cercarlo

 

       Ritornati gli apostoli da Gesú, gli riferirono tutte le cose che avevano fatto e insegnato (Mc 6, 30).

       Gli apostoli non riferiscono al Signore soltanto ciò che essi avevano fatto e insegnato, ma, come narra Matteo, i suoi discepoli, o i discepoli di Giovanni, gli riferiscono il martirio che Giovanni ha subito mentre essi erano impegnati nell`apostolato (cf. Mt 14,12). Continua pertanto:

       "E disse loro: «Venite voi soli in un luogo deserto a riposarvi un poco»" (Mc 6,31), con quel che segue.

       Fa cosí non soltanto perché essi avevano bisogno di riposo, ma anche per un motivo mistico, in quanto, abbandonata la Giudea che aveva con la sua incredulità strappato via da sé il capo della profezia, era sul punto di largire nel deserto, ai credenti di una Chiesa che non aveva sposo, il cibo della parola, simile a un banchetto fatto di pani e di pesci. Qui infatti i santi predicatori, che erano stati a lungo schiacciati dalle pesanti tribolazioni nella Giudea incredula e contestataria, trovano pace grazie alla fede che viene concessa ai gentili. E mostra che vi era necessità di concedere un po` di riposo ai discepoli con le parole che seguono:

       "Erano infatti molti quelli che venivano e quelli che andavano; ed essi non avevano neanche il tempo di mangiare" (Mc 6,31).

       E` chiara da queste parole la grande felicità di quel tempo che nasceva dalla fatica incessante dei maestri e dallo zelo amoroso dei discenti. Oh, tornasse anche ai nostri giorni tanta felicità, in modo che i ministri della parola fossero talmente assediati dalla folla dei fedeli e degli ascoltatori da non avere piú nemmeno il tempo di prendersi cura del proprio corpo! Infatti, gli uomini cui è negato il tempo di prendersi cura del corpo, hanno molto meno la possibilità di dedicarsi ai desideri terreni dell`anima o della carne; anzi, coloro da cui si esige in ogni momento, a tempo opportuno e importuno, la parola della fede e il ministero della salvezza, hanno di conseguenza l`animo sempre ardentemente proteso a pensare e a compiere cose celesti, in modo che le loro azioni non contraddicano gli insegnamenti che escono dalla loro bocca.

       "E saliti sulla barca, partirono per un luogo deserto e appartato" (Mc 6,32).

       I discepoli salirono sulla barca non soli, ma dopo aver con sé il Signore, e si recarono in un luogo appartato, come chiaramente racconta l`evangelista Matteo (cf. Mt 14,13).

       "E li videro mentre partivano e molti lo seppero e a piedi da tutte le città accorsero in quel luogo e li precedettero" (Mc 6,33)

       Dicendo che li precedettero a piedi, si deduce che i discepoli col Signore non andarono con la barca all`altra riva del mare o del Giordano ma, varcato con la barca un braccio di mare o del lago, raggiunsero una località vicina a quella stessa regione che gli abitanti del luogo potevano raggiungere anche a piedi.

       "E uscito dalla barca, Gesú vide una grande folla, e si mosse a compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e prese a dare loro molti insegnamenti" (Mc 6,34).

       Matteo spiega piú chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: "Ebbe misericordia della folla e risanò i loro ammalati" (Mt 14,14). Questo è infatti nutrire veramente compassione dei poveri e di coloro che non hanno pastore, cioè mostrare loro la via della verità con l`insegnamento, liberarli con la guarigione dalle malattie corporali, ma anche spingerli a lodare la sublime liberalità del Signore ristorando gli affamati. Le parole seguenti di questo passo sottolineano appunto che egli fece tutto questo. Mette alla prova la fede delle folle e, dopo averla provata, la ricompensa con un degno premio. Cercando infatti la solitudine, vuol vedere se le folle vogliono o no seguirlo. Esse lo seguono e, compiendo il viaggio fino al deserto, «non su cavalcature o su carri, ma con la fatica dei loro piedi» (Girolamo), dimostrano quale pensiero essi abbiano per la loro salvezza. E Gesú, come colui che può, ed è salvatore e medico, fa intendere quanta consolazione riceva dall`amore di coloro che credono in lui, accogliendo gli stanchi, ammaestrando gli ignoranti, risanando gli infermi e ristorando gli affamati. Ma secondo il significato allegorico, molte schiere di fedeli, dopo aver abbandonato le città dell`antica vita, ed essersi liberati dall`appoggio di varie dottrine, seguono Cristo che si dirige nel deserto dei gentili. E colui che era un tempo «Dio conosciuto solo in Giudea» (cf. Sal 75,2), dopo che i denti dei giudei sono diventati «armi e frecce, e la loro lingua una spada tagliente», viene esaltato «come Dio al di sopra dei cieli e la sua gloria si diffonde su tutta la terra»«(cf. Sal 56,5-6).

 

       (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 6, 30-34)

 

 

2. Il comando di Dio: la continenza

 

       Ogni mia speranza è posta nell`immensa grandezza della tua misericordia. Da` ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Ci comandi la continenza e qualcuno disse: "Conscio che nessuno può essere continente se Dio non lo concede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono". La continenza in verità ci raccoglie e riconduce a quell`unità, che abbiamo lasciato disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua. O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami! Comandi la continenza. Ebbene, da` ciò che comandi e comanda ciò che vuoi.

 

       (Agostino, Confess., 10, 29, 40)

 

 

3. Valore della misericordia

 

       Dio ha tanta premura per la misericordia, che, fattosi uomo e vivendo con noi, non disdegnò e non ebbe vergogna di distribuire lui stesso ciò che serviva ai poveri. Sebbene avesse creato tanto pane e potesse fare, con una parola, tutto ciò che voleva, sebbene potesse allineare tutti insieme centinaia di tesori, non ne fece nulla; invece volle che i suoi discepoli avessero un borsello e che lo portassero appresso, per avere di che soccorrere gl`indigenti. Dio, infatti, fa gran conto della misericordia; non solo della sua, ma anche della nostra verso i fratelli; e fece molte leggi nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, che hanno per oggetto la misericordia in parole, in danaro e in opere. Di questa parla Mosè a ogni passo: questa a nome di Dio proclamano i Profeti - "Voglio misericordia e non sacrificio" (Os 6,6) -; gli Apostoli dicono e fanno la stessa cosa (Mt 9,13). Non la trascuriamo, allora; non giova solo ai poveri, giova anche a noi; riceviamo piú di quanto diamo.

 

       (Giovanni Crisostomo, De eleemos., 5)

 

 

4. Dio si fa uomo per amore

 

       Per qual motivo mai, ci si chiede, Dio si è umiliato a tal segno, che la fede rimane sconcertata di fronte al fatto che egli, benché non possa esser posseduto né compreso dalla ragione e non si diano parole all`altezza di descriverlo, giacché trascende ogni definizione ed ogni limite, venga poi a mischiarsi con l`involucro meschino e volgare della natura umana, al punto da far apparire le sue sublimi e celesti opere come vili anch`esse, in seguito ad una mescolanza cosí disdicevole?

       Non ci manca certo la risposta che conviene a Dio. Tu vuoi sapere il motivo per il quale Dio è nato fra gli uomini? Ebbene, se tu eliminassi dalla vita i benefici che hai ricevuto da Dio, non potresti certo piú indicare le cose attraverso le quali riconosci Dio. Noi riconosciamo la sua opera, infatti, proprio per il tramite di quei benefici di cui veniamo gratificati: è osservando ciò che accade, appunto, che noi individuiamo la natura di chi compie l`opera. Se, adunque, l`indizio e la manifestazione tipica della natura divina sono rappresentati dalla benevolenza di Dio nei confronti degli uomini, ecco che tu hai la risposta che chiedevi, il motivo, cioè, in base al quale Dio è venuto fra gli uomini. La nostra natura, infatti, afflitta com`era da una malattia, aveva bisogno di un medico. L`uomo, che era caduto, aveva bisogno di chi lo rimettesse in piedi. Chi aveva perduto la vita, aveva bisogno di chi la vita gli restituisse. Occorreva, a chi aveva smesso di compiere il bene, qualcuno che sulla via del bene lo riconducesse. Invocava la luce chi era prigioniero delle tenebre. Il detenuto aveva bisogno di chi lo liberasse, l`incatenato di chi lo sciogliesse, lo schiavo di chi lo affrancasse. Ora, son forse questi dei motivi futili e inadeguati perché Dio se ne sentisse stimolato a discendere in mezzo all`umanità, afflitta in questo modo dall`infelicità e dalla miseria?

 

       (Gregorio di Nissa, Catech. magna, 14-15)

 

 

5. Pur rinnovati in Cristo, portiamo il peso della carne

 

       Dobbiamo considerare attentamente ciò che noi stessi siamo, e ciò che abbiamo intrapreso a esaminare. Siamo uomini, portiamo il peso della carne, siamo pellegrini in questa vita: anche se siamo stati rigenerati dalla parola di Dio, siamo stati rinnovati in Cristo, ma in modo da non essere ancora del tutto spogliati della antica natura di Adamo. E manifesto che quanto c`è in noi di mortale e di corruttibile, che opprime la nostra anima, deriva da Adamo (cf. Sap 9,15), mentre quanto c`è in noi di spirituale, che innalza l`anima, deriva dal dono di Dio e dalla misericordia di colui che mandò il suo Unigenito a condividere con noi la nostra morte, per condurci alla sua immortalità. Egli è il nostro maestro, che ci insegna a non peccare; il nostro intercessore, se avremo peccato e ci saremo confessati e saremo tornati a Dio; il nostro avvocato, se desideriamo dal Signore qualche grazia; ed è lui stesso, con il Padre, che ci elargisce doni e grazie, perché Padre e Figlio sono un solo Dio. Ma egli insegnava queste cose da uomo che parla agli uomini; la divinità era occulta, manifesto era l`uomo, affinché manifesta si facesse la divinità dell`uomo. Da Figlio di Dio si è fatto figlio dell`uomo, per fare altrettanti figli di Dio dei figli degli uomini. Riconosciamo, dunque, dalle sue stesse parole, che egli ha fatto tutto questo grazie alle risorse della sua sapienza. Si faceva piccolo per parlare ai piccoli, ma egli era piccolo e insieme grande; noi invece siamo piccoli, e grandi solo in lui. Egli parlava come fa la madre che riscalda e nutre i lattanti, che crescono grazie al suo amore.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 21, 1)

 

 

6. La carità vera si traduce in opere di misericordia

 

       Perciò, la Verità stessa (Cristo), mostratasi a noi nell`assunzione della nostra umanità, mentre sul monte si immerge nella preghiera nelle città opera miracoli (cf. Lc 6,12); ciò evidentemente nell`intento di appianare la via della imitazione alle buone guide di anime, perché, pur protese verso le supreme altezze della contemplazione, nondimeno si mescolino con la compassione alle necessità degli infermi. Infatti, la carità tende mirabilmente in alto se ed in quanto attratta in basso dalla misericordia verso i prossimi; e con quanto maggior benevolanza si piega verso le infermità, tanto piú gagliardamente risale alle vette.

