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SALITA DEL MONTE CARMELO -opera integrale di S.Giovanni d.Croce

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:12
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29/09/2009 21:49

 

CAPITOLO 8

Ove si dimostra, in maniera generale, che nessuna creatura né alcuna conoscenza accessibile all’intelletto possono servire come mezzo immediato per l’unione con Dio.

1. Prima di parlare della fede, quale mezzo proprio e più adeguato per l’unione con Dio, è opportuno provare che nessuna realtà creata o pensata può servire all’intelletto come mezzo specifico per unirsi a Dio, e che tutto ciò che l’intelletto può raggiungere gli è più d’impedimento che d’aiuto, qualora volesse appoggiarvisi. Ora, in questo capitolo, proverò questa verità in maniera generale e poi in particolare, esaminando tutte le conoscenze che l’intelletto può formarsi con l’aiuto dei sensi esterni e interni, nonché gli inconvenienti e i danni che può subire da tutte queste informazioni esteriori e interiori, se vuole procedere senza l’aiuto della fede, che è l’unico mezzo per l’unione divina.

2. Occorre però ricordare che, secondo un principio filosofico, tutti i mezzi devono essere proporzionati al fine, cioè devono avere una qualche convenienza o somiglianza con esso, in modo da poter raggiungere il fine al quale per loro tramite si tende. Per esempio, se uno vuole andare in una città, deve necessariamente percorrere la strada, che è il mezzo che ad essa unisce e conduce. Così pure, se si vuole appiccare il fuoco al legno, è necessario che il calore, suo mezzo specifico, raggiunga quei determinati gradi che occorrono per rendere progressivamente il legno simile al fuoco. Se, invece, si volesse accendere il legno con un mezzo diverso da quello proprio che è il calore, per esempio con l’aria, o con l’acqua o con la terra, sarebbe impossibile unire il legno al fuoco; come sarebbe ugualmente impossibile arrivare a una città se non si seguisse la strada che porta ad essa. Così è per l’intelletto. Perché possa unirsi a Dio in questa vita, nei limiti del possibile, esso deve necessariamente usare quel mezzo che lo unisce a lui e con lui ha una forte somiglianza.

3. A questo proposito, dobbiamo ricordare che fra tutte le creature superiori e inferiori non ce n’è alcuna che sia mezzo adatto all’unione con Dio o che abbia somiglianza con lui. Difatti, come dicono i teologi, sebbene sia vero che tutte le creature abbiano un certo rapporto con Dio e qualche traccia del suo essere – chi più, chi meno, secondo la loro natura – tuttavia non v’è relazione alcuna o somiglianza essenziale tra esse e Dio, a motivo dell’infinita distanza che intercorre tra il loro essere e quello di Dio. È quindi impossibile che l’intelletto possa unirsi a Dio mediante le creature, sia celesti che terrene, perché non c’è una sufficiente somiglianza. Per tale motivo, parlando delle creature celesti, Davide afferma: Fra gli dei nessuno è come te, Signore (Sal 85,8), chiamando dei gli angeli e i santi. E altrove: O Dio, santa è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio? (Sal 76,14), come a dire: la via per arrivare a te, o Dio, è una via santa, cioè una via di pura fede; per cui, quale dio sarà così grande? Cioè: quale angelo sarà così elevato nel suo essere o quale santo così glorificato da poter essere una via proporzionata e sufficiente per venire a te? Sempre Davide, parlando delle creature terrene e celesti insieme, afferma: Eccelso è il Signore e guarda verso l’umile, ma al superbo volge lo sguardo da lontano (Sal 137,6). Come a dire: essendo eccelso nella sua essenza, scorge che l’essere delle creature della terra è infimo a confronto con il suo; quanto alle cose elevate o creature celesti, le vede e conosce molto distanti dal suo essere. Nessuna delle creature, quindi, può servire all’intelletto come mezzo adeguato per raggiungere Dio.

