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Spiegazione della Santa Messa di dom Prosper Gueranger abate

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 23:53
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30/03/2010 23:34


XVI - LAVABO

Mentre s'incensa il coro e i fedeli, il sacerdote si lava le mani, cerimonia che è stata collocata a questo punto perché il sacerdote ha toccato il turibolo, che lascia sempre sulle mani qualche traccia di fumo. Ma, al tempo stesso, l'abluzione delle mani racchiude un significato misterioso, poiché con essa si manifesta la necessità che v'è per il sacerdote di purificarsi sempre più, a misura che avanza nel santo Sacrificio. Come Nostro Signore ha lavato i piedi agli Apostoli prima d'istituire la Santa Eucaristia e dar loro la santa Comunione, così anche il sacerdote deve purificarsi.

Nella liturgia ambrosiana il rito di lavarsi le mani si compie nel corso del Canone, prima della consacrazione; il significato è sempre lo stesso, cioè la necessità che ha il sacerdote di purificarsi, però il momento scelto dalla Chiesa romana, sempre così saggia e prudente nelle sue decisioni, è preferibile a quello adottato dal rito ambrosiano.
Per accompagnare quest'azione, che indica quanto grande deve essere la purezza del sacerdote, la Chiesa ha scelto il salmo 25, che si trova nell'Ufficio monastico al primo notturno del mattutino della domenica: Judica me, Domine, quondam ego in innocenza mea ingressus sum, "fammi giustizia, o Signore, perché cammino nell'innocenza". In questo salmo è Nostro Signore che parla; ben si comprende, infatti, che il sacerdote non potrebbe applicar a se stes?so queste parole. La Chiesa gliene fa dire solamente la metà, cominciando dalle parole: Lavabo inter innocentes manus meas et cir-cumdabo altare tuum, Domine..., "lo voglio lavare le mie mani, o Signore, e rendermi simile a coloro che sono nell'innocenza, per essere degno di avvicinarmi al tuo altare, di ascoltar i tuoi sacri cantici e di narrare le tue meraviglie". Tutte parole che s'adattano perfettamente alla circostanza.

Più innanzi consideriamo questa parola del Profeta: Domine, dilexi decorem domus tuas, et locum habitationis gloriae tuae, "Signore amo la bellezza della tua casa, il luogo che hai scelto per abitazione della tua gloria". Davide parla qui del tabernacolo, all'ombra del quale si sentiva felice, quantunque il tempio non esistesse ancora, poiché fu co?struito da Salomone. Il sacerdote recita il salmo sino alla fine, avendo così il tempo necessario per lavarsi e asciugarsi le mani.

Quest'altro versetto: Ego autem in innocentia mea ingressus sum, "sono entrato con la mia innocenza", ci prova ancora una volta che questo salmo si riferisce a Gesù Cristo; il sacerdote lo dice dunque in nome di Nostro Signore col quale costituisce, durante l'azione del Sacrificio, un essere unico.
Nelle Messe dei defunti e nel tempo di Passione (nella Messa propria del Tempo), si omette il Gloria Patri alla fine del salmo. L'omissione del Gloria in questo punto si fonda sulla medesima ragione per cui si omette il salmo Judica all'inizio della Messa.

XVII - SUSCIPE, SANCTA TRINITAS

Terminato il salmo, il sacerdote ritorna in mezzo all'altare, congiunge le mani e inchina leggermente il capo, dicendo: Suscipe, sancta Trinitas, hanc oblationem, quam tibi offerìmus ob memoriam passionis, resurrectionis et ascensionis Jesu Christi Domini nostri....
Troviamo qui alcune considerazioni di rilievo. Si parla in primo luogo d'un'oblazione: Suscipe hanc oblationem, "ricevi quest'oblazione". Il sacerdote applica queste parole al pane e al vino che ha offerto; ma non è ad essi ch'egli si riferisce. Questi oggetti sono santificati e benedetti, è vero e, di conseguenza, meritano d'essere trattati con grande rispetto. Tuttavia, l'oblazione che qui si presenta alla maestà divina non potrebbe limitarsi ad esser un sacrificio puramente materiale, come quelli che offrivano i Giudei. No, il pensiero del sacerdote in quest'occasione va più lontano: egli presenta l'offerta del grande Sacrificio che presto dovrà essere compiuto.

