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SALITA DEL MONTE CARMELO -opera integrale di S.Giovanni d.Croce

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:12
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29/09/2009 22:06

CAPITOLO 29

Ove si parla dei vantaggi che l’anima ottiene quando rifiuta di godere dei beni morali.

1. Grandissimi sono i vantaggi che l’anima ricava dal non applicare inutilmente la gioia della volontà a questa categoria di beni. Anzitutto evita di cadere in molte tentazioni e inganni del demonio, che si celano nel piacere derivante dalle buone opere, come si può dedurre da queste parole di Giobbe: Dorme all’ombra nel folto dei canneti per le paludi (Gb 40,16 Volg.). Tale espressione si riferisce al demonio che inganna l’anima per mezzo della gioia e della vanità delle opere, simbolizzate dall’umidità delle piante e dalla fragilità del canneto. Essere ingannati dal demonio segretamente in questa gioia non deve stupirci, perché, prima ancora delle sue suggestioni, la gioia vana è per se stessa un inganno, soprattutto quando vi è compiacenza nel cuore, come dice esplicitamente Geremia: Arrogantia tua decepit te: La tua superbia ti ha ingannato (Ger 49,16). Quale inganno maggiore della superbia? Ora l’anima se ne può liberare solo rinunciando a questa gioia.

2. Il secondo vantaggio sta nel compiere le opere in modo più deliberato e preciso, il che non si verifica quando subentra la passione della gioia e del piacere per questi beni. Difatti la passione della gioia eccita la parte irascibile e concupiscibile della persona tanto da non lasciare posto alla ragione. Quest’ultima viene indotta a cambiare frequentemente nei propositi e nelle opere, a lasciarne alcune per compierne altre, a cominciarle e poi abbandonarle senza portare a termine nulla. Poiché la persona agisce in base al gusto – in generale molto variabile, per la verità, particolarmente in alcune nature –, quando esso viene a mancare, vengono meno anche le opere e i propositi, malgrado la loro importanza. Per tale persona la gioia che prova nelle sue opere ne è come l’anima e la forza. Spenta la gioia, muore anche l’opera ed essa non persevera. Di questo genere di persone il Signore ha detto che accolgono la parola con gioia, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, affinché non perseverino (Lc 8,12). Ciò accade quando la parola divina non ha forza e radici più profonde della suddetta gioia. Togliere e allontanare la volontà da questa gioia equivale, quindi, a perseverare e ad avere successo. Grande è questo vantaggio, come grande è il danno contrario. Il saggio getta il suo sguardo sulla sostanza dell’opera e sui suoi vantaggi, non sul sapore e sul piacere che ne ricaverebbe. In tal modo non prende a pugni l’aria e dalle sue opere trae una gioia duratura, senza cercare gusti effimeri e vani.

3. Il terzo vantaggio è divino. Si verifica quando si soffoca la gioia vana derivante da queste opere e si diventa poveri di spirito, che è una delle beatitudini proclamate dal Figlio di Dio: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3).

4. Il quarto vantaggio si ha quando colui che ricusa questa gioia, acquista la mansuetudine, l’umiltà e la prudenza. Difatti non agirà con impeto e precipitazione, anche se spinto al piacere dalla concupiscenza e dall’irascibilità; né sarà presuntuoso o affettato per la stima che nutre per le sue opere e per il piacere che trova in esse; né sarà imprudente al punto di lasciarsi accecare dalla gioia.

5. Il quinto vantaggio consiste nell’essere graditi a Dio e agli uomini. A questo punto ci si libera dall’avarizia, dalla gola, dall’accidia e dall’invidia spirituale e da molti altri vizi.

CAPITOLO 30

Ove si comincia a trattare del quinto genere di beni, cioè quelli soprannaturali, nei quali la volontà può trovare gioia. Si spiega quali siano e come si distinguano da quelli spirituali e come si debba indirizzare a Dio la gioia che ne proviene.

1. È opportuno ora parlare del quinto genere di beni nei quali l’anima può trovare gioia, cioè dei beni soprannaturali. Per beni soprannaturali intendo tutti i doni e le grazie da Dio concessi, che superano la facoltà e le forze della natura. Si chiamano grazie gratis datae, cioè date gratuitamente, come ad esempio i doni della sapienza e della scienza, accordati a Salomone, e le grazie di cui parla san Paolo (1Cor 12,9-10): la fede, il dono della guarigioni, quello di operare miracoli, lo spirito di profezia, la conoscenza e il discernimento degli spiriti, l’interpretazione e anche il dono delle lingue.

2. Anche se questi beni sono indubbiamente spirituali, come quelli dello stesso genere di cui tratterò dopo, tuttavia, essendovi molta differenza fra di loro, ho voluto parlarne a parte. L’esercizio di questi beni, infatti, concerne immediatamente l’utilità del prossimo e per questo motivo vengono concessi da Dio, come dice san Paolo: A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune (1Cor 12,7), espressione da riferire alle grazie suddette. Quanto alle grazie spirituali, invece, il loro esercizio riguarda solo i rapporti tra l’anima e Dio, e viceversa, in una comunicazione d’intelletto, di volontà, ecc., come dirò più avanti. C’è quindi una differenza quanto all’oggetto: oggetto dei beni spirituali è unicamente il rapporto fra il Creatore e l’anima, mentre oggetto dei beni soprannaturali è la creatura. Essi differiscono, inoltre, nella sostanza, nelle operazioni, quindi necessariamente anche nella dottrina.

