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SALITA DEL MONTE CARMELO -opera integrale di S.Giovanni d.Croce

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:12
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29/09/2009 21:51

 

CAPITOLO 3

Ove si tratta di tre specie di danni causati all’anima se non fa la notte dentro di sé, rifiutando le conoscenze e le considerazioni della memoria. Si parla del primo danno.

1. La persona spirituale è soggetta a tre danni o inconvenienti, nel caso che continui a servirsi delle conoscenze e considerazioni naturali della memoria per andare a Dio o per altri scopi. I primi due inconvenienti sono positivi, il terzo è privativo. Il primo nasce dal contatto con le cose del mondo, il secondo è causato dal demonio; il terzo, quello privativo, è un ostacolo, un turbamento che tali conoscenze producono e causano nell’anima per impedirle l’unione con Dio.

2. Il primo inconveniente, prodotto dal contatto con le cose del mondo, consiste nell’essere soggetti, a causa delle conoscenze e considerazioni della memoria, a ogni genere di danni, come le falsità, le imperfezioni, le cupidigie, i giudizi temerari, le perdite di tempo e tante altre cose che generano nell’anima molte impurità. È chiaro che si cadrà necessariamente in molte falsità se si darà ascolto alle conoscenze e ai ragionamenti, perché molte volte il vero apparirà falso, il certo dubbioso, o viceversa, dato che difficilmente possiamo conoscere a fondo una verità. Ora, l’anima può preservarsi da tutti questi pericoli chiudendo gli occhi della memoria a ogni sorta di ragionamenti e di conoscenze.

3. Si cade in imperfezioni a ogni passo se la memoria si applica a ciò che ha udito, visto, toccato, odorato, gustato, ecc.; ogni oggetto imprime in questa facoltà qualche inclinazione al dolore, al timore, all’odio, alla vana speranza, alla falsa gioia, alla vanagloria… Tutte queste impressioni sono quanto meno delle imperfezioni e, a volte, veri e propri peccati veniali, ecc.; generano nell’anima molte impurità, anche se le considerazioni e conoscenze hanno per oggetto Dio. È evidente, inoltre, che di lì provengano desideri smodati, perché nascono naturalmente da tali conoscenze e considerazioni della memoria; d’altronde il solo desiderio di voler avere queste conoscenze e considerazioni è una cupidigia. È, poi, ben chiaro che i giudizi temerari saranno numerosi, perché la memoria non può fare a meno di occuparsi del bene e del male altrui; ora, molto spesso ciò che è male le appare bene e ciò che è bene le appare male. Credo che nessuno potrà mai liberarsi da tutti questi inconvenienti, se non tenendo nella notte più profonda la memoria nei confronti di tutte le cose.

4. Se mi obietterai che l’uomo potrà benissimo superare tutte queste difficoltà quando gli si presenteranno, ti rispondo che è impossibile che le superi del tutto se dà retta a tali conoscenze. Difatti in queste si insinuano mille imperfezioni e inconvenienti, alcuni dei quali sono così sottili e nascosti da attaccarsi naturalmente all’anima, senza che essa se ne accorga, come la pece si attacca a chi la tocca. Ripeto, dunque, che il miglior modo per vincere tutto in una volta è negare alla memoria ogni conoscenza. Replicherai ancora che l’anima si priva di molti buoni pensieri e considerazioni che le attirerebbero i favori di Dio. A ciò rispondo che la migliore preparazione a tali grazie è la purezza dell’anima, che consiste nel distacco da ogni affetto per le creature, le cose temporali e il ricordo volontario che se ne conserva. Credo che tale affezione non può non attaccarsi fortemente all’anima a causa dell’imperfezione che le sue potenze apportano da sé nelle loro operazioni. Per questo motivo è meglio cercare di ridurre al silenzio tali potenze e metterle a tacere, per consentire a Dio di parlare. Difatti, come ho detto, se l’anima vuole raggiungere questo stato di unione, deve lasciar perdere le sue operazioni naturali; e vi perviene quando, come dice il profeta, entra con tutte le sue potenze nel deserto ove Dio parla al suo cuore (Os 2,14).

