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IL CELIBATO ECCLESIASTICO

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 11:36
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23/09/2009 11:35

4. Frammentazione del sistema disciplinare in Oriente

Con questo accenno siamo arrivati al punto centrale della storia del celibato dei ministri sacri nella Chiesa bizantina e nelle Chiese associate alla sua ubbidienza nei Riti Orientali.

Alcune considerazioni preliminari ci possono aiutare a comprenderla rettamente. Abbiamo potuto costatare in tutto lo sviluppo del celibato della Chiesa finora considerato che un impegno così gravoso, umanamente parlando, ha dovuto sempre pagare il suo tributo alla debolezza umana. Già sant'Ambrogio di Milano ne è testimone quando afferma che la pratica non corrisponde sempre al precetto soprattutto nelle regioni più remote, anche nell'Occidente. Lo stesso ci ha detto anche Epifanio di Salamina per l'Oriente. Da ciò si vede chiaramente che occorre un controllo e un sostegno costante per mantenere una tale prassi. Nell'Occidente i Concili regionali e i Papi sono sempre intervenuti per richiamare all'osservanza e per sostenerla in tutti i modi e per vigilare sull'adempimento di questo impegno assunto e necessario.

Questa cura costante è invece venuta a mancare nell' Oriente, come tutto lascia supporre. Da una parte lo attesta la storia dei Concili regionali orientali. È vero che si può notare l'effetto benefico di un impegno comune della Chiesa Universale nei Concili Ecumenici che si sono tenuti nel primo millennio nell'Oriente. Ma un tale impegno si riferisce soprattutto alle questioni di fede e di dottrina. I problemi di disciplina e di natura pratico-pastorale si rimettono alle assemblee delle Chiese particolari non solo perché si tratta di tenere conto delle condizioni differenti nelle varie regioni, ma anche e soprattutto a causa dell'organizzazione patriarcale (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme) che dava e implicava una certa autonomia di governo, ancora assai accentuata dalla separazione di non poche Chiese particolari più o meno vittime di eresie soprattutto cristologiche che hanno turbato tutto l'Oriente. Così l'Oriente come tale non poteva più arrivare ad un'opera concordata sistematicamente nelle questioni di disciplina, neanche nelle questioni comuni di disciplina generale ecclesiastica, quale era il celibato dei ministri sacri. Ogni Chiesa particolare emanava norme proprie, spesso differenti secondo le proprie convinzioni diverse.

Mancava pero e soprattutto un'autorità generale riconosciuta come tale per tutto l'Oriente che potesse efficacemente provvedere a questo coordinamento della disciplina più generale e che potesse prendere dei provvedimenti efficaci di controllo, di vigilanza e di esecuzione.

Questa situazione si rispecchia in modo più chiaro nelle raccolte di norme della Chiesa Orientale che contengono le prescrizioni dei Concili Ecumenici e anche dei Concili particolari dei primi secoli. Ma la legislazione dei secoli successivi non veniva più accolta nella raccolta comune precedentemente formata, il Syntagma canonum. Al posto delle disposizioni Pontificie, che tanta parte avevano per concordare la disciplina generale dell'Occidente, venivano accolti brani dogli scritti dei principali Padri Orientali che erano più di natura ascetica, e le leggi imperiali in materia ecclesiastica, frutto del Cesaropapismo regnante nella Chiesa bizantina, ma che erano veramente norme vincolanti che provvedevano ancora ad una certa uniformità nei punti disciplinari da loro trattati.

Della disciplina Occidentale, sia generale che particolare, l'Oriente ha accettato, nella sua raccolta più comune di diritto ecclesiastico, solo quella della Chiesa d'Africa che era quella più nota e più vicina nonostante appartenesse all'Occidente romano: anzi, la raccolta più importante ed estesa di essa, il Codex canonum Ecclesiae Africanae oppure il Codex in causa Apiarii, per la quale l'Oriente era stato interpellato, fu inserita nel suo Syntagma.

Per la posizione e l'influsso esercitato in Oriente dagli Imperatori esistono i cosiddetti Nomocanones, raccolte nelle quali erano riunite leggi ecclesiastiche e statali in materia ecclesiastica, sull'osservanza delle quali vegliava anche l'Imperatore fin dove i territori orientali della Chiesa gli erano ancora soggetti.

