CONFESSIONI di sant'Agostino

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Caterina63
00domenica 10 gennaio 2021 12:10
Un grazie al sito: augustinus.it


INDICE GENERALE

Libro primo (Nascita, infanzia e fanciullezza)
Invocazione a Dio
Nascita e infanzia
Fanciullezza
Libro secondo (Il sedicesimo anno)
L’adolescenza inquieta
Un furto di pere
Libro terzo (Studente a Cartagine)
Svaghi studenteschi
Prime impressioni di studio
Adesione al manicheismo
Libro quarto (Insegnante per nove anni a Tagaste e Cartagine)
Vanità di retore
Morte di un carissimo amico
A Cartagine
Il problema del bello
Libro quinto (Da Cartagine a Roma e Milano)
Introduzione
Insufficienze ed errori del manicheismo
A Roma; crisi scettica
A Milano
Libro sesto (A trent’anni)
Primi passi verso la fede
Fra amici
Libro settimo (Verso la verità)
Il problema del male
Incontro col neoplatonismo
Libro ottavo (La conversione)
Visita a Simpliciano
I due racconti di Ponticiano
In giardino
Libro nono (Da Milano a Ostia)
A Cassiciaco, dopo la conversione
A Milano per il battesimo
A Ostia, durante il ritorno in Africa
Libro decimo (Dopo la ricerca e l’incontro con Dio)
Nuove confessioni e loro scopo
Ricerca di Dio
La memoria
Le presenti condizioni del suo spirito
Conclusione
Libro undicesimo (Meditazione sul primo versetto della genesi: "in principio Dio creò...")
Introduzione
La Parola creatrice di Dio
Il tempo
Conclusione
Libro dodicesimo (Meditazione sul primo versetto della genesi: "...il cielo e la terra")
Materia e Spirito
Molteplici interpretazioni della Scrittura
Conclusioni
Libro tredicesimo (Significato spirituale della creazione)
Introduzione
Le allegorie spirituali
Conclusione
Indice dei nomi

Libro primo

NASCITA, INFANZIA E FANCIULLEZZA


Invocazione a Dio
Come invocare Dio?
1. 1. Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile 1. E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato 2 e la prova che tu resisti ai superbi 3. Eppure l'uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire 4 se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l'annunzio? 5. Loderanno il Signore coloro che lo cercano? 6, perché cercandolo lo trovano 7, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t'invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T'invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l'opera del tuo Annunziatore.


Perché invocare Dio?
2. 2. Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro di me; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa venire dentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra 8? C'è davvero dentro di me, Signore Dio mio, qualcosa capace di comprenderti? Ti comprendono forse il cielo e la terra, che hai creato e in cui mi hai creato? Oppure, poiché senza di te nulla esisterebbe di quanto esiste, avviene che quanto esiste ti comprende? E poiché anch'io esisto così, a che chiederti di venire dentro di me, mentre io non sarei, se tu non fossi in me? Non sono ancora nelle profondità degli inferi, sebbene tu sei anche là, e quando pure sarò disceso all'inferno, tu sei là 9. Dunque io non sarei, Dio mio, non sarei affatto, se tu non fossi in me; o meglio, non sarei, se non fossi in te, poiché tutto da te, tutto per te, tutto in te 10. Sì, è così, Signore, è così. Dove dunque t'invoco, se sono in te? Da dove verresti in me? Dove mi ritrarrei, fuori dal cielo e dalla terra, perché di là venga in me il mio Dio, che disse: "Cielo e terra io colmo" 11?


La presenza di Dio nell'universo
3. 3. Ma cielo e terra ti comprendono forse, perché tu li colmi? o tu li colmi, e ancora sopravanza una parte di te, perché non ti comprendono? E dove riversi questa parte che sopravanza di te, dopo aver colmato il cielo e la terra? O non piuttosto nulla ti occorre che ti contenga, tu che tutto contieni, poiché ciò che colmi, contenendo lo colmi? Davvero non sono i vasi colmi di te a renderti stabile. Neppure se si spezzassero, tu ti spanderesti; quando tu ti spandi su di noi 12, non tu ti abbassi, ma noi elevi, non tu ti disperdi, ma noi raduni. Però nel colmare, che fai, ogni essere, con tutto il tuo essere lo colmi. E dunque, se tutti gli esseri dell'universo non riescono a comprendere tutto il tuo essere, comprendono di te una sola parte, e la medesima parte tutti assieme? oppure i singoli esseri comprendono una singola parte, maggiore i maggiori, minore i minori? Dunque, esisterebbero parti di te maggiori, altre minori? o piuttosto tu sei intero dappertutto, e nessuna cosa ti comprende per intero?