5. Mi replicherai che l’anima non conseguirà alcun bene e sarà esposta a molte distrazioni e debolezze, se la memoria non medita sulle cose di Dio e non vi ragiona sopra. Rispondo che se la memoria si ritrae contemporaneamente da tutti i ricordi, è impossibile che sia soggetta ai mali, alle distrazioni, ad altre divagazioni o difetti; infatti queste miserie arrivano sempre in seguito alle stravaganze della memoria, non trovando altro luogo donde poter entrare. Proprio questo accade quando chiudiamo la porta alle considerazioni e ai discorsi sulle cose di lassù e la apriamo a quelle di quaggiù. Ora, invece, noi chiudiamo la porta a tutte le cose che possono essere un ostacolo all’unione, facendo sì che la memoria resti silenziosa e muta e che soltanto l’udito interiore presti in silenzio attenzione a Dio, dicendo con il profeta: Parla, Signore, ché il tuo servo ti ascolta (1Sam 3,10). Allo stesso modo lo sposo del Cantico voleva che fosse la sua sposa, quando diceva: Sorella mia sposa, giardino chiuso, fontana sigillata tu sei (Ct 4,12), chiusa cioè a tutte le cose che vi potrebbero entrare.

6. L’anima, dunque, resti chiusa, senza preoccupazioni e pene! Colui che entrò a porte chiuse con il suo corpo nel cenacolo dov’erano i suoi discepoli, dando loro la pace (Gv 20,19-20), senza che essi sapessero o pensassero se e come ciò potesse accadere, entrerà spiritualmente anche nell’anima senza che questa se ne renda conto o vi cooperi, limitandosi solo a tenere le porte delle sue potenze – memoria, intelletto e volontà – chiuse a tutte le conoscenze. Egli allora gliele riempirà di pace, e farà scorrere nell’anima, come dice il profeta, un fiume di pace (Is 48,18), per dissipare tutti i timori e i sospetti, i turbamenti e le tenebre che prima le facevano temere di essere o di andare perduta. L’anima non trascuri, dunque, la preghiera e attenda nello spogliamento e nel distacco da ogni cosa, perché il suo bene non tarderà.

CAPITOLO 4

Ove si parla del secondo danno che può venire all’anima da parte del demonio attraverso le conoscenze naturali della memoria.

1. Il secondo danno positivo in cui può incorrere l’anima attraverso le conoscenze della memoria ha per autore il demonio, il quale per la via appunto della memoria s’insinua facilmente in essa. Egli può, infatti, suscitare immagini, conoscenze o ragionamenti e per loro mezzo indurre l’anima alla superbia, all’avarizia, all’ira, all’invidia, ecc.; le può insinuare un odio ingiusto, un amore vano e ingannarla in molti altri modi. Oltre a questo, è solito imprimere e fissare nell’immaginazione le sue suggestioni in maniera tale che il falso sembra vero e il vero falso. Insomma, la maggior parte degli inganni o dei mali che il demonio procura all’anima passa attraverso le conoscenze e considerazioni della memoria. Ma se questa facoltà se ne distacca e le annulla nell’oblio, chiude completamente la porta a tutti i danni del demonio e si libera da tutte le tentazioni. Ciò è un gran bene. Il demonio, infatti, non può nulla nell’anima se non mediante le operazioni delle sue potenze, soprattutto per mezzo delle conoscenze, perché da queste dipendono quasi tutte le operazioni delle altre potenze. Di conseguenza, se la memoria si distacca da tali conoscenze, il demonio non può far nulla, perché non trova niente a cui appigliarsi e, mancandogli ogni mediazione, non può nulla.

