QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Spiegazione della Santa Messa di dom Prosper Gueranger abate

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 23:53
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.222
Sesso: Femminile
30/03/2010 23:42


XXVI - CONSACRAZIONE DELL'OSTIA

Qui pridie quam pateretur. Queste parole furono aggiunte dal papa Alessandro I, sesto successore di san Pietro. Egli volle aggiungere queste parole per ricordare la Passione; per esser il Sacrificio della Messa il medesimo Sacrificio della croce; perché lo stesso Signore, che era stato immolato la sera nel Cenacolo, doveva esser immolato il giorno dopo sul Calvario.
Accepit panem in sanctas ac venerabiles manus suas. Il sacerdote prende nelle sue mani il pane ed alza gli occhi al cielo - et elevatis oculis in caelum -, facendo ciò che fece lo stesso Gesù Cristo.

Non ci dice il Vangelo che Gesù alzò gli occhi al cielo in quest'occasione, ma ce lo dice una tradizione così certa che la santa Chiesa si compiace di far notare questa circostanza.
Ad te Deum Patrem suum omnipotentem, tibi gratias agens. Questa è l'Eucaristia o "rendimento di grazie", e la Chiesa ha cura speciale di ricordarlo, e questo perché noi siamo sempre restii nel testimoniar a Dio la nostra gratitudine per i suoi innumerevoli benefici, mentre dovremmo aver sempre il ringraziamento nel cuore e sulle labbra.
Benedixit (dicendo questa parola il sacerdote fa il segno di croce sull'ostia), fregit deditque discipulis suis, dicens: Accipite, et manducate ex hoc omnes:
HOC EST ENIM CORPUS MEUM '
II sacerdote tiene allora l'ostia col pollice e l'indice di ambedue le mani, pronunzia a voce bassa, ma chiaramente e distintamente, le parole della consacrazione tenendo gli occhi sull'ostia che vuole consacrare. Pronunziate le parole della Consacrazione, il sacerdote, genuflettendo, adora l'Ostia santa. La rubrica dice statim: subito; non deve infatti passar alcun intervallo, perché il pane è sparito, non restando di esso altro che le specie, ossia l'apparenza, per lasciar il posto al Signore; perciò, è Dio stesso che il sacerdote adora. Fatta la sua adorazione, il sacerdote si alza ed eleva l'Ostia al di sopra del suo capo per farla veder al popolo, affinchè esso pure l'adori.

Un tempo non si elevava l'Ostia in questo punto della Messa, ma solamente prima di cominciar il Pater Noster. Nel secolo XI, Berengario, arcidiacono d'Angers, osò negare la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia, e ciò fece sì che s'introducesse nella Messa questa nuova estensione immediatamente dopo la Consacrazione, per muover il popolo all'adorazione.
Dopo aver elevato l'Ostia, il sacerdote la mette sul corporale e l'adora di nuovo. D'ora innanzi ogni volta che toccherà l'Ostia, il sacerdote farà una genuflessione prima e dopo; prima, perché sta per toccare con le sue mani il Signore, e dopo, per rendergli omaggio. Inoltre, non disgiungerà più i pollici e gli indici fin dopo l'abluzione delle dita, perché queste dita sono consacrate e solo con esse deve toccar il Signore. Così, durante l'ordinazione, il vescovo consacra prima di tutto queste dita con l'olio santo, che stende poi su tutta la mano; e se un sacerdote venisse a perder il dito indice, occorrerebbe un permesso speciale del Papa per toccar il Corpo del Signore con un altro dito.

Così si compie il grande mistero della transustanziazione, ossia la conversione d'una sostanza in un'altra, con le parole che il Signore disse ai suoi Apostoli: Hoc facite in mea commemorationem: "Fate questo in memoria di me" (Le 22,19), a patto però che il ministro sia un sacerdote legittimamente ordinato e che pronunzi le parole sacramentali su vero pane e su vino naturale, con l'intenzione di consacrare come fa la Chiesa. Se queste condizioni si compiono, Dio non è libero: il mistero deve operarsi necessariamente, poiché il Signore vi s'è obbligato.
La parola enim è utilizzata per legare la frase a ciò che immediatamente precede. Essa non si trova nei tre Vangeli che parlano dell'istituzione dell'Eucaristia e neppure in san Paolo (cf. 1Cor9,24). Però, Nostro Signore dovette adoperarla, perché giunse sino a noi la tradizione di san Pietro e degli Apostoli. Il sacerdote che omettesse l'enim commetterebbe un peccato, ma la Consacrazione avrebbe luogo. Se omettesse la parola meum, invece, non avverrebbe la Consacrazione, perché bisogna determinare qual è questo corpo che il sacerdote dice d'aver tra le sue mani.

