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IL CELIBATO ECCLESIASTICO

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 11:36
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23/09/2009 11:34

III. IL CELIBATO NELLA DISCIPLINA DELLE CHIESE DI ORIENTE

Di fronte ad un atteggiamento ritenuto sin dall'inizio più liberale si è mosso il rimprovero alla Chiesa Latina di essere diventata sempre più stretta e severa nella sua disciplina celibataria. Quale prova di questa asserzione ci si appella alla prassi della Chiesa Orientale che avrebbe conservato l'originale disciplina generale della Chiesa Primitiva. Per questo motivo anche la Chiesa Latina dovrebbe tornare alla disciplina originale soprattutto di fronte al grave peso che il celibato costituisce oggi per la situazione pastorale nella Chiesa Universale.



La risposta a questa affermazione e alla rispettiva proposta dipende dalla verità o meno dell'affermata condizione nella Chiesa primitiva. Il risultato del nostro esame storico della reale prassi celibataria occidentale suscita fondati dubbi sulla pretesa esattezza di tale opinione. Dobbiamo perciò arrivare ad una chiarificazione dello sviluppo vero del celibato nella Chiesa Orientale, cosa che cercheremo di fare in questa quarta parte della nostra esposizione.

1. La testimonianza di Epifanio di Salamina

Nella sua difesa dell'origine apostolica del celibato C. Bickell si è appellato soprattutto a testimonianze orientali. Non possiamo ora, seguendo la storia celibataria dell'Oriente nelle grandi linee, esaminare tutte le testimonianze esistenti. Ma da quanto si è detto e da ciò che qui vogliamo ancora aggiungere, potrebbe risultare un quadro accettabile della vera situazione in quella Chiesa.

Un testimone importante è il vescovo Epifanio di Salamina, più tardi chiamata Constantia, nell'isola di Cipro (315-403). Egli è ben noto quale conoscitore e difensore dell'ortodossia e della tradizione della Chiesa, che durante la sua lunga vita di 86 anni, che abbracciano quasi tutto il secolo IV, aveva potuto conoscere assai bene. Anche se sotto alcuni aspetti, soprattutto nelle lotte delle idee, come per esempio nella questione di Origene, ha dimostrato uno zelo meno illuminato, le sue testimonianze su fatti e condizioni del suo tempo soprattutto riguardanti la disciplina della Chiesa non si possono facilmente mettere in dubbio.

Circa la questione del celibato, ossia della continenza dei ministri sacri, ci dà un tipico racconto dei fatti: nella sua opera principale, chiamata Panarion, scritta nella seconda metà del secolo IV, egli dice che il Dio del mondo ha mostrato il carisma del sacerdozio nuovo per mezzo di uomini i quali hanno rinunciato all'uso dell'unico matrimonio contratto prima dell'ordinazione, o che hanno vissuto da sempre come vergini. Ciò è, dice, la norma stabilita dagli apostoli in sapienza e santità.

Ma ancora più importante è la constatazione che fa nella "Espositio fidei" aggiunta all'opera principale. La Chiesa, dice, ammette al ministero episcopale e sacerdotale nonché a quello diaconale soltanto coloro che rinunciano, in continenza, alla propria sposa o che sono diventati vedovi. Così almeno, continua, si agisce là dove vengono osservate fedelmente le disposizioni della Chiesa. Si può pero anche costatare che in vari luoghi i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi continuano a generare figli. Ciò però non avviene in conformità con la norma vigente, ma è una conseguenza della debolezza umana che segue sempre ciò che è più facile. E più avanti spiega ancora una volta che i sacerdoti vengono scelti soprattutto tra coloro che sono celibi o monaci. Se tra di loro non si trovano candidati a sufficienza, verrebbero presi anche tra gli sposati, i quali pero hanno rinunciato all'uso del matrimonio, o tra coloro che, dopo il loro unico matrimonio, sono diventati vedovi.