2. Vorrei che le persone spirituali comprendessero bene quanti danni provocano i demoni nelle anime attraverso la memoria, quando si affidano molto ad essa. Quante tristezze, afflizioni e gioie vane ispira loro riguardo ai pensieri su Dio e sulle cose del mondo! Quante impurità egli fa radicare nel loro spirito, distraendole con forza dal vero raccoglimento, che consiste nell’applicare interamente l’anima, con le sue potenze, al solo bene incomprensibile e allontanarla da tutte le cose sensibili, perché non sono questo bene! Anche se da un tale distacco non seguisse un bene così grande com’è quello di porre l’anima in Dio, sarebbe sempre un gran bene tenerla lontana da molte pene, afflizioni e tristezze, oltre che dalle imperfezioni e dai peccati.

CAPITOLO 5

Ove si parla del terzo danno causato all’anima dalle conoscenze naturali particolari delle memoria.

1. Il terzo danno causato all’anima dalle conoscenze naturali della memoria è privativo, perché le può impedire il bene morale e privarla di quello spirituale. Anzitutto, per mostrare come queste conoscenze impediscano nell’anima il bene morale, occorre sapere che esso consiste nel reprimere le passioni e nel frenare gli appetiti disordinati; allora l’anima ne ottiene tranquillità, pace, serenità e virtù morali, tutte cose che costituiscono il bene morale. L’anima non può padroneggiare queste briglie e questo freno se non dimenticando e allontanando da sé tutto ciò che genera le sue affezioni. Tutti i turbamenti le vengono dalle conoscenze suggerite dalla memoria. Difatti, se tutte le cose di questo mondo vengono dimenticate, non c’è nulla che possa turbare la sua pace o eccitare i suoi appetiti, perché, come si dice, «lontano dagli occhi, lontano dal cuore».

2. Di tale verità facciamo esperienza ogni giorno. Difatti vediamo che tutte le volte che l’anima si mette a pensare a qualcosa, rimane più o meno impressionata e agitata secondo la conoscenza che ha di quella cosa: se è dolorosa o spiacevole, ne ricava tristezza oppure odio, ecc.; se gradevole, se ne rallegra e desidera quella cosa, ecc. Da ciò si deduce che il mutamento delle impressioni genera necessariamente turbamento nell’anima. Questa passa dalla gioia alla tristezza, dall’odio all’amore; essa non può mai perseverare nello stesso stato, che è un effetto della tranquillità morale, a meno che non cerchi di dimenticare tutte le cose create. Da ciò risulta chiaramente che tutte le conoscenze sono di grande ostacolo all’anima per il conseguimento del bene delle virtù morali.

3. Che poi la memoria non completamente distaccata sia un ostacolo per il conseguimento del bene spirituale è chiaramente confermato da quanto detto sopra. Difatti l’anima turbata, che non possiede il fondamento del bene morale, non è capace, come tale, di beni spirituali, i quali s’imprimono solo nell’anima dove regnano l’equilibrio interiore e la pace. Oltre a ciò, se l’anima si attacca e dà importanza alle conoscenze della memoria, poiché può applicarsi a una sola cosa alla volta, nella fattispecie alle conoscenze sensibili di tale facoltà, non potrà occuparsi delle cose incomprensibili, cioè di Dio. Per andare a Dio, come ho sempre detto, l’anima deve procedere piuttosto non comprendendo che comprendendo, deve cambiare ciò che è mutevole e comprensibile con ciò che è immutabile e incomprensibile.

CAPITOLO 6

Ove si parla dei vantaggi che l’anima trova nell’oblio e nel rifiuto di tutti i pensieri e le conoscenze, che le possono venire naturalmente dalla memoria.

1. Da quanto ho detto circa i danni causati all’anima dalle conoscenze della memoria, si possono anche dedurre i vantaggi che, al contrario, le derivano grazie all’oblio e al rifiuto di tali conoscenze, perché, come dicono i filosofi, la conoscenza di un contrario serve a conoscere l’altro contrario. Quanto al primo vantaggio, l’anima gode la tranquillità e la pace dello spirito; non si è più esposti ai turbamenti e alle agitazioni che nascono dai pensieri e dalle conoscenze della memoria; di conseguenza, si possiede la purezza della coscienza e dell’anima, che è un bene superiore. L’anima, inoltre, è profondamente disposta ad acquisire la sapienza umana e quella divina, come pure a praticare le virtù.