 

       (Gregorio Magno, Lib. Reg. Pastor., 2, 5)

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XVII DOMENICA

 

Letture:     2 Re 4,42-44

       Efesini 4,1-6

       Giovanni 6,1-15

 

1. L`Eucaristia, dono grande e gratuito

 

       Nel deserto, Nostro Signore moltiplicò il pane (cf. Mt 14,13-21; 15,32-38; Gv 6,1-13), e a Cana mutò l`acqua in vino (cf. Gv 2,1-11). Abituò cosí la loro bocca al suo pane e al suo vino per il tempo in cui avrebbe dato loro il suo corpo e il suo sangue. Fece loro gustare un pane e un vino caduchi per suscitare in loro il desiderio del suo corpo e sangue che danno la vita. Diede loro con liberalità queste piccole cose perché sapessero che il suo dono supremo sarebbe stato gratuito. Le diede loro gratuitamente, sebbene avessero potuto acquistarle da lui, affinché sapessero che non sarebbe stato loro richiesto il pagamento di una cosa inestimabile; infatti, se potevano pagare il prezzo del pane e del vino, non avrebbero certamente potuto pagare il suo corpo e il suo sangue.

       Non soltanto ci ha colmato gratuitamente dei suoi doni, ma ancor piú ci ha vezzeggiati affettuosamente. Infatti, ci ha donato queste piccole cose gratuitamente per attirarci, affinché andassimo e ricevessimo gratuitamente quella cosa sí grande che è l`Eucaristia. Quegli acconti di pane e di vino che ci ha dato erano dolci alla bocca, ma il dono del suo corpo e del suo sangue è utile allo spirito. Egli ci ha attirati con quelle cose gradevoli al palato per trascinarci verso colui che dà la vita alle anime. Ha nascosto la dolcezza nel vino da lui fatto, per indicare ai convitati quale tesoro magnifico è nascosto nel suo sangue vivificante.

       Come primo segno, fece un vino che dà allegria ai convitati per mostrare che il suo sangue avrebbe dato allegria a tutte le genti. Il vino è parte in tutte le gioie immaginabili e parimenti ogni liberazione si riconnette al mistero del suo sangue. Diede ai convitati un vino eccellente che trasformò il loro spirito per far sapere loro che la dottrina con cui li abbeverava avrebbe trasformato i loro cuori. Ciò che all`inizio non era che acqua fu mutato in vino nelle anfore; era il simbolo del primo comandamento portato a perfezione; l`acqua trasformata era la legge perfezionata. I convitati bevevano ciò che era stato acqua, ma senza gustare l`acqua. Parimenti, quando udiamo gli antichi comandamenti, li gustiamo nel loro sapore nuovo. Al precetto: Schiaffo per schiaffo (cf. Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21) è stata sostituita la perfezione: "Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l`altra" (Mt 5,39).

       L`opera del Signore ottiene tutto; in un baleno, egli ha moltiplicato un po` di pane. Ciò che gli uomini fanno e trasformano in dieci mesi di lavoro, le sue dieci dita l`hanno compiuto in un istante. Le sue mani furono come una terra sotto il pane; e la sua parola come il tuono al di sopra di lui; il sussurro delle sue labbra si sparse su di lui come una rugiada e l`alito della sua bocca fu come il sole; in un brevissimo istante egli ha portato a termine quanto richiede di norma un lungo lasso di tempo. Dalla piccola quantità di pane è sorta una moltitudine di pani; come all`epoca della prima benedizione: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gen 1,28). I pezzi di pane, prima sterili e insignificanti, grazie alla benedizione di Gesú - quasi seno fecondo di donna - hanno dato frutto da cui sono sopravanzati molteplici frammenti.

       Il Signore ha mostrato il vigore penetrante della sua parola a quelli che l`ascoltavano, e ha mostrato la rapidità con la quale egli elargiva i suoi doni a quelli che ne beneficiavano. Non ha moltiplicato il pane al punto che avrebbe potuto, ma fino alla quantità sufficiente per i convitati. Il miracolo non fu su misura della sua potenza, bensí della fame degli affamati. Se, infatti, il miracolo fosse stato misurato sulla sua potenza, riuscirebbe impossibile valutare la vittoria di quella. Commisurato alla fame di migliaia di persone, il miracolo ha superato le dodici ceste (cf. Mt 14,20). In tutti gli artigiani, la potenza è inferiore alla richiesta dei clienti; essi non possono fare tutto quanto gli domandano i clienti. Le realizzazioni di Dio, invece, superano i desideri. E: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (Gv 6,12) e non si pensi che il Signore abbia agito solo per fantasia. Ma, quando i resti saranno stati conservati un giorno o due, crederanno che il Signore ha agito in verità, e che non si trattò di un fantasma inconsistente.

 

       (Efrem, Diatessaron, 12, 1-4)

 

 

2. L`Eucaristia tra natura e grazia

 

       I miracoli che fece nostro Signore Gesú Cristo, sono opere divine che insegnano alla mente umana a elevarsi al di sopra delle cose visibili per comprendere ciò che è Dio. Siccome Dio è una natura che non è visibile agli occhi del corpo, e siccome i miracoli, con i quali egli regge e governa tutto il mondo e ogni creatura dell`universo, sembrano aver perduto valore perché ininterrottamente si ripetono, tanto che nessuno pensa piú di apprezzare la pur stupefacente e mirabile potenza divina che si manifesta anche in un chicco di grano, nella sua misericordia egli si riservò alcune cose, da compiere al momento opportuno e al di fuori del normale corso degli avvenimenti naturali, in modo da suscitare stupore alla vista di tali fatti, non maggiori, ma insoliti, rispetto a quei quotidiani avvenimenti che non destano piú impressione. E` certamente un maggiore miracolo il governare tutto il mondo, che saziare cinquemila uomini con cinque pani; e, tuttavia, nessuno se ne stupisce mentre gli uomini si meravigliano di fronte al miracolo dei pani, non perché si tratta di una cosa maggiore dell`altra, ma perché è rara. Chi, infatti, nutre tutto il mondo, se non colui che da pochi chicchi crea le messi? E il Signore agí proprio come agisce Dio. Con la sua potenza divina moltiplica pochi chicchi facendone nascere le messi, e con la stessa potenza moltiplicò nelle sue mani i cinque pani. Vi era potenza infatti nelle mani di Cristo, e quei cinque pani erano come semi di grano che non furono gettati in terra nei solchi, ma furono moltiplicati da colui che aveva creato la terra.

       Questo fatto colpisce i nostri sensi e ci obbliga a elevare la mente; questo prodigio, compiuto sotto i nostri occhi, ci spinge a sforzare l`intelletto, in modo da ammirare, attraverso le opere visibili, Dio invisibile, e in modo da desiderare, dopo esserci innalzati alla fede ed esserci per mezzo di essa purificati, di riuscire a vedere Dio, la cui natura invisibile abbiamo conosciuto attraverso le opere visibili.

       Ma non è solo questo che dobbiamo vedere nei miracoli di Cristo. Interroghiamo gli stessi miracoli, sentiamo cosa ci dicono di Cristo: essi hanno infatti un loro linguaggio, se si sa intenderlo. Dato che Cristo è il Verbo di Dio, ogni atto del Verbo è per noi una parola.

       Abbiamo udito quanto fu grande questo miracolo: cerchiamo ora di vedere quanto sia profondo: non lasciamoci attrarre solo da ciò che appare in superficie, ma scrutiamone la sublime altezza . . .

       Il Signore vide la folla, si rese conto che essa aveva fame e misericordiosamente la nutrí, grazie alla sua bontà e alla sua potenza. A cosa avrebbe giovato la sola bontà, in quel luogo dove non c`era niente per nutrire la turba di affamati? Se alla bontà non si fosse aggiunta la potenza, quella folla digiuna sarebbe rimasta in preda alla fame...

       I cinque pani significano i cinque libri di Mosè: giustamente essi non sono di frumento ma d`orzo, poiché essi appartengono al Vecchio Testamento. Voi sapete che l`orzo è, per sua natura, fatto in modo che è difficile arrivare sino al midollo, che è rivestito di un tegumento tenace e molto aderente, che solo a fatica si riesce a togliere. Cosí è la parola del Vecchio Testamento, rivestita di immagini e misteri terreni: ma se si riesce ad arrivare al midollo, ce se ne può nutrire e saziare...

       E` venuto anch`egli nascosto nel mistero del midollo dell`orzo, per cui si manifestava, e del rivestimento dell`orzo, per cui restava nascosto. Egli stesso, cioè il Signore, venne portando in sé ambedue le persone, del sacerdote e del re: del sacerdote in quanto egli si offrí come vittima a Dio per salvare noi, del re in quanto da lui siamo governati: e ci vengono svelati i misteri che erano tenuti nascosti. Rendiamo a lui grazie: ha realizzato in se stesso ciò che nel Vecchio Testamento ci aveva promesso.

       Egli ordinò di spezzare i pani; e spezzandoli essi furono moltiplicati. Niente può esserci di piú vero di questo. Quei cinque libri di Mosè, quanti libri produssero quando furono spiegati, cioè quando furono spezzati, vale a dire discussi ed esaminati? ...

       Infine, che impressione ricevettero coloro che assistettero al prodigio? "Quella gente" - dice l`evangelista -, "veduto il prodigio che era stato compiuto, diceva: «Questo qui è davvero il profeta»"(Gv 6,14).