Dopo queste prime parole della Consacrazione, il Corpo di Nostro Signore è sull'altare, ma poiché, dopo la Risurrezione, il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità del Salvatore non possono essere separati, Nostro Signore è vivo sull'altare come in cielo, ossia glorioso, come dopo la sua Ascensione.
L'ostensione del Corpo di Nostro Signore dopo la Consacrazione è d'istituzione relativamente moderna, com'è stato già detto. Le Chiese d'Oriente mantengono l'antico uso di elevare l'Ostia prima del Pater Noster, ma, per incoraggiare l'adorazione dei fedeli, fanno quest'elevazione con grande solennità: il sacerdote prende il Corpo e il Sangue del Signore e, voltandosi verso il popolo come all'Orate fratres, li presenta all'adorazione dell'assemblea.

XXVII - CONSACRAZIONE DEL VINO

Scoperto il calice, il sacerdote pronunzia queste parole: Simili modo postquam coenatum est. Poi, prendendo il calice tra le mani, prosegue: accipiens et hunc praeclarum Calicem in sanctas ac venerabiles manus suas. Consideriamo bene le parole: praeclarum Calicem. Quanto la santa Chiesa nobilita questo calice che ha contenuto il Sangue del Signore e che ora pone nelle mani del sacerdote! Nel salmo ascoltiamo il Profeta che dice: Et calix meus inebrians quam praeclarus est!, "Sì, il mio calice inebriante, quanto è augusto, quanto è bello, quanto è magnifico!" (Sai 22,5). La santa Chiesa trovò questa lode così appropriata per il calice consacrato, destinato a contener il Sangue di Gesù Cristo, che ad essa rivolge il suo ricordo in questo momento. Il sacerdote prosegue: item tibi gratias agens.

Già nella Consacrazione dell'Ostia il sacerdote ha parlato del rendimento di grazie, quando ha detto che Nostro Signore, alzando gli occhi al Padre suo, lo ha ringraziato. Poi, tenendo il calice con la mano sinistra, con la destra lo benedice, dicendo: Benedixit, deditque discipulis suis, dicens: Accipite, et bibite ex eo omnes. Allora il sacerdote, tenendo il calice un poco alzato, pronunzia sopra di esso le parole della consacrazione del vino:
HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI, NOVI ET AETERNI TESTAMENTI:
MYSTERIUM FIDEI: QUI PRO VOBIS ET PRO MULTIS EFFUNDETUR
IN REMISSIONEM PECCATORUM
.

Notiamo che anche qui, come nella Consacrazione del pane, si trova la parola enim per legare ciò che precede a quello che segue.
Le parole adoperate per la consacrazione del vino assomigliano a quelle del Vangelo con qualche differenza. Esse sono giunte sino a noi attraverso la tradizione fondata da san Pietro, che le udì dalle labbra di Gesù Cristo stesso.
Novi et aeterni testamenti. È dunque questo il vaso che contiene il Sangue del Signore, il Sangue della Nuova Alleanza, chiamata al tempo stesso "eterna", novi et aeterni, per distinguerla dall'Antica Alleanza che doveva durare soltanto fino alla venuta di Nostro Signore.

Mysterium fidei.

Si tratta del mistero che prova in modo speciale la nostra fede; perché - secondo la parola di san Pietro - la nostra fede deve essere provata. Essa è così ben provata in tal mistero che san Paolo, scrivendo a Timoteo, afferma, a proposito dell'Eucaristia, che i diaconi devono essere puri e santi, mantenendo "il mistero della fede" in una coscienza pura: Habentes mysterium fidei in coscientia pura. Sappiamo, infatti, che la Santa Eucaristia era affidata in deposito ai diaconi, che potevano anche amministrarla ai fedeli in assenza dei sacerdoti.
Infine, occorre notare le seguenti parole: prò multis effundeturin remissionem peccatorum. Questo Sangue sarà sparso per molti in remissione dei loro peccati. È vero che è stato sparso per tutti e non solamente per molti, ma non tutti ne trarranno profitto per la remissione dei loro peccati.