Ob memoriam passionis, resurrectionis et ascensionis Jesu Christi Domini nostri, "E ti offriamo quest'oblazione, o Trinità Santissima, in memoria della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione di Gesù Cristo Signor nostro". Si tratta di tre importanti misteri che completano la vita di Gesù Cristo. Prima Egli ha patito e, a coronamento dei suoi patimenti, è morto. Tali patimenti, culminati nella morte, costituiscono la sua Passione. Ma non è tutto: il Signore è anche risuscitato. La morte, castigo del peccato, è come il trionfo del diavolo sull'uomo, e sarebbe stata una sconfitta per Gesù Cristo se, dopo morto, non fosse poi risuscitato.

Ma non è solamente risuscitato, è anche salito al cielo nella sua gloriosa e trionfante Ascensione. Nostro Signore non poteva restare sulla terra. Finché la sua natura umana non entrava in cielo, questo rimaneva chiuso all'uomo, sicché non potevamo essere salvati se Nostro Signore non fosse salito al cielo dopo essere risuscitato dai morti, essendo, come dice san Paolo, il "primogenito tra i morti". Notiamo bene, di conseguenza, che il Signore ha sofferto la Passione ed è risuscitato, ma la salvezza dell'uomo non si sarebbe interamente compiuta s'Egli fosse rimasto esiliato in questa valle di lacrime: alla Passione e alla Risurrezione doveva seguire necessariamente l'Ascensione.

È questa la nostra fede, perché questa è l'economia della nostra salvezza, racchiusa in questi tre misteri: Passione, Risurrezione, Ascensione. La santa Chiesa comprende così bene che questi tre atti sono necessari per completare la vita di Gesù Cristo e costituiscono il compendio di tutta la nostra fede, che ha vero interesse di farcelo dire esplicitamente nell'offerta del Sacrificio.
Et in honorem beatae Mariae semper Virginis, "e in onore della beata e sempre Vergine Maria". Non si offre una sola Messa che non ridondi di espressioni in onore della Santissima Vergine, la quale, per se medesima, costituisce un mondo a parte. Così facciamo prima menzione di Nostro Signore e poi della Santìssima Vergine, degli Angeli e dei Santi. Gli Angeli sono da più di noi, cioè sono superiori a noi per la loro natura spirituale, ma la Santissima Vergine, quantunque creatura umana, si trova al di sopra degli Angeli, perché è, come abbiamo detto, un mondo a parte: è il capolavoro di Dio stesso. Per questo la santa Chiesa l'onora come tale nel santo Sacrificio, dove ha gran cura di non dimenticarla.

Et beati Joannis Baptistae. La Chiesa nutre gran venerazione per san Giovanni Battista. Ne fa già menzione - come abbiamo veduto - nel Confiteor. Qui si compiace d'onorare nuovamente il Precursore del Signore. Et sanctorum apostolorum Petri et Pauli; niente di più giusto del tributar onore e gloria a questi due grandi Apostoli, che si adoperarono insieme per la fondazione della santa Chiesa romana.
Et istorum. Questa parola ha fatto sorgere in varie occasioni qualche difficoltà. Infatti ci si è spesso domandato che cosa si volesse intendere. Alcuni sostenevano che si riferisse al Santo di cui si celebrava la festa, ma in questo caso si sarebbe dovuto dire istius e non istorum. Inoltre le Messe dei defunti presenterebbero - in tal caso - altre difficoltà. Evidentemente l'intenzione della santa Chiesa è tutt'altra: si riferisce senza alcun dubbio alle reliquie dei Santi racchiuse nell'altare, tant'è vero che quando si consacra un altare, vi si devono sempre collocare le reliquie di vari Santi. Quelle di uno solo non basterebbero e non permetterebbero alla Chiesa di dire qui: et istorum. "Sì - dice - in onore di questi Santi che servono come punto d'appoggio al mistero che è stabilito sopra di essi, di questi Santi sopra il corpo dei quali va a compiersi il gran sacrificio".