       Probabilmente ritenevano che Cristo fosse un profeta, in quanto si erano trovati seduti sull`erba. In verità egli era il Signore dei profeti, colui che aveva realizzato le profezie e che aveva santificato i profeti: e lui stesso era profeta, in quanto a Mosè era stato detto: "Farò sorgere per loro un profeta simile a te" (Dt 18,18). Simile secondo la carne, non simile secondo la maestà. E che quella promessa del Signore aveva per oggetto lo stesso Cristo, noi abbiamo letto chiaramente negli Atti degli Apostoli (cf. At 7,37). Lo stesso Signore dice di se stesso: "Non c`è profeta senza onore, se non nella sua patria" (Gv 4,44). Il Signore è profeta, il Signore è il Verbo di Dio e nessun profeta può profetare senza il Verbo di Dio; il Verbo di Dio è con i profeti ed egli stesso è profeta. I tempi che ci hanno preceduto meritarono di avere profeti ispirati e colmati di verità dal Verbo di Dio: noi abbiamo meritato di avere come profeta lo stesso Verbo di Dio. E Cristo è profeta come è Signore dei profeti, cosí come è angelo, e Signore degli angeli. Egli stesso è detto angelo del grande consiglio (cf. Is 9,6). E, del resto, cosa dice altrove il profeta? Non sarà né un inviato né un angelo, ma verrà egli stesso per salvarli; cioè per salvarli non manderà un inviato, non manderà un angelo, ma verrà egli stesso. Chi verrà? Verrà egli stesso come un angelo. Ma non per mezzo di un angelo, a meno che non si intenda che egli è un angelo, ma in quanto Signore degli angeli. Del resto, in latino, la parola angelo significa annunziatore, messaggero. Se Cristo non avesse annunziato niente, non sarebbe stato detto angelo; se non avesse profetato niente, non sarebbe stato chiamato profeta. Egli ci ha esortato ad abbracciare la fede, a meritarci la vita eterna: certe cose le annunziò con la sua presenza, altre le preannunciò come future. In quanto con la sua presenza annunziava, era un angelo; in quanto prediceva il futuro, era un profeta; in quanto Verbo di Dio fatto uomo, era Signore degli angeli e dei profeti.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 24, 1 ss.)

 

 

3. Il significato della moltiplicazione dei pani

 

       Cristo ha condotto la folla in un luogo deserto, perché il miracolo non sia assolutamente sospetto, e nessuno pensi che sia stato portato del cibo da qualche villaggio vicino. Per tale motivo l`evangelista ricorda anche l`ora, e non solo il luogo del miracolo.

       Ma in questa circostanza noi apprendiamo anche un`altra cosa: l`austerità cioè degli apostoli nelle necessità della vita e il loro disprezzo per il lusso e per ogni delicatezza. Sono dodici e hanno soltanto cinque pani e due pesci. Tanto trascurabile e secondario è per loro ciò che riguarda il corpo, e tanto presi e interessati sono esclusivamente delle cose spirituali. E neppure tengono per sé quel poco che hanno, ma lo donano a chi lo chiede loro. Da ciò dobbiamo imparare che per quanto poco noi abbiamo, pure questo dobbiamo dare a chi ne ha bisogno. Infatti, quando Gesú chiede agli apostoli di portargli quei cinque pani, non rispondono: E da che parte verrà il cibo per noi? come potremo calmare la nostra fame?, ma obbediscono immediatamente.

       Mi sembra inoltre che Gesú moltiplichi quei pochi pani che gli portano i discepoli, piuttosto che crearne altri dal niente, per spinger loro a credere, dato che la loro fede è ancora molto debole. Anche per questo il Signore leva gli occhi al cielo. Degli altri miracoli essi avevano molti esempi, ma del miracolo che ora sta per compiere, nessuno. Presi e spezzati i pani, li distribuisce per mano dei discepoli, onorandoli con tale incarico. Ma non solo intende render loro questo onore; vuole pure che al momento del miracolo non dubitino e che in seguito non se ne dimentichino, in quanto le loro stesse mani ne sono state testimoni. Per tale motivo permette anche, prima del miracolo, che la folla senta fame, e attende che gli apostoli si avvicinino e gli parlino. Per mezzo loro fa sedere tutti sull`erba e fa distribuire il pane, volendo prevenire sia gli uni che gli altri mediante le loro stesse dichiarazioni e i loro atti. Sempre per tale motivo prende dalle loro mani i pani, in modo che vi siano molte testimonianze del fatto ed essi abbiano molti ricordi del miracolo. Se infatti, dopo tante prove gli apostoli si dimenticano del miracolo, che avrebbero mai fatto se Gesú non avesse preso tali precauzioni? Gesú ordina alla folla di sedersi sull`erba, dando cosí una lezione di vita semplice, senza tante esigenze, poiché non vuole solo nutrire i corpi ma anche istruire le anime.

 

       (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 49, 2)

 

 

4. Preghiera eucaristica

 

Per l`Eucaristia ringraziate cosí:

Prima sul calice:

«Ti ringraziamo, o Padre nostro,

per la santa vite di David tuo servo

che a noi rivelasti per mezzo di Gesú tuo figlio.

A te la gloria nei secoli».

Per il pane spezzato:

«Ti ringraziamo, Padre nostro,

per la vita e la conoscenza

che a noi rivelasti per mezzo di Gesú tuo figlio.

A te la gloria nei secoli.

Come questo pane spezzato era sparso sui colli

e raccolto divenne una cosa sola

cosí la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno

poiché tua è la gloria e la potenza per Gesú Cristo nei secoli».

Nessuno mangi né beva della vostra Eucaristia, tranne i battezzati

nel nome del Signore. Per questo il Signore disse: non date

le cose sante ai cani (cf. Mt 7,6).

Dopo esservi saziati ringraziate cosí:

«Ti rendiamo grazie, o Padre santo,

per il tuo santo nome

che hai fatto abitare nei nostri cuori

per la conoscenza, la fede e l`immortalità

che rivelasti a noi per mezzo di Gesú tuo figlio.

A te la gloria nei secoli.

Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa per il tuo nome

e hai dato agli uomini a piacere cibo e bevanda

perché ti rendano grazie

e a noi donasti un cibo spirituale

una bevanda

e una vita eterna per mezzo di tuo figlio.

Prima di tutto ti ringraziamo perché sei potente;

a te la gloria nei secoli».

Ricordati, Signore, della tua Chiesa,

liberala da ogni male

rendila perfetta nel tuo amore

e santificata raccoglila dai quattro venti (cf. Mt 24,31) nel tuo

regno

che ad essa preparasti

perché tua è la potenza e la gloria nei secoli.

Venga la grazia e passi questo mondo.

Osanna al Dio di David.

Chi è fedele venga

chi non lo è si converta

Maran athà (cf. 1Cor 16,22; Ap 22,20). Amen.

 

       (Didacbè, IX ss.)

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XVIII DOMENICA

 

Letture:     Esodo 16,2-4.12-15

       Efesini 4,17.20-24

       Giovanni 6,24-35

 

 

1. Sazietà e desiderio senza fine

 

       "Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà piú fame e chi crede in me non avrà piú sete" (Gv 6,35).

       "Chi viene a me" ha lo stesso significato di "chi crede in me". "Non avrà piú fame" vuol dire la stessa cosa di "non avrà piú sete". In un caso e nell`altro è significata la sazietà eterna quando piú nulla manca.

       Precisa, peraltro, la Sapienza: "Coloro che mi mangiano, avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete" (Sir 24,29). Cristo, Sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,24), non è mangiato fin d`ora fino a saziare il nostro desiderio, ma solo nella misura in cui eccita il nostro desiderio di sazietà; e piú gustiamo la sua dolcezza piú il nostro desiderio si ravviva. Ecco perché coloro che lo mangiano avranno ancora fame fino a che non sopraggiunge la sazietà. Ma, quando il loro desiderio sarà stato soddisfatto dai beni celesti, essi non avranno piú né fame né sete (cf. Ap 7,16).

       La frase: "Coloro che mi mangiano avranno ancora fame", può anche intendersi in rapporto al mondo futuro: infatti vi è in questa sazietà eterna una sorta di fame, che non deriva dal bisogno bensí dalla felicità. I commensali desiderano mangiarvi in continuazione: mai soffrono la fame, e nondimeno mai cessano dal venir saziati. Sazietà senza ingordigia, desiderio senza gemito. Cristo, sempre ammirabile nella sua bellezza, è del pari sempre desiderabile, "lui che gli angeli desiderano ammirare" (1Pt 1,12).

       Cosí, proprio quando lo si possiede lo si desidera; proprio quando lo si afferra lo si cerca, secondo quanto è scritto: "Cercate sempre il suo volto" (Sal 104,4).

       Sí, lo si cerca sempre, colui che si ama per sempre possederlo. Per cui, coloro che lo trovano lo cercano ancora, quelli che lo mangiano ne hanno ancora fame, quelli che lo bevono ne hanno ancora sete.

       Tale ricerca, però, rimuove ogni preoccupazione, tale fame scaccia ogni fame, tale sete estingue ogni sete. E` fame non dell`indigenza, bensí della felicità consumata. Della fame dell`indigente, è detto: "Chi viene a me non avrà piú fame, chi crede in me non avrà piú sete". Della fame del beato, invece: "Coloro che mi mangiano avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete".

       Il termine fame può intendersi come equivalente di sete, sia che si tratti della miseria, sia che si tratti della felicità; però, se si preferisce sottolineare una differenza, il Salmista ne fornisce l`occasione, allorché dice: "Il pane sostiene il cuore dell`uomo", e: "Il vino allieta il cuore dell`uomo" (Sal 103,15).

       Per coloro che credono in lui, Cristo è cibo e bevanda, pane e vino. Pane che fortifica e rinvigorisce, del quale Pietro dice: "Il Dio di ogni grazia, che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesú, ci ristabilirà lui stesso dopo breve sofferenza, ci rafforzerà e ci renderà saldi" (1Pt 5,10). Bevanda e vino che allieta; è ad esso che si richiama il Profeta in questi termini: "Allieta l`anima del tuo servo; verso di te, infatti, o Signore, ho innalzato la mia anima" (Sal 85,4).

       Tutto ciò che in noi è forte, robusto e solido, gioioso e allegro, per adempiere i comandamenti di Dio, sopportare la sofferenza, eseguire l`obbedienza, difendere la giustizia, tutto questo è forza di quel pane o gioia di quel vino. Beati coloro che agiscono fortemente e gioiosamente!

       E siccome nessuno può farlo di suo, beati coloro che desiderano avidamente di praticare ciò che è giusto e onesto, ed essere in ogni cosa fortificati e allietati da Colui che ha detto: "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5,6). Se Cristo è il pane e la bevanda che assicurano fin da ora la forza e la gioia dei giusti, quanto di piú egli lo sarà in cielo, quando si donerà ai giusti senza misura!