3. Trattandosi, però, di doni e di grazie soprannaturali come le intendo qui, affermo che bisogna purificare la volontà dalla gioia vana che se ne prova, tenendo presenti due vantaggi che si ottengono in questo genere di beni, l’uno temporale e l’altro spirituale. Il vantaggio temporale riguarda la guarigione dalle malattie, l’acquisto della vista per i ciechi, la risurrezione dei morti, l’espulsione dei demoni, la predizione del futuro per salvaguardarsi, e altre cose di questo genere. Il vantaggio spirituale ed eterno sta nel fatto che Dio viene conosciuto e glorificato per queste opere da chi le compie e da coloro nei quali e di fronte ai quali vengono compiute.

4. Quanto al primo vantaggio, che è temporale, le opere e i miracoli soprannaturali meritano poca o nessuna gioia da parte dell’anima, perché, se viene escluso il secondo vantaggio, poco o niente interessano all’anima. Di per sé non giovano ai fini dell’unione dell’anima con Dio, se non c’è la carità. Queste opere e questi doni soprannaturali possono essere compiuti anche senza essere in stato di grazia o possedere la carità: Dio può realmente concedere tali doni e grazie, come avvenne con l’empio profeta Balaam (Nm 22,20) e con Salomone, oppure il demonio può falsificarli, come avvenne con Simon Mago, o, infine, possono provenire da una virtù segreta della natura. Solo le opere e le meraviglie autentiche, cioè quelle che vengono da Dio, possono recare qualche vantaggio a colui che le compie. San Paolo c’insegna quanto tali opere valgano senza il secondo vantaggio, allorché dice: Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che suona o un cembalo che squilla. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla, ecc. (1Cor 13,1-2). Per questo motivo, quando coloro che avranno stimato le loro opere in questo modo e per ricompensa chiederanno al Signore la gloria, dicendo: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?, Cristo risponderà: Allontanatevi da me, voi operatori di iniquità (Mt 7,22-23).

5. L’uomo, quindi, deve gioire non perché possiede tali grazie o per l’uso che ne fa, ma solo per il vantaggio spirituale che ne ottiene, servendo Dio in perfetta carità: in questo sta il nocciolo della vita eterna. Per questo il Signore rimproverò i suoi discepoli che si rallegravano per aver cacciato i demoni: Non rallegratevi perché i demoni si sottomettevano a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli (Lc 10,20). Tradotto in termini teologici significa: Gioite perché i vostri nomi sono scritti nel libro della vita. Di conseguenza, l’uomo deve rallegrarsi solo se procede sul cammino della vita, che consiste nel compiere le opere nella carità. A che giova o che vale di fronte a Dio ciò che non è amore di Dio? Ora questo amore non è perfetto se non è assai forte e accorto da purificare l’anima da tutte le gioie che derivano dalle cose, e compiacersi solo nel fare la volontà di Dio. A questa condizione la volontà si unisce a Dio mediante questi beni soprannaturali.

CAPITOLO 31

Ove si parla dei danni che riceve l’anima quando ripone la gioia della volontà in questo genere di beni.

1. Tre danni principali può, a mio avviso, subire l’anima che ripone la gioia nei beni soprannaturali: s’inganna o è ingannata, subisce una perdita di fede e si espone alla vanagloria o a qualche altra vanità.

2. Per quanto riguarda il primo, è molto facile ingannare gli altri e ingannare se stessi, quando si ripone la propria gioia in questo genere di opere. La ragione è che, per discernere quali di queste opere siano vere e quali false, e come e quando debbano essere compiute, occorre una grande prudenza e molta luce di Dio, qualità entrambi fortemente ostacolate dalla gioia e dalla stima concepite per tali cose. E questo per due motivi: primo, perché la gioia appanna e oscura il giudizio; secondo, perché tale gioia non solo spinge l’uomo a compiere le opere più prontamente, ma lo sprona anche a realizzarle a tempo indebito. Supponiamo pure che le virtù e le opere che si mettono in pratica vengano da Dio, ma bastano questi due difetti per ingannarsi spesso, o perché non vengono comprese come dovrebbero esserlo o perché non ci si giova né ci si serve di esse come e quando è più conveniente. È vero che quando Dio concede questi doni e queste grazie comunica anche la luce e la spinta per usarne in modo e a tempo debito. È altrettanto vero, però, che a causa dello spirito di possesso e dell’imperfezione che si può avere nei confronti di tali favori, ci si può sbagliare in modo grossolano, non usandoli con la perfezione voluta da Dio, né come e quando vuole lui. È così che si comportò, secondo quanto si legge nella Scrittura, Balaam. Contro la volontà di Dio decise di andare a maledire il popolo di Israele, e Dio, adirato, lo minacciò di morte (Nm 22,22-23). Allo stesso modo si comportarono san Giacomo e san Giovanni: volevano far scendere il fuoco dal cielo sui samaritani che non avevano voluto accogliere il Signore, ma furono da lui rimproverati proprio per questo motivo (Lc 9,54-55).

