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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Spiegazione della Santa Messa di dom Prosper Gueranger abate

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 23:53
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30/03/2010 23:48


XXXIV - L'ORAZIONE DOMENICALE

Poiché Dio ci ha detto: «Quando volete pregare, dite: Padre nostro, che sei nei deli, sia santificato il tuo nome» (Le 11,2), qual occasione migliore di questa per elevar a Dio tale preghiera? Così dunque il sacerdote ci fa udire il Pater Noster... L'orazione domenicale ha occupato sempre nel santo Sacrificio il medesimo luogo che occupa oggi, poiché la troviamo in tutte le liturgie, in tutti i Canoni. Inoltre, la Chiesa l'adopera sempre, in tutte le occasioni solenni. Essa costituisce per noi un sostegno e porta con sé la garanzia del medesimo Gesù Cristo, che ci ha detto: "Quando vorrete pregare, dite: Pater noster".

La Chiesa fa precedere tale orazione da queste magnifiche parole: Praeceptis salutaribus moniti, et divina institutione formati, audemus dicere. Sì, se parliamo, se formuliamo le domande che stanno per seguire, ci fondiamo sul precetto che ci comanda di pregare così, precetto che abbiamo ricevuto dal divin Maestro per la nostra salvezza. Egli medesimo ci ha istruito con le sue divine labbra, perciò osiamo dire, audemus dicere: Pater noster.
Il sacerdote presenta a Dio le sette petizioni dell'orazione domenicale. Le prime tre riguardano Dio stesso e trattano dell'amore di benevolenza. Nostro Signore ci mette così sulla via dell'amore più puro. Pater noster qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum, "sia santificato il tuo nome", cioè "ti venga reso tutto l'onore e il rispetto che merita, perché questo ti è dovuto". Adveniat regnum tuum, "venga presto il tuo regno": ossia "che il tuo regno si stabilisca in tutti e su tutti, perché tu sei vero re". Fiat voluntas tua, sicut in caelo, et in terra, "sia fatta la tua volontà qui in terra dagli uomini, così come è compiuta in cielo dagli Angeli e dai beati".

Dopo aver pregato - secondo gl'insegnamenti dello stesso Gesù Cristo - perché venga il regno di Dio e tutta la creazione lo glorifichi, il sacerdote aggiunge le altre quattro petizioni dell'orazione domenicale, che trattano di ciò che ci è necessario.
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Domandiamo il pane quotidiano, e Nostro Signore, facendoci dire dacci oggi, vuoi farci intendere che, non sapendo se vivremo domani, è inutile che ci preoccupiamo di ciò che può succeder in un giorno che non è nostro. E chiediamo non solamente il pane per il corpo, ma anche per l'anima, poiché l'anima pure ha bisogno di essere nutrita. Perciò uno degli Evangelisti dice a questo punto: panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie (Mt 6,11). Questo pane è sull'altare, e vi è per nutrire le anime nostre, perciò questo è il momento di domandarlo a Dio.
Poi, giacché siamo peccatori, dobbiamo domandare perdono: Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostrìs. "Sì, perdonaci ciò che abbiamo fatto contro di te". Noi stessi diamo la misura di questo perdono, pregando Dio che ci perdoni come noi perdoniamo a coloro che ci hanno offeso.

Et ne nos inducas in tentatione, "e non ci indurre in tentazione", ossia: "liberaci dalla tentazione". Quantunque entri nei disegni di Dio l'esporci alla tentazione per provarci e farci acquistare meriti, possiamo tuttavia chiedergli di preservarci dal pericolo, poiché per la nostra fragilità potremmo facilmente cadervi.
Sed libera nos a malo, "ma liberaci dal male". Si racchiudono in questa formula due petizioni: chiediamo a Dio che ci liberi dal maligno, cioè dal demonio, che cerca continuamente di farci cadere nel male, e gli chiediamo al tempo stesso che ci salvi dall'abisso del peccato, se per nostra disgrazia vi fossimo caduti.

