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Spiegazione della Santa Messa di dom Prosper Gueranger abate

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 23:53
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30/03/2010 23:20

Spiegazione delle preghiere e delle cerimonie della S. Messa
L'ordinario della Messa è l'insieme delle rubriche e delle preghiere necessarie alla celebrazione della Messa e la cui disposizione non cambia, nonostante la varietà delle feste celebrate dalla Chiesa.
Non si può avere un'idea completa delle cerimonie della Messa che riferendosi alla Messa solenne, Missa solemnis, tipo di tutte le altre. Ci si potrebbe domandare, per esempio, perché il sacerdote si sposta a recitare l'epistola ad un lato dell'altare, il Vangelo dall'altra, invece che restare al centro. Questo non riguarda il sacrificio, e non fa che ricordare quello che si fa nella Messa solenne: il diacono legge il vangelo a sinistra, il suddiacono legge l'epistola a destra, come spiegheremo più avanti. Il sacerdote, adempiendo da solo le funzioni eserciate dal diacono e dal suddiacono va, successivamente, al posto che essi occupano alla Messa solenne: Bisogna dunque cercare nella Messa solenne le ragioni del modo di agire del sacerdote quando celebra una messa bassa.
Il sacrificio della messa è il sacrifico della croce; noi dobbiamo vedere Nostro Signore inchiodato alla croce e che offre il suo sangue, per i nostri peccati, a Dio, Padre suo. Tuttavia non si può assolutamente ritrovare, nelle diverse parti della Messa, le diverse circostanze della Passione di Nostro Signore, come hanno voluto fare certi autori, componendo dei metodi per assistere alla Messa.
Il sacerdote esce dalla sacrestia e si porta all'altare per offrire il santo sacrificio. Egli è, dicono le rubriche, paratus, cioè rivestito dei paramenti sacri, o vesti proprie per la celebrazione della santa Messa. Giunto davanti all'altare, egli compie la riverenza dovuta, cioè, se è presente il Santissimo Sacramento, egli fa la genuflessione; se non c'è, si limita ad un inchino profondo: ecco perché le rubriche portano queste parole: debita reverentia.

I. IL SALMO JUDICA ME DEUS

Dopo essersi fatto il segno della croce, il sacerdote pronuncia l'antifona Introibo ad altare Dei, prima del salmo XLII. Questa antifona è sempre detta all'inizio e alla fine della stessa preghiera. Di seguito comincia il salmo Judica me Deus, che viene recitato per intero, alternandosi con i ministri. Questo salmo è stato scelto causa del versetto Introibo ad altare Dei, «mi approssimerò all'altare di Dio»; è molto adatto per iniziare la celebrazione del santo Sacrificio. Del resto, la santa Chiesa sceglie sempre i salmi a motivo di un versetto che è attinente a ciò che sta compiendo o a ciò che vuole esprimere. Questo salmo non si trova da sempre nel Messale: il suo uso è stato stabilito da San Pio V, nel 1568. Udendo il sacerdote che lo proclama, si capisce - fin dalle parole dei primi versi ab homine iniquo e doloso erue me, «liberami dall'uomo iniquo e fraudolento» - che egli rappresenta Nostro Signore stesso e che parla in suo nome.
Il versetto che serve da antifona mostra che Davide era ancora giovane quando compose questo canto a gloria del Signore; perché, mentre dice che si sarebbe accostato all'altare del suo Dio, aggiunge: ad Deum qui laetificat iuventutem meam, «a Dio che allieta la mia giovinezza». Si stupisce del turbamento che sopraggiunge nella sua anima, ma ben tosto si rassicura, sperando nel suo Dio; ed è per questo che il suo canto è pieno di allegrezza. La santa Chiesa non vuole dunque che questo salmo venga recitato nelle messe dei defunti, perché, in questa occorrenza, noi andiamo a supplicare per il sollievo di un'anima, la cui dipartita ci lascia nell'inquietudine e nel dolore. Così durante il tempo di Passione, durante il quale la santa Chiesa è tutta presa dalle sofferenze del suo Sposo, e non pensa affatto a rallegrarsi.