4. Allo stesso modo, tutto ciò che l’immaginazione può rappresentare e l’intelletto apprendere e capire in questa vita, non è né può essere mezzo immediato per arrivare all’unione con Dio. Dal punto di vista naturale, l’intelletto può raggiungere solo ciò che è contenuto e si presenta sotto le forme e le immagini delle cose che ci vengono attraverso i sensi corporali; ora queste cose, come ho detto, non possono servire da mezzo per l’unione; di conseguenza non ci si può avvalere dell’intelligenza naturale. Parlando, poi, dal punto di vista soprannaturale, per quanto è possibile in questa vita, l’intelletto, secondo la sua potenzialità ordinaria, finché è nel carcere del corpo, non ha né la disposizione né la capacità di avere una conoscenza chiara di Dio, perché tale conoscenza non appartiene alla condizione naturale: o si deve morire o si deve farne a meno. Quando Mosè chiese a Dio questa conoscenza, gli fu risposto che non era possibile: Nessun uomo può vedermi e restare vivo (Es 33,20). E san Giovanni aggiunge: Nessuno ha mai visto Dio né qualcosa di simile a lui (1Gv 4,12; Gv 1,18). Continuano in questa linea Isaia e san Paolo quando affermano: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo… (1Cor 2,9; cfr. Is 64,3). Questo è il motivo per cui Mosè, come si racconta negli Atti degli Apostoli (7,32), non osò guardare il roveto ardente, dov’era presente Dio. Sapeva, infatti, che il suo intelletto era incapace di contemplare Dio, in maniera adeguata e conformemente a ciò che di lui ascoltava. Di Elia, nostro padre, si dice che sul monte si coprì il volto alla presenza di Dio (1Re 19,13), cioè rese cieco il proprio intelletto. Egli compì quel gesto, perché non osava posare la sua mano tanto vile su una cosa così eccelsa, ben sapendo che qualsiasi cosa avesse meditato e compreso nei particolari, sarebbe stata sempre molto lontana e diversa da Dio.

5. Pertanto nessuna conoscenza o percezione soprannaturale, in questa nostra condizione mortale, può servire come mezzo immediato per la sublime unione d’amore con Dio. Tutto ciò che l’intelletto può comprendere, la volontà gustare e l’immaginazione fabbricare è, ripeto, molto diverso e sproporzionato rispetto a Dio. Ciò è quanto meravigliosamente riferisce Isaia con tutta la sua autorevolezza: A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde l’idolo, l’orafo lo riveste d’oro e l’argentiere lo copre con lamelle d’argento (Is 40,18-19). Per fabbro qui s’intende l’intelletto, che ha il compito di formare le conoscenze e spogliarle del ferro delle specie e delle immagini. Per orafo qui s’intende la volontà, che ha la capacità di ricevere la figura e la forma dei piaceri, causati dall’oro dell’amore. Per argentiere, incapace – così viene qualificato – di rappresentare Dio con lamelle d’argento, s’intende la memoria unitamente all’immaginazione. Difatti si può giustamente dire che le conoscenze e le fantasie, da entrambe elaborate e forgiate, sono come lamelle d’argento. Tutto ciò sta a significare che né l’intelletto con le sue conoscenze potrà comprendere cose simili a Dio, né la volontà gustare diletti e dolcezze somiglianti a quelle di Dio, né la memoria riprodurre nella fantasia conoscenze e immagini che lo rappresentino. È chiaro, quindi, che nessuna di queste conoscenze può immediatamente indirizzare l’intelletto verso Dio. Per avvicinarsi a lui deve procedere piuttosto con la rinuncia che con il desiderio di capire, tenersi nella cecità e nelle tenebre piuttosto che spalancare gli occhi e fissare il raggio divino.

6. Per questo la contemplazione, che consente all’intelletto di raggiungere la più alta conoscenza di Dio, è chiamata teologia mistica, che vuol dire segreta sapienza di Dio, perché è nascosta allo stesso intelletto che la riceve. San Dionigi la chiama anche raggio di tenebra. Di essa il profeta Baruc ha detto: Non hanno conosciuto la via della sapienza, non si sono ricordati dei suoi sentieri (Bar 3,23). È chiaro, quindi, che l’intelletto deve rendersi cieco riguardo a tutti i sentieri che può intraprendere per unirsi a Dio. Aristotele afferma che l’infinita luce di Dio è fitta tenebra per il nostro intelletto, come il sole lo è per gli occhi del pipistrello. E aggiunge che quanto più le cose di Dio sono eccelse e chiare in sé, tanto più sono ignorate e oscure per noi. Lo stesso afferma l’Apostolo quando scrive: La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio (1Cor 3,19).

7. A questo punto non finirei mai di citare testi e addurre argomenti per provare diffusamente che fra tutte le cose create e quelle che possono essere raggiunge con l’intelletto non esiste scala per la quale questo possa arrivare alle altezze di Dio. Al contrario, occorre sapere che se l’intelletto vuole servirsi di tutte le cose create, o di alcune di esse, come mezzo immediato per l’unione con Dio, vi troverà non solo un impedimento per salire questo «Monte», ma gli saranno anche occasione di gravi errori e inganni.

CAPITOLO 9

Ove si prova come la fede sia per l’intelletto il mezzo immediato e adeguato che conduce l’anima all’unione divina d’amore. Viene dimostrato con testi e immagini tratti dalla sacra Scrittura.