Qualità inesprimibili di Dio
4. 4. Cosa sei dunque, Dio mio? Cos'altro, di grazia, se non il Signore Dio? Chi è invero signore all'infuori del Signore, chi Dio all'infuori del nostro Dio? 13. O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, remotissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa 14, che a loro insaputa porti i superbi alla decrepitezza 15; sempre attivo sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti e riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso 16 e tranquillo, ti penti 17 ma senza soffrire, ti adiri 18 e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro, esigi gli interessi 19; ti si presta 20 per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro che tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri 21.


Aspirazione dell'anima a Dio
5. 5. Chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali 22, e il mio unico bene abbraccerei: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, perché tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me 23 e minacci, se non ubbidisco, gravi sventure, quasi fosse una sventura lieve l'assenza stessa di amore per te? Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di' all'anima mia: la salvezza tua io sono 24. Dillo, che io l'oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di' all'anima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto 25. Che io muoia per non morire, per vederlo.

5. 6. Angusta è la casa della mia anima perché tu possa entrarvi: allargala dunque; è in rovina: restaurala; alcune cose contiene, che possono offendere la tua vista, lo ammetto e ne sono consapevole: ma chi potrà purificarla, a chi griderò, se non a te: "Purificami, Signore, dalle mie brutture ignote a me stesso, risparmia al tuo servo le brutture degli altri" 26? Credo, perciò anche parlo 27. Signore, tu sai 28: non ti ho parlato contro di me dei miei delitti, Dio mio, e tu non hai assolto la malvagità del mio cuore 29? Non disputo con te 30, che sei la verità 31, e io non voglio ingannare me stesso, nel timore che la mia iniquità s'inganni 32. Quindi non disputo con te, perché, se ti porrai a considerare le colpe, Signore, Signore, chi reggerà? 33.

Nascita e infanzia
Il mistero della nostra origine
6. 7. Eppure lasciami parlare davanti alla tua misericordia. Sono terra e cenere 34, eppure lasciami parlare. Vedi, è alla tua misericordia, e non a un uomo che riderebbe di me, ch'io parlo. Forse ridi anche tu di me 35, ma ti volgerai e avrai misericordia di me 36. Non voglio dire, se non questo: che ignoro donde venni qui, a questa, come chiamarla, vita mortale o morte vitale. Lo ignoro, ma mi accolsero i conforti delle tue misericordie 37, per quanto mi fu detto dai genitori della mia carne, dall'uno dei quali ricavasti, mentre nell'altra mi desti una forma nel tempo; io non ricordo. Mi accolsero dunque i conforti del latte umano, ma non erano già mia madre o le mie nutrici a riempirsene le poppe, bensì eri tu, che per mezzo loro alimentavi la mia infanzia, secondo il criterio con cui hai distribuito le tue ricchezze sino al fondo dell'universo. Tu, anche, mi davi di non desiderare più di quanto davi, e a chi mi nutriva di darmi quanto le davi. Per un sentimento ben ordinato le donne desideravano darmi ciò di cui ridondavano per grazia tua, e il bene che io traevo da loro era un bene per loro, che procedeva non da loro, ma per mezzo loro. Tutti i beni derivano da te, Dio, dal mio Dio deriva l'intera mia salute 38. Me ne accorsi più tardi, quando la tua voce me lo gridò proprio attraverso i doni che elargisci al nostro corpo e alla nostra anima. Allora sapevo soltanto succhiare e bearmi delle gioie o piangere delle noie della mia carne, null'altro.