Questo salmo è adatto per iniziare la Messa anche per quanto concerne il tema della venuta di Nostro Signore. Chi dunque deve essere inviato alle nazioni, se non colui che è luce e verità? David lo sapeva: e così si espresse: Emitte lucem tuam et veritatem tuam. Con lui noi lo ripetiamo, e anche noi diciamo a Dio: «Mandaci colui che è luce e verità».
Una volta terminato il salmo con il Gloria Patri e la ripetizione dell'antifona, il sacerdote invoca il soccorso del Signore dicendo: Adiutorium nostrum in nomine Domini; gli si risponde: Qui fecit cúlume et terram. Nel salmo precedente il celebrante ha espresso il grande desiderio di unirsi a Nostro Signore, luce e verità; ma, quando riflette circa l'incontro che si sta per realizzare tra l'uomo peccatore e Dio, sente il bisogno di essere sostenuto. Dio ha voluto questo incontro, è vero, ed ha stabilito che questo avvenga d'ordinario; malgrado ciò, l'uomo sente e comprende il suo nulla e la sua indegnità. Egli si umilia e si riconosce peccatore; e, per trovare sicurezza, comincia con il segno della croce, domandando il soccorso del Signore e apprestandosi a confessare le sue colpe.

II. IL CONFITEOR

La santa Chiesa impiega qui la formula di confessione che lei stessa ha creato e che risale all'VIII secolo. Non è permesso né aggiungere né togliere alcunché. Questa preghiera usufruisce della prerogativa di tutti i sacramentali: la sua recitazione apporta la remissione dei peccati veniali di cui si ha contrizione. Dio, nella sua bontà ha voluto che altri mezzi, oltre il sacramento della Penitenza, possano cancellare i peccati veniali; ed è per questo che ha ispirato alla sua Chiesa l'uso dei sacramentali.
Il sacerdote comincia dunque la confessione e si accusa in primo luogo davanti a Dio; ma sembra dire: «Non voglio confessarmi solo a Dio, ma ancora a tutto ciò che è santo, perché tutti coloro davanti ai quali accuso le mie colpe domandino perdono per me e con me». Così si premura di aggiungere: «Confesso alla Beata sempre Vergine Maria». Senza dubbio egli non ha offeso la santa Vergine, ma ha peccato avanti ad essa, e questo pensiero gli basta per motivare la confessione e che fa anche a Lei. Passa poi all'arcangelo San Michele, così grande e così potente, preposto alla custodia della nostre anime, soprattutto al momento della morte. Si confessa ugualmente a san Giovanni Battista, che nostro Signore ha tanto amato e che è stato suo precursore; poi a San Pietro e a San Paolo, i principi degli Apostoli.
Certi Ordini religiosi hanno ottenuto di aggiungere il nome del loro padre o fondatore del loro Ordine. E così che noi benedettini aggiungiamo San benedetto; i domenicani San Domenico; i francescani a San Francesco, etc.

Infine il sacerdote si rivolge, in questa confessione, a tutti i circostanti, aggiungendo: Et vobis fratres; perché, umiliandosi come peccatore, non solamente si accusa davanti a coloro che sono già glorificati, ma anche davanti a tutti i presenti. E, non contento di dire che ha peccato, egli aggiunge in quale modo, cioè in pensieri, parole e opere: cogitatione, verbo et opere, che sono i tre modi mediante i quali l'uomo può peccare.