 

       (Baldovino di Ford, De sacram. altar., 2, 3)

 

 

2. Caratteristiche del Pane di Cristo

 

       Altro è il cibo che dà salute e vita e altro il cibo che raccomanda e riporta l`uomo a Dio, altro il cibo che ristora i deboli, richiama gli erranti, rialza i caduti, porge ai morenti il distintivo dell`immortalità. Cerca il pane di Cristo, il calice di Cristo, se vuoi che la vita dell`uomo, mettendo da parte le cose periture della terra, si nutra d`un pascolo immortale.

       Ma qual è questo pane, o questo calice, del quale la Sapienza nel libro di Salomone dice a gran voce: "Venite, mangiate il mio pane e bevete il vino, che ho versato per voi" (Pr 9,5)? E Melchisedech, re di Salem e sacerdote del sommo Dio, al ritorno di Abramo, offrí un sacrificio in pane e vino (Gen 14,18). Ed anche Isacco, avendo già dato la benedizione a Giacobbe, poiché Esaú lo supplicava di benedire anche lui, gli rispose: "L`ho già costituito tuo padrone e i suoi fratelli li ho fatti suoi servi, l`ho provveduto di frumento e di vino" (Gen 27,37). Allora Esaú pianse amaramente la sua disgrazia, perché aveva perduto la grazia del frumento e del vino, cioè la grazia della felicità futura.

       Che poi questo pane divino sia offerto a persone consacrate, lo dice lo Spirito Santo per mezzo di Isaia: Cosí dice il Signore: ecco, coloro che mi servono, mangeranno, voi invece avrete fame; coloro che mi servono, saranno felici, voi avrete vergogna, il Signore vi ucciderà (Is 65,13-15). Non solo questo pane è rifiutato da Dio agli empi, ma vien minacciata anche una pena, si parla di morte acerba, come conseguenza dell`ira divina per gli affamati. A questo si riferiscono anche le venerande parole del salmo 33. Dice infatti lo Spirito Santo per mezzo di David: "Gustate e vedete quanto è dolce il Signore" (Sal 33,9). E` dolce il pascolo celeste, è dolce il cibo di Dio e non ha in sé il triste tormento della fame ed espelle dalle midolla degli uomini la malignità del veleno che vi trova. E che sia cosí lo dichiarano i seguenti oracoli della Scrittura: "Temete il Signore, voi che siete consacrati a lui, perché non manca nulla a coloro che lo temono. I ricchi soffriranno la fame, ma quelli che cercano il Signore, non mancheranno di alcun bene" (Sal 33,10). Tu che avanzi paludato nel tempio, che splendi di porpora, il cui capo è coperto di oro o alloro, una turpe indigenza sta per raggiungere il tuo errore e sul tuo capo pende un grave peso di povertà. Colui che tu disprezzi come povero, è ricco; Abramo gli prepara un trono nel suo seno. Tu invece, per mitigare le ferite della tua coscienza, attraverso le fiamme, gli chiederai una stilla d`acqua gocciolante e Lazzaro, anche se volesse, non potrà darti né impetrarti quel lenimento del tuo dolore. A lui è assegnata la vita in compenso dei mali di questo secolo, a te viene assegnata una perpetua pena di tormenti per i beni di questo secolo.

       Perché si capisse meglio quale fosse il pane per mezzo del quale si supera la morte, il Signore stesso lo ha indicato con la sua santa parola, perché la speranza degli uomini non fosse ingannata da false interpretazioni. Dice infatti nel Vangelo di Giovanni: "Io sono il pane della vita. Chi verrà a me non avrà fame, cbi crederà in me non avrà mai sete" (Gv 6,35). La stessa cosa dice nelle frasi seguenti: "Se uno ha sete, venga; e beva, chi crede in me". E di nuovo, per dare la sostanza della sua maestà a coloro che credono in lui dice: "Se non mangerete la carne del figlio dell`uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi".

       O miseri mortali fatti dèi! Cercate la grazia del cibo salutare e bevete il calice immortale. Cristo col suo cibo vi richiama alla luce e vivifica i vostri arti avvelenati e le vostre membra intorpidite. Ravvivate col cibo celeste l`uomo perduto, in modo che rinasca in voi, per grazia di Dio, tutto ciò che è morto. Sapete ormai che cosa val la pena fare, scegliete ciò che vi piace. Di là nasce la morte, di qui sgorga la vita immortale.

 

       (Firmico Materno, De errore prof. relig., 18, 2-8)

 

 

3. Unione del collegio presbiterale con il vescovo

 

       Conviene procedere d`accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesú Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell`armonia del vostro accordo prendendo nell`unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesú Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesú Cristo. E` necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio...

       Nessuno s`inganni: chi non è presso l`altare, è privato del pane di Dio (cf. Gv 6,33). Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto piú quella del vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto: "Dio resiste agli orgogliosi" (Pr 3,34). Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio...

       Ognuno e tutti insieme nella grazia che viene dal suo nome vi riunite in una sola fede e in Gesú Cristo del seme di David (cf. Rm 1,3) figlio dell`uomo e di Dio per ubbidire al vescovo e ai presbiteri in una concordia stabile spezzando l`unico pane che è rimedio di immortalità...

       Come Gesú Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l`Eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c`è Gesú Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l`agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro.

 

       (Ignazio di Antiochia, Ad Ephes., 4, 1-2; 5, 2-3; Ad Smyrn., 7, 2; 8, 2)

 

 

4. Essere disposti a perdere tutto per guadagnare Cristo

 

       Uomini avidi! Perché restate avvinti al desiderio di guadagno? Perché non apprendere l`arte? Perché non disprezzate ciò che è privo di valore, o meglio, svantaggio e sozzura, per guadagnare Cristo? "Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia?" (Is 55,2). A me sembra che ai vostri occhi "il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo" (Gv 6,33) abbia meno valore del vostro denaro!... Se l`avaro stimasse almeno la propria persona piú preziosa della propria fortuna! Se potesse non mettere in vendita la propria anima per amore del denaro, e fintanto che resta in vita, non strapparsi le viscere (cf.Sir 10,10)! E` per contro un commerciante avveduto, un esperto attento al valore delle cose, colui che - parlo evidentemente di Paolo - stimava che la propria anima - ovvero la vita animale e sensibile - non valesse piú di lui (cf. At 20,24), e cioè del suo spirito, con il quale costituiva un tutt`uno e per il quale aderiva a Cristo. Era pronto a perdere la sua anima, al fine di poterla conservare per la vita eterna (cf. Gv 12,25).

 

       (Guerric d`Igny, Sermo de resurrect., 2, 3)

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XIX DOMENICA

 

Letture:     1 Re 19,4-8

       Efesini 4,30; 5,2

       Giovanni 6,41-52

 

1. Solo un cuore che ama può comprendere

 

       "Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Gv 6,43-44).

       Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all`altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà...

       Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall`amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? "Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore" (Sal 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.

       Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l`uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l`anima non dovrebbe avere i suoi? Se l`anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: "I figli dell`uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l`abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce" (Sal 35,8ss).

       Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano...

       "In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna" (Gv 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire piú brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.

       Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».

       Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. E` venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata...

       "Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo" (Gv 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo (ibid.)".

       Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «E` la mia carne - disse -per la vita del mondo».

       I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l`uomo è uomo: infatti l`uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti - il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l`apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: "Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti" (1Cor 10,17).

       Oh, grande mistero d`amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13)

 

 

2. Risurrezione per la carne e il sangue di Cristo

 

       Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l`economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c`è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell`uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l`Apostolo: "Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue" (Col 1,14). E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi.

       Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio e si compie cosí l`Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: "Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa" (Ef 5,30). Non parla di un corpo invisibile e spirituale - "uno spirito infatti non ha né ossa né carne" (Lc 24,39) -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa; e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.

       Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene - vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell`uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l`Eucaristia che è il corpo e il sangue di Cristo -; allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell`Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell`immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l`incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l`uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l`uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti cosí da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?

 

       (Ireneo di Lione, Adv. haer., 5, 2, 2-3)

 

 

3. La validità oggettiva del sacerdozio

 

       Dirai: Dio ordina tutti, anche quelli che sono indegni?

       Dio non ordina tutti, ma opera per mezzo di tutti, anche se sono indegni, per la salvezza del suo popolo. Se, infatti, Dio parlò per mezzo di un`asina, per mezzo dello scellerato Balaam (Nm 22) in grazia del suo popolo, molto piú lo farà per mezzo del sacerdote. Che cosa non fa Dio per la nostra salvezza? che cosa non dice? di chi non si serve? Se si è servito di Giuda e di coloro ai quali dice: "Non vi conosco, andate via da me, operatori d`iniquità" (Mt 7,23), tanto piú agirà per mezzo di un sacerdote...

       Dirai ancora: Ma costui non fa elemosina ai poveri, non è onesto nella amministrazione.

       Come lo sai? Non accusare, se non sei sicuro, temi d`essere chiamato a render conto. Molte cose son dette in base a un sospetto. Imita il Signore. Senti che dice: "Verrò a vedere se agiscono come si dice" (Gen 18,21). Se hai sentito, esaminato e visto, aspetta il giudice; non arrogarti l`ufficio di Cristo. Tocca a lui trattare queste cose, non a te. Tu sei l`ultimo servo; non sei il padrone. Tu sei una pecora; non ti mettere a giudicare il pastore, per non rischiar di scontar la pena di ciò di cui lo accusi.

       Dirai: Perché non fa, ciò ch`egli stesso m`insegna?

       Non è lui che lo dice. E se obbedissi a lui, non meriteresti il premio. E Cristo che ti comanda. Che dico? Neanche Paolo dovrebbe essere obbedito, se parlasse da sé, se dicesse cose umane. Ma bisogna credere che in Paolo parla Cristo. Non giudichiamo, dunque, le cose degli altri, pensa alla tua vita.

       Dirai: Ma lui dovrebbe essere migliore di me.

       Perché? Perché è sacerdote. E che cosa non ha lui piú di te? Non forse fatiche, pericoli, contese, preoccupazioni, sfortune? Se ha tutte queste cose, come non è migliore di te? Ma anche se egli non fosse migliore di te, perché dovresti tu perderti? Ma questa è arroganza. Come fai a sapere che non è migliore di te? Se rubasse, diresti; se approfittasse delle cose sacre? Come sai questo, buon uomo? Perché ti vuoi buttare nel fosso?...