Natura dei bambini
6. 8. Poi cominciai anche a ridere, prima nel sonno, quindi nella veglia. Così almeno mi fu riferito sul mio conto, e vi ho creduto, perché vediamo gli altri bambini comportarsi così; infatti non ricordo nulla di questi tempi miei. Ed ecco che a poco a poco incominciai ad avere anche coscienza del luogo ove mi trovavo; volevo manifestare i miei desideri alle persone che erano in grado di soddisfarli, senza esito alcuno, poiché i primi stavano nel mio interno, le seconde all'esterno e con nessuno dei loro sensi potevano penetrare nel mio animo. Perciò mi dibattevo e strillavo, esprimendo così per analogia i miei desideri, quanto poco potevo, e come potevo, in maniera, difatti, irriconoscibile. Eppure, se non ero accontentato, o per non essermi fatto intendere, o per il danno che ne avrei avuto, mi stizzivo e mi vendicavo strillando contro persone maggiori di me che non si piegavano alla mia volontà, e persone libere che non mi si facevano schiave. Tale è la natura dei bambini. La scoprii più tardi, conoscendoli. E che tale fosse anche la mia, me lo insegnarono meglio essi inconsapevolmente, che i miei educatori consapevoli.


Eternità di Dio
6. 9. Ed ora, ecco la mia infanzia da gran tempo morta, e me vivo. Tu però, Signore, sempre vivo e di cui nulla muore perché prima dell'inizio dei secoli e prima di ogni cosa cui pure si potesse dare il nome di "prima" tu sei e sei Dio e Signore di tutte le cose, create da te, e in te perdurano stabili le cause di tutte le cose instabili, e di tutte le cose mutabili si conservano in te immutabili i princìpi, e di tutte le cose irrazionali e temporali sussistono in te sempiterne le ragioni; dimmi dunque, ti supplico, Dio misericordioso verso questa tua creatura miserabile, dimmi: la mia infanzia succedette a un'altra mia età, allora già morta? A quella forse da me trascorsa nelle viscere di mia madre? Su questa mi fu dato invero qualche ragguaglio, e io stesso, del resto, vidi qualche donna incinta. Ma prima ancora di questa, o mia dolcezza, mio Dio? Fui da qualche parte, fui qualcuno? Chi potrebbe rispondermi? Non ho nessuno; né mio padre né mia madre poterono dirmelo, né l'esperienza altrui né la memoria mia. O tu ridi di me 39, che ti pongo tali domande, e mi ordini di lodarti piuttosto e confessarti per quanto so?


Prime forme di vita
6. 10. Ti confesso, Signore del cielo e della terra 40, dandoti lode per i primordi e l'infanzia della mia vita, che non ricordo. Tu però concedesti all'uomo di ricostruire il proprio passato dal comportamento altrui e di credere sul proprio conto molte cose persino in base alle asserzioni di alcune donnicciuole. Io dunque ero già vivo allora, e sul finire dell'infanzia cominciai a ricercare qualche segno, con cui manifestare agli altri i miei sentimenti. Un essere vivente di tal fatta da chi poteva derivare, se non da te, Signore? Potrebbe mai qualcuno essere autore della propria creazione? O fra i rigagnoli da cui fluisce a noi l'esistenza e la vita, qualcuno deriva mai da fonte diversa dalla tua creazione 41, Signore? Per te esistere e vivere non sono due atti distinti, poiché la massima esistenza e la massima vita sono la medesima cosa. Tu, Essere massimo, non muti 42, la giornata odierna non si consuma in te, sebbene in te si compia, poiché anche tutte le cose di questo mondo sono in te 43; non avrebbero vie per cui passare 44 se tu non le contenessi. E poiché i tuoi anni non finiscono, i tuoi anni sono l'oggi. Per quanto numerosi, i giorni nostri e dei nostri padri passarono nel tuo oggi e di lì ricevettero la misura e il modo della loro esistenza. Altri ancora ne passeranno, e tutti riceveranno di lì ancora il modo della loro esistenza. Tu invece sei sempre il medesimo 45, e tutti gli atti di domani, e oltre, tutti gli atti di ieri, e addietro, li compirai oggi, li compisti oggi. Che posso fare io, se altri non capisce? Anch'egli si rallegri, dicendo: "Che è ciò?" 46; si rallegri anche così e goda di non trovarti mentre ti trova, anziché di trovarti mentre non ti trova.