1. Da quanto detto si deduce che, per disporsi a questa unione divina, l’intelletto deve rimanere libero e purificato da tutto ciò che cade sotto i sensi, spoglio e sgombro da tutto quanto potrebbe conoscere chiaramente, intimamente pacificato, ridotto al silenzio, stabilito nella fede, unico mezzo immediato e adeguato all’unione dell’anima con Dio. È così grande, infatti, la somiglianza tra la fede e Dio, che non c’è differenza tra il vedere Dio qual è e il credere in lui: Dio è infinito, ed essa ce lo propone infinito; Dio è uno e trino, ed essa ce lo propone uno e trino; Dio è tenebra per la nostra intelligenza, e anch’essa è oscurità e tenebra per la nostra intelligenza. La fede è l’unico mezzo attraverso cui Dio si manifesta all’anima nella luce divina che supera ogni intelligenza. E così, quanto più l’anima ha fede, tanto più è unita a Dio. Ciò è quanto intendeva dire l’autore biblico nel passo citato sopra: Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste (Eb 11,6), cioè è necessario che vada a lui camminando nella fede. L’intelletto deve restare nell’oscurità e nelle tenebre, lasciandosi guidare solo dalla fede, perché in queste tenebre Dio si comunica all’intelletto e in esse si nasconde, secondo le parole di Davide: Fosca caligine pose sotto i suoi piedi. Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento. Si avvolgeva di tenebre come di velo; acque oscure e dense nubi lo coprivano (Sal 17,10-12).

2. Le espressioni: pose fosca caligine sotto i suoi piedi, si avvolgeva di tenebre e acque oscure e dense nubi lo coprivano vogliono indicare l’oscurità della fede in cui Dio è avvolto. Le altre: cavalcava un cherubino e volava e si librava sulle ali del vento vogliono dire che egli trascende ogni intelletto; i cherubini, infatti, significano gli essere intelligenti o contemplanti. E le ali del vento significano le sottili e acute conoscenze, nonché le cognizioni degli spiriti, sopra tutte le quali si libra il suo essere, che nessuno può raggiungere con le proprie forze.

3. Una figura di questa verità la troviamo nella sacra Scrittura, ove si legge che, quando Salomone ebbe finito di edificare il tempio, Dio vi scese in una nube e lo riempì d’una oscurità tale che i figli d’Israele non potevano vedere nulla. Salomone, allora, si espresse in questi termini: Il Signore ha deciso di abitare nella densa nube (1Re 8,12). Ugualmente in una nube, dove si nascondeva, Dio apparve a Mosè sul monte. Tutte le volte che Dio si manifestava nella sua maestà, appariva in una nube, come vediamo nel libro di Giobbe (38,1 e 40,1), dove si legge che Dio gli parlò di mezzo al turbine. Tutte queste tenebre significano l’oscurità della fede in cui è nascosta la Divinità mentre si comunica all’anima. Una volta avvenuto l’intervento divino, come dice san Paolo, quello che è imperfetto scomparirà (1Cor 13,10): scompariranno, cioè, le tenebre della fede e verrà ciò che è perfetto, ossia la luce di Dio. Di tale verità abbiamo una figura significativa nell’esercito di Gedeone. Tutti i suoi soldati, si dice, avevano le fiaccole in mano, ma non le vedevano, perché le tenevano nascoste dentro brocche vuote. Rotte queste, apparve d’improvviso la luce (Gdc 7,16ss). Così è la fede, simboleggiata da queste brocche. Essa contiene in sé la luce divina, ma nel momento in cui questa virtù cesserà, al termine di questa vita mortale, apparirà subito la gloria e la luce della Divinità in essa racchiusa.

4. È, quindi, chiaro che l’anima, in questa vita, per arrivare a unirsi e intrattenersi immediatamente con Dio, deve necessariamente penetrare in questa tenebra, ove Dio aveva promesso a Salomone di abitare; deve avvicinarsi a quella nube oscura, ove Dio volle rivelare i suoi segreti a Giobbe, e prendere nelle mani le brocche vuote di Gedeone, per poter agire alla luce della fede oscura nell’unione d’amore con Dio. Ben presto, quando si romperanno le brocche di questa vita, unico impedimento alla luce della fede, essa lo potrà vedere faccia a faccia nella gloria.

5. Non mi resta, ora, che parlare, in particolare, delle diverse conoscenze e percezioni che l’intelletto può acquisire, come pure degli ostacoli e dei danni che l’anima può incontrare in questo cammino di fede. Spiegherò altresì come l’anima deve comportarsi in tali conoscenze, provenienti sia dai sensi sia dallo spirito, perché le siano di giovamento e non di danno.

CAPITOLO 10

Ove si illustra la distinzione fra tutte le percezioni e conoscenze che l’intelletto è in grado di avere.