È dunque giustissimo far di essi una speciale menzione.
Et omnium Sanctorum. Infine la santa Chiesa ricorda tutti i Santi in generale, perché tutti hanno parte nella Santa Messa.
Ut illis proficiat ad honorem, nobis autem ad salutem, "perché serva a loro onore e a nostra salvezza". Sono qui esposti i due fini principali del santo Sacrificio: da una parte, procurare gloria a Dio, alla Santissima Vergine e ai Santi, dall'altra, essere di profitto alla nostra salvezza. Per questo la Chiesa ci fa chiedere qui che Dio si degni d'accettar e ricever il santo Sacrificio in modo che si ottengano i due fini proposti. Con le parole finali di quest'orazione s'invocano infine i Santi dei quali la Chiesa fa in quel giorno memoria. Et lili prò nobis intercedere dignentur in caelis, quorum memoriam agi-mus in terris, "che quelli dei quali facciamo memoria sulla terra, si degnino intercedere per noi in cielo". Per eundem Christum Dominum nostrum, "Per lo stesso Gesù Cristo, Signore nostro"; aggiungendo, in tal modo, sempre il nome di Cristo.

Quest'orazione, come la prima, è divenuta universale a partire da san Pio V. Il suo latino è di bellezza inferiore rispetto a quello del Canone, che risale ai primi tempi, come pure la preghiera per la benedizione dell'acqua.


XVIII - ORATE, FRATRES

II sacerdote, dopo aver baciato l'altare, si volta verso il popolo e lo saluta dicendo: Orate, fratres: ut meum ac vestrum sacrificium acceptabile fiat apud Deum Patrem omnipotentem, "Pregate, fratelli, perché il mio sacrificio, che è anche il vostro, sia accetto a Dio Pa?dre onnipotente".
È una specie di congedo che il sacerdote rivolge al popolo, per?ché non si volterà più verso di esso finché il Sacrificio non sia stato consumato. Ma questa non è la formula ordinaria di congedo; infatti prima di salire all'altare, il sacerdote aveva detto semplicemente: Dominus vobiscum. Qui si raccomanda alle preghiere dei fedeli, af?finchè questo Sacrificio, che appartiene al sacerdote e ai fedeli, sia gradito a Dio. Il Sacrificio è del sacerdote, perché egli ne è l'agente; è dei fedeli, perché Gesù Cristo lo ha istituito a loro profitto: ecco perché il sacerdote si sofferma a lungo sulle parole: meum ac vestrum sacrìficium, "il mio sacrificio, che è anche il vostro".

Per questa stessa ragione il sacerdote richiama l'attenzione dei fedeli, invitandoli a stare sempre più attenti. Essi non devono dimen?ticare che hanno la loro parte nel sacerdozio, come afferma san Pietro chiamando i fedeli "sacerdozio regale", regale sacerdotium (1 Pt 2,9), perché sono cristiani. Essi, infatti, vengono da Cristo, so?no di Cristo, sono stati unti e, per il battesimo, sono divenuti altret?tanti "cristi"; bisogna, di conseguenza ch'essi possano offrire il santo Sacrificio in unione al sacerdote.