I peccati dell'infanzia
7. 11. Ascolta, Dio: maledetti i peccati degli uomini! 47. Lo dice un uomo, di cui hai pietà, perché tu lo hai creato senza creare in lui il peccato. Chi mi rammenta i peccati della mia infanzia, se nessuno innanzi a te è mondo di peccato, neppure il bimbo, che ha un giorno solo di vita sulla terra 48? Chi me li rammenta, se non un piccino ora grande soltanto così, in cui vedo ciò che non ricordo di me stesso? Qual era dunque il mio peccato di allora? Forse l'avidità con cui cercavo piangendo le poppe? Se oggi facessi altrettanto, cercando avidamente non più le poppe, s'intende, ma il nutrimento conveniente alla mia età, mi farei deridere e riprendere a buon diritto. Ossia, a quell'età commettevo atti riprovevoli, ma, poiché non avrei potuto comprendere i rimproveri, si evitava, come fanno tutti ragionevolmente, di rimproverarmi. Tanto è vero, che noi estirpiamo ed eliminiamo quei difetti durante la crescita, e non ho mai visto nessuno gettar via deliberatamente il buono mentre vuole estirpare il cattivo. O forse erano anche quelle azioni buone, in rapporto all'età: le implorazioni, cioè, con cui chiedevo piangendo persino doni nocivi, le aspre bizze contro persone di libera condizione e di età più grave della mia, che non si assoggettavano alla mia volontà; gli sforzi per colpire con tutte le mie forze chi mi aveva dato la vita e molte altre persone più prudenti di me, che non ubbidivano ai miei cenni, percuotendole perché non eseguivano certi ordini che si sarebbero eseguiti con mio danno? Dunque l'innocenza dei bambini risiede nella fragilità delle membra, non dell'anima. Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già guardava livido, torvo, il suo compagno di latte. È cosa nota, e le madri e le nutrici pretendono di saper eliminare queste pecche con non so quali rimedi; ma non si può ritenere innocente chi innanzi al fluire ubertoso e abbondante del latte dal fonte materno non tollera di condividerlo con altri, che pure ha tanto bisogno di soccorso e che solo con quell'alimento si mantiene in vita. Ciò nonostante si tollerano con indulgenza questi atti, non perché siano inconsistenti o da poco, ma perché destinati a sparire col crescere degli anni. Lo prova il fatto che gli stessi atti, sorpresi in una persona più attempata, non si possono più tollerare con indifferenza.

7. 12. Perciò tu, Signore Dio mio, che desti al bimbo con la vita un corpo, che lo fornisti, come si vede, di sensi e di una compagine di membra e di un aspetto grazioso e dell'istinto a compiere tutti gli sforzi possibili a un essere animato per preservare l'incolumità del proprio organismo, tu mi ordini di lodarti per questi doni, di confessare te e inneggiare al tuo nome, Altissimo 49. Tu sei Dio, onnipotente e buono se anche solo avessi fatto queste cose, che nessun altro può fare all'infuori di te; unico, da cui deriva ogni norma; forma suprema, che forma ogni cosa e ordina ogni cosa secondo la propria norma. Ebbene, Signore, questa età che non ricordo di aver vissuto, di cui credo ciò che mi dicono gli altri, e che suppongo di aver trascorso solo perché la vedo negli altri infanti, per una supposizione, dunque, sebbene assai fondata, l'annovero con riluttanza fra le età della vita che vivo in questo mondo. Per oscurità e oblio non è da meno di quella che vissi nel grembo di mia madre; ma se fui concepito nell'iniquità, e mia madre mi nutrì nel suo grembo fra i peccati 50, dove mai, di grazia, Dio mio, dove, Signore, io, servo tuo 51, dove o quando fui innocente? Ma ecco, tralascio quel tempo. Che ho da spartire oggi con lui, se nessuna traccia ne ritrovo?