1. Dovendo trattare in particolare dei vantaggi e dei danni che le percezioni e conoscenze dell’intelletto possono recare all’anima nei confronti della fede – mezzo, ripeto, propedeutico all’unione divina – è necessario stabilire qui la distinzione fra tutte le conoscenze, naturali e soprannaturali, che esso può acquisire. In seguito ne tratterò il più brevemente possibile, con ordine e distinzione, in modo da indirizzare l’intelletto verso la notte oscura della fede.

2. Occorre sapere che l’intelletto può ricevere informazioni e conoscenze in due modi: naturale e soprannaturale. Quello naturale comprende tutto ciò che l’intelletto può capire sia attraverso i sensi corporali che da se stesso. Quello soprannaturale comprende tutto ciò che gli viene offerto al di sopra della sua capacità e attitudine naturale.

3. Alcune conoscenze soprannaturali sono corporee, altre spirituali. Quelle corporee sono di due specie: alcune vengono ricevute dall’intelletto attraverso i sensi esterni, altre attraverso i sensi interni, con tutto ciò che l’immaginazione può racchiudere, immaginare o elaborare.

4. Anche le conoscenze spirituali sono di due specie: alcune sono distinte e particolari, un’altra è confusa, oscura e generale. Tra quelle distinte e particolari rientrano quattro generi di conoscenze particolari che vengono comunicate allo spirito-mente senza mediazione di alcun senso corporale; sono le visioni, le rivelazioni, le locuzioni e i sentimenti spirituali. La conoscenza oscura e generale si ha solo nella contemplazione, raggiunta nella fede: è in questa che dobbiamo collocare l’anima, guidandovela attraverso tutte le altre specie di conoscenze, cominciando dalle prime, per dire poi come essa se ne debba liberare.

CAPITOLO 11

Ove si parla dell’impedimento e del danno provenienti dalle conoscenze che l’intelletto può ricevere soprannaturalmente attraverso i sensi corporali esterni, e come l’anima deve comportarsi nei loro confronti

1. Le prime conoscenze, di cui ho parlato nel capitolo precedente, sono quelle che l’intelletto acquisisce per via naturale. Ne ho già trattato nel libro I, dove ho indicato come l’anima debba introdursi nella notte dei sensi. Non ne parlo, dunque, più: bastano gli insegnamenti offerti all’anima allora su questo punto. Nel presente capitolo tratterò, pertanto, solamente delle conoscenze e percezioni che l’intelletto acquisisce soprannaturalmente attraverso i sensi esterni, cioè attraverso la vista, l’udito, l’odorato, il gusto e il tatto. Da tali conoscenze possono e sogliono nascere nelle persone spirituali rappresentazioni e notizie soprannaturali. Così attraverso la vista sogliono presentarsi figure e personaggi dell’altra vita, qualche santo, angeli, diavoli, alcune luci e splendori straordinari. Per mezzo dell’udito si possono ascoltare parole straordinarie, pronunciate dagli stessi personaggi che si vedono o senza vedere chi le pronunci. Per mezzo dell’olfatto si percepiscono, a volte, profumi soavissimi, senza sapere da dove vengano. Anche per mezzo del gusto si possono sperimentare sapori molto squisiti, e ugualmente provare grande piacere per il tatto, tanto che a volte sembra che la carne e le ossa godano e fremano immersi nel piacere. Così è quella che viene chiamata «unzione dello spirito», che da questo si diffonde nelle membra delle anime pure. Questa soavità dei sensi è molto comune nelle persone spirituali, perché procede dai sentimenti e dalla devozione particolare dello spirito, ma è più o meno intensa in ogni anima.

2. Occorre tener presente, però, che, sebbene tutti questi fenomeni possano introdursi nei sensi corporali per intervento di Dio, non si deve mai fare assegnamento su di essi né accoglierli. Occorre, piuttosto, guardarsene categoricamente, senza nemmeno indagare se siano buoni o cattivi. Del resto, quanto più sono esterni e corporali, tanto meno certamente provengono da Dio. Infatti, abitualmente e convenientemente Dio si manifesta più allo spirito, dove c’è maggiore sicurezza e profitto per l’anima, che ai sensi, ove ordinariamente si celano molti pericoli e inganni. In realtà, in queste circostanze il senso si erige a giudice ed estimatore delle cose spirituali, credendo che siano come le percepisce, mentre esse sono tanto diverse quanto lo sono il corpo e l’anima, la sensibilità e la ragione. Il senso corporale ignora le cose dello spirito tanto quanto, e forse più, il giumento le cose razionali.