Così, a questo invito del sacerdote, rispondono con grande ef?fusione: Suscipiat Dominus sacrìficium de manibus tuis ad laudem, et glorìam nominis sui ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecclesiae suae sanctae, "Riceva il Signore il sacrificio dalle tue mani, a lode e gloria del suo nome, per la nostra utilità e per quella di tutta la sua santa Chiesa". Il Messale porta tra parentesi la parola meis in?vece di tuis, qualora il sacerdote fosse obbligato a supplire all'as?senza o all'ignoranza di chi gli serve la Messa.
Dopo aver dato al sacerdote questa risposta, i fedeli devono pensare che non vedranno più il suo volto finché il Signore stesso non sia disceso sull'altare. La sua stessa voce si farà udire una sola volta, per la grande e magnifica preghiera di ringraziamento, ossia il Prefazio.

Ma prima di quel momento il sacerdote raccoglie i voti dei fedeli in un'orazione che dice a bassa voce e che per tale ragione sì chiama Secreta. Poiché prega in silenzio, non fa precedere la sua preghiera dalla parola Oremus, "preghiamo", perché non invita i fe?deli a pregare con lui. Negli antichi Sacramentari, come quello di san Gregorio, per esempio, quest'orazione era indicata come Oratio super oblata.


XIX - PREFAZIO

Benché il sacerdote faccia quest'ultima orazione, di cui abbiamo parlato, a bassa voce, la termina ad alta voce, esclamando: Per omnia saecula saeculorum, e i fedeli rispondono: Amen, come per dire "noi pure acconsentiamo alla tua domanda". Il sacerdote, infatti, nulla dice nel Sacrificio che non sia senza il consenso dei fedeli, i quali, come abbiamo detto, partecipano del sacerdozio. Pur non avendo udito ciò che ha detto il sacerdote nella Secreta, si associano a lui e l'approvano di tutto cuore, rispondendo: Amen: "sì, la nostra preghiera è unita alla tua". Il dialogo cominciato tra il sacerdote e i fedeli continua per lasciare poi la parola solo al sacerdote, che ringrazia a nome di tutta l'assemblea.
Il sacerdote (questa volta senza voltarsi verso il popolo) comincia, dunque, col salutar i fedeli: Dominus vobiscum, "il Signore sia con voi". Questo è il momento più solenne della preghiera. I fedeli rispondono: Et cum spiritu tuo, "ch'Egli sia col tuo spirito, che Egli ti assista; noi siamo uniti a te".

Poi il sacerdote dice: Sursum corda!, "In alto i cuori!" e domanda che i cuori si distacchino da ogni pensiero terreno per dirigersi unicamente verso Dio, perché la preghiera che sta per elevar è la preghiera di ringraziamento. Questa preghiera trova qui la sua giusta collocazione, perché il sacerdote sta per compier il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo, Sacrificio che è per noi il mezzo privilegiato per ringraziare la divina Maestà, poiché solo attraverso di esso possiamo render a Dio tutto ciò che gli dobbiamo. Per questo la Chiesa, che si compiace di gustare tutte le parole di questa sua magnifica preghiera, vuoi ridestar i fedeli con il grido: Sursum corda!, affinchè possano apprezzare tal rendimento di grazie che offre a Dio qualcosa di grande e degno di Lui.

I fedeli, come se volessero rassicurar il sacerdote, si affrettano a rispondergli: Habemus ad Dominum, "teniamo i nostri cuori elevati verso il Signore". Quindi il sacerdote dice: "poiché è così, tutti insieme rendiamo grazie al Signore", Gratias agamus Domino Deo nostro. I fedeli rispondono: Dignum etjustum est, unendosi al ringraziamento contenuto nel Prefazio, che il sacerdote comincia a pronunciare.