Volendo esprimere poi che ha peccato volontariamente, per tre volte lo dice con queste parole: mea culpa; e, per testimoniare insieme al pubblicano del Vangelo i suoi sentimenti di penitenza, si percuote il petto tre volte, mentre dice che ha peccato per sua colpa. Sentendo il bisogno di ricevere il perdono, si ripresenta a tutte le creature glorificate davanti alle quali si era accusato, le invoca e domanda loro, così come ai fratelli presenti, di pregare per lui.
A proposito di questa formula di confessione stabilita dalla santa Chiesa, diciamo - di passaggio - che può essere sufficiente a una persona in pericolo di morte e incapace di fare una confessione più esplicita.
I ministranti rispondono al sacerdote con un voto «Il Signore abbia misericordia di Te...», a cui il prete, rimanendo inclinato, aggiunge Amen. Questa risposta in forma di voto è una supplica alla misericordia di Dio per il celebrante.
Ma i ministranti hanno loro stessi bisogno di perdono; ed è per questo motivo che, a loro volta, con la stessa formula, fanno la confessione dei loro peccati non più però a dei fratelli, et vobis fratres, ma al sacerdote, che chiamano «padre»: et tibi Pater.
Non è mai permesso di cambiare qualunque cosa di ciò che la santa Chiesa ha stabilito per la celebrazione della Messa; così nel Confiteor i ministri devono sempre dire semplicemente et tibi Pater, et te Pater, senza aggiungere nessuna specificazione, anche se servissero la Messa al Papa.

Quando i ministri hanno pronunciato questa formula di confessione, il sacerdote fa per essi la stessa supplica che questi avevano fatto per lui; essi rispondono ugualmente con amen.
Viene poi una specie di benedizione, Indulgentiam, mediante la quale il sacerdote domanda per lui e per i suoi fratelli il perdono e la remissione dei peccati, facendosi il segno della croce; egli pronuncia la parola nobis e non vobis, mettendosi insieme ai ministri, unito a loro nella supplica comune.
Una volta terminata la confessione, il sacerdote si inclina di nuovo, ma meno profondamente di come aveva fatto al Confiteor. Egli dice: Deus tu conversus vivificabis nos «O Dio, con un solo sguardo ci donerai la vita»; e i ministri: Et plebs tua laetabitur in te, «E il tuo popolo si allieterà in te»; subito dopo: Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam, «Mostraci, Signore, la tua misericordia»; Et salutare tuum da nobis, «E donaci il Salvatore che hai preparato».
Questi versetti sono recitati da tempi antichissimi. L'ultimo è una parola del re David, che domanda il Messia nel salmo LXXXIV Benedixisti Domine terram tuam (Hai benedetto, Signore, la tua terra); perché durante la Messa, prima della consacrazione, noi attendiamo il Signore analogamente a coloro che, prima dell'incarnazione, attendevano il Messia promesso alle nazioni. Con la parola misericordiam, usata dal Profeta, non va intessa la bontà di Dio. No, noi domandiamo a Dio che si degni di inviare colui che è la sua Misericordia e la sua Salvezza, cioè Colui per il quale verrà a noi la salvezza. Questa parola del salmo ci trasporta completamente al tempo dell'Avvento, durante il quale noi non cessiamo di domandare Colui che sta per venire.

Dopo questo, il sacerdote domanda a Dio che si degni di esaudire la sua preghiera; poi saluta il popolo dicendo Dominus vobiscum «Il Signore sia con voi». È come un saluto che indirizza ai suoi fratelli nel momento solenne in cui sta per varcare i gradini dell'altare, e, come Mosè, sta entrando sotto la nube (cf Es XXIV, 18). I ministri gli rispondono, per conto del popolo, con queste parole: et cum spiritu tuo, «e con il tuo spirito».
Preparandosi a salire all'altare, il sacerdote dice: Oremus «Preghiamo», allarga le mani e le ricongiunge. Ogni volta che dice questa parola, agisce nel solito modo, perché si dispone a pregare, e perché, per pregare si stendono le mani verso Dio, che è in cielo e a cui ci si indirizza. Così aveva pregato Nostro Signore sulla croce. Nella preghiera che il sacerdote dice salendo i gradini, egli parla al plurale, perché non sale da solo; il diacono e il suddiacono salgono con lui, l'accompagnano e lo servono.
Il pensiero dominate del sacerdote, in questo momento solenne, è quello di purificarsi, perché, come egli stesso dice, sta entrando nel «santo dei santi»: ad Sancta Sanctorum, usando questo superlativo ebraico per esprimere la grandezza dell'azione che si accinge a compiere.