2. Quanto al secondo, ci si libera da molte suggestioni, tentazioni e impulsi che il demonio insinua nell’anima per mezzo di pensieri e conoscenze, per farla cadere in molte impurità e peccati, come dice Davide: Pensano e parlano con malizia (Sal 72,8). Per questo, messi da parte i pensieri, il demonio non ha più il mezzo naturale per combattere lo spirito.

3. Quanto al terzo, grazie all’oblio e alla rinuncia di tutte le conoscenze, l’anima possiede la disposizione necessaria per essere guidata e istruita dallo Spirito Santo, che, come dice il Saggio, se ne sta lontano dai discorsi insensati (Sap 1,5). Tuttavia, anche se l’anima per mezzo di tale oblio e rinuncia non si liberasse che dalle pene e dai turbamenti della memoria, ciò costituirebbe già un grande vantaggio e un bene immenso. Difatti le pene e i turbamenti, che si verificano nell’anima in seguito ad avvenimenti spiacevoli o casi avversi, non giovano a nulla né valgono a cambiarli in meglio; anzi di solito li aggravano, e danneggiano persino l’anima. Per questo Davide afferma: L’uomo è solo un soffio che si agita (Sal 38,7). È chiaro, dunque, che è sempre inutile agitarsi, perché l’agitazione non reca alcun profitto. E allora, anche se tutto finisse o crollasse, se tutti gli avvenimenti andassero male e fossero sfavorevoli, è inutile agitarsi perché, lungi dal trovare un rimedio a tali mali, non si farebbe altro che aumentarli. Occorre sopportare tutto con uguale e pacifica tranquillità; tale disposizione non solo procura all’anima molti beni, ma le consente anche di meglio comprendere le avversità, valutarle più serenamente e prendere gli opportuni rimedi.

4. Salomone, che conosceva molto bene questi danni e questi vantaggi, ha detto: Ho conosciuto che non c’è nulla di meglio per l’uomo che godere e agire bene nella sua vita (Qo 3,12). Con ciò intendeva dire che in tutti gli avvenimenti, per quanto avversi, dobbiamo piuttosto rallegrarci che turbarci, per non perdere un bene superiore a ogni prosperità, cioè la tranquillità dello spirito e la pace dell’anima in tutte le circostanze, sia avverse che favorevoli, affrontandole tutte alla stessa maniera. L’uomo non perderebbe mai questa pace se non solo ponesse in oblio tutte le conoscenze e tenesse lontani i suoi pensieri, ma per quanto possibile evitasse anche di udire, vedere e conversare. La nostra natura, infatti, è talmente labile e fragile che, malgrado le sue buone abitudini, a stento eviterà d’incorrere nei turbamenti e nelle agitazioni dello spirito provenienti dalle conoscenze della memoria. Quando questa facoltà teneva da parte tali conoscenze, godeva di pace e tranquillità. Per questo Geremia ha detto: Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima (Lam 3,20).

CAPITOLO 7

Ove si parla del secondo genere di conoscenze della memoria, cioè di quelle immaginarie soprannaturali.

1. Parlando del primo genere di conoscenze, cioè quelle naturali, ho proposto una dottrina che si applica alle conoscenze immaginarie naturali. Ora è opportuno continuare la trattazione anche a proposito di altre rappresentazioni e conoscenze che la memoria conserva in sé e che sono soprannaturali, come le visioni, le rivelazioni, le locuzioni e i sentimenti che ci vengono per via soprannaturale. Quando tali fenomeni si verificano nell’anima, abitualmente lasciano impressa nella memoria o nella fantasia un’immagine, una forma, una figura, una conoscenza, che talvolta è molto viva ed efficace. A tale riguardo occorre evitare che tali fenomeni ingombrino la memoria e le siano di ostacolo per l’unione con Dio nella purezza e nella perfezione della speranza.