3. Sbaglia molto chi apprezza questa sorta di favori e corre grave pericolo di essere ingannato o, quanto meno, troverà in sé un forte ostacolo per accedere al piano dello spirito. Infatti, ripeto, tutti questi favori corporali non hanno alcun rapporto con le cose dello spirito. Per questo motivo occorre sempre ritenere che essi provengano dal demonio piuttosto che da Dio. Il demonio ha più mano libera sulla parte esteriore e corporale e gli è più facile ingannare su questo punto, che non riguardo alla parte interiore e spirituale.

4. Tali manifestazioni e forme corporee tanto meno giovano all’anima e allo spirito quanto più sono esteriori, a motivo della grande distanza e della sproporzione che intercorrono tra il corporale e lo spirituale. Difatti, anche se esse comunicano qualche profitto spirituale, come sempre accade quando provengono da Dio, tuttavia tale effetto è sempre molto inferiore a quello che si avrebbe se tali manifestazioni fossero spirituali e interiori. In tal modo esse possono trarre in errore molto facilmente e infondere presunzione e vanità nell’anima. Essendo tanto palpabili e materiali, solleticano molto i sensi, e l’anima crede che siano più preziose in quanto più sensibili. Essa, perciò, corre dietro a loro e abbandona la fede, ritenendo che quella luce sia la guida e il mezzo per raggiungere il suo scopo, cioè l’unione con Dio. Al contrario, essa smarrisce la via e il mezzo della fede quanto maggiormente pone attenzione a simili manifestazioni.

5. Ma vi è di più. Quando l’anima si accorge che le accadono tali fatti straordinari, spesso comincia ad accarezzare segretamente una certa opinione di valere qualcosa dinanzi a Dio, il che è contrario all’umiltà. Il demonio, inoltre, sa istillare nell’anima una segreta autocompiacenza, qualche volta anche troppo palese. A tale scopo, talvolta produce questi effetti nei sensi, offrendo agli occhi immagini di santi e splendori bellissimi, all’orecchio parole lusinghiere, all’olfatto profumi soavissimi, dolcezze al palato e delizie al tatto, per indurre le anime al male, adescandole attraverso i sensi. Occorre, quindi, respingere sempre simili rappresentazioni e sensazioni, perché, anche se venissero da Dio, non gli si reca offesa né si perdono l’effetto e il frutto che Dio intende comunicare all’anima per mezzo di esse, solo perché respinte e non cercate.

Sezione 3

Cap.

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LIBRO III

Ove si parla della purificazione, attraverso la notte attiva, della memoria e della volontà. S’insegna come deve comportarsi l’anima nei riguardi delle operazioni di queste due potenze, così da giungere, per loro tramite, all’unione con Dio, in perfetta speranza e carità.

CAPITOLO 1

1. Finora ho spiegato come l’intelletto, la prima delle potenze dell’anima, debba comportarsi, alla luce della fede, in tutte le conoscenze che va acquisendo, perché l’anima possa unirsi a Dio nella purezza di tale virtù. Ora non resta che applicare lo stesso procedimento alle altre due potenze dell’anima, cioè la memoria e la volontà, affinché, purificate anch’esse nei confronti delle loro rispettive operazioni, l’anima possa unirsi a Dio attraverso una perfetta speranza e carità. Ciò è quanto intendo esporre brevemente in questo libro III. Avendo appena finito di dire che l’intelletto è, in certo qual modo, la sede di tutti gli oggetti di queste potenze, ho già assolto buona parte del compito prefissomi. Non è necessario, dunque, che mi dilunghi troppo su queste due potenze. Difatti non è possibile che l’uomo spirituale, che ha ben istruito il suo intelletto nella fede secondo la dottrina esposta sopra, non istruisca nello stesso tempo anche le altre due potenze nella pratica delle altre due virtù, perché le operazioni delle une dipendono dalle operazioni delle altre.

2. Ma per ottemperare allo scopo stabilito e per far comprendere meglio questo argomento, è necessario parlarne in modo appropriato e preciso. Tratterò, dunque, delle conoscenze proprie a ciascuna facoltà, anzitutto di quelle relative alla memoria, suddividendole quanto basta per il nostro argomento. Ora, si possono dividere le conoscenze in base agli oggetti della memoria, che sono tre: naturali, immaginari e spirituali; secondo questi tre oggetti, vi sono anche tre forme di conoscenze della memoria: conoscenze naturali, immaginarie soprannaturali, spirituali.

3. Ne parlerò, con l’aiuto di Dio, cominciando dalle conoscenze naturali che si riferiscono a oggetti più esteriori. Subito dopo passerò a trattare delle affezioni della volontà, e così concluderò questo libro III dedicato alla notte attiva dello spirito.

CAPITOLO 2

Ove si parla delle conoscenze naturali della memoria e si dice che l’anima deve distaccarsene perché possa unirsi a Dio per mezzo di questa facoltà.