3. Questi esempi mostrano chiaramente come quei personaggi si decisero a compiere queste opere in un momento sbagliato, spinti da qualche passione imperfetta, contenuta nella gioia e nella stima che essi nutrivano per tali favori. Quando invece non vi è un’imperfezione simile, gli uomini si muovono e si decidono a usare questi doni quando e come piace a Dio; fino a quel momento non è opportuno che lo facciano. Per questo motivo Dio si lamenta di certi profeti, per bocca di Geremia, in questi termini: Io non ho inviato questi profeti, ma essi corrono; non ho parlato a loro, ma essi profetizzano (Ger 23,21). E più avanti aggiunge: Fanno deviare il mio popolo con le loro menzogne e i loro miracoli, mentre io non li ho inviati né ho dato loro ordini (Ger 23,32 Volg.). Nello stesso capitolo dice: Predicono la menzogna e profetizzano le imposture del loro cuore (Ger 23,26 Volg.), cosa che non sarebbe accaduta se non avessero avuto questo deprecabile spirito di possesso per simili cose.

4. Questi testi fanno capire che il danno prodotto da tale gioia non solo spinge a usare illecitamente e con malizia i doni di Dio, come Balaam e gli altri che facevano miracoli con i quali ingannavano il popolo, ma altresì nel simularli, anche se Dio non li ha concessi. Si comportavano così quelli che profetizzavano le loro invenzioni e proclamavano visioni da loro stessi concepite oppure suggerite dal demonio. Difatti, appena il demonio li vede affezionati a questi favori, apre loro un vasto campo e offre abbondante materiale, esercitando in molti modi la sua influenza. A lungo andare queste persone finiscono per sciogliere le loro vele mostrando una spudorata audacia e si mettono a praticare questi fatti prodigiosi.

5. Non si fermano qui. La loro gioia per simili opere, la loro brama di praticarle arriva a tanto che, se già avevano stipulato un patto occulto con il demonio – difatti molte di questo persone compiono tali opere in forza di questo patto –, in seguito hanno addirittura il coraggio di stringere con lui un patto formale ed esplicito, facendosi volontariamente suoi seguaci e adepti. È così che nascono gli stregoni, i fattucchieri, i maghi, gli indovini e gli incantatori. La gioia, in simili individui, di poter praticare questi poteri arriva a tanto da spingerli non solo a comprare i doni e i favori con il denaro, come voleva fare Simon Mago (At 8,18), per servire il demonio, ma a cercare anche di procurarsi le cose sacre e, non posso dirlo senza tremare, addirittura quelle divine. Con le loro pratiche empie e perverse costoro si sono appropriati, mediante l’inganno, del Corpo del Signore Gesù Cristo. Voglia Dio mostrare e far risplendere la sua infinita misericordia!

6. Tutti possono facilmente capire quanto costoro siano nocivi a se stessi e alla cristianità. Occorre ricordare a tale proposito che tutti quei maghi e indovini tra i figli di Israele, che Saul fece mettere a morte (1Sam 28,3) perché avevano voluto imitare i veri profeti di Dio, erano stati vittime di fatti esecrandi e di inganni.

7. Pertanto, chi ha ricevuto dall’alto un carisma o un dono soprannaturale, eviti la cupidigia e il piacere di servirsene, e non si preoccupi di praticarli. Dio, infatti, che li concede soprannaturalmente per l’utilità della sua Chiesa e dei suoi membri, gli ispirerà anche in modo soprannaturale di utilizzarli come e quando sarà conveniente. Per questo il Signore raccomandava ai suoi discepoli di non preoccuparsi di ciò che avrebbero dovuto dire né di come dovevano dirlo (Mt 10,19), perché le loro risposte dovevano essere un’espressione soprannaturale della loro fede. Dal momento che l’uso di questi favori non è meno soprannaturale, il Signore vuole che l’uomo si affidi a Dio perché spinga il suo cuore ad agire: ogni virtù deve essere praticata in forza di lui (Sal 59,14). Per questo motivo, come si legge negli Atti degli Apostoli (4,29-30), benché i discepoli avessero già ricevuto queste grazie e questi doni, pregavano Dio perché si degnasse di stendere la sua mano e di compiere segni, opere e guarigioni tramite loro, per diffondere nei cuori la fede del Signore Gesù Cristo.