XXXV - LIBERA NOS QUAESUMUS

A questo punto comincia quella parte della Messa che va sino alla seconda orazione che precede la Comunione. Quest'ultima è il mezzo adottato da Nostro Signore per riunire tutti gli uomini tra loro e farne un'unità completa ed armoniosa. Per questo, quando la Chiesa si vede forzata ad espellere dal suo seno uno dei suoi membri che s'è reso indegno d'appartenervi, lo scomunica, cioè non gli permette d'aver parte alla Comunione dei fedeli. Per esprimere quest'unione, la Chiesa, nostra Madre, vuole che la pace, risultato della carità che regna tra i fedeli, sia oggetto dun'attenzione tutta particolare. Si dispone, dunque, a chiederla nell'orazione che segue, e subito ci si darà il bacio di pace tra i fedeli (16), che esprimerà la loro mutua carità.
Nostro Signore disse nel Vangelo: «Se, presentando la tua offerta all'altare, ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì la tua offerta dinanzi all'altare, e va subito a riconciliarti col tuo fratello; allora potrai ritornare a fare la tua offerta» (Mt 5,23-24). La Chiesa si appropria completamente di questo desiderio di Gesù Cristo e si preoccupa in questo momento solenne di mantenere la pace e la carità tra tutti i suoi membri. Nelle Messe dei defunti non si da il bacio di pace, sempre per la medesima ragione che abbiamo esposto innanzi, ossia perché i morti hanno cessato d'essere sottomessi al potere della Chiesa e, di conseguenza, essa non può donar loro la pace: le nostre relazioni con loro sono completamente mutate.

Il sacerdote continua a sviluppare l'ultima domanda dell'orazione domenicale, dicendo: Libera nos, quaesumus, Domine, abomnibus malis, praeteritis, presentibus et futuris, "Fortificaci, o Signore, perché i nostri mali passati ci hanno lasciato in un lacrimevole stato di debolezza spirituale e siamo ancora come convalescenti. Preservaci dalle tentazioni che ci minacciano in questo momento e dalle afflizioni che ci opprimono, come pure dai peccati nei quali possiamo incorrere. Infine difendici da tutti i mali che possono capitarci in avvenire". Et intercedente beata et gloriosa semper Virgine Dei Genitrice Maria, cum beatis Apostolis tuis Petro et Paulo, atque Andrea, et omnibus Sanctis. La Chiesa, avendo bisogno d'intercessori, non manca di rivolgersi alla Santa Vergine come pure ai santi apostoli Pietro e Paolo.

Ma perché si aggiunge qui solamente sant'Andrea? Perché la Chiesa romana ha sempre avuto per quest'Apostolo una devozione particolare. Da propitius pacem in diebus nostris: ut, ope misericordiae tuae adjuti, et a peccato simus semper liberi, et ab omni perturbatene securi, "donaci, Signore, la pace nei nostri giorni, affinchè aiutati dal soccorso della tua misericordia siamo, innanzitutto, liberati dal peccato, e poi sicuri contro tutti gli assalti e tutti i lacci del maligno nemico".
Tale è la magnifica orazione della pace che la santa Chiesa adopera in questo momento per tale mistero particolare della Santa Messa. Circa a metà di quest'orazione, quando il sacerdote dice: et omnibus Sanctis, fa il segno di croce con la patena, che sin dall'inizio tiene nella mano destra. Poi la bacia in segno di rispetto a questo vaso sacro, sul quale va a riposar il Corpo del Signore, perché non è mai permesso di baciare l'Ostia. Quindi, finita l'orazione, il sacerdote mette la patena sotto l'Ostia, scopre il calice, prende l'Ostia e, tenendola al di sopra del calice, la rompe nel mezzo, dicendo questa parte della conclusione: Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum.