1. È necessario che il lettore tenga presente in ciascuno di questi libri lo scopo prefisso, altrimenti potrebbero nascergli molti dubbi su quanto sta leggendo, come potrebbe averne su ciò che ho detto dell’intelletto e dirò ora della memoria e poi della volontà. Difatti, osservando come riduco a zero le potenze nelle loro rispettive funzioni, gli potrà forse sembrare che io distrugga l’edificio della vita spirituale, anziché edificarlo. Questo sarebbe vero se qui cercassi di istruire solo i principianti, ai quali è utile servirsi ancora di meditazioni discorsive o di ragionamenti.

2. Qui, invece, intendo insegnare come superare questo grado per giungere attraverso la contemplazione all’unione con Dio. Ciò spiega perché tutti i mezzi e le operazioni sensibili delle potenze debbano essere abbandonati e messi a tacere, affinché il Signore realizzi direttamente nell’anima la divina unione. Occorre, dunque, svuotare le potenze, spogliarle, indurle a rinunciare al loro diritto naturale e alle loro operazioni, per far posto a grazie infuse e a illuminazioni soprannaturali. La loro capacità naturale, infatti, non può adempiere un compito così elevato, anzi può costituire un ostacolo se non viene messa da parte.

3. Se è vero, com’è vero, che l’anima deve arrivare a conoscere Dio attraverso ciò che egli non è, piuttosto che attraverso ciò che egli è, necessariamente per andare a lui essa deve negare, fino all’estremo possibile, tutte le sue conoscenze, non ammettendo né quelle naturali né quelle soprannaturali. Questo è il tema di cui mi occuperò parlando della memoria, tirandola fuori dai suoi limiti e dai suoi sostegni naturali, elevandola al di sopra di sé, cioè al di sopra di ogni conoscenza particolare e di ogni possesso sensibile, per situarla nella somma speranza del Dio incomprensibile.

4. Cominciando, dunque, dalle conoscenze naturali della memoria, dico che appartengono a questo genere tutte quelle che detta facoltà può formare circa gli oggetti relativi ai cinque sensi corporali, cioè l’udito, la vista, il gusto, l’odorato e il tatto, come anche tutte le altre di questo genere che può elaborare e immaginare. Di tutte queste conoscenze e immaginazioni la memoria deve spogliarsi, liberarsi e cercare persino di perdere il ricordo, in modo da non conservarne alcuna impressione o traccia, ma rimanere nuda e libera, come se nulla in essa fosse mai passato, assente e dimentica di tutto. Se la memoria vuole unirsi a Dio, non può fare a meno di annullare tutte queste immagini. Ciò non può avvenire se non si separa completamente da tutte le forme che non sono Dio. Infatti Dio, come ho spiegato nella notte dell’intelletto, non può essere racchiuso in nessuna immagine o conoscenza particolare. Poiché nessuno può servire a due padroni (Mt 6,24), come dice Cristo, la memoria non può essere unita contemporaneamente a Dio e alle immagini o conoscenze particolari: Dio non ha forma né immagine che possa essere compresa dalla memoria; ne segue che, quando l’anima è unita a Dio, come dimostra l’esperienza di ogni giorno, rimane priva di forme e di figure, l’immaginazione resta inattiva e la memoria immersa nel sommo Bene, in totale oblio, senza ricordare nulla. Quest’unione divina, infatti, opera il vuoto nella fantasia e spazza via tutte le forme e conoscenze per elevarla allo stato soprannaturale.

5. È degno di nota quanto, a volte, avviene in questi casi. Talvolta, infatti, quando Dio accorda certi tocchi di unione alla memoria, d’improvviso si produce nel cervello, che è la sede della memoria, un sussulto talmente sensibile che sembra di svenire, di perdere la ragione e l’uso dei sensi. Questo effetto è più o meno intenso, a seconda della potenza del tocco. Allora, ripeto, a motivo di quest’unione, la memoria si libera e si purifica da tutte le sue conoscenze; è come assente e, a volte, talmente dimentica di sé da dover fare un grande sforzo per ricordarsi di qualcosa.

6. Quest’oblio della memoria e questa sospensione dell’immaginazione sono, a volte, in seguito all’unione della memoria con Dio, di tale intensità che passa molto tempo senza che ci si accorga e senza sapere ciò che è accaduto nel frattempo. Inoltre, essendo sospesa l’immaginazione, non si avvertono neanche stimolazioni dolorose, perché senza immaginazione non c’è sentimento né attività di pensiero. Pertanto, perché Dio possa produrre questi tocchi di unione, l’anima deve separare la propria memoria da tutte le conoscenze sensibili. Ma dobbiamo notare che questi fenomeni di sospensione che si avvertono agli inizi dell’unione, non avvengono nei perfetti, perché in essi l’unione è già compiuta.