Fanciullezza
L'acquisto della parola
8. 13. Dall'infanzia, procedendo verso l'età in cui mi trovo ora, passai dunque nella fanciullezza, se non fu piuttosto la fanciullezza a raggiungermi succedendo all'infanzia. Quest'ultima non si ritrasse certamente: dove svanì? Tuttavia ormai più non era. Io non ero più un infante senza favella, ma ormai un fanciullo loquace, ben lo ricordo. Del modo come appresi a parlare mi resi conto solo più tardi. Non mi ammaestrarono gli anziani, suggerendomi le parole con un insegnamento metodico, come poco dopo per la lettura e la scrittura; ma fui io stesso il mio maestro con l'intelligenza avuta da te, Dio mio, quando con gemiti e molteplici grida e molteplici gesti degli arti volevo manifestare i moti del mio cuore, affinché si ubbidisse alla mia volontà; ma ero incapace di manifestare tutta la mia volontà e a tutti coloro che volevo. Afferravo con la memoria: quando i circostanti chiamavano con un certo nome un certo oggetto e si accostavano all'oggetto designato, io li osservavo e m'imprimevo nella mente il fatto che, volendo designare quell'oggetto, lo chiamavano con quel suono. Che quella fosse la loro intenzione, lo arguivo dal movimento del corpo, linguaggio, per così dire, comune di natura a tutte le genti e parlato col volto, con i cenni degli occhi, con i gesti degli arti e con quelle emissioni di voce, che rivelano la condizione dell'animo cupido, pago, ostile o avverso. Così le parole che ricorrevano sempre a un dato posto nella varietà delle frasi, e che udivo di frequente, riuscivo gradatamente a capire quali oggetti designassero, finché io pure cominciavo a usarle, dopo aver piegato la bocca ai loro suoni, per esprimere i miei desideri. Giunsi così a scambiare con le persone tra cui vivevo i segni che esprimevano i desideri, e m'inoltrai ulteriormente nel consorzio procelloso della vita umana, dipendendo dall'autorità dei genitori e dai cenni degli adulti.


A scuola: busse e derisioni degli adulti
9. 14. Dio, Dio mio, quali inganni soffrii allora, quando, fanciullo, mi veniva indicata come norma di vita retta l'ubbidienza a chi voleva rendermi prospero nel mondo ed eminente nelle arti linguacciute, provveditrici di onori e ricchezze false tra gli uomini! Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure erano busse, se ero pigro a studiarle. Era un sistema raccomandato dai grandi, e molti fanciulli prima di noi, menando quella vita, avevano aperte le vie penose ove eravamo costretti a passare, moltiplicando la fatica e la sofferenza dei figli di Adamo 52. Vi trovammo per altro, Signore, alcuni uomini che ti pregavano, e da loro venimmo a conoscere, per il poco che potevamo intenderti, la tua esistenza, quale di un essere grande, che può darci ascolto e soccorso anche senza manifestarsi ai nostri sensi. Così, fanciullo, incominciai a pregarti, soccorso e rifugio mio 53. Scioglievo per invocarti i nodi della mia lingua, ti pregavo, piccoletto ma con non piccolo affetto, che tu mi evitassi le busse del maestro; e se non mi esaudivi, non certo, riguardo a me, per un fine stolto 54, gli adulti e persino i miei genitori, i quali non volevano che mi toccasse alcun male, ridevano dei colpi che ricevevo e che costituivano allora per me una sofferenza ingente e grave.

9. 15. Esiste, Signore, un cuore così grande, unito a te da straordinario amore, esiste, dico, un uomo, poiché a tanto si può anche giungere per una sorta di follia; esiste dunque alcuno, che, per essere unito devotamente a te, provi un'emozione così intensa, da fare poco conto di cavalletti e unghioni e altri simili strumenti di tortura, che in ogni parte della terra la gente atterrita ti scongiura di poter evitare; eppure nutra dell'amore verso questi altri, che ne provano un aspro terrore? Non altrimenti i nostri genitori ridevano dei castighi inflitti a noi fanciulli dai maestri. Noi infatti non li temevamo meno delle torture, né meno t'imploravamo di risparmiarceli; eppure mancavamo o nello scrivere o nel leggere o nello studiare meno di quanto si esigeva da noi. Non che mi difettasse, Signore, la memoria o l'intelligenza: tu me ne volesti dotare a sufficienza per quell'età; ma mi piaceva il gioco e ne ero punito da chi, a buon conto, non si baloccava meno di me. Senonché i balocchi degli adulti sono chiamati affari, mentre quelli dei fanciulli, per quanto simili, sono puniti dagli adulti. E alla fine non c'è pietà per i fanciulli, o per gli altri, o per entrambi. Un giudice onesto potrebbe approvare le busse che mi si davano, poiché, se da fanciullo giocavo alla palla, il gioco m'impediva di apprendere rapidamente le lettere, grazie a cui da grande avrei eseguito più tristi giochi. Ma proprio chi mi dava le busse, agiva diversamente? Se un collega d'insegnamento lo superava in qualche futile discussione, si rodeva dalla bile e dall'invidia più di me, quando rimanevo sconfitto dal mio compagno di gioco in una partita alla palla.