Ripone allora sulla patena la parte che tiene nella mano destra; rompe una particella dell'altra metà che tiene nella mano sinistra, dicendo: Qui tecum vivit et regnai in unitate Spiritus Sacti Deus. Allora pone ugualmente sulla patena la parte dell'Ostia che aveva nella mano sinistra, e, tenendo al di sopra del calice la piccola particella che ha staccata, dice a voce alta: Per omnia sacula saeculorum. Il popolo, approvando la sua domanda e aderendo ad essa, risponde: Amen. Allora, facendo tre volte il segno di croce sul calice con la particella che tiene sempre tra le dita, dice ad alta voce: Pax Domini sit semper vobiscum. E si risponde: Et cum spiritu tuo. La Chiesa non perde di vista la pace che ha domandato, e approfitta di quest'occasione per riparlarne.

Il sacerdote lascia allora cadere nel calice la particella che aveva in mano, mescolando così il Corpo e il Sangue del Signore e dicendo al tempo stesso: Haec commixtio, et consecratio Corporìs et Sanguinis Domìni nostri Jesu Christi, fiat accipientibus nobis in vitam asternam. Amen. Che cos'è questo rito? Che cosa significa la mescolanza della particela col Sangue che è nel calice? Questo rito non è dei più antichi, quantunque risalga a più di mille anni fa. Lo scopo che si propone è d'indicare che al momento della Risurrezione del Signore il suo Sangue si unì di nuovo al suo Corpo, rientrando nelle sue vene. Non bastava che la sua Anima tornasse ad unirsi al suo Corpo, bisognava, perché il Signore fosse completo, che anche il suo Sangue fosse nel suo Corpo. Nostro Signore, risuscitando, riprese dunque il Sangue che si trovava sparso sul Calvario, nel pretorio e nell'orto degli Olivi.

Facciamo qui notar un uso, bizzarro e azzardato, che s'è introdotto tra gli Orientali dopo la separazione. Terminata la Consacrazione, essi collocano sull'altare un braciere nel quale si mantiene costantemente un recipiente con acqua bollente, e di quando in quando si mescola una piccola quantità di quest'acqua al prezioso Sangue, avendo cura, però, di non alterare le sacre specie. Questa pratica si osserva solo dal secolo XIV.
Il termine consecratio, che dice il sacerdote recitando le parole che accompagnano l'atto di mescolare la particella dell'Ostia col prezioso Sangue, non deve intendersi nel senso di Consacrazione sacramentale; qui questa parola significa semplicemente "ricongiungimento di cose sacre".


XXXVI - AGNUS DEI

Dopo aver compiuto questa mescolanza del Corpo col Sangue, il sacerdote s'inchina dinanzi al Santissimo Sacramento e, congiungendo le mani, ricorda la parola di san Giovanni Battista dicendo: Agnus Dei, qui tollis peccata mundi: miserere nobis. Niente di più pertinente di queste parole. La Chiesa, infatti, va ricercando ovunque le cose più belle e adeguate per formare con esse, nell'augusto Sacrificio, un tutt'uno perfetto ed armonico. Prende dagli Angeli il sublime cantico ch'essi in cielo fan risuonar incessantemente, ed esclama: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth. Poi aggiunge il grido dei fanciulli Ebrei: Benedictus qui venit in nomine Domini. Ora dice col Precursore: Agnus Dei, poiché realmente in questo momento Nostro Signore è l'Agnello immolato. La Chiesa dunque supplica per due volte questo divino Agnello, che ha preso su di sé i nostri peccati, d'aver pietà di noi: miserere nobis. La terza volta aggiunge: Dona nobis pacem, perché l'Eucaristia, come abbiamo già detto, è il Sacramento della pace, per il quale tutti i fedeli si trovano riuniti.

Nelle Messe dei defunti, invece di miserere nobis, si dice: dona eis requiem, e la terza volta si aggiunge sempiternam, per esprimere chiaramente il carattere di quanto chiediamo per le anime dei fedeli trapassati: non domandiamo per esse l'unione nella pace, ma il riposo nella pace eterna.



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