Tali sono le parole della Consacrazione del vino, che hanno un effetto così importante, poiché costituiscono, con le parole della Consacrazione del pane, l'atto stesso del Sacrificio. Nostro Signore è la Vittima immolata sull'altare; non solamente nel senso che la Santa Messa, per la separazione mistica del Corpo e del Sangue, ci rappresenta e ricorda l'immolazione cruenta del Calvario, ma anche in ragione dello stato stesso e della destinazione del Corpo e del Sangue di Nostro Signore sotto le specie eucaristiche. Mai, in nessun sacrificio, vi fu vittima più realmente immolata e sacrificata di quanto lo sia, dopo la Consacrazione, Colui che è lo splendore di Dio e del quale tuttavia la gloria, la bellezza e la vita, non hanno ormai più altro fine e altra destinazione che di entrar in noi e in noi perdersi e consumarsi.

Tuttavia, il Sacrificio è veramente compiuto. Dio l'ha visto, e noi possiamo dirgli: "Ecco ciò che s'è compiuto sul Calvario, e, se l'immortalità del tuo Figlio non fosse un ostacolo, la rassomiglianza sarebbe completa". Per compiere questo Sacrificio, il sacerdote da il suo ministero a Nostro Signore, che si è impegnato a prestarsi a questa immolazione ogni volta che un uomo, rivestito del sacerdozio ed avendo nelle sue mani pane e vino, pronunzi su di essi le parole della Consacrazione. Ma chi è l'offerente? È il sacerdote o è Nostro Signore? È lo stesso Gesù Cristo nella persona del sacerdote, poiché ambedue formano qui un solo essere. Orbene, Gesù Cristo non verrebbe sull'altare se il sacerdote non gli prestasse il suo concorso. Vi è dunque un solo Sacrificio, si compia esso sul Calvario o sull'altare.
Alle parole della Consacrazione il sacerdote, posando il calice sul corporale, aggiunge subito: Haec quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis. Con queste parole, Nostro Signore ha dato ai suoi Apostoli, e in essi a tutti i sacerdoti, il potere di far ciò che Egli stesso aveva fatto, ossia il potere d'immolarlo. Dunque, non è più l'uomo che parla nel momento solenne della Consacrazione, ma lo stesso Gesù Cristo, servendosi dell'uomo.

Terribile Sacrificio, quello cristiano, che ci trasporta sul Calvario e ci fa vedere che è stata la giustizia di Dio a voler una tal Vittima! Sacrificio che da solo sarebbe bastato a salvare milioni di mondi. Ma Nostro Signore ha voluto che si perpetuasse. Immolato una volta sulla cima del Calvario, non poteva più morire; tuttavia, conoscendo la debolezza umana, temeva che il Sacrificio della croce, offerto una sola volta, finisse per non far più alcun effetto sui fedeli. Forse molto presto l'uomo avrebbe ricordato l'immolazione sul Calvario come un semplice fatto storico, consegnato agli annali della Chiesa, dove molti non l'avrebbero neppure cercato. Nostro Signore, dunque, pensò tra sé: "Bisogna che ciò che si è compiuto una volta sul Calvario si rinnovelli incessantemente sino alla fine dei tempi". Ecco perché, in un eccesso del suo amore, ha inventato questo divino mistero, nel quale, venendo nell'ostia, s'immola di nuovo. E Dio, vedendo l'importanza di quest'opera, si sente inclinato alla benevolenza, alla misericordia e al perdono verso gli uomini.
Esaminiamo ora e cerchiamo di comprendere chi è che produce questo cambiamento del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo. Qual è la Persona che opera in questo mistero?

Ogni volta che una delle tre Persone della Santissima Trinità agisce, le altre due prestano il loro concorso a quest'azione in perfetta armonia. Nell'Incarnazione s'incarnò il Figlio, ma lo mandò il Padre, e lo Spirito Santo fu, delle tre Persone, quella che operò il mistero. Allo stesso modo nella Santa Messa, il Padre manda il Figlio, questi viene, e lo Spirito Santo opera la transustanziazione o cambiamento d'una sostanza in un'altra. Per questo, per esprimere l'azione dello Spirito Santo in tale mistero, la Chiesa lo invoca nella preghiera di oblazione, come abbiamo già veduto, con le parole: Veni sanctificator, omnipotèns aeterne Deus: et benedic hoc sacrificium, tuo sancto nomimi praepa-ratum.
Nella Chiesa orientale non esiste questa orazione, ma poiché anche in essa si desidera che i fedeli conoscano l'azione dello Spirito Santo in questo grande mistero, il celebrante, dopo che ha pronunziate le parole della consacrazione, dice: "Signore Dio, degnati d'inviar il tuo Spirito perché cambi questo pane nel Corpo del tuo Figlio"; il popolo risponde: Amen. Dopo la Consacrazione del vino, il celebrante dice una seconda volta: "Signore Dio, degnati di mandar il tuo Spirito affinchè cambi questo vino nel Sangue del tuo Figlio", e tutto il popolo risponde: Amen.