Questo dialogo è antico quanto la Chiesa, e tutto ci fa credere che siano stati gli stessi Apostoli a fissarlo, poiché s'incontra nelle Chiese più antiche e in tutte le liturgie. Bisogna, per quanto possibile, che i fedeli non restino seduti durante queste acclamazioni.
Solo il sacerdote ha ora la parola e dice: Vere dignum etjustum est, aequum et salutare, nos libi semper et ubique gratias agere: Domine, sancte Pater, omnipotens aeterne Deus: per Christum Dominum nostrum, "Veramente è giusto renderti grazie, o Dio onnipotente, tibi, a te, semper et ubique, sempre ed ovunque, e renderti grazie per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro". Sì, dobbiamo ringraziare per mezzo di Gesù Cristo perché, se lo facessimo in nome nostro, vi sarebbe tra DIo e noi una distanza infinita, e il nostro ringraziamento non salirebbe sino a Lui, mentre, per mezzo di Gesù Cristo, esso giunge direttamente a Dio e penetra sino al centro stesso della Divinità.

Ma non solamente noi, povere creature umane, dobbiamo passare per Gesù Cristo. Vi sono anche tutti gli Angeli: Per quem maje-statem tuam laudant Angeli, "per il
Solo il sacerdote ha ora la parola e dice: Vere dignum etjustum est, aequum et salutare, nos libi semper et ubique gratias agere: Domine, sancte Pater, omnipotens aeterne Deus: per Christum Dominum nostrum, "Veramente è giusto renderti grazie, o Dio onnipotente, tibi, a te, semper et ubique, sempre ed ovunque, e renderti grazie per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro". Sì, dobbiamo ringraziare per mezzo di Gesù Cristo perché, se lo facessimo in nome nostro, vi sarebbe tra DIo e noi una distanza infinita, e il nostro ringraziamento non salirebbe sino a Lui, mentre, per mezzo di Gesù Cristo, esso giunge direttamente a Dio e penetra sino al centro stesso della Divinità.

Ma non solamente noi, povere creature umane, dobbiamo passare per Gesù Cristo. Vi sono anche tutti gli Angeli: Per quem maje-statem tuam laudant Angeli, "per il quale (Gesù Cristo) gli Angeli lodano la tua maestà", perché, dopo l'Incarnazione, essi adorano la Maestà divina per Gesù Cristo, Sommo Sacerdote; Adorant Dominationes, "le Dominazioni adorano per Gesù Cristo"; Tremunt Potestates, "le Potestà", questi Angeli così belli, fanno sentire un fremito tutto celeste, "tremano alla vista di Gesù Cristo"; Caeli, "i Cieli", cioè gli Angeli altissimi, Caelorumque Virtutes, "e le Virtù dei Cieli", ancor più alte delle precedenti; Ac beata Seraphim, "e i beati Serafini", che sono i più vicini a Dio per la purezza del loro amore; Soda exultatione concelebrant, "tutti insieme, in concerto d'armonioso trasporto, celebrano per Gesù Cristo la Maestà divina".
I prefazi terminano facendo menzione degli Angeli, affinchè la Chiesa militante s'unisca all'inno che canta la Chiesa trionfante: Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecamur, supplici confessione dicentes, "Sì, noi domandiamo il permesso di aggiungere le nostre deboli voci alle potenti voci angeliche e di ripetere quaggiù, quantunque ancora peccatori": Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.

Tutto il Prefazio consiste nel rendere grazie a Dio, gratias agere, attraverso Gesù Cristo, perché per Lui solamente arriveremo a Dio uniti agli Angeli coi quali andiamo a cantar il Trisagio.
Oltre a questo Prefazio comune, la santa Chiesa ce ne offre altri nei quali s'invitano gli Spiriti celesti a celebrare con noi, in un comune ringraziamento, i principali misteri dell'Uomo-Dio, nei tempi di Natale, di Quaresima, di Passione, di Pasqua, dell'Ascensione e della Pentecoste, senza dimenticare colei che ha portato al mondo la salvezza, Maria Santissima né gli Apostoli, che predicarono agli uomini la Redenzione.

Il Prefazio si canta con la tonalità antica che i Greci usavano nelle loro feste.



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