Domanda dunque che i suoi peccati saino rimossi, pregando anche per i ministri. Più ci si avvicina a Dio, più si sentono anche le minime macchie che sporcano l'anima; il sacerdote sente dunque il bisogno di purificarsi ancora e lo domanda a Dio. Ha già detto Deus tu conversus vivificabis nos - Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam. Ma, poiché si accosta di più a Dio, egli teme e raddoppia le sue preghiere per ottenere il perdono. Varca i gradini dicendo questa preghiera: Aufer a nobis, quaésumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad sancta sanctórum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum Dóminum nostrum. Amen; «Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con animo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Cosi sia.»
Giunto all'altare, il sacerdote posa le mani giunte sull'altare, e poi lo bacia. Questo bacio dell'altare è qui un segno di rispetto per le reliquie dei santi, che vi sono contenute. Egli fa un'altra preghiera nella quale domanda che i peccati siano perdonati: peccata mea «i miei peccati»; ma la comincia dicendo: Oramus te, «noi ti preghiamo», perché tutti coloro che assistono al sacrificio devono avere per il sacerdote un sentimento filiale e pregare con lui e per lui.

III. LA PRIMA INCENSAZIONE

L'altare rappresenta Gesù Cristo, e le reliquie dei Santi che vi si trovano ci rammentano che essi sono sue membra. Nostro Signore, infatti, dopo aver preso la nostra natura umana, non solamente ha sofferto la Passione più dolorosa, ha trionfato nella sua Risurrezione ed è asceso gloriosamente al cielo, ma ha altresì fondato sulla terra la sua Chiesa, suo Corpo Mistico, del quale Egli è il Capo e del quale i Santi sono le membra. Da questo punto di vista, dunque, Nostro Signore non è completo se non quando è accompagnato dai suoi Santi, ed ecco perché i Santi che sono con Lui nella gloria devono esser uniti a Lui nell'altare che lo rappresenta.
Terminata l'orazione che dice inchinato sull'altare e con le mani giunte, il sacerdote si prepara all'atto dell'incensazione. Due incensazioni hanno luogo nel corso del santo Sacrificio e ambedue si fanno con molta solennità per rispetto a Nostro Signore rappresentato dall'altare, come abbiamo detto. Tuttavia il sacerdote fa la prima incensazione senza accompagnarla con alcuna preghiera, limitandosi ad incensar ogni parte dell'altare in modo da profumarlo tutto. Sappiamo dal Levitico che l'uso dell'incenso per il culto del Signore risale ad un'epoca molto remota. Nella Messa questo prodotto naturale si eleva all'ordine soprannaturale mediante la benedizione che riceve dal sacerdote.

La santa Chiesa prende questa cerimonia dal cielo stesso, dove l'ha contemplata san Giovanni. Infatti nell'Apocalisse egli vede l'Angelo con un turibolo d'oro presso l'altare su cui sta l'Agnello a cui fan corteo d'onore ventiquattro vegliardi: Angelus venit, et stetti ante altare habens thuribulum aureum (Ap 8,3). L'Apostolo ci mostra quest'Angelo che offre a Dio le orazioni dei Santi, rappresentate dall'incenso. Così la santa Chiesa, sposa fedele dell'Agnello, cerca d'imitare sulla terra ciò che si fa in cielo a onore e gloria del suo Sposo, e a tal fine profitta delle occasioni in cui il discepolo prediletto solleva un poco il velo che avvolge i misteriosi segreti dell'Alto.
In questo momento della Messa vengono incensati soltanto l'altare e il sacerdote; il coro sarà incensato durante la seconda incensazione.
La Chiesa suole esporre sull'altare le immagini e le reliquie di Santi che in questo frangente vengono incensate.
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