Sembra che qui vi sia un'anomalia, perché, nel momento in cui il sacerdote pronunzia ciascuna di queste due invocazioni, la transustanziazione è già avvenuta. Perché, dunque, invoca ancora lo Spirito Santo? Più d'una volta è stata fatta questa osservazione; tuttavia si mantiene ciò che è stato stabilito, e la ragione è la seguente: per non mescolare l'acclamazione del popolo con le parole dei sacri misteri, la Chiesa orientale ha posto tali acclamazioni dopo queste invocazioni che rivelano l'operazione dello Spirito Santo, ossia nel momento in cui la Chiesa latina innalza e presenta all'adorazione dei fedeli il Corpo e il Sangue del Signore. La Chiesa orientale rende in questo momento omaggio alla potenza e all'opera dello Spirito Santo. Noi latini lo facciamo prima, sia nell'orazione: Veni sanctificator, omnipotens, sia nell'orazione: Quam oblationem, dove diciamo: Ut nobis Corpus et Sanguis fiat. La Chiesa latina non invita qui il popolo ad approvare con un'acclamazione ciò che si è operato. Infatti, un Amen in questo punto della celebrazione avrebbe ragione d'essere solo qualora l'orazione alla quale si deve rispondere fosse detta a voce alta, ma abbiamo già veduto che la preghiera del Canone è interamente segreta e deve essere recitata integralmente a bassa voce.

XXVIII - UNDE ET MEMORES

Dopo aver adorato il prezioso Sangue ed averlo mostrato al popolo, il sacerdote allarga di nuovo le braccia e continua la sua orazione: Unde et memores, Domine, nos servi tui, sed et plebs tua sancta, ejusdem Christi Filii Domini nostri tam beatae passionis, nec non et ab inferis resurrectionis, sed et in caelos gloriosa ascensionis: offerimus praEclarae majestati tuae..., "Onde anche noi tuoi servi, o Signore, come pure il tuo santo popolo, ricordando la beata Passione del medesimo Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, e certo anche la sua Risurrezione dagli inferi e la sua gloriosa Ascensione in cielo: offriamo all'eccelsa tua maestà...".
Il sacerdote dice nos, "noi", perché non si tratta qui solamente di se medesimo, ma di tutto il popolo fedele. Egli lo ricorda dinanzi a Dio Padre, e tutti uniti a lui fanno memoria della beata Passione, della Risurrezione e della gloriosa Ascensione del Salvatore. Già durante l'oblazione s'era fatto allusione a questi tre grandi misteri, ma la santa Chiesa non indulgeva su di essi come fa qui. Sa che Iddio ha fatto tutto per l'uomo, e non vuoi perdere nulla dei suoi benefici.

Offriamo qui qualcosa di grande, perché siamo in presenza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Facciamo memoria della sua Passione, che è stata tanto benefica per noi. Anche ora è immolata la Vittima, ma v'è di più perché la Vittima che qui possediamo è Egli medesimo che è risuscitato. E anche questo non è tutto: celebriamo pure la sua gloriosa Ascensione al cielo. Sì, Colui che è sull'altare è il medesimo che è risuscitato dal sepolcro, ma è anche Colui che, salendo al cielo, s'è assise alla destra del Padre, accompagnato dai cori angelici che fanno risuonar i loro cantici: Attonite portas, prìncipes vestras, et elevamini, portae aeternaLes et introibit Rex glorìae, "Sollevate, porte, i vostri frontali, apritevi, porte antiche, ed entri il Re della gloria" (Sai 23,7).