2. Voglio dire che, per raggiungere questo bene, l’anima non deve mai concentrarsi in queste conoscenze chiare e distinte, pervenutele per via soprannaturale, al fine di conservarne la forma, la figura o l’immagine. Dobbiamo, del resto, lasciarci sempre guidare dal seguente principio: quanto più l’anima si attacca a qualche conoscenza naturale o soprannaturale chiara e distinta, tanto minore sarà la sua capacità e disposizione a entrare nell’abisso della fede, dove tutto il resto viene assorbito. Infatti, come ho detto, nessuna forma o conoscenza soprannaturale che possa presentarsi alla memoria è Dio; di conseguenza l’anima, per andare a Dio, deve disfarsi di tutte le conoscenze o immagini per unirsi a Dio nella speranza. Ogni possesso, infatti, è contro la speranza, perché, come dice san Paolo, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? (Rm 8,24). Pertanto, quanto più la memoria si spoglia, tanto più cresce nella speranza; di conseguenza, quanto più ha speranza, tanto più si unisce a Dio. Relativamente a Dio, infatti, più l’anima spera in lui, più ottiene; quindi la sua speranza cresce in proporzione della sua rinuncia alle cose. Quando si sarà completamente spogliata, allora potrà godere del possesso di Dio ed essere unita a lui. Ci sono, però, molti che non vogliono privarsi della dolcezza e del piacere che la memoria procura loro attraverso le conoscenze. Per questo motivo non arrivano al sommo possesso e alla piena dolcezza di Dio, perché colui che non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere discepolo di Cristo (Lc 14,33).

CAPITOLO 8

Ove si enumerano i danni che le conoscenze di cose soprannaturali possono causare all’anima se si ferma a considerarle. Si tratta qui del primo.

1. La persona spirituale, che si ferma a riflettere sulle conoscenze e le immagini impresse nella sua anima per via soprannaturale si espone a cinque danni.

2. Il primo sta nel fatto che spesso essa s’inganna scambiando una cosa per un’altra. Il secondo si verifica quando si trova nell’occasione prossima di cadere in qualche presunzione o forma di vanità. Il terzo proviene dal demonio, al quale la persona spirituale offre molte possibilità d’ingannarla per mezzo delle suddette conoscenze. Il quarto le impedisce l’unione con Dio nella speranza. Il quinto si avvera, il più delle volte, quando concepisce Dio in maniera grossolana.

3. Quanto al primo danno è chiaro che, se la persona spirituale si ferma a riflettere su dette conoscenze e immagini, molto spesso può ingannarsi nei suoi giudizi. Difatti, come nessuno può conoscere perfettamente le cose che passano naturalmente nella sua immaginazione né darne un giudizio completo e sicuro, tanto meno potrà farlo a riguardo delle manifestazioni soprannaturali che superano le capacità umane e che accadono raramente. Così, molto spesso, penserà che queste cose vengano da Dio, mentre invece sono frutto solo della sua fantasia. Altre volte penserà che tali cose vengano da Dio, mentre al contrario vengono dal demonio, o le attribuirà al maligno mentre invece provengono da Dio. Inoltre, molte volte s’imprimerà assai vivamente nella persona spirituale il ricordo del bene e del male altrui o proprio, e di altre conoscenze, che riterrà certe e vere, e invece sono profondamente false; altre, che sono vere, le giudicherà false, anche se questo giudizio mi sembra più sicuro, perché solitamente nasce dall’umiltà.

4. Se poi non s’inganna sulla cosa in sé, può sbagliarsi sulla sua quantità o qualità, pensando che ciò che è poco sia molto e ciò che è molto sia poco. Circa la qualità, considerando ciò che è nella sua immaginazione, penserà a un oggetto determinato, mentre è un altro del tutto diverso, confondendo, come dice Isaia, le tenebre con la luce e la luce con le tenebre, l’amaro col dolce e il dolce con l’amaro (Is 5,20). Se poi indovinasse qualche aspetto, sarebbe strano che non si sbagliasse in un altro; e non c’è bisogno che dia volutamente un giudizio, ma basta che voglia accettare dette manifestazioni per subire, almeno passivamente, qualche danno: se non il presente di cui sto parlando, certamente qualcun altro di cui parlerò tra poco.