8. Il secondo danno, che può derivare dal primo, è a detrimento della fede; può assumere due forme. La prima riguarda gli altri. Se una persona si mette a compiere miracoli o prodigi fuori luogo e senza necessità, oltre a tentare Dio, grave peccato in sé, può non riuscirvi, provocando nei cuori discredito e disprezzo per la fede. Se a volte, poi, ci riesce, perché Dio vuole così per altri fini e motivi, come accadde alla negromante di Saul (1Sam 28,12), se è vero che fu il fantasma di Samuele ad apparire in quella circostanza, non sempre sarà così. Quand’anche vi riuscisse, sarà nell’errore e colpevole di voler usare quei doni quando non è opportuno. In secondo luogo, chi si compiace di questi doni può ricevere danno per quanto riguarda la fede. Quando si attacca troppo a questi miracoli, si discosta molto dall’abitudine sostanziale della fede, che è abitudine oscura; quanto più numerosi sono i segni e le testimonianze, tanto minore è il merito della fede. Per questo san Gregorio dice che la fede non ha merito quando la ragione umana la sperimenta. Dio opera queste meraviglie solo quando sono strettamente necessarie alla fede. Proprio per questo e anche perché i suoi discepoli non fossero privati del merito se avessero constatato di persona la sua risurrezione prima di mostrarsi loro, fece molte cose perché credessero senza vederlo. Per questo motivo a Maria Maddalena prima fece vedere il sepolcro vuoto, poi fece dare l’annuncio della sua risurrezione dagli angeli – la fede, infatti, viene dall’ascolto, come dice san Paolo (Rm 10,17) – perché credesse in lui prima di vederlo. E anche quando le apparve, si fece vedere sotto le sembianze di un uomo qualsiasi per perfezionarla, con il calore della sua presenza, nella fede che le mancava (Gv 20,11-18). Quanto ai discepoli, prima furono informati dalle donne, poi andarono a controllare al sepolcro (Gv 20,1-10). Inoltre ai discepoli di Emmaus infiammò il cuore nella fede prima di farsi riconoscere apertamente da loro (Lc 24,15); e infine rimproverò tutti i suoi discepoli perché non avevano creduto a coloro che avevano parlato della sua risurrezione. A san Tommaso, che voleva toccare personalmente le sue piaghe, disse che beati sono coloro che credono in lui senza averlo visto (Gv 20,29).

9. Da ciò si può dedurre che Dio non ama far miracoli e, come si dice, quando li fa, è perché non può fare altrimenti. Per questo rimproverò i farisei, che credevano solo ai segni, in questi termini: Se non vedete segni e prodigi, voi non credete (Gv 4,48). Coloro, dunque, che amano compiacersi in questi fatti soprannaturali, perdono molto del merito della fede.

10. Il terzo danno deriva abitualmente dal piacere per questi fatti. Consiste nel cadere nella vanagloria o in qualche altra vanità, perché lo stesso gioire di tali fatti, non essendo esclusivamente in Dio e per Dio, è vanità. La prova è data dal Signore quando rimproverò i discepoli per essersi rallegrati di aver assoggettato i demoni (Lc 10,20); se questa gioia non fosse stata vana, il Signore non li avrebbe mai rimproverati.

CAPITOLO 32

Ove si parla dei due vantaggi che ci si procura rinunciando alla gioia circa le grazie soprannaturali.

1. Oltre ai vantaggi che l’anima ottiene nel liberarsi dai tre danni suddetti, quando si priva di questa gioia derivante dai beni soprannaturali, ne acquista altri due eccellenti. Il primo è quello di esaltare e glorificare Dio. Il secondo è quello di elevare se stessa. In due modi Dio viene esaltato nell’anima. Il primo si realizza quando il cuore e la gioia della volontà si distaccano da tutto ciò che non è Dio, per fissarsi unicamente in lui. Questo voleva dire Davide nel versetto che ho riportato all’inizio della notte di questa potenza, e cioè: L’uomo eleverà il suo cuore a Dio e Dio sarà esaltato (Sal 63,7-8 Volg.). Difatti, quando il cuore si eleva al di sopra di tutte le cose, anche l’anima si eleva sopra di esse.

2. Poiché in questo modo l’anima pone il suo cuore solo in Dio, Dio viene esaltato e glorificato e manifesta all’anima la propria eccellenza e grandezza. Poiché l’anima si eleva al di sopra di ogni gioia creata, il Signore le dà una testimonianza di quello che egli è. Questo non avviene se non si distacca la volontà da ogni gioia e consolazione relativamente alle cose create, come afferma ancora Davide con queste parole: Fermatevi e sappiate che io sono Dio (Sal 45,11). E altrove aggiunge: Come terra deserta, arida, senz’acqua, così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 62,2-3). Se è vero che si glorifica Dio riponendo la gioia in lui, distaccandola da tutte le cose, molto più lo si esalta quando viene distaccata da cose ancor più meravigliose per riporla solo in lui; perché soprannaturali, infatti, esse sono più elevate rispetto agli altri beni. Così, quando si rinuncia ad esse, per riporre la gioia solo in Dio, si attribuisce maggior gloria ed eccellenza a Dio piuttosto che ad esse; e difatti, quanto più elevate e superiori sono le cose che uno disprezza per un altro, tanto maggiore è la stima che ha per lui e la gloria che gli rende.

3. Oltre a questo, Dio è glorificato nel secondo modo quando si distoglie la volontà da questo genere di fatti straordinari: quanto più Dio è creduto e servito senza testimonianze e fatti straordinari, tanto più è glorificato dall’anima, che crede in Dio più di quanto segni e miracoli possano farci capire di lui.

4. Il secondo vantaggio permette all’anima di elevarsi. Quando essa allontana la sua volontà da ogni attaccamento alle testimonianze e ai segni apparenti, si eleva a una fede più pura, che Dio le infonde e le accresce molto più intensamente. Nello stesso tempo le aumenta anche le altre due virtù teologali, la carità e la speranza. Essa gode allora di conoscenze divine, molto elevate, attraverso l’oscura e nuda abitudine della fede. Essa gode, altresì, di soavi delizie d’amore per mezzo della carità, nella quale la volontà si compiace solo del Dio vivente. Infine gode grande soddisfazione nella memoria per mezzo della speranza. Tali favori costituiscono un meraviglioso profitto che gioca un’importanza essenziale e diretta nell’unione perfetta tra l’anima e Dio.