Queste affermazioni di una personalità che, conoscendo molte lingue, ha viaggiato molto nel primo secolo di libertà della Chiesa nell'Oriente già diviso tra molte dottrine, sono una testimonianza sia della norma comune come anche della situazione di fatto nella prassi del celibato nella Chiesa Orientale dei primi secoli.

2. San Girolamo

Un secondo teste ci è già noto: San Girolamo è stato ordinato sacerdote nell'Asia Minore circa l'anno 379 e ha poi conosciuto nello spazio di sei anni uomini di Chiesa, comunità di monaci ed anche le dottrine e la disciplina dell'Oriente. Dopo aver dimorato per tre anni a Roma ritorno, attraverso l'Egitto, nella Palestina ove rimase fino alla morte avvenuta attorno al 420. Egli si teneva sempre in stretto e vivo contatto con la vita di tutta la Chiesa, essendosene reso capace in modo straordinario attraverso la sua familiarità con molti uomini contemporanei importanti nell'Oriente e nell'Occidente, anche grazie alla sua conoscenza estesa di molte lingue.

Le sue testimonianze esplicite sulla continenza del clero sono già state riportate nella seconda parte. Qui sia nuovamente ricordata la sua opera "Adversus Vigilantium" nella quale, contro il sacerdote della Gallia meridionale che disprezzava il celibato, si è appellato alla prassi delle Chiese dell'Oriente, dell'Egitto e della Sede Apostolica, le quali tutte accettano, afferma, solo chierici vergini, continenti e, se sposati, coloro che hanno rinunciato all'uso del matrimonio. Con ciò abbiamo una testimonianza sulla posizione ufficiale anche della Chiesa Orientale nei riguardi della continenza dei ministri sacri.

Riguardo alla legislazione dei sinodi orientali è da osservare che i concili regionali prima di Nicea, ossia quello di Ancira e Neocesarea e quello postniceno di Gangra parlano si di ministri maggiori sposati, ma non ci danno una sicura informazione sulla liceità di una vita non continente, dopo l'ordinazione sacra, che superi qualche situazione eccezionale.

Anche nei sinodi particolari delle varie Chiese scismatiche dell'Oriente, che si sono stabilite in seguito alle controversie cristologiche e nelle quali si può costatare una sicura deviazione dalla continenza nella prassi della disciplina celibataria, come nell'Occidente, troviamo piuttosto una testimonianza per l'atteggiamento ufficiale contrario all'ortodossia.

3. La questione dell'eremita Paphnuzio

Il Concilio che per il nostro tema ci deve occupare più diffusamente è il primo Concilio Ecumenico che si è tenuto a Nicea nel 325.

L'unica disposizione di questo primo sinodo della Chiesa Universale che riguarda il celibato dei ministri è il can. 3 il quale vieta ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a tutti i chierici di avere con sé nella casa delle donne che si sono introdotte di sotterfugio. L'unica eccezione fanno la madre, la sorella, la zia e altre che sono al di sopra di ogni sospetto. Ora, tra le donne alle quali è permessa la convivenza nella casa non figurano le spose. Possiamo domandarci se questo è un argomento sicuro per il fatto che tra i Padri del Concilio era viva la persuasione dell'obbligo della continenza anche perché al primo posto degli ecclesiastici soggetti al divieto di coabitazione figura il vescovo per il quale valeva sempre anche nella Chiesa Orientale la continenza dall'uso di un matrimonio precedente e che vale anche in Oriente fino ad oggi?

Per una convinzione e rispettiva situazione contraria riguardo ai sacerdoti, ai diaconi e ai suddiaconi si invoca una notizia su un eremita e vescovo del deserto nell'Egitto di nome Paphnuzio, il quale si sarebbe alzato per dissuadere i Padri dal sancire un obbligo generale di continenza. Ciò si dovrebbe lasciare, suggeriva, alla decisione delle Chiese particolari. Tale consiglio sarebbe stato accettato dall'assemblea.