Noi abbiamo, dunque, qui sull'altare Colui che ha sofferto, è risuscitato ed ora regna trionfante nei Cieli. Sì, noi facciamo memoria di tutti questi misteri e sono essi che ci donano una ferma confidenza e ci fanno dire in tutta sicurezza: offerimus praeclarae majestati tuae de tuis donis ac datis. Parliamo qui di offerte e tuttavia non abbiamo nulla da offrire. È vero che nulla abbiamo, però ti offriamo i tuoi stessi doni: de tuis donis. Non diciamo altro. "Questo pane e questo vino ce li hai dati Tu, Signore; si sono convertiti nel Corpo e nel Sangue del tuo Figlio, che ci hai ugualmente dato Tu tutto intero; da queste tue magnificenze, dunque, noi prendiamo l'offerta che ti presentiamo".

E quali sono le qualità di quest'offerta? È pura, santa ed immacolata. Orbene, sulla terra tutto è impuro, niente è santo, tutto è macchiato e sordido: come, dunque, il sacerdote osa dire ciò che abbiamo ascoltato? Ricordiamo qual è quest'offerta. È il medesimo Figlio di Dio, in cui si sono compiuti i grandi misteri della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione. Ecco ciò che da tanta fermezza e sicurezza alla santa Chiesa in questo momento. Come sposa, si rivolge alla gloriosa Trinità dicendole: "lo sono ricca perché posseggo i tuoi stessi beni; ricca perché posseggo Colui che ha fatto tutto ciò che ho qui ricordato, poiché Tu me l'hai dato, ma io te l'offro, e quest'offerta è degna di Te, perché è pura, santa e immacolata".

È tale la potenza di questo Sacrificio che Dio è obbligato a rimirare la nostra offerta: non può ricusarla. E questa forza e potenza derivano precisamente dal fatto che ci è stato dato il Figlio. Con Lui raggiungiamo i quattro fini del Sacrificio cristiano. In tal modo, inoltre, conquistiamo il cuore di Dio che non può far a meno di accettare la nostra, offerta e di dichiararsene soddisfatto. Nell'antica Legge, non era così; i sacrifici delle pecore e degli agnelli non potevano certamente agire su Dio allo stesso modo. Ne aveva Egli forse bisogno? Ma qui, sotto le deboli apparenze del pane e del vino, v'è qualcosa di grande che forza l'attenzione di Dio e l'obbliga a provarci che ha gradito ciò che gli abbiamo offerto. Così si comprende il furore di Satana che, con rabbia diabolica, fa tanti sforzi quanti gliene suggerisce la sua astuzia per distruggere la fede nella Presenza reale, cerca di rovesciare gli altari e di diminuire il numero dei sacerdoti perché il numero delle Messe offerte a Dio diminuisca.

Chi non si meraviglia considerando che colui che opera così grandi cose, colui ch'è rivestito di sì gran potere dinanzi a Dio, è un uomo peccatore? Se tal sacro ministero fosse riservato agli Angeli, questi spiriti puri che non possono essere contaminati dal peccato, ciò non sorprenderebbe affatto. Ma no, Dio ha scelto per questo sublime ministero un uomo peccatore. Senza dubbio quest'uomo dovrebbe tremare, ma si sente forte, avendo tra le mani il Figlio di Dio.
QuestíOstia pura, santa e senza macchia che il sacerdote offre a Dio è ancora Panem sanctum vitae aeternae, et Calicem salutis perpetuae. Ecco la parte sacramentale della Santa Eucaristia. Se quest'Ostia è sacrificio offerto a Dio, è anche il Sacramento destinato a nutrire le nostre anime, per dar ad esse la vita e la salute eterna.
In questa magnifica orazione, il sacerdote pronunziando le parole: Hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam, fa il segno di croce per tre volte sull'Ostia e sul calice al tempo stesso. Poi, dicendo: Panem sanctum vitae aeternae, lo fa sul pane; e dicendo: Calicem salutis perpetuae, lo fa sul calice. Ciò facendo, ha forse la pretesa di benedire Nostro Signore? No, certamente. Fino alla Consacrazione ha benedetto il pane, perché ha il diritto di farlo, dal momento che gli è stata conferita la potestà di benedire.

Ma ora non ha più il pane tra le mani; il pane si è convertito già nell'Autore di ogni benedizione, che sta riposando sull'altare. Se il sacerdote fa dunque il segno di croce è per mostrarci che questo sacrificio è il Sacrificio della croce, Sacrificio veramente puro, santo ed immacolato. Segna l'Ostia a parte, per dirci che in essa vi è il Corpo di Cristo che fu crocifisso e poi segna il calice, per mostrarci che contiene veramente il Sangue che Cristo versò sulla croce. Sicché, a partire dal momento della Consacrazione, dobbiamo considerare che i segni di croce che la Chiesa comanda di far al sacerdote non sono già segni di benedizione fatti sopra Nostro Signore, ma indicano e ricordano il Sacrificio della croce.