CAPITOLO 33

Ove si comincia a trattare del sesto genere di beni, cioè quelli spirituali, di cui la volontà può gioire. Si dice quali siano e se ne presenta una prima divisione.

1. Lo scopo di quest’opera è quello di condurre lo spirito attraverso i beni spirituali fino all’unione perfetta dell’anima con Dio. Ora che in questo sesto genere dobbiamo trattare dei beni spirituali, i quali meglio contribuiscono alla realizzazione del nostro scopo, sia io sia il lettore dobbiamo riflettere con particolare attenzione su questo argomento. Difatti è cosa certa e frequente che alcuni, per la loro scarsa scienza, si servono delle cose spirituali solo per soddisfare i sensi, lasciando il loro spirito a digiuno. A stento si riuscirà, allora, a trovare qualcuno al quale la soddisfazione dei sensi non abbia causato qualche danno allo spirito, perché l’acqua della grazia è trattenuta nei sensi prima di arrivare allo spirito, lasciato nell’aridità e nel vuoto.

2. Venendo ora al mio argomento, dico che per beni spirituali intendo tutti quelli che ci muovono e ci servono d’aiuto per le cose divine, per i rapporti dell’anima con Dio e per le comunicazioni di Dio con l’anima.

3. Cominciando, quindi, a dividerli nel modo più generale, dico che i beni spirituali sono di due specie: alcuni sono gradevoli, altri sono dolorosi. Ciascuna di queste specie si divide, a sua volta, in due categorie. Difatti, tra i beni gradevoli all’anima ve ne sono alcuni che hanno per oggetto cose chiare che si comprendono distintamente, altri cose che non si capiscono chiaramente e distintamente. Anche quelli dolorosi possono avere per oggetto cose chiare e distinte oppure cose confuse e oscure.

4. Inoltre li possiamo ancora suddividere tutti in base alla distinzione delle potenze dell’anima. Così alcuni sono conoscenze intellettuali e appartengono all’intelletto; altri sono affetti e appartengono alla volontà; altri, infine, sono immaginari e appartengono alla memoria.

5. Lascio da parte, per ora, i beni dolorosi, perché appartengono alla notte passiva, dove ne parlerò, e anche quelli gradevoli relativi a cose confuse e non distinte, per trattarne alla fine, in quanto appartengono alla conoscenza generale, confusa, amorosa, attraverso cui si realizza l’unione dell’anima con Dio; questa è stata riservata all’ultima parte del libro II nella divisione delle diverse concezioni dell’intelletto. Qui, dunque, parlerò dei beni gradevoli che hanno per oggetto cose chiare e distinte.

CAPITOLO 34

Ove si parla dei beni spirituali che possono essere percepiti distintamente dall’intelletto e dalla memoria. Si spiega come deve comportarsi la volontà circa la gioia che ne deriva.

1. Avrei molto da dire a motivo delle tantissime conoscenze che si formano nella memoria e nell’intelletto, se volessi indicare alla volontà come deve comportarsi riguardo alla gioia che questi beni suscitano. Ma ne ho già parlato ampiamente nei libri II e III. Poiché lì ho indicato come debbano comportarsi quelle due potenze rispetto a queste conoscenze onde tendere all’unione divina e, altresì, come la volontà debba comportarsi nei riguardi della gioia che deriva da tali beni, qui non è necessario riparlarne. Basta ricordare che ovunque si affermi che queste potenze devono liberarsi da queste o quelle conoscenze, occorre ugualmente dire che la volontà deve rinunciare alla gioia che da esse deriva. Se è vero che la memoria e l’intelletto devono rimanere distaccate nei confronti di tutte queste conoscenze, così deve fare anche la volontà. Poiché l’intelletto e le altre potenze non possono accettare o negare nulla senza il concorso della volontà, è chiaro che la dottrina riguardante le prime due facoltà riguarda anche la volontà.

2. Si veda lì ciò che è necessario fare ora, perché l’anima cadrà in quegli stessi danni, se in tutte queste conoscenze non saprà elevarsi a Dio.

CAPITOLO 35

Ove si parla dei beni spirituali gradevoli che possono essere l’oggetto distinto della volontà. Si dice di quanti generi siano.

1. Possiamo ridurre a quattro i generi di beni che separatamente possono recare gioia alla volontà, cioè motivi o moventi, provocativi, direttivi e perfettivi. Ne parlerò nell’ordine enunciato, cominciando dai beni che motivano o accendono la devozione, e cioè le immagini e le raffigurazioni dei santi, gli oratori e le cerimonie.

2. Per quanto riguarda le immagini e le raffigurazioni dei santi, può esserci molta vanità e inutile compiacenza. Ciò nonostante, essi sono molto importanti per il culto divino e utili per muovere la volontà a devozione. Prova ne è il fatto che la santa madre Chiesa li approva e ne fa uso. Per questo è sempre utile per noi avvalercene per scuotere la nostra tiepidezza. Purtroppo, però, vi sono molte persone che si compiacciono più dell’espressione pittorica e degli ornamenti di queste immagini che dei soggetti ivi rappresentati.