Mentre il noto storiografo della Chiesa, Eusebio di Cesarea, il quale era presente come Padre Conciliare ed era anche favorevole agli Ariani, non riferisce nulla su questo episodio, certo di non poca importanza per tutta la Chiesa, sentiamo per la prima volta di questo dopo più di cento anni passati dal Concilio e ciò dai due scrittori ecclesiastici bizantini, Socrate e Sozomeno. Socrate indica come sua fonte un uomo molto vecchio che sarebbe stato presente al Concilio e che gli aveva raccontato vari episodi su fatti e personaggi di esso. Se si pensa che Socrate, nato attorno al 380, ha sentito questo racconto quando era lui stesso assai giovane da uno che nel 325 non poteva essere molto più di un bambino e non poteva essere preso quale testimone ben cosciente dei fatti del Concilio, anche la più elementare critica delle fonti deve avere seri dubbi sulla autenticità di questa narrazione che avrebbe bisogno di avalli ben più certi.

Questi dubbi sono stati effettivamente mossi già relativamente presto. Nell'Occidente, come già accennato, dal Papa Gregorio VII e da Bernoldo di Costanza. Nel tempo più recente merita attenzione il commento che Valesius, editore delle opere di Socrate e di Sozomeno, ha fatto a questa narrazione nel 1668 e che il Migne ha stampato nella sua Patrologia Greca, vol. 67. L'umanista de Valois, membro di una famiglia di dotti, dice espressamente che tale racconto su Paphnutius sarebbe sospetto perché tra i Padri del Concilio provenienti dall'Egitto non comparirebbe mai un tale vescovo. E al rispettivo passo della storia del Sozomenos ripete che la storia del Paphnutius sarebbe una favola inventata, soprattutto perché tra i Padri che hanno sottoscritto gli Atti del Concilio di Nicea non vi è nessuno che abbia questo nome. Nella traduzione latina di Cassiodoro-Epiphanio (Historia tripartita) di questo episodio si dà solo un estratto di sedici righe dalla Storia del Sozomenos.

Recentemente ha indagato su questo racconto lo studioso tedesco Friedhelm Winckelmann, ed egli viene alla conclusione, che si può considerare definitiva, che si tratta di un fatto inventato, perché la persona di Paphnuzio è stata tirata fuori solo più tardi, il suo nome appare solo nei manoscritti tardivi degli Atti del Concilio e perché scritti del IV secolo lo conoscono solo quale confessore della fede; solamente più tardi leggende agiografiche lo innalzano a taumaturgo e Padre del Concilio di Nicea.

Ma l'argomento più persuasivo contro l'autenticità di questo racconto ci sembra essere il fatto che proprio la Chiesa Orientale che avrebbe avuto il maggior interesse in esso o non ne era a conoscenza o non ha in nessun documento ufficiale fatto uso di esso, appunto perché convinta della sua falsità E lo stesso si può dire se né gli scritti polemici sul celibato dei ministri sacri né i grandi commentatori del secolo XII del Syntagma canonum adauctum, ossia del grande codice del diritto della Chiesa Orientale, definito dal Concilio Trullano del 691, che sono Aristenus, Zonaras, Balsamon, ne fanno menzione e neanche usano il racconto su Paphnuzio, benché ciò sarebbe stato assai più semplice che ricorrere a manipolazioni di testi storici ben noti, come vedremo fra poco.

Solo nel secolo XIV tale racconto appare nel Syntagma alfabeticum di Matthaeus Blastares, il quale pero sembra averlo ritenuto interessante per l'Oriente solo attraverso il Decreto di Graziano.

Nell'Occidente si è accolta tale falsificazione del tutto acriticamente, almeno nella canonistica che basava su di essa anche, almeno in parte, il riconoscimento della disciplina celibataria particolare, differente rispetto alla Chiesa Orientale. Il Concilio Trullano II nel fissare ufficialmente le regole del celibato valide per il futuro nella Chiesa Orientale non si è riferito a Paphnuzio.

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