Con questa situazione esistente nella Chiesa Orientale si spiega ora anche la mancanza di un'azione generale efficace contro l'immancabile cedimento nell'osservanza dell'obbligo celibatario di tutti i ministri sacri. Mentre si riusciva a mantenere quasi in tutto l'Oriente almeno per i vescovi l'antica tradizione di completa continenza, anche di coloro che erano stati sposati prima dell'ordinazione - anche perché molti furono scelti tra i monaci -, l'uso del matrimonio dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi contratto prima dell'ordinazione, sempre più invalso, veniva lentamente giudicato non più arrestabile e meno ancora recuperabile l'obbligo della continenza completa. Ciò significa che ci si arrendeva alla situazione di fatto.

Non è da meravigliarsi se le prime leggi a sanzionare questa situazione furono le leggi imperiali, poiché, non ispirandosi certamente a considerazioni teologiche, cercavano di regolare le condizioni civili connesse con il ministero sacro. Infatti, mentre il Codice Theodosiano (a. 434) fa ancora capire che la continenza può essere salvaguardata anche se si permette alla sposa di abitare con il marito anche dopo l'ordinazione sacra, poiché l'amore alla castità non permette di metterla sulla strada ed il comportamento di lei prima dell'ordinazione del marito l'ha mostrata degna di lui, la legislazione dell'Imperatore Giustiniano I in materia ecclesiastica sia nel Codice (a. 534) che nelle Novelle (535-565) mostra già un atteggiamento diverso. Da una parte si sostiene ancora la proibizione di ammettere all'ordine sacro chi era stato sposato più di una volta e quella di sposarsi un'altra volta dopo l'ordinazione e ciò per tutti i gradi dal suddiaconato in su; ma la coabitazione con la moglie è ora permessa per i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, affinché possano continuare l'uso del matrimonio di prima se questo era stato celebrato solo una volta e con una vergine.

5. La legislazione del II Concilio Trullano

Qual è ora la legislazione della Chiesa Orientale stessa di fronte a queste disposizioni imperiali? Come già detto, nell'Oriente esiste un'attività conciliare svolta insieme alla Chiesa Occidentale per i problemi della fede, ma non si è più arrivati ad una legislazione comune in materia disciplinare. Poiché anche il Concilio Trullano I, dell'anno 680/81, non aveva emesso disposizioni disciplinari, l'Imperatore Giustiniano II ha convocato un secondo Concilio in Trullo nell'autunno del 691 nel quale si voleva finalmente raccogliere la legislazione disciplinare della Chiesa Bizantina e decidere i necessari aggiornamenti e complementi, ivi compresa soprattutto la legalizzazione di stati di fatto già esistenti ma senza il necessario supporto normativo. Ciò si è fatto con la promulgazione di 102 canoni che si sono poi aggiunti al vecchio Syntagma che divenne così il Syntagma adauctum, l'ultimo Codice della Chiesa bizantina.

Tutta la disciplina aggiornata riguardante il celibato è stata fissata in sette canoni (3, 6, 12, 13, 26, 30, 48) in forma vincolante e con le sanzioni annesse.

Questo Concilio Trullano II o Quinisesto era un Concilio della Chiesa Bizantina, convocato e frequentato dai suoi vescovi e sostenuto dalla sua autorità che era appoggiata in modo decisivo da quella dell'Imperatore. La Chiesa Occidentale non ha inviato legati (anche se vi ha assistito l'apocrisiario, ossia il delegato permanente di Roma residente a Costantinopoli) e non ha mai riconosciuto questo Concilio come ecumenico, nonostante ripetuti tentativi e pressioni soprattutto da parte dell'Imperatore. Papa Sergio (687-701) che proveniva dalla Siria ha rifiutato il riconoscimento. Solo Giovanni VIII (872-882) ha riconosciuto le deliberazioni che non erano contrarie alla prassi Romana fin allora vigente. Ogni altro riferimento da parte dei Romani Pontefici ai canoni Trullani non potrà pretendere altro che di essere solo una presa di conoscenza con un riconoscimento più o meno esplicito di essi quale diritto particolare, tollerato, della Chiesa Orientale.

Da quali fonti derivano ora le decisioni Trullane circa la disciplina celibataria bizantina fino ad oggi vincolanti? Per potere rispondere adeguatamente a questa domanda occorre esaminare prima le singole disposizioni.

Can. 3: decide che tutti coloro che dopo il battesimo hanno contratto un secondo matrimonio o abbiano vissuto in concubinato come anche coloro che avevano sposato una vedova, una divorziata, una prostituta, una schiava o un'attrice non possono diventare né vescovi, né sacerdoti, né diaconi.