       Ti credi migliore d`un altro, e non chiedi pietà? non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano? Ma cosí ti vuoi perdere, anche se sei migliore. Migliore? stai zitto, se vuoi rimaner migliore; se lo dici, ti svuoti tutto. Se credi di esserlo, non lo sei; se non lo credi, fai un passo avanti. Se, infatti, colui ch`era peccatore, perché se ne accusò, uscí dal tempio giustificato, colui che lo è e si giudica tale, che cosa non guadagnerà? Esamina la tua vita. Non rubi? ma strappi, fai violenza e tante cose simili. Con questo non plaudo al furto, per carità, tanto meno lo approverei, se versasse lacrime e continuasse ad esserlo. Infatti che gran male sia il sacrilegio neanche lo si può dire; ma preferisco fermarmi qui e non voglio diminuire la nostra virtù accusando gli altri...

       Dimmi: Se ti capita d`essere ferito, che forse innanzi al medico ti metti a domandargli se pure lui ha una ferita? e se l`ha, ti preoccupi? o, perché pure lui ce l`ha, tu non curi piú la tua e dici: - Il medico dovrebbe star bene. Se lui, che è medico, non sta bene, io mi riporto a casa la mia ferita? Che forse, se il sacerdote è cattivo, il fedele ne riceve un sollievo? Tutt`altro. Lui sconterà la sua pena, e tu la tua; il Maestro mette tutto a posto, dice, infatti: "Riceveranno tutti la sentenza di Dio" (Gv 6,45; Is 54,13)...

       L`offerta è la stessa, chiunque la faccia sia Pietro, sia Paolo; è la stessa che Cristo diede ai discepoli e che fanno oggi i sacerdoti. La nostra non è affatto inferiore a quella, perché non sono gli uomini a farla santa, ma il Cristo in persona che santificò la prima. Come le parole, che disse Cristo, sono le stesse che dice il sacerdote oggi; cosí la messa è la stessa, come il battesimo è ancora lo stesso. E tutta opera della fede. Scese lo Spirito nel centurione Cornelio, perché aveva creduto. Questo, come quello, è corpo di Cristo. Chi pensa che questo lo sia di meno non sa che Cristo è presente e opera nei sacramenti.

 

       (Giovanni Crisostomo, In II ad Timoth., 2, 3 s.)

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XX DOMENICA

 

Letture: Proverbi 9,1-6

       Efesini 5,15-20

       Giovanni 6,52-59

 

1. Seguire Cristo vuol dire aderire a lui

 

       "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,55). Insegnaci, Maestro buono (cf. Mc 10,17), tu che solo insegni all`uomo la sapienza (cf. Sal 93,10); insegnaci come dobbiamo mangiare la tua carne e bere il tuo sangue...

       Quando mangiamo quel pane corporeo e sensibile, noi mettiamo in bocca anzitutto un frammento staccato da un pane, che poi trituriamo con i denti, liquefacciamo con la saliva e ingoiamo, affinché il nutrimento, entrando dentro, distribuisca alimento e forza a tutto il corpo. Ora, il pane dell`anima è Cristo, "pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6,41), che nutre i suoi, al presente nella fede, nel mondo futuro con la visione (cf. 2Cor 5,7). Infatti, Cristo abita per la fede in te, e la fede in Cristo è Cristo stesso nel tuo cuore (cf. Ef 3,17). Nella misura in cui credi in Cristo, in quella stessa misura tu lo possiedi. E Cristo è in verità un solo pane, poiché vi è un solo Signore, una sola fede (cf. Ef 4,5) per tutti i credenti, benché del dono dell`unica fede alcuni ricevano di piú e altri di meno. Epperò non vi sono tante fedi quanti sono i credenti, altrimenti non sarebbero i fedeli ad essere sottomessi alla fede, bensí questa a loro. Ora, come è una la verità, del pari una sola fede nell`unica verità guida e nutre tutti i credenti e un solo e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno i suoi doni in particolare, secondo il suo beneplacito (cf. 1Cor 12,11).

       Viviamo tutti dunque dello stesso pane (cf. 1Cor 10,17), e ciascuno di noi riceve la sua porzione; tuttavia, Cristo è tutto intero per tutti, eccettuati coloro che lacerano l`unità. Non dico tutto intero nel senso che tu gusti Cristo cosí come lui stesso si gusta, il che non possono fare né gli angeli in cielo, né alcun` altra creatura. Però nel dono da me ricevuto, io posseggo tutto il Cristo, e Cristo mi possiede interamente, come il singolo membro appartiene a tutto il corpo e possiede in cambio il corpo nella sua interezza.

       Perciò, la porzione di fede da te ricevuta è come il pezzettino di pane nella tua bocca; però, se tu non mediti frequentemente e piamente il contenuto stesso del tuo credere, se con i tuoi denti, ovvero con i sensi dell`anima, non lo macini triturandolo, esso non andrà oltre la gola, come dire che non arriverà mai alla tua intelligenza. Come potrebbe essere compreso, in effetti, quel che viene raramente e con negligenza meditato, tenendo conto poi che si tratta di cosa tanto sottile quanto invisibile? La fede infatti propone cose invisibili, ed occorre compiere un grande sforzo di mente prima che alcunché possa essere deglutito e assimilato. Se, invero, la saliva della sapienza, scendendo dall`alto dal Padre dei lumi (cf. Gc 1,17), non ammorbidisce e liquefa quel nutrimento disseccato, tu fatichi invano (cf. Sal 126,1), perché le riflessioni da te coagulate non penetrano nell`intelligenza...

       Attraverso l`intelligenza, difatti, il cibo stesso passa nell`affetto del cuore, affinché tu non trascuri tutto ciò che hai compreso, e anzi tu lo raccolga con diligenza per mezzo dell`amore. Infatti, se tu non ami ciò che hai compreso, la tua intelligenza avrà lavorato invano: la sapienza, invero, sta nell`amore.

       In effetti, l`intelligenza precede lo spirito di sapienza e non gusta che in maniera del tutto transitoria: l`amore, invece, assapora cibo solido. Nell`amore ha sede tutta la forza dell`anima; in esso si raccoglie tutto il nutrimento vitale, ed è da qui che la vita viene diffusa per tutte le membra che sono le virtù. "Con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23).

       L`amore, dunque, al pari del cuore, è posto al centro, verso il quale convergono le tre cose che lo precedono e cioè la fede, la meditazione e l`intelligenza, e qui si consolidano; da qui stesso poi, procedono e vengono dirette le successive conseguenze. In primo luogo, dall`amore procede l`imitazione. Chi infatti non desidera imitare ciò che ama? Se non amerai Cristo, non lo potrai imitare, e cioè non potrai seguirlo. Disse infatti a Simon Pietro, dopo aver indagato sul suo amore: "Seguimi" (Gv 21,19)...

       Occorre, dunque, seguire Cristo, aderire a lui. "Il mio bene" - è scritto - "è aderire a Dio" (Sal 72,28); e: "A te si stringe l`anima mia e la forza delta tua destra mi sostiene" (Sal 62,9). "Chi si unisce al Signore forma", infatti, "con lui un solo spirito" (1Cor 6,17). Non soltanto un sol corpo, ma anche un solo spirito. Dello spirito di Cristo tutto il suo corpo vive. Attraverso il corpo di Cristo, si perviene al suo spirito. Cerca quindi di stare nel corpo di Cristo e sarai un giorno un solo spirito con lui. Già, per la fede, sei unito al suo corpo; per la visione, poi, sarai unito anche al suo spirito. Tuttavia, né la fede, quaggiú, può stare senza lo spirito, né lo spirito potrà stare, lassú, senza il corpo, poiché i nostri corpi non saranno allora degli spiriti, bensí spiritualizzati (cf. 1Cor 15,44). "Voglio, o Padre" - dice infatti Gesú - "che come tu sei in me e io in te, siano anch`essi una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17,21). Ecco l`uomo per fede. E poco dopo: "Perché anch`essi siano perfetti nell`unità, e il mondo conosca" (Gv 17,23). Ecco l`unione per visione.

       Questo significa mangiare spiritualmente il corpo di Cristo: avere in lui una fede pura, e cercare sempre con l`attenta meditazione della stessa fede: e trovare ciò che cerchiamo con l`intelligenza; amare poi ardentemente ciò che si è trovato; imitare ciò che amiamo con tutte le nostre forze, e imitando aderire costantemente a lui; e aderendo, esservi perennemente uniti.

 

       (Guigone II, Certosino, Meditatio X)

 

 

2. Il pane della concordia

 

       "Altercavano pertanto i giudei tra loro, dicendo: Come mai può costui darci da mangiare la sua carne?" (Gv 6,52). Altercavano fra di loro perché non capivano il significato del pane della concordia, e non volevano mangiarne; non litigano infatti coloro che mangiano tale pane, in quanto «un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti». E per mezzo di questo pane, "Dio fa abitare insieme coloro che hanno un solo spirito" (Sal 67,7).

       Poiché litigando fra loro si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne, non odono quanto ad essi egli dice di nuovo: "In verità, in verità, vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell`uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). Voi non sapete in che modo si mangia questo pane, non sapete in qual modo si deve mangiare: tuttavia, «se non mangerete la carne del Figlio dell`uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita».

       Egli diceva queste cose non ai morti, ma ai vivi. E affinché essi credendo che egli parlava di questa vita terrena, di nuovo non litigassero, subito aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,54). Non l`ha invece chi non mangia questo pane e non beve questo sangue: senza di ciò gli uomini possono avere la vita terrena e mortale, ma assolutamente non possono avere la vita eterna. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita: l`ha chi mangia la sua carne e beve il suo sangue.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 26, 14)

 

 

3. L`Eucaristia, fonte di unità con Cristo e con i fratelli

 

       Mentre porgeva il pane e il vino consacrato ai discepoli disse: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue" (Mt 26; Lc 22). Crediamo, per favore, a ciò che abbiamo creduto. La verità non conosce menzogna.