7. Qualcuno, pur ammettendo che tutto questo è valido, potrebbe obiettare che il corso e l’uso naturale delle potenze sono abolite, per cui la persona resta smemorata come una bestia, anzi peggio, perché non ragiona più né si ricorda delle esigenze e delle operazioni naturali. Ora, Dio non distrugge la natura, ma la perfeziona, mentre da quanto ho detto sembra che derivi necessariamente la distruzione, perché la persona dimentica i principi morali e razionali in vista dell’azione, come anche quelli della sua natura, onde metterli in pratica. Difatti non può ricordare nulla di tutto questo, perché è libera da tutte le conoscenze e immagini indispensabili per la reminiscenza.

8. A questa obiezione rispondo affermativamente. Infatti, quanto più la memoria si unisce a Dio, tanto più si vanno indebolendo in essa le conoscenze particolari fino a perderle del tutto nel momento in cui arriva all’unione perfetta. All’inizio, quando questa si va attuando, l’anima non può non avere un grande oblio di tutte le cose, poiché le loro forme e conoscenze a poco a poco vengono cancellate dalla memoria. Per questo motivo commette molto errori nelle sue abitudini e nel suo comportamento esteriore: non si ricorda di mangiare né di bere, di aver fatto o visto qualcosa, se le sia stato detto o meno una determinata cosa, appunto perché la sua memoria è assorbita in Dio. Ma quando arriva all’unione abituale, che è un bene grandissimo, l’anima non ha più dimenticanze di questo genere circa la sua vita morale e naturale; anzi manifesta una perfezione superiore nelle azioni convenienti e necessarie, sebbene queste non passino più per immagini e conoscenze della memoria. Difatti, quando vi è l’unione abituale, che è già uno stato soprannaturale, la memoria e le altre potenze perdono completamente le loro operazioni naturali; queste vengono elevate dal loro essere naturale a quello di Dio, che è soprannaturale. Essendo, così, la memoria trasformata in Dio, non può più ricevere l’impressione di forme e conoscenze relative alle cose. In questo stato le operazioni della memoria e delle altre potenze sono tutte divine. Dio, infatti, le possiede da assoluto Signore, avendole trasformate in sé; le muove e comanda ad esse divinamente, secondo il suo spirito e la sua volontà. In virtù di tale trasformazione, le operazioni di Dio e quelle dell’anima non sono distinte, quindi le operazioni dell’anima sono compiute da Dio, poiché, come dice san Paolo, chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito (1Cor 6,17). Ne segue che le operazioni dell’anima unita a Dio sono operazioni dello Spirito di Dio, quindi divine.

9. Da ciò deriva ancora che le azioni di queste anime sono convenienti e conformi alla ragione, senza mai essere imperfette, perché lo Spirito di Dio fa loro conoscere ciò che devono sapere e ignorare ciò che devono ignorare, ricordarsi di ciò che devono ricordare senza o con immagini e dimenticare ciò che devono dimenticare, amare ciò che devono amare e non amare ciò che non è in Dio. In tal modo tutti i moti primi e le operazioni delle potenze di quelle anime sono divini. Questo non deve stupirci, perché le potenze sono trasformate nell’essere divino.

10. Porterò qualche esempio circa queste operazioni. Eccone uno: una persona chiede a un’altra, che si trova in questo stato sublime, di raccomandarla a Dio. Ora questa non conserva nella memoria impressione alcuna o conoscenza di sorta di quanto le è stato chiesto. Se sarà bene raccomandare tale persona a Dio, e se Dio vorrà gradire la preghiera che gli verrà rivolta, egli agirà sulla volontà di questa persona ispirandole il desiderio di pregare. Se Dio non gradisce questa preghiera, sebbene quella persona si sforzi di pregare, non le riuscirà né avrà voglia di farlo. A volte Dio le suggerirà di pregare per altri che non conosce o di cui non ha mai sentito parlare. Ciò accade perché Dio muove le potenze di quelle anime a compiere opere conformi alla sua volontà e ai suoi disegni, non altre. Per questo motivo le opere e le preghiere di queste anime sortiscono sempre l’effetto desiderato. Tali erano le preghiere della gloriosissima Vergine nostra Signora. Fin dal primo istante della sua esistenza terrena fu elevata a questo stato sublime. Non ebbe mai impressa nella sua anima immagine di cosa creata, né da questa fu mossa, ma operò sempre sotto la guida dello Spirito Santo.

11. Ecco un altro esempio: una persona deve occuparsi di una faccenda necessaria in un momento determinato. Ella non se ne ricorderà grazie a qualche immagine, ma unicamente le verrà suggerito, senza sapere perché, quando e come converrà compierla, e lo farà perfettamente.