5. La persona spirituale, quindi, se non vuole cadere nel pericolo d’ingannarsi, eviti d’applicare il suo giudizio per sapere cosa possa essere ciò che prova o sente, quale sia la natura di tale o tal altra visione, conoscenza o sensazione; non desideri saperlo, non vi faccia caso, se non per parlarne al suo padre spirituale, che le insegnerà a liberare la memoria da tutte queste conoscenze. Queste, infatti, in quanto tali, non potranno aiutarla ad amare Dio quanto il più piccolo atto di fede viva e di speranza, emesso nello spogliamento e nella rinuncia a tutte queste forme di conoscenza.

CAPITOLO 9

Ove si parla del secondo danno, cioè del pericolo di cadere nella stima di sé e nella presunzione.

1. Le conoscenze soprannaturali della memoria, di cui sto parlando, costituiscono anche per le persone spirituali una facile occasione di cadere in qualche forma di presunzione o di vanità, se vi fissano l’attenzione e le tengono in considerazione. Perciò chi non ha alcuno di tali favori, non corre il rischio di cadere in questo vizio, perché non c’è in lui cosa che lo porti alla presunzione; al contrario, chi riceve simili favori è indotto a credersi qualcuno, dal momento che gli vengono accordate comunicazioni soprannaturali. Senza dubbio può attribuirli a Dio, ringraziarlo e ritenersene indegno; tuttavia, ordinariamente, tali favori suscitano nello spirito una qualche segreta soddisfazione e stima di sé, oltre a un apprezzamento a loro riguardo. Senza accorgersi, si cadrà allora nella superbia spirituale.

2. Tali persone possono avere una prova evidente di tutto ciò nella ripugnanza e antipatia che avvertono per coloro che non lodano il loro spirito né stimano i favori che esse ricevono, o ancora, nella pena che provano quando pensano e sentono parlare di altri che hanno le stesse manifestazioni e di più grandi ancora. Tutti questi sentimenti derivano da una segreta stima di sé e dall’orgoglio, in cui forse giacciono sprofondate tali persone, senza saperlo. Pensano che una certa conoscenza della propria miseria basti, pur essendo insieme piene di segreta stima e di presunzione, compiacendosi più dei loro talenti e dei loro beni spirituali che di quelli del prossimo. Assomigliano al fariseo che ringraziava Dio di non essere come gli altri, di avere tale o tal altra virtù, e pieno di presunzione si compiaceva di se stesso (cfr. Lc 18,11-12). Simili persone non si esprimono manifestamente come il fariseo, tuttavia di solito nutrono i suoi stessi sentimenti. Alcune, addirittura, diventano orgogliose al punto di essere peggiori del demonio. Scorgendo in sé alcune conoscenze o sentimenti di devozione o di dolcezza che a loro sembrano venire da Dio, si sentono pienamente soddisfatte. Pensano di essere molto vicine a Dio e ritengono quelli che non hanno tali favori inferiori a loro, perciò li disprezzano come il fariseo disprezzava il pubblicano.

3. Per evitare questo danno deleterio, spregevole agli occhi di Dio, occorre considerare due cose. La prima è che la virtù non consiste nelle conoscenze che vengono da Dio o nei sentimenti che si avvertono nei suoi confronti, per quanto siano elevati, né in cose simili che si possano sperimentare; essa consiste, invece, in ciò che non si sente in sé, cioè in una profonda umiltà, nel disprezzo di sé e di tutte le cose – un disprezzo molto sincero e radicato nell’anima – che permette di essere felici quando gli altri nutrono gli stessi sentimenti nei nostri confronti, poiché non vogliamo contare nulla per loro.

4. La seconda cosa da ricordare è la seguente: tutte le visioni, rivelazioni, sentimenti celestiali e tutto ciò che si vorrà immaginare di più sublime non valgono quanto il più piccolo atto d’umiltà, che produce gli stessi effetti della carità. Questa non è attaccata ai propri interessi e non li ricerca; pensa male solo di se stessa; si preoccupa non del proprio bene ma di quello altrui (cfr. 1Cor 13,4-7). Per tutti questi motivi è opportuno che le persone spirituali non annettano importanza a queste conoscenze soprannaturali, ma cerchino di dimenticarle per conservare la libertà di spirito.