       Questo è il legato del suo nuovo Testamento, legato ch`egli fece a nostro favore, come garanzia della sua presenza, quella sera che venne consegnato per essere crocifisso. Questo è il viatico del nostro cammino, di cui ci nutriamo nella via della vita, finché, usciti da questo mondo, arriviamo innanzi a lui; perciò il Signore disse: "Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). Volle, infatti, che i suoi doni rimanessero presso di noi, volle che ci potessimo santificare col suo sangue prezioso, immagine della sua passione; perciò ordinò ai suoi discepoli, fatti da lui stesso sacerdoti della sua Chiesa, di operare senza interruzione questi misteri di vita eterna; misteri che tutti i sacerdoti in ciascuna Chiesa del mondo devono celebrare fino a quando Cristo tornerà dal cielo, perché gli stessi sacerdoti e tutti i fedeli, avendo ogni giorno innanzi agli occhi il modello della passione di Cristo, toccandolo con le mani e prendendolo nella bocca e nel petto, possano conservare un ricordo incancellabile della redenzione e ricavarne una dolce medicina d`eterna protezione contro il veleno del diavolo, come ci esorta lo Spirito Santo: "Gustate e vedete quanto il Signore è veramente soave" (Sal 33,9)...

       Di molti chicchi sfarinati e impastati con acqua si fa un pane, che viene poi cotto col fuoco; è la figura del corpo di Cristo, che è uno solo, ma che è formato dalla moltitudine di tutto il genere umano ed è consumato col fuoco dello Spirito Santo. Nacque infatti per opera dello Spirito Santo e poi, pieno di Spirito Santo, ch`era sceso su di lui in figura di colomba, esce dal Giordano, come attesta l`Evangelista: "Gesú pieno di Spirito Santo uscí dal Giordano" (Lc 4,1). Similmente il vino del suo sangue raccolto da molti acini, cioè dall`uva della vigna, da lui stesso piantata, viene spremuto nel torchio della croce e attraverso vasi capaci, ribolle per propria virtù nel cuore fedele di quelli che lo ricevono. Voi tutti che uscite dalla schiavitú dell`Egitto e del diavolo, prendete insieme a noi e con tutto l`ardore del vostro animo religioso questo sacrificio della Pasqua della salvezza, perché il nostro interno venga santificato dallo stesso Signore Gesú Cristo, che è presente nei suoi sacramenti e la cui inestimabile virtù rimane per tutti i secoli.

 

       (Gaudenzio da Brescia, Sermo 2)

 

 

4. I motivi della istituzione dell`Eucaristia

 

       Nostro Signore Gesú ci ha lasciati per salire in alto, affinché, al momento del suo ritorno, potesse farci salire con lui nel regno dei cieli. E poiché andava in un luogo troppo lontano perché noi potessimo conoscerlo, volle confortarci con il suo corpo e il suo sangue fino al suo ritorno. E siccome non era possibile che egli desse il suo corpo e il suo sangue alla sua Chiesa, ci ordinò di realizzare questo sacramento con il pane e il vino. Beato il popolo dei cristiani! Quale dono possiede e quale speranza custodisce per sempre nei cieli!

       Infatti, quando giunse l`ora della Passione di colui che dà la vita a tutte le cose, egli mangiò la Pasqua legale con i suoi discepoli. Poi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo dette ai discepoli, dicendo: Questo è il mio corpo in verità, senza alcun dubbio (cf. Lc 22,19; 1Cor 11,24-25). Quindi, prese il calice, rese grazie, lo benedisse e lo dette agli apostoli, dicendo: Questo è in verità il mio sangue, dato per voi. E ordinò a tutti di prenderlo e di berne, perché fossero rimesse le loro colpe per sempre (cf. ibid.).

       "Preghiera di Gesú durante la Cena secondo Teodoro di Mopsuestia"

       E` scritto, nel Vangelo pieno di vita, che Egli "rese grazie e benedisse (ibid.)". Ma, ciò che disse gli apostoli da lui scelti non ce lo hanno fatto conoscere. Il grande dottore e interprete Teodoro ci ha trasmesso ciò che nostro Signore ha detto prendendo il pane:

       «La tua natura divina, o Signore di tutte le cose, merita ogni gloria, ogni confessione e ogni lode, poiché, in tutte le generazioni, tu hai compiuto e realizzato la tua Economia [disegno di salvezza], come per la vita e la salvezza degli uomini; e quantunque essi si dimostrassero molto ingrati con le loro azioni, tu non hai cessato di soccorrerli con la tua misericordia. E per realizzare la salvezza e la restaurazione di tutti, tu hai preso me che sono della stessa natura di Adamo, e mi hai unito a te. In me si compiranno tutte le promesse e tutte le alleanze, e in me si realizzeranno i misteri e le figure che furono manifestati ai giusti. Perché sono senza macchia e ho adempiuto ogni giustizia, tu, per mio tramite, hai estirpato dall`umanità ogni peccato. E perché muoio senza essere colpevole e senza aver peccato, tu decreti, per mezzo mio, una risurrezione dei corpi per l`intera natura».

       Cosí il Figlio dell`Altissimo rese grazie a suo Padre e, donando il suo corpo e il suo sangue, pronunciò queste parole: «Questo è il mio corpo che io ho dato per i peccati del mondo, e questo, inoltre, è il mio sangue che ho voluto versare a causa delle offese. Chiunque mangia la mia carne con amore, e beve il mio sangue, vivrà per sempre; egli dimora in me, e io in lui. Fate cosí in memoria di me, all`interno delle vostre riunioni, e ricevete con fede il mio corpo e il mio sangue. Offrite il pane e il vino come io vi ho insegnato, e io agirò, facendo di essi il corpo e il sangue. Faccio del pane il corpo e del vino il sangue, per la venuta e l`opera dello Spirito Santo».

       Cosí parlò colui che dà la vita ai mondi, chiamando il pane suo corpo e il vino suo sangue. Non li denominò né simboli e neppure somiglianza, bensí corpo reale e sangue vero. Ed anche se la natura del pane e del vino è incommensurabilmente lontana da lui, tuttavia per il potere e per l`unione, il corpo è uno. Che gli angeli e gli uomini ti rendano grazie senza posa, Signore, Cristo, nostra speranza, che ti sei dato per noi! Per il suo potere, il corpo che i sacerdoti spezzano nella Chiesa, non fa che uno con il corpo che siede nella gloria alla destra del Padre. E cosí come il Dio di tutte le cose è unito alle «primizie» della nostra specie, del pari il Cristo è unito al pane e al vino che sono sull`altare. Ecco perché il pane è realmente il corpo di nostro Signore, e il vino, in senso proprio e vero, il suo sangue. Cosí ordinò a coloro che vi sono ammessi, di mangiare il suo corpo, e consigliò ai suoi fedeli di bere il suo sangue.

       Beato chi crede in lui e chi si fida della sua parola, poiché, se è morto, vivrà, se è vivo, non morirà per aver peccato!

       Gli apostoli adottarono con diligenza il comando del loro Signore, e lo trasmisero con cura a coloro che vennero dopo di loro. Esso è stato presente fino ad oggi nella Chiesa, e sarà conservato fino a quando Cristo stesso non abolisca il suo sacramento con la sua apparizione e la sua manifestazione.

       A tal fine, il sacerdote rende grazie davanti a Dio ed eleva la sua voce al termine della sua preghiera, per far sí che il popolo la senta. Fa sentire la sua voce e con la mano segna le offerte deposte sull`altare, e il popolo esprime il proprio assenso, dicendo: Amen!, approvando in tal modo la preghiera del sacerdote.

 

       (Narsaj il Lebbroso, Expositio myst.)

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XXI DOMENICA

 

Letture:     Giosuè 24,1-2a.15-17.18b

       Efesini 5,21-32

       Giovanni 6,61-70

 

1. «Tu hai parole di vita eterna»

 

       L`evangelista ci racconta che il Signore restò con dodici discepoli, i quali gli dissero: "Ecco, Signore, quelli ti hanno abbandonato". E Gesú rispose: "Anche voi ve ne volete andare?" (Gv 6,67), volendo dimostrare che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo.

       Nessuno s`immagini d`intimorire Cristo, rimandando di farsi cristiano, quasi che Cristo sarà piú beato se ti farai cristiano. Diventare cristiano, è bene per te: perché, se non lo diverrai, con ciò non farai del male a Cristo. Ascolta la voce del salmo: "Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Perciò «Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni». Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà piú grande, se tu sarai con lui. Tu non lo fai piú grande, ma senza di lui tu diventi piú piccolo. Cresci dunque in lui, non ritrarti, quasi ne ricavasse una diminuzione. Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti distruggi, se ti allontani da lui. Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani.

       Quando, dunque, egli disse ai discepoli: «Anche voi ve ne volete andare?», rispose Pietro, quella famosa pietra, e a nome di tutti disse: "Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68)...

       Il Signore si rivolse a quei pochi che erano rimasti: "Perciò Gesú disse ai dodici" - cioè a quei pochi che erano rimasti -: «"Anche voi ve ne volete andare?"» (Gv 6,67).

       Anche Giuda era rimasto. La ragione per cui era rimasto era già chiara al Signore, mentre a noi sarà chiara solo piú tardi. Pietro rispose per tutti, uno per molti, l`unità per la molteplicità: "Gli rispose Simone Pietro: «Signore, a chi andremo?"» (Gv 6,68). Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. «A chi andremo?». Se ce ne andiamo da te, da chi andremo?

       "Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68). Vedete in qual modo Pietro, con la grazia di Dio, vivificato dallo Spirito Santo, ha capito le parole di Cristo. In che modo ha capito se non perché ha creduto? «Tu hai parole di vita eterna». Cioè, tu ci dai la vita eterna, nell`offrirci la tua carne e il tuo sangue.

       "E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto" (Gv 6,69). Non dice Pietro, abbiamo conosciuto e abbiamo creduto, ma «abbiamo creduto e abbiamo conosciuto». Abbiamo creduto per poter conoscere; infatti se prima volessimo sapere e poi credere, non saremmo capaci né di conoscere né di credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? "Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (ibid.)", cioè che tu sei la stessa vita eterna, e tu ci dai, nella carne e nel sangue tuo, ciò che tu stesso sei.

 

       (Agostino, Comment. in Ioan., 11, 5; 27, 9)

 

 

2. L`Eucaristia, pane spirituale

 

       Nella notte in cui nostro Signore Gesú Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue (cf. 1Cor 11,23-25). Gesú stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l`ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?

       Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (cf. Gv 2,1-11) l`acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto piú, avendo dato ai figli dello sposo (cf. Mt 9,15; Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?

       Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Cosí diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Cosí secondo il beato Pietro noi diveniamo "partecipi della natura divina" (2Pt 1,4).

       Una volta Cristo parlando ai giudei disse: "Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita" (Gv 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (cf. Gv 6,61.66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.

       C`erano nell`Antico Testamento i pani della proposizione (cf. Lv 24,5-93; 1Mac 1,22; 2Mac 10,3) i quali proprio perché dell`Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (cf. Sal 116,4) che santificano l`anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, cosí il Logos è proprio per l`anima.

       Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo...

       Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l`avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: "Il pane fortifica il cuore dell`uomo, e il suo volto brilla d`olio" (Sal 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (cf. 2Cor 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesú nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

 

       (Cirillo di Gerus., Catech. IV mist., 1-6.9)

 

 

3. I sacrifici dell`Antico e del Nuovo Testamento

 

       Ritieni con somma fermezza e non dubitare affatto che lo stesso Verbo di Dio, unigenito e fatto carne, offrí se stesso per noi in sacrificio e ostia a Dio, in odore di soavità (cf. Ef 5,2). A lui, al tempo dell`Antico Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, venivano sacrificati gli animali, dai patriarchi, dai profeti e dai sacerdoti; a lui ora, ai tempi del Nuovo Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo - con i quali egli ha l`identica natura divina - la santa Chiesa cattolica non cessa di offrire su tutta la terra, in fede e amore, il sacrificio del pane e del vino. Quelle vittime carnali erano una raffigurazione della carne di Cristo che egli, senza peccato, avrebbe immolato per i nostri peccati, e del sangue che avrebbe sparso in remissione dei nostri peccati.

       Questo sacrificio invece, è un ringraziamento e una commemorazione della carne di Cristo che egli offrí per noi, e del sangue che Dio stesso versò per noi. Di lui dice il beato Paolo negli Atti degli Apostoli: "Badate a voi e a tutto il gregge, in cui lo Spirito Santo vi ha posti come sovrintendenti per reggere la Chiesa di Dio, che ha acquistato con il suo sangue" (At 20,28). Quei sacrifici dunque rappresentavano simbolicamente ciò che a noi sarebbe stato donato; questo sacrificio invece mostra chiaramente ciò che ci è già stato donato. Quei sacrifici annunciavano che il Figlio di Dio sarebbe stato ucciso per i peccatori, questo invece annuncia che il Figlio di Dio è già stato ucciso per i peccatori, come attesta l`Apostolo che Cristo, "quando noi eravamo ancora infermi, a tempo opportuno, è morto per gli empi" (Rm 5,6) "e che quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio" (Rm 5,10).

 

       (Fulgenzio di Ruspe, De fide, 19, 60)

 

 

4. Noi siamo in Cristo un solo corpo, come l`acqua e il vino nel calice

 

       In verità, poiché noi tutti portava il Cristo, il quale portava altresí i nostri peccati, possiamo veder simboleggiati nell`acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Quando, in effetti, acqua e vino si mescolano nel calice, il popolo è raccolto in Cristo e la massa dei credenti si unisce e congiunge a lui, nel quale ha creduto. Una unione e congiunzione di acqua e vino, risultante da una mescolanza tale nel calice del Signore, che quella commistione non può piú vicendevolmente separarsi.

       Di qui la conseguenza che neppure la Chiesa, cioè il popolo costituito come Chiesa, perseverante fedelmente e fermamente in ciò che ha creduto, nessuna cosa potrà separare da Cristo, sí da essere sempre unita e da restare un amore indivisibile.

       Dimodoché, il calice del sacrificio del Signore non può essere offerto con la sola acqua, e neppure con il solo vino. Infatti, se uno, per caso, offrisse il solo vino, il sangue di Cristo comincerebbe ad essere senza di noi; se invece fosse solo l`acqua, il popolo resterebbe senza Cristo. Quando poi l`uno e l`altra si mescolano e le confuse adunanze si uniscono tra loro vicendevolmente, allora si compie il sacramento spirituale e celeste. Per cui, il calice del Signore non è né la sola acqua, e neppure il solo vino, se l`uno e l`altra non si mescolano tra loro, come pure il corpo del Signore non può essere fatto di sola farina o di sola acqua, se entrambe non siano state radunate e congiunte sí da formare un solo pane solidamente compaginato.

       Ed è in questo stesso sacramento che il nostro popolo si mostra radunato; sicché, come molti chicchi raccolti insieme, macinati e intrisi formano un unico pane, cosí del pari in Cristo che è il pane del cielo, sappiamo di essere un sol corpo, nei quale noi tutti veniamo radunati e compaginati.

 

       (Cipriano di Cartagine, Epist., 63, 13)

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XXII DOMENICA

 

Letture:     Deuteronomio 4,1-2.6-8

       Giacomo 1,17-18.21b-22.27

       Marco 7,1-8a.14-15.21.23

 

1. L`esteriorità inquina l`uomo

 

       E si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li rimproverarono (Mc 7,1-2).

       Quanto è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai piccoli!" (Mt 11,25). Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe, affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo, accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità; avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani ben lavate con l`acqua, recavano la coscienza insozzata dall`invidia.

       I farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima purificati (cf.Mc 7,3-4).

       E una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario l`insegnamento della verità, secondo il quale coloro che desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo, debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo. E` necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia nell`occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli desidera godere dell`intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo: "Lavatevi, siate puri, e purificatevi voi che portate i vasi del Signore" (Is 1,16) - osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo (cf.Is 52,11). Ma invano i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi, quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono sia di lavare con l`acqua i vasi del popolo di Dio, sia di purificarli col fuoco, sia di santificarli con l`olio - non stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle opere e la salvezza delle anime.

 

       (Beda il Venerabile, Evang. Marc., 2, 7, 1-4)

 

 

2. I comandamenti dell`Antico e del Nuovo Testamento

 

       Da parte del Padre, poi, egli ha portato la libertà a coloro che lo servivano con fedeltà, con prontezza e di tutto cuore invece a coloro che lo disprezzavano, che non ubbidivano a Dio, ma per semplice gloria umana cercavano la mondezza esteriore -mondezza che era una semplice figura degli eventi futuri, una semplice ombra: la legge infatti prescriveva e delineava con mezzi temporanei le realtà eterne, e con mezzi terrestri le realtà del cielo - ma dentro erano pieni di ipocrisia, di cupidigia e di ogni malvagità... a costoro ha portato la perdizione, il taglio definitivo dalla vita.

       Di fatto la tradizione dei loro anziani, che fingevano di osservare la legge, era invece contraria alla legge data da Mosè. Per questo dice Isaia: "I tuoi osti aggiungono acqua al vino" (Is 1,22), mostrando cosí che gli anziani mistificavano gli austeri precetti di Dio con tradizioni annacquate, con una legge cioè adulterata e contraria alla vera legge. Anche il Signore lo dichiarò, dicendo loro: "Perché trasgredite il precetto di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la legge con l`inosservanza e di mescolare l`acqua al vino, promulgarono una legge contraria, che resta fino ad oggi e si chiama «legge farisaica». In essa hanno abrogato alcune disposizioni, altre ne hanno aggiunte e altre poi le interpretano come vogliono; i loro maestri le applicano a loro capriccio. Per rivendicare le loro tradizioni, non vollero sottomettersi alla legge che li preparava alla venuta di Cristo; anzi rimproverarono il Signore perché guariva di sabato (il che, come abbiamo detto, non era vietato dalla legge; anch`essa in un certo senso curava, circoncidendo l`uomo di sabato), ma non sapevano rimproverare a sé stessi di trasgredire il precetto di Dio per la tradizione e per la suddetta legge farisaica, e di non avere quello che è l`essenziale della legge, cioè l`amore verso Dio.

       Questo è infatti il primo e sommo comandamento, e il secondo è l`amore verso il prossimo. Ce l`ha insegnato il Signore, soggiungendo che da questi due precetti dipendono tutta la legge e i profeti. Egli poi non diede un altro precetto superiore a questo, ma lo rinnovò comandando ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi...

       Paolo dice: "L`amore è l`adempimento della legge" (1Cor 13,13), e soggiunge che quando tutto il resto verrà abolito, rimarranno la fede, la speranza e l`amore; ma piú grande di tutto è l`amore. Afferma poi che senza l`amore verso Dio, nulla giovano né la gnosi né la comprensione dei misteri né la fede né la profezia: tutto è inutile e vuoto, senza amore. L`amore rende l`uomo perfetto; chi ama Dio è perfetto in questo secolo e nel secolo futuro; mai infatti cesserà il nostro amore per Dio: quanto piú lo contempleremo, tanto piú lo ameremo...

       "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei; tutto quello che vi dicono, fatelo dunque ed osservatelo; ma non agite come loro agiscono: infatti dicono e non fanno. Confezionano grossi fardelli e li pongono sulle spalle degli uomini, ma loro non li vogliono spostare neppure con un dito" (Mt 23,2s). Non denunciava la legge data da Mosè - che anzi invitava ad osservare fino a quando sarebbe esistita Gemsalemme - ma rimproverava coloro che avevano sulle labbra le frasi della legge, ma non avevano amore ed erano perciò ingiusti verso Dio e verso il prossimo. Cosí aveva detto Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è inutile il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e comandamenti umani" (Is 29,13). Non chiamava comandamenti umani la legge data da Mosè, ma le tradizioni degli anziani, che quelli si erano congegnate e pretendevano di osservare violando la legge di Dio e disubbidendo perciò al suo Verbo.

 

       (Ireneo di Lione, Adv. haer., 4, 11, 4-12)

 

 

3. L`amore verso i genitori

 

       Ma c`è un onore non solo di ossequio, ma anche di liberalità: "Onora le vedove, che sono veramente vedove" (1Tm 5,3). Onorare, infatti, significa trattare secondo i meriti.

       Nutri dunque tuo padre, nutri tua madre. E se nutrirai tua madre, non la ricompenserai certo per il dolore, per i tormenti ch`ella ha sofferto per te, non le restituirai le cure che per te ha avuto, non le renderai il cibo che ella ti ha dato con tenera pietà versando il latte delle sue mammelle nelle tue labbra, non le restituirai la fame che ha sopportato per te, quando non mangiava ciò che poteva nuocerti, ciò che poteva sciupare il suo latte. Per te ella ha digiunato, per te ha mangiato, per te non ha preso il cibo che desiderava e ha preso quello che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu puoi tollerare che le manchi qualcosa? Oh, figlio, quale condanna ti attiri sulla testa, se non nutri tua madre? A lei devi ciò che hai, a lei devi ciò che sei...

       Tu forse dai agli altri? E se questi ti obietteranno: va` prima a nutrire tua madre? Infatti, anche se sono poveri, essi non vogliono fruire di un`empia elemosina. Non hai udito parlare poco fa di quel ricco, disteso sul letto di porpora e di bisso e dal cui tavolo Lazzaro raccoglieva le briciole, il quale ha subíto le torture dell`eterno supplizio per non aver dato cibi al povero? Se è grave colpa non dare agli estranei, quanto piú grave è escludere i genitori !