3. La Chiesa ha prescritto il culto delle immagini principalmente in vista di due scopi, cioè di venerare per mezzo di esse i santi, e muovere la volontà e risvegliare la devozione verso di loro. Ora, in quanto servono a tutto questo, le immagini sono utili e il loro uso necessario. Si devono quindi scegliere quelle più vicine al soggetto rappresentato e che meglio muovono la volontà alla devozione. È qui che dobbiamo fermare la nostra attenzione, più che sul valore delle immagini o sul pregio della loro esecuzione e dei loro ornamenti. Ci sono, ripeto, alcune persone che guardano più alla bellezza delle immagini e al loro valore che a ciò che rappresentano. Riversano sulla bellezza e sugli ornamenti esteriori la devozione interiore, che dovrebbero rivolgere spiritualmente al santo che non vedono, dimenticando subito l’immagine, che è solo un mezzo. In questo modo vengono appagati e solleticati i sensi e là si concentrano l’amore e la gioia della volontà. Tutto questo ostacola completamente la vera devozione, che esige invece la rinuncia alle affezioni verso tutti gli oggetti particolari.

4. Una dimostrazione dell’uso detestabile di tali immagini ce l’offrono oggi alcune persone, le quali, non avendo in orrore le mode profane del mondo, adornano le immagini con i costumi che i mondani periodicamente inventano per i loro svaghi e la soddisfazione delle loro frivolezze. Con i costumi, per i quali quelli stessi vengono biasimati, coprono le immagini, detestate dai santi che esse rappresentano, e a giusto titolo. Così facendo, il demonio e suddette persone cercano di canonizzare le proprie vanità, imponendole ai santi, non senza arrecare loro una grave ingiuria. In questo modo la vera e solida devozione dell’anima, che respinge e rigetta da sé ogni vanità e ogni sua apparenza, si riduce a poco più che un abbellimento di bambole, perché alcuni si servono delle immagini come di idoli in cui ripongono la loro compiacenza. Vedrete, così, persone che non si stancano di aggiungere immagine a immagine; vogliono che queste siano di un determinato tipo e modello e che siano collocate in tale o tal altra maniera, al fine di compiacere i sensi, mentre la devozione del loro cuore è assai scarsa. Sono molto attaccati a queste immagini come lo erano Mica e Labano ai loro idoli. Il primo uscì di casa imprecando contro coloro che glieli avevano portati via; il secondo, dopo aver corso per molto tempo ed essersi adirato a causa degli idoli, mise a soqquadro la tenda di Giacobbe per ritrovarli (Gdc 18,24; Gn 31,34).

5. La persona veramente pia ripone la propria devozione soprattutto nelle cose invisibili, non ha bisogno di molte immagini e ne usa poche. Si serve solo di quelle che le ricordano più il divino che l’umano, e che meglio la orientano alla condizione dell’altra vita che non di quella presente. Si comporta così non soltanto per guardarsi dalle vanità di questo mondo, ma anche per non ricordarsi di esso, quando sotto gli occhi le cade qualcosa che gli assomiglia o gli appartiene. Non attacca il cuore neanche alle immagini che usa, né si addolora molto se le vengono tolte. Cerca dentro di sé, invece, l’immagine viva di Cristo crocifisso, nel quale è contenta che le tolgano tutto e che tutto le manchi. Anche se le tolgono i motivi e i mezzi che più l’avvicinano a Dio, rimane tranquilla. Del resto, l’anima è più progredita se riesce a conservare la pace e la gioia quando è privata di questi mezzi rispetto a quando li possiede con attaccamento e passione. È senz’altro giusto desiderare di avere quelle immagini e quei mezzi che meglio favoriscono la devozione della persona, ragion per cui si devono scegliere sempre quelle che la stimolano di più. Tuttavia non è indice di perfezione esservi troppo attaccati, tanto da tenerle con spirito di possesso e da soffrire se ci vengono tolte.

6. L’anima stia certa che quanto più è forte il suo spirito di possesso nei riguardi dell’immagine o dell’aiuto sensibile, tanto meno la sua devozione e la sua preghiera si eleveranno a Dio. Anche se, in verità, è opportuno affezionarsi alle immagini più adatte a eccitare la devozione, ciò non deve comportare attaccamento e spirito di possesso, come ho detto sopra. In questo caso, infatti, il senso, assorbito interamente nella gioia dei mezzi e dimentico del loro valore soltanto relativo, divora tutto ciò che dovrebbe portare l’anima a prendere il volo verso Dio. Così i mezzi, che dovrebbero essere soltanto un aiuto per l’anima, le divengono motivo d’imperfezione e ostacolo, al pari dell’attaccamento e dello spirito di possesso per qualsiasi altra cosa.