Disubbidienza dello scolaro per amore del gioco
10. 16. Con tutto ciò io peccavo, Signore Dio, ordinatore e creatore di quante cose esistono nella natura, dei peccati ordinatore soltanto. Signore Dio mio, peccavo contravvenendo ai precetti dei miei genitori e dei miei maestri di allora, perché più tardi avrei potuto giovarmi in bene dell'istruzione letteraria a cui i miei, qualunque motivo li ispirasse, volevano che attendessi; né allora disubbidivo scegliendo di meglio, ma per amore del gioco, amando le vittorie esaltanti nelle gare e lo strisciare di favole irreali nelle mie orecchie, che vi eccitava un più ardente prurito. La stessa curiosità mi sfavillava ogni giorno più negli occhi e mi trascinava agli spettacoli, giochi di adulti, che pure, chi li organizza, eccelle e fruisce di tale considerazione, da auspicarla solitamente anche per i propri figli senza per questo rammaricarsi della punizione che toccano, se dagli stessi spettacoli si lasciano distrarre dallo studio, il mezzo con cui sperano di condurli a organizzare gli spettacoli. Guarda, Signore 55, con misericordia a queste incoerenze e libera noi 56 che ora t'invochiamo; liberane pure coloro che ancora non t'invocano, sì che possano invocarti ed esserne liberati.


Una grave malattia
11. 17. Avevo udito parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante l'umiltà del Signore Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia; e già ero segnato col segno della sua croce, già insaporito col suo sale fino dal primo giorno in cui uscii dal grembo di mia madre, che sperò molto in te. Tu, Signore, vedesti, ancora durante la mia fanciullezza, un giorno che per un'occlusione intestinale mi assalì improvvisamente la febbre e fui lì lì per morire, vedesti, Dio mio, essendo fin d'allora il mio custode 57, con quale slancio di cuore e quanta fede invocai dalla pietà di mia madre e dalla madre di noi tutti, la tua Chiesa, il battesimo del tuo Cristo, mio Dio e Signore. E già tutta sconvolta la madre della mia carne, avendo più caro di partorire dal suo cuore, casto nella tua fede, la mia salvezza eterna, si preoccupava di affrettare la mia iniziazione ai sacramenti della salvezza, da cui fossi mondato confessando te, Signore Gesù, per la remissione dei peccati, quando improvvisamente mi ripresi. Così la mia purificazione fu differita, quasi fosse inevitabile che la vita m'insozzasse ancora 58, e certamente col pensiero che dopo il lavacro del battesimo più grande e rischiosa sarebbe stata la mia colpa nelle sozzure dei peccati. Dunque allora io credevo, come mia madre e tutta la casa, eccettuato soltanto mio padre. Questi non sopraffece però nel mio cuore i diritti dell'amore materno al punto di togliermi la fede in Cristo, fede che ancora non aveva. Lei si adoperava a fare di te, mio Dio, il mio padre in vece sua, e tu l'aiutavi a prevalere sul marito, cui pure serviva, sebbene fosse migliore di lui, perché anche in ciò serviva te, che imponi comunque alla donna una condizione servile.


Il differimento del battesimo
11. 18. Dio mio, ti prego, vorrei sapere, se pure tu lo volessi, per quale disegno fu differito allora il mio battesimo. Fu un bene per me che mi siano state allentate, per così dire, le briglie al peccato, o sarebbe stato bene il contrario? Per questa ragione dunque ancor oggi si sente dire da ogni parte dell'uno e dell'altro: "Lascialo fare: non è ancora battezzato". Eppure riguardo alla salute fisica non diciamo: "Lascia che si produca altre ferite: non è ancora guarito". Dunque sarebbe stato molto meglio per me guarire subito; che, per me, tanto io quanto i miei parenti avessimo posto ogni diligenza a ricuperare e a mettere la salute della mia anima 59 al riparo sotto il tuo riparo, che non le avresti rifiutato. Sarebbe stato meglio davvero. Invece, conoscendo i flutti delle tentazioni che già in gran numero e misura si profilavano minacciosi dietro la fanciullezza, mia madre, e quella madre, preferì avventurarvi la terra da cui mi sarei poi formato, che subito la compiuta figura.