XXIX - SUPRA QUAE PROPITIO

II sacerdote allarga di nuovo le braccia e prosegue la grande preghiera, dicendo: Supra quae propitio ac sereno vultu respicere digneris. "Sì, Signore, nonostante la tua somma santità, la tua somma potenza, tu che sei l'Essere per eccellenza, degnati di volger uno sguardo di bontà e di misericordia su questo esilio terreno e degnati di accettare ciò che ti offriamo": Supra quae respicere digneris.
Et accepta habere. Fino al pontificato di san Leone quest'orazione terminava in modo diverso. Si sottintendeva illa, "quelle cose", per concludere la frase. San Leone, credendo che si potesse completar in modo più determinato e preciso, aggiunse alla fine dell'orazione le parole: sanctum sacrificium, immaculatam hostiam. Questo è dunque il senso completo della frase: et accepta habere sanctum sacrificium, immaculatam hostiam.

Il resto della frase che oggi abbiamo forma una specie di parentesi: sicuti accepta habere dignatus es munera pueri tui justi Abel..., "Ricevi dunque questo sacrificio, o Signore - dice il sacerdote -, come ti sei degnato di gradire le offerte del tuo servo, il giusto Abele". Così, Signore, hai accettato le offerte di Abele, benché fossero infinitamente inferiori a quelle che noi possiamo presentarti, poiché non è possibile stabilire un confronto tra questi due sacrifici; e con tutto ciò, per quanto infime fossero le offerte di Abele, tu le hai accettate.

Ma non è tutto. Un tempo vi fu un altro sacrificio assai gradito a Dio: et sacrificium patriarchae nostri Abrahae, il sacrificio di Abramo. Il primo sacrificio, quello di Abele, è un sacrificio cruento; quest'ultimo è incruento: è il sacrificio del padre che acconsente ad immolar il figlio suo, domandatogli da Dio. Il Signore dice: «Prendi il tuo figlio e va' ad offrirmelo in olocausto sul monte che io ti mostrerò» (Gn 22,2). E Abramo ubbidisce e parte col figlio. Tutto consiste qui nella rassegnazione del grande Patriarca; il suo sacrificio è tutto spirituale, perché Dio, contento della sua obbedienza, gli comanda di risparmiar il figlio e di sparger il sangue d'un ariete. Invece d'Isacco offre come vittima un ariete. Abele ed Abramo sì trovano riuniti nel Sacrificio di Gesù Cristo che sacrificò il suo onore e la sua vita, offrendosi al Padre suo con la più completa adesione ed immolandosi veramente, poiché il suo Corpo si separò dal suo Sangue. È dunque molto pertinente rievocar insieme il sacrificio d'Abele e quello di Abramo. Anche se il sacrificio fondamentale è il primo, tuttavia il sacrificio di Abramo fu tanto gradito a Dio da rendere questo Patriarca degno di divenire l'antenato di Cristo, il quale ha nelle sue vene il sangue del Padre dei credenti.

Ma il sacerdote aggiunge alcune parole che provano l'esistenza d'un terzo sacrificio: et quod tibi obtulit summus sacerdos tuus Melchisedech. Questo terzo sacrificio è tutto misterioso: è stato offerto dal gran sacerdote Melchisedech, personaggio misterioso. Dio gradì questo sacrificio e possiamo ricordare ciò che disse al suo Figlio nel salmo 109: Tu es sacerdos in asternum secundum ordinem Melchisedech. "Quando vuoi onorar il tuo Figlio, Signore, gli dici che è sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech; questo prova che il sacrificio di questo personaggio misterioso ti è stato gradito".
Nel Sacrificio della Messa, abbiamo insieme il sacrificio di Abele, quello di Abramo e quello di Melchisedech: il sacrificio di Abele, che rappresenta il Sacrificio della croce, con il quale la Messa costituisce un unico Sacrificio; il sacrificio di Abramo, in cui l'immolazione non è cruenta, come avviene nel Sacrificio della Messa; infine il sacrificio di Melchisedech, che rappresenta il Sacrificio della Messa, in cui il pane e il vino sono presenti sull'altare. Dopo la consacrazione, del pane e del vino non restano più che le specie o apparenze, le quali servono a nascondere la Vittima.


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:54. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com