7. Se la questione delle immagini ti suggerisce qualche obiezione, ciò dipende dal fatto che non hai ben compreso lo spogliamento e lo spirito di povertà richiesti dalla perfezione. Riconosci almeno, però, l’imperfezione in cui comunemente si cade riguardo alle corone del rosario; difficilmente troverai qualcuno che non dimostri in esse qualche debolezza: le vogliono così e non cosà; di questo colore e metallo piuttosto che quello; con questo ornamento o con quell’altro. Nulla di tutto questo giova perché Dio ascolti meglio la preghiera fatta con una corona piuttosto che con un’altra: egli ascolta l’anima che prega con cuore sincero e semplice, preoccupata solo di piacergli e non di avere un rosario piuttosto che un altro, a meno che non vi siano legate delle indulgenze.

8. La nostra vana avidità è tale che vuole attaccarsi a tutte le cose. È come il tarlo che rode ciò che è sano e porta a termine il suo lavoro nelle cose buone e cattive. Da che cosa deriva, infatti, che tu voglia avere una corona del rosario con certe caratteristiche, che sia fatta così e non diversamente, se non dal fatto che hai riposto la tua gioia in uno strumento? E perché vuoi scegliere questa immagine piuttosto che un’altra, non tenendo conto se ti risveglia maggiormente l’amore, ma solo se è più preziosa e più bella? Se tu non nutrissi altro desiderio e altra gioia che amare Dio, non ti importerebbe nulla di queste cose. È una pena grande osservare alcune persone spirituali così attaccate alla forma e alla figura di questi oggetti, ai motivi, alla curiosità e alla gioia frivola che ripongono in essi. Non le vedrete mai soddisfatte, passano irrequiete dagli uni agli altri, dimenticando la devozione spirituale a causa di questi oggetti sensibili; vi si attaccano con spirito di possesso, che a volte è simile a quello che nutrono per i beni temporali, da cui ricavano non poco danno.

CAPITOLO 36

Ove si parla delle immagini e dell’ignoranza di certe persone su questo punto.

1. Ci sarebbe molto da dire sull’ignoranza di un gran numero di persone a riguardo delle immagini. L’insensatezza di alcuni arriva a tanto da confidare più in un’immagine che in un’altra, convinte che Dio le ascolterà di più attraverso questa che quella, anche se entrambe rappresentano il medesimo soggetto, come ad esempio due immagini di Cristo o della Madonna. Questo perché sono più affezionati a una figura piuttosto che a un’altra. Tutto ciò rivela una profonda ignoranza nei rapporti con Dio e circa il culto e l’onore dovutogli; in realtà, egli guarda solo alla fede e alla purezza del cuore di colui che prega. Se Dio talvolta accorda più grazie attraverso un’immagine che non un’altra, non è perché la prima abbia maggior potenza della seconda, anche se la loro forma è molto diversa, ma perché la devozione delle persone è maggiormente risvegliata dall’una che dall’altra. Se avessero la medesima devozione per entrambe, o anche senza nessuna delle due, riceverebbero le stesse grazie da Dio.

2. Il motivo, quindi, per cui Dio compie miracoli e accorda grazie tramite alcune immagini piuttosto che altre, non è perché valgano di più, ma per il solo fatto che risvegliano maggiormente nei fedeli la devozione assopita e l’amore alla preghiera. Perciò, come nel tal caso e per mezzo della tale immagine si risveglia la devozione e si intensifica la preghiera, unici motivi per cui Dio ascolta e concede ciò che gli chiediamo, così, per l’orazione e l’amore risvegliati da quell’immagine, Dio continua a effondere grazie e a operare miracoli attraverso di essa. Questa di per sé non è altro che una semplice pittura, ragion per cui Dio agisce in virtù della devozione e della fede che si ha per il santo rappresentato nell’immagine. Pertanto, se tu avessi la stessa devozione e la stessa fede per la Madonna di fronte a una sua immagine piuttosto che a un’altra, o anche senza immagini, riceveresti la stesse grazie. L’esperienza stessa dimostra che se Dio concede grazie e opera miracoli, di solito li fa attraverso immagini non molto ben scolpite o stupendamente dipinte e raffigurate, perché i fedeli non attribuiscano tali grazie alla forma o alla pittura.

3. Molte volte il Signore concede grazie tramite immagini che si trovano in luoghi molto appartati e solitari. Anzitutto perché lo stesso fatto di doversi muovere per andare a vederle accresce la devozione e rende più intenso l’atto. In secondo luogo perché, per pregare, la gente si allontana dal rumore, come faceva il Signore (Mt 14,23; Lc 6,12). Per questo, chi fa un pellegrinaggio, è bene che lo faccia quando non c’è altra gente, anche in tempi straordinari. Quando c’è molta folla non glielo consiglierei mai perché, di solito, si torna più distratti di quando si è partiti. Molti poi lo fanno più per ricreazione che per devozione. Così, dunque, quando c’è devozione e fede, qualsiasi immagine è sufficiente, ma se vengono a mancare l’una e l’altra non sarà sufficiente alcuna immagine. Il Signore era certamente un’immagine viva quando era in questo mondo; tuttavia coloro che non avevano fede, pur andando con lui e vedendo le sue opere meravigliose, non ne traevano alcun profitto. Proprio per questo, come dice l’evangelista (Mt 13,58), non operò molti prodigi nel suo paese.