       Tu potresti replicare che preferisci donare alla Chiesa ciò che potresti dare ai tuoi genitori: ebbene, Dio non ti chiede un dono fondato sulla fame dei tuoi genitori. Non a caso il Signore, ai giudei che si lamentavano perché i discepoli di Cristo non si lavavano le mani, ha risposto: "Chiunque dirà: - E` sacra offerta il sussidio che dovrei darti, - non onora il padre e la madre" (Mt 15,5-6).

 

       (Ambrogio, Exp. in Luc., 8, 75.77)

 

 

4. Le cose che macchiano l`uomo

 

       Dio, infatti, non richiede dall`uomo se mentre sta per mangiare si lava le mani, ma se ha il cuore puro e la coscienza monda dalle impurità dei peccati.

       In effetti, cosa giova lavare le mani ed avere la coscienza macchiata ?

       Quindi i discepoli del Signore poiché erano puri di cuore e preferivano una coscienza monda ed immacolata, non davano importanza a lavarsi le mani, che con tutto il corpo, insieme, nel battesimo avevano lavato, mentre il Signore diceva a Pietro: "Chi una volta è lavato, non ba bisogno di lavarsi di nuovo, ma è tutto puro, come siete voi" (Gv 13,10). Invece, che quel lavacro dei Giudei fosse necessario al popolo, il Signore da tempo lo aveva mostrato per mezzo del profeta, dicendo: "Lavatevi, siate puri, togliete l`iniquità dai vostri cuori" (Is 1,16). Con questo lavacro, quindi, fu prescritto non che si lavassero le mani, ma che togliessero le iniquità dai loro cuori. Per questo, se gli scribi e i farisei, avessero voluto capire o accettare questa celeste purificazione non si lamenterebbero mai delle mani impure.

       Per mostrare ancora piú ampiamente inutile il rimprovero degli scribi e dei farisei sulle mani non lavate, il Signore, chiamata a sé la folla disse: "Non ciò che entra nella bocca macchia l`uomo, ma ciò che esce lo rende impuro" (Mt 15,11) dimostrando che non dal cibo che entra per la bocca, ma piuttosto dai cattivi pensieri dell`anima, che provengono dal cuore, l`uomo si rende immondo. I cibi, infatti, che prendiamo da ingerire, sono stati creati da Dio per l`uso della vita umana e benedetti, e perciò non possono macchiare l`uomo.

       Ma i cattivi e contrari pensieri che provengono dal cuore, come lo stesso Signore ha interpretato, cioè, "gli omicidi, gli adulteri, le impurità, i furti, le false testimonianze, le bestemmie" (Mt 15,19) e tutte le altre azioni malvagie, che provengono dal demonio, che ne è l`autore, queste sono le cose che veramente macchiano l`uomo.

 

       (Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 53, 1 s.)

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XXIII DOMENICA

 

Letture:     Isaia 35,4-7a

       Giacomo 2,1-5

       Marco 7,31-37

 

1. Il sordomuto

 

       E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).

       Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. E` necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l`umana debolezza; cosí egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette.

       "Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui" (Mc 7,33).

       Il primo passo verso la salvezza è che l`infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l`anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?" (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio" (Mt 12,28). Gli stessi maghi d`Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: "Qui è il dito di Dio" (Es 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (cf. Es 31,18); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell`infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all`apprendimento della scienza della salvezza...

       "E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»" (Mc 7,34).

       Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lí la medicina che dà la voce ai muti, l`udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l`aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.

       "E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35).

       In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell`unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprí le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato cosí risanato può giustamente dire col salmista: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode" (Sal 50,17), e con Isaia: "Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l`orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli" (Is 50,4).

       "E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto piú cosí loro ordinava, tanto piú essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»" (Mc 7,36-37).

       «Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto piú annunziato i suoi miracoli quanto piú egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest`ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare? «(Agostino).

 

       (Beda il Vener., In Evang. Marc., 2, 7, 32-37)

 

 

2. Ottenuto il perdono, persevera!

 

       Ieri eri la Cananea, piegata a terra dal peccato; oggi, grazie al Verbo, stai dritta. Non ti far piegare un`altra volta, come da un giogo posto sul tuo collo dal demonio, che ti opprime al punto da non consentirti di raddrizzarti. Ieri perivi per il tuo flusso di sangue, perché un rosso e sanguigno peccato veniva fuori da te, oggi, fermato il profluvio, torni a fiorire. Hai toccato la frangia del mantello di Cristo e il sangue s`è fermato. Fa` in modo che la purificazione duri, per non ricadere nella malattia, perché non sai se poi riuscirai un`altra volta a toccar il lembo di Cristo, per ricuperar la salute. Cristo non ha piacere che gli si porti via troppe volte qualche cosa, anche se è tanto benevolo e accessibile. Ieri stavi in un letto, inerte, e non avevi uno che ti calasse nell`acqua al movimento dell`angelo; oggi hai trovato l`uomo, che è lo stesso Dio e, piú precisamente, è uomo e Dio. Sei stato sollevato dal tuo lettuccio, anzi, hai sollevato tu il tuo lettuccio e lo hai mostrato, come un monumento del beneficio che avevi ricevuto. Stai attento a non ritornare, tornando al peccato, nell`inerzia di quel lettuccio. Al contrario, allontanati e ricorda il precetto: "Ecco, sei guarito; non peccare piú, percbé non ti accada di peggio" (Gv 5,14), se dopo un tal beneficio sei trovato cattivo. Sentisti, mentre giacevi nel sepolcro, questa voce potente - che cosa è piú forte della voce del Verbo? - "Lazzaro vieni fuori" (Gv 11,43); e sei venuto fuori, non dopo solo quattro giorni, ma dopo tanti, e sei tornato alla vita libero dai vincoli della morte, insieme a quel morto di tre giorni. Guarda di non morire un`altra volta e di non finire ancora, con le funi dei tuoi peccati, tra coloro che abitano nei sepolcri; non sai se sarai risuscitato un`altra volta dal sepolcro, prima dell`ultima e universale risurrezione, la quale porterà al giudizio tutte le tue azioni, non per curarle, ma per giudicarle, e perché ne renda conto...

       Fino a ieri l`avarizia faceva secca la tua mano, oggi la faccia morbida la beneficenza. E` una splendida cura della mano il distribuire, il dare ai poveri le cose di cui abbondiamo, darle fino a toccare il fondo (forse da quel fondo verrà il tuo alimento, come avvenne una volta alla vedova di Sarefta, specialmente se ti capiterà di nutrire Elia); sappi che è distinta ricchezza il soffrire indigenza per quel Cristo, che per noi soffrí la povertà. Se eri sordo e muto, risuoni il Verbo alle tue orecchie; o, piuttosto, trattieni colui che ha parlato, perché all`ammonizione del Signore non presenti, come un serpente incantato, delle orecchie serrate. Se sei cieco, illumina i tuoi occhi, per non addormentarti nella morte. Nella luce del Signore fissa la luce, nello Spirito di Dio riconosci il Figlio, riconosci dico, Dio trino, quella luce una e indivisa. Se accetti Cristo interamente, puoi raccogliere nella tua anima tutte le guarigioni con le quali tutti i malati uno alla volta furono guariti. Stai solo attento a non ignorare la grandezza della grazia, perché, mentre tu dormi e non sei ben saldo, il nemico non ti semini della zizzania. Stai anche attento che, vittima dell`invidia del demonio per la tua purità, non ti riduci un`altra volta alla miseria. Stai attento che, concedendoti troppo alla gioia d`una opera buona, non t`invanisca e abbia a cadere, mentre ti porti troppo in alto. Stai attento a non rallentar mai la cura della tua purificazione; cerca di crescere, anzi, e con molta diligenza proteggi il perdono ricevuto per grazia di Dio; in modo che si possa dire che, mentre il perdono è venuto da Dio, la conservazione della remissione è anche opera tua.

 

       (Gregorio di Nazianzo, Oratio LX, in sanat. Bapt., 33 s.)

 

 

3. Anche nella Chiesa si operano le guarigioni

 

       E quando tu vedi, nell`assemblea di ciò che si chiama piú comunemente Chiesa, respinti dietro gli ultimi membri di questa Chiesa, come ai piedi del corpo di Gesú, i catecumeni che si presentano, ciascuno con la propria sordità, cecità, claudicazione, deformità, e che, col tempo, sono guariti secondo la parola (di Gesú) (cf.Mt 11,5), non avresti torto a dire che tali uomini, dopo essersi inerpicati, con le folle della Chiesa, su per la montagna dov`era Gesú, si sono gettati ai suoi piedi, curati da lui, tanto che la folla della Chiesa si stupisce (cf.Mt 15,29-31) dinanzi a un tale miglioramento di cosí gravi infermità, e potrebbe dire: Coloro che, un tempo erano sordomuti dicono la parola di Dio e gli zoppi camminano (cf. Mt 11,5), poiché si compie non soltanto nel corpo ma anche nello spirito, la profezia di Isaia che dice: "Lo zoppo salterà come un cervo e si scioglierà la lingua del muto" (Is 35,6). E non è per caso che, in questo testo, troviamo le parole: «Lo zoppo salterà come un cervo», diremo che non è inutile il paragone tra il cervo, l`animale puro e nemico dei serpenti, che resta immune dal loro veleno, e coloro che un tempo sono stati zoppi e, grazie a Gesú, saltano come un cervo. E si compie anche, nella misura in cui si vede che i sordomuti parlano, la profezia che dice: «E la lingua dei muti si scioglierà», o meglio ancora quella che dichiara: "Sordi, ascoltate" (Is 42,18). Poi i ciechi vedono, conformemente alla profezia, la quale, dopo aver detto: «Sordi, ascoltate», aggiunge: "Ciechi, recuperate la vista per vedere" (Is 42,18). Ed essi, i ciechi, vedono allorché, alla presenza del mondo, dalla grandezza e belleza delle creature per analogia contemplano il loro autore (cf. Sap 13,5), e quando: dalla creazione del mondo contemplano ciò che di lui (Dio) è invisibile e ciò che è percepito grazie alle sue opere (cf.Rm 1,20), il che significa che, in forza della loro attenzione, vedono e comprendono chiaramente.

 

       (Origene, Comment. in Matth., 11, 18)

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