Can. 6: dispone che ai sacerdoti e ai diaconi non è lecito contrarre un matrimonio dopo l'ordinazione.

Can. 12: ordina che i vescovi non possono, dopo la loro ordinazione, coabitare con le loro mogli e perciò non possono più usare il matrimonio.

Can. 13: stabilisce che, contrariamente alla prassi romana che proibisce l'uso del matrimonio, i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi, nella Chiesa Orientale possono, in forza di antiche prescrizioni apostoliche, per la perfezione e il retto ordine convivere con le loro spose e usare il matrimonio eccetto nei tempi in cui prestano il servizio all'altare e celebrano i sacri misteri dovendo essere per questo tempo continenti. Ciò sarebbe stato detto dai Padri radunati in Cartagine: "Sacerdoti, diaconi e suddiaconi devono essere continenti nel tempo del loro servizio all'altare, affinché ciò che è stato tramandato dagli apostoli ed osservato da tempi antichi anche noi custodiamo, destinando il tempo a tutto, specialmente alla preghiera e al digiuno: coloro che dunque prestano servizio all'altare divino devono essere in tutto continenti nel tempo dei loro servizi sacri, affinché possano ottenere ciò che chiedono a Dio in tutta semplicità". Chi dunque osa privare, oltre i canoni apostolici, i ministri in sacris cioè sacerdoti, diaconi e suddiaconi dell'unione e comunione con le legittime mogli, deve essere deposto come anche colui che, sotto il pretesto di pietà, manda via sua moglie e insiste nella separazione.

Can. 26: decreta che un sacerdote che per ignoranza ha contratto un matrimonio illecito debba accontentarsi della sua prima posizione ma deve astenersi da ogni ministero sacerdotale. Un tale matrimonio deve essere disciolto e ogni comunione con questa sposa è proibita.

Can. 30: permette che coloro che col reciproco consenso vogliono vivere continenti non devono vivere insieme; ciò vale anche per i sacerdoti che dimorano in paesi barbari (come tali si intendono i sacerdoti che vivono nella Chiesa Occidentale). Questo impegno assunto è però una dispensa che si accorda ai detti sacerdoti solo per la loro pusillanimità e per i costumi da cui sono circondati.

Can. 48: comanda che la sposa del vescovo, che dietro reciproco consenso è separata, deve entrare in un monastero dopo l'ordinazione di lui ed essere mantenuta dal vescovo. Ma essa può essere anche promossa diaconessa.

Da queste disposizioni conciliari risulta quanto segue: I'Oriente conosce bene la prassi celibataria dell'Occidente. Si appella per la propria prassi differente, come l'Occidente, alla tradizione che risalirebbe fino agli apostoli. Infatti la Chiesa bizantina concorda anche nella legislazione Trullana con la Chiesa Latina nei punti seguenti, per i quali si richiama come l'Occidente alla Sacra Scrittura del Nuovo Testamento: il matrimonio contratto prima della sacra ordinazione deve essere stato solo uno e non con una vedova o con altre donne che la legge esclude. Un primo o successivo matrimonio dopo l'ordinazione ricevuta non è lecito. I vescovi non possono più avere convivenza matrimoniale con la sposa, ma devono vivere in piena continenza e perciò le loro mogli non possono più abitare con loro, devono pero essere mantenute dalla Chiesa. L'Oriente esige in più l'ingresso in un monastero o l'ordinazione a diaconessa.

La differenza sostanziale della prassi della Chiesa Orientale riguarda solo i gradi di ordine sacro al di sotto del vescovo. Per questi l'astensione dall'uso del matrimonio si esige solo durante il tempo del servizio effettivo all'altare, il quale allora era limitato nell'Oriente alla domenica o ad altro giorno ancora della settimana.

Ci troviamo qui dunque di fronte ad un ritorno alla prassi vigente nell'Antico Testamento che la Chiesa antica ha sempre esplicitamente rifiutato con chiare ragioni. Qui invece la convivenza e l'uso del matrimonio durante il tempo libero dal servizio diretto non solo vengono difese con grande risolutezza ma ogni atteggiamento contrario viene punito con gravissime sanzioni. L'eccezione comprensibile per i sacerdoti viventi nelle regioni della Chiesa Latina è dichiarata una dispensa che viene concessa solo a causa di una evidente debolezza umana degli stessi sacerdoti e delle difficoltà provenienti dall'ambiente tra le quali è certamente il fatto della generale prassi di continenza del clero occidentale.

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