4. In questa sede voglio parlare anche di alcuni effetti soprannaturali che a volte determinate immagini provocano in certe persone. Ad alcune immagini Dio concede una virtù particolare, per cui rimane fissata nella mente l’immagine e la devozione che ha suscitato nello spirito, come fossero presenti. Ogni volta che uno improvvisamente se ne ricorda, prova lo stesso effetto, più o meno intenso, di quando le vide la prima volta; un’altra immagine, invece, anche se fatta meglio, non produrrà lo stesso effetto.

5. Molte persone, poi, hanno devozione più per le immagini fatte in un modo che in un altro, e in alcuni ciò è solo questione di affetto o gusto naturale. Per esempio, a qualcuno il volto di una persona piace più di un altro, si affeziona naturalmente più ad essa e l’avrà sempre presente nella sua immaginazione, anche se non è bella come le altre, perché ha un’attrazione naturale per quella sorta di forma e di figura. Così alcuni penseranno che l’affetto che nutrono per una determinata immagine sia devozione, mentre forse è solo affetto e gusto naturale. Altre volte accade che, fissando un’immagine, la vedono muoversi, cambiare fisionomia o fare gesti quasi volesse far capire qualcosa e parlare. Questi fatti soprannaturali delle immagini, di cui parliamo, molto spesso sono realmente veri e buoni, perché provocati da Dio o per aumentare la devozione o perché l’anima abbia un sostegno a cui aggrapparsi nella sua debolezza e non perdersi nelle distrazioni. Tuttavia molte volte sono prodotti anche dal demonio per ingannare e nuocere all’anima. Per tutti questi motivi nel capitolo seguente indicherò la linea di condotta da tenere in casi del genere.

CAPITOLO 37

Ove si parla della necessità di indirizzare a Dio la gioia che la volontà ricava dalle immagini, in modo che non cada in errore e non venga ostacolata da esse.

1. Le immagini sono di grande utilità per ricordarsi di Dio e dei santi e muovere la volontà alla devozione, se usate per via ordinaria e correttamente. Al contrario, possono far cadere in gravi errori se, quando accade qualcosa di soprannaturale legato ad esse, l’anima non sapesse comportarsi come deve nel suo itinerario verso Dio. Difatti uno dei mezzi di cui si serve il demonio per ingannare facilmente le anime imprudenti e impedire loro di seguire il cammino della vera vita spirituale, è costituito proprio dai fenomeni soprannaturali e straordinari. Egli li produce sia nelle immagini materiali e corporali in uso nella Chiesa, sia in quelle di un santo o di una sua effigie che egli stesso imprime nella fantasia, mascherandosi da angelo di luce proprio per ingannare (2Cor 11,14). L’astuto demonio adopera gli stessi mezzi che abbiamo come rimedio e sostegno; cerca di occultarsi per sorprenderci quando siamo più incauti. Per questo motivo, l’anima virtuosa deve sempre sospettare di più nel bene che nel male, perché il male reca con sé la testimonianza di quello che è.

2. Pertanto occorre evitare tutti i danni ai quali l’anima è esposta in questi casi. Tali inconvenienti consistono nell’essere impedita di volare verso Dio, nel servirsi in maniera grossolana e con ignoranza delle immagini, nell’essere ingannata naturalmente o soprannaturalmente tramite esse, tutte cose di cui ho parlato prima. Occorre, inoltre, purificare la gioia che la volontà pone in tali immagini, e attraverso di esse elevare l’anima a Dio, perché questo è lo scopo della Chiesa nel raccomandare l’uso delle immagini. Per conseguire questi risultati, intendo dare solo un avvertimento, che sarà sufficiente per tutto, ed è questo: poiché le immagini fungono da mezzi perché ci ricordiamo delle cose invisibili, cercheremo in esse solo il motivo che spinge la volontà ad affezionarsi alla realtà vivente che esse rappresentano e a riporre lì la nostra gioia. Il fedele, quindi, abbia cura di non ricercare la soddisfazione dei sensi quando vede un’immagine, sia corporale che immaginaria, di bella fattura o riccamente adornata, capace di suscitargli una devozione sensitiva o spirituale, anche quando gli lancia dei segni soprannaturali. Non dia la minima importanza a queste cose secondarie. Non si rifugi in tale immagine, ma elevi subito la mente a ciò che essa rappresenta, riponendo in Dio, o nel santo che invoca, la gioia e il compiacimento della sua volontà attraverso la preghiera e la vera devozione. Difatti ciò che vi è di vivente e di spirituale non dev’essere vanificato dalla pittura dell’immagine o dall’impressione sensibile. In questo modo il devoto non sarà ingannato, perché non terrà conto di ciò che l’immagine gli dirà, né impedirà ai sensi o allo spirito di dirigersi liberamente verso Dio, né avrà più fiducia in un’immagine piuttosto che in un’altra. L’immagine che gli susciterà devozione soprannaturalmente, lo farà in modo più abbondante, perché egli si porterà immediatamente a Dio con amore. Del resto, ogni volta che Dio concede queste e altre grazie, le accorda inclinando l’amore e la gioia della volontà verso ciò che è invisibile. Così vuole che facciamo anche noi, annientando la forza e il giogo delle nostre potenze che ci inclinano alle cose visibili e sensibili.

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