Avversione allo studio
12. 19. Tuttavia proprio nella fanciullezza, che suscitava al mio riguardo apprensioni minori dell'adolescenza, non amavo lo studio e odiavo di esservi costretto. Vi ero però costretto, e per il mio bene, ma io non compivo del bene, perché non avrei studiato senza costrizione, e chi agisce suo malgrado non compie del bene, per quanto sia bene quello che compie. Neppure coloro che mi costringevano compivano del bene, ma il bene mi veniva da te, Dio mio. Essi non vedevano altro scopo, cui potessi rivolgere quanto mi costringevano a imparare, se non l'appagamento delle brame inappagabili di una miseria che sembra ricchezza e di una infamia che sembra gloria. Ma tu, che conosci il numero dei nostri capelli 60, sfruttavi a mio vantaggio l'errore di tutti coloro che insistevano per farmi studiare, come sfruttavi anche il mio, che non volevo studiare, per impormi un castigo di cui non era immeritevole quel così piccolo fanciullo e così grande peccatore. Così mi procuravi del bene non da chi compiva del bene, e del mio stesso peccato mi ripagavi equamente 61. Hai stabilito infatti, e avviene, che ogni anima disordinata sia castigo a se stessa.


Greco e latino
13. 20. Quale fosse poi la ragione per cui odiavo il greco che mi veniva insegnato da fanciullo, non lo so esattamente nemmeno ora. Invece mi ero appassionato al latino, non già quello insegnato dai maestri dei primi corsi, ma dagli altri, i cosiddetti maestri di grammatica. Le prime nozioni, con cui s'impara a leggere, a scrivere e a computare, mi procuravano noia e pena non minori di quelle che mi procurò in ogni sua parte il greco; ma non era anche questa una conseguenza del peccato e della vanità della vita, per cui ero carne e un soffio passeggero, che non torna 62? Quei primi studi, che via via mi mettevano, come mi misero e mi mettono tuttora in grado di leggere se trovo uno scritto, e di scrivere io stesso se voglio scrivere, erano migliori, perché più sicuri, degli altri, ove mi si costringeva a mandare a memoria gli errori di un certo Enea dimenticando i miei propri errori, e a gemere su Didone, morta suicida per amore, mentre io mi lasciavo morire tra queste fole senza di te, Dio, vita mia 63, ad occhi asciutti, miserrimo.

13. 21. C'è in verità cosa più misera di un misero che non commisera se stesso e piange la morte di Didone, che avveniva per amore di Enea, mentre non piange sulla morte propria, che avveniva per non amare te, Dio e lume del mio cuore, pane della interiore della mia anima 64, virtù fecondatrice della mia intelligenza, grembo del mio pensiero? Io non amavo te, trescavo lontano da te 65, e alle mie tresche si applaudiva da ogni parte: "Bravo, bravo" 66. L'amicizia verso questo mondo è davvero un trescare lontano da te, cui si applaude: "Bravo, bravo", cosicché si ha vergogna a non essere come gli altri. Ebbene, io non piangevo per questo, e piangevo per Didone morta cercando col ferro il giorno estremo 67; anch'io cercavo le cose estreme della tua creazione, dopo aver abbandonato te, terra che si piegava verso terra; e se qualcuno mi proibiva quelle letture, mi affliggevo di non poter leggere ciò che mi affliggeva. Tali deliri si apprezzano come studi più nobili e fruttuosi di quelli che mi insegnarono a leggere e scrivere.


La lettura dei poeti
13. 22. Ma ora nell'anima mia gridi il mio Dio, la tua verità mi dica che non è così, che non è così. È certamente migliore l'altro insegnamento, il primo. Infatti eccomi ora disposto a scordare gli errori di Enea e ogni racconto del genere, piuttosto che il modo di scrivere e leggere. Sull'ingresso delle scuole di grammatica pendono alcune cortine. Esse non simboleggiano tanto la solennità dei misteri che si svolgono all'interno, quanto velano gli errori che si commettono. E non schiamazzino contro di me, che più non li temo, mentre ti confesso le aspirazioni dell'anima mia, Dio mio, e trovo pace nel condannare le mie storte vie 68 per innamorarmi delle tue diritte, non schiamazzino contro di me i venditori e i compratori di grammatica. Perché se io chiederò loro: "