12. Lo Spirito Santo concede luce a tali anime non solo in queste cose, ma anche in molte altre che succedono o succederanno e, in molti casi, benché si trovino fisicamente lontane. A volte questa luce viene concessa all’anima per mezzo d’immagini intellettuali, ma più spesso senza alcuna forma percepibile, ignorando l’anima stessa come ciò avvenga. Tali conoscenze vengono accordate dalla Sapienza divina alle anime che s’impegnano a non sapere e a non apprendere per mezzo delle loro potenze naturali cosa alcuna che sia di ostacolo all’unione con Dio. Tuttavia, come notavo nell’abbozzo del «Monte», esse, generalmente, pervengono a una piena conoscenza, secondo quanto dice il Saggio: La sapienza, artefice di tutto, mi ha insegnato ogni cosa (Sap 7,21).

13. Dirai forse che l’anima non può liberare e spogliare la sua memoria da tutte le immagini e rappresentazioni in modo da pervenire a uno stato così elevato. Infatti qui sorgono due difficoltà superiori alle forze e possibilità umane: la prima consiste nel liberarsi dalla propria natura per mezzo delle capacità naturali, il che è impossibile; la seconda, ancora più ardua, sta nel raggiungere e unirsi al soprannaturale. In verità è impossibile conseguire questo risultato con le sole forze naturali. È vero che è Dio a elevare l’anima a questo stato soprannaturale, ma è altrettanto vero che l’anima non deve trascurare nulla per disporvisi, e ciò può fare naturalmente, soprattutto con l’aiuto che Dio le offre progressivamente. Così, nella misura in cui essa avanza in questa rinuncia e in questo distacco da ogni forma sensibile, Dio le accorda un’unione più piena. Ora, tale risultato si verifica nell’anima passivamente, come dirò, Deo dante, nella notte passiva dell’anima. E così, quando a Dio piacerà e secondo la disposizione a cui l’anima sarà pervenuta, le sarà finalmente concessa l’unione perfetta in modo abituale.

14. Quanto agli effetti divini che l’unione perfetta produce nell’anima, da parte sia dell’intelletto sia della memoria sia della volontà, non ne parlerò in questa notte o purificazione attiva, perché questa da sola non basta a produrre l’unione divina. Ne parlerò, invece, nella notte passiva, attraverso cui si realizza l’unione dell’anima con Dio. Pertanto, ora esporrò solo il modo indispensabile perché la memoria si disponga attivamente, per quanto dipende da essa, a entrare in questa notte e purificazione. La persona spirituale tenga abitualmente presente questa cautela: non si attacchi né conservi nella memoria tutto ciò che udrà, vedrà, odorerà, gusterà e toccherà; lasci piuttosto che essa se ne dimentichi subito e, se necessario, cerchi di applicarsi in questa direzione, con la stessa diligenza che altri usano nel ricordarsene, di modo che in questa facoltà non resti alcuna conoscenza o immagine di quelle sensazioni, come se non esistessero al mondo. Così avrà la memoria libera e distaccata, non legata ad alcuna considerazione proveniente dall’alto o dal basso, quasi non possedesse questa potenza, lasciando che si perda liberamente nell’oblio, come cosa che intralcia se non viene rimossa. Difatti tutto ciò che è naturale, più che aiutare, ostacola, se ce ne vogliamo servire in ciò che è soprannaturale.

15. Se affiorano i dubbi e le obiezioni di cui si è parlato a proposito dell’intelletto, cioè che in tale stato non si fa nulla, si perde tempo e l’anima si priva dei beni spirituali che può ricevere attraverso la memoria, ricordo che si è già risposto a tutte queste difficoltà, e lo farò di nuovo, più avanti, parlando della notte passiva. Non è, perciò, il caso di dilungarsi qui. Occorre, invece, ricordare soltanto che, se l’anima non avverte un profitto da questa sospensione di conoscenze e di ricordi, non per questo deve scoraggiarsi. Dio, infatti, non mancherà di sostenerla a tempo debito. Pertanto, trattandosi di ottenere un bene così grande, conviene sopportare con pazienza e fiducia.

16. È vero che a stento si riesce a trovare un’anima che sia mossa da Dio in tutto e sempre e gli sia unita così abitualmente che le sue facoltà siano mosse divinamente senza la mediazione di alcuna immagine. Tuttavia vi sono anime che molte frequentemente sono mosse da Dio; non sono loro a muoversi, come afferma san Paolo: i figli di Dio, cioè coloro che sono trasformati e uniti a Dio, sono guidati dallo Spirito di Dio, che spinge le loro facoltà a compiere opere divine (Rm 8,14). Non stupisce che le loro opere siano divine, dal momento che l’unione dell’anima con Dio è divina.

 

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