ANEDDOTI

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Caterina63
00mercoledì 6 febbraio 2019 08:40
G.K.Chesterton.

<<“La palla dei sì e dei no non si pone questione,
Ma qua e là corre dove la colpisce il giocatore;
e Colui che ti ha gettato giù in mezzo al campo,
Ne sa tutto quanto – lo sa, lo sa”

Un pensatore cristiano, come Agostino o Dante, obietterebbe su ciò poiché ignora il libero arbitrio, che rappresenta il valore e la dignità dell'anima. Il dissenso del Cristianesimo più puro verso tale scetticismo non sta minimamente nel fatto che tale scetticismo nega l'esistenza di Dio; sta nel fatto che esso nega l'esistenza dell'uomo.
In questo culto del pessimista ricercatore di piacere il Rubáiyát si erge come l'apice del nostro tempo; ma non è da solo. Molte delle menti più brillanti della contemporaneità ci hanno esortato allo stesso autocosciente afferrare un piacere passeggero. Walter Pater affermava che siamo tutti sotto condanna capitale, e che l'unica strada è godere dei momenti squisiti semplicemente per se stessi. La stessa lezione è stata impartita dalla potentissima e desolatissima filosofia di Oscar Wilde. Si tratta della religione del carpe diem; ma la religione del carpe diem non è la religione di persone felici, ma di persone molto infelici. 
La grande gioia non raccoglie boccioli di rosa fin quando può; i suoi occhi sono fissi sulla rosa immortale che vide Dante. La grande gioia possiede in sé il senso dell'immortalità; il vero splendore della giovinezza sta nell'idea di avere a disposizione tutto lo spazio possibile per poterci stiracchiare le proprie gambe. In tutta la grande letteratura umoristica, in Tristram Shandy o Pickwick, c'è questo senso di spazio ed incorruttibilità; percepiamo che i personaggi sono persone immortali in un racconto senza fine>>.





 



<<La verità è che la tradizione cristiana (che rimane l'unica etica coerente in Europa) poggia su due o tre paradossi o misteri che possono facilmente essere contestati in una discussione e parimenti giustificati nella vita comune. Uno di essi è ad esempio il paradosso della speranza o della fede: più disperata è la situazione, più speranzosi bisogna essere. (...) Un altro è il paradosso della carità o della gentilezza per cui più una cosa è debole più essa va rispettata, e che più una cosa è indifesa più essa dovrebbe infonderci volontà di difenderla. (...) Ora, di questi molto pratici e funzionanti misteri della tradizione cristiana, e uno dei quali la Chiesa Cattolica Romana è, a mio avviso, riuscita benissimo nel contraddistinguere è la concezione della peccaminosità dell'orgoglio. 
L'orgoglio è una debolezza nel carattere: inaridisce il riso, la meraviglia, la gentilezza e l'energia. (...) E la verità è perfino più bizzarra di come appare nella dottrina formale del peccato di orgoglio. Non solo è vero che l'umiltà è un qualcosa di molto più saggio e vigoroso dell'orgoglio. E' inoltre vero che la vanità è un qualcosa di più saggio e vigoroso dell'orgoglio. La vanità è sociale: è quasi una sorta di cameratismo; l'orgoglio è solitario ed incivile. La vanità è attiva: desidera l'applauso di infinite moltitudini; l'orgoglio è passivo e desidera unicamente l'applauso di una persona, che già ha. La vanità ha il senso dell'umorismo, ed accetta perfino la propria presa in giro; l'orgoglio è fosco, e non è capace nemmeno di sorridere. (...) L'io è una gorgone. La vanità lo vede nello specchio di altri uomini e vite. L'orgoglio lo studia per se stesso e viene tramutato in pietra.>>

(G.K.Chesterton, Eretici)


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