CAPITOLO 10

Ove si parla del terzo danno causato all’anima dal demonio per mezzo delle conoscenze immaginarie della memoria.

1. Da ciò che ho detto sopra, è facile capire quanto danno può recare all’anima il demonio per mezzo di queste conoscenze soprannaturali. Egli, infatti, non solo può presentare alla memoria e alla fantasia molte conoscenze e immagini ingannevoli che sembrano vere e buone, imprimendole attraverso le sue suggestioni nello spirito e nei sensi con molta efficacia e sicurezza. In tal modo l’anima si persuade che non può essere diversamente da come le viene rappresentato. Poiché il maligno si trasforma in angelo di luce (cfr. 2Cor 11,14), l’anima crede che sia luce. Ma, ancora, il demonio può tentarla in molti altri modi nelle conoscenze che davvero vengono da Dio, portando verso queste, in modo disordinato, gli appetiti e gli affetti sia dello spirito che dei sensi. Se, infatti, l’anima si compiace di queste conoscenze, è molto facile al demonio aumentare in essa questi appetiti e affetti, farla cadere nel vizio della gola spirituale e causarle altri danni.

2. Per riuscirci meglio è solito suggerire e insinuare dei gusti, sapori e piaceri sensibili nelle cose stesse che riguardano Dio. In questo modo l’anima, attratta e abbagliata da questi gusti sensibili, a poco a poco ne resta accecata, vi si attacca molto più che all’amore, o almeno non si dedica ad amare Dio; fa più caso a queste conoscenze che all’abnegazione e allo spogliamento che vi è nella fede, nella speranza e nell’amore di Dio. Il demonio, così, a poco a poco, la inganna e la induce a credere alle sue menzogne con molta facilità. Una volta accecata, l’anima non si accorge più della falsità, e il male non le sembra più male, ecc.; le tenebre le sembrano luce e la luce tenebre. Cade così in mille sciocchezze riguardo a ciò che è naturale, morale, spirituale. Si avvera quanto dice l’adagio: il vino si trasforma in aceto. Tutto questo perché l’anima non ha respinto fin dall’inizio il piacere che provava nelle cose soprannaturali. Tale piacere, agli inizi, era poca cosa e non si rivelava come un male tanto grave; così l’anima non vi faceva molto caso, ma lo lasciava stare, e quello cresceva, come il granello di senapa che divenne un grande albero (Mt 13,31-32). Proprio come si usa dire, un piccolo errore iniziale alla fine diventa grande.

3. Per evitare questo grave danno che causa il demonio, l’anima deve respingere queste conoscenze, perché altrimenti è sicuro che essa se ne lascerà accecare e cadrà nell’inganno. Infatti, indipendentemente dal demonio, i gusti, i diletti e le soavità per loro natura accecano l’anima. Ciò è quanto vuol farci comprendere Davide quando afferma: Forse nei miei piaceri mi accecheranno le tenebre e avrò la notte come mia luce (Sal 138,11 Volg.).

CAPITOLO 11

Ove si parla del quarto danno che le conoscenze soprannaturali particolari della memoria possono causare all’anima. Esso consiste nell’impedire l’unione divina.

1. Non c’è molto da dire su questo quarto danno, perché se ne parla continuamente in questo libro III. Abbiamo infatti provato come l’anima, per potersi unire a Dio nella speranza, deve rinunciare a ogni possesso da parte della memoria. Perché la speranza in Dio sia piena, non dev’esserci nulla nella memoria che non sia Dio. Inoltre, ripeto, nessuna forma, figura, immagine o conoscenza, celeste o terrena, naturale o soprannaturale, che possa entrare nella memoria, nessuna è Dio né può essere simile a lui. Ciò è quanto insegna Davide nei seguenti termini: Fra gli dèi nessuno è come te, Signore (Sal 85,8). Perciò, se la memoria vuole ritenere qualcuna di tali conoscenze, frappone ostacoli alla sua unione con Dio, prima di tutto perché si crea un impedimento, poi perché più possiede dette conoscenze, minore è la sua speranza.

2. È, dunque, necessario che l’anima rifiuti e dimentichi le immagini e le conoscenze particolari riguardanti le cose soprannaturali per non ostacolare l’unione con Dio, nella perfetta speranza, secondo la memoria.

CAPITOLO 12

Ove si parla del quinto danno causato all’anima dalle forme e conoscenze immaginarie soprannaturali. Esso consiste nell’avere un concetto meschino e improprio di Dio.

1. Il quinto danno che l’anima subisce non è meno grave dei precedenti. Consiste nel voler trattenere nella parte immaginativa della memoria le suddette forme e immagini di cose che le vengono comunicate soprannaturalmente, specialmente se intende assumerle come mezzo per l’unione divina. È molto facile, infatti, concepire la natura e la sublimità di Dio in maniera meno degna e profonda di quanto convenga alla sua inconoscibilità. Sebbene la ragione e il giudizio non dicano espressamente che Dio è simile a qualcuna di quelle immagini, tuttavia la stima che l’anima nutre per esse, se di fatto le stima, fa sì che essa non apprezzi né senta Dio in modo così sublime come insegna la fede, la quale ci rivela un Dio incomparabile e incomprensibile, ecc. Ora, non solo l’anima sottrae a Dio tutta la stima che ripone in ciò che è creato, ma istituisce naturalmente, nel suo intimo, per l’apprezzamento che accorda a tali conoscenze, un certo confronto fra esse e Dio. Simile confronto non le consente di concepire e di stimare Dio in modo così sublime come si dovrebbe. Difatti le creature, sia terrene che celesti, come anche tutte le conoscenze e immagini distinte, naturali e soprannaturali, che possono essere comunicate all’anima, per quanto elevate siano in questa vita, non possono essere messe a confronto con la natura di Dio, perché, come dicono i teologi, Dio non cade sotto alcun genere o specie come le creature. L’anima, in questa vita, non è in grado di ricevere chiaramente e distintamente se non ciò che cade sotto il genere e la specie. Per questo san Giovanni dice che Dio nessuno l’ha mai visto (Gv 1,18). E Isaia afferma che cuore umano non ha mai saputo come sia Dio (Is 64,4). Inoltre Dio disse a Mosè che non poteva vedere il suo volto e rimanere vivo (Es 33,20). Pertanto colui che ingombra la memoria e le altre potenze dell’anima con ciò che esse possono comprendere, non può stimare né considerare Dio come si deve.

2. Facciamo un paragone molto semplice. È chiaro che quanto più uno tiene gli occhi fissi sui servi del re e bada a loro, tanto meno presta attenzione e attribuisce stima al re. Difatti, anche se non c’è questa intenzione formale ed esplicita nello spirito, la si mostra nei fatti, poiché più attenzione si riserva ai servi, più se ne sottrae al loro signore. Non si ha, dunque un alto concetto del re, perché i servi sembrano essere qualcosa di più del loro signore. Lo stesso accade all’anima nei confronti di Dio quando apprezza le conoscenze suddette. Indubbiamente il paragone è molto imperfetto, perché, ripeto, Dio è un essere completamente diverso dalle sue creature e in confronto a loro è infinitamente superiore. Per questo motivo l’anima deve dimenticarle tutte e non considerarle affatto, onde fissare gli occhi su Dio con una fede e una speranza perfette.

3. Perciò coloro che non solo badano a queste conoscenze immaginarie, ma anche pensano che Dio sia simile a qualcuna di queste, e che per loro tramite essi possono arrivare all’unione divina, si sbagliano di grosso. A poco a poco perderanno la luce della fede, mediante la quale l’intelletto si unisce a Dio, e non raggiungeranno le altezze della speranza, per mezzo della quale la memoria si unisce a Dio, a condizione di essere distaccati da tutte le conoscenze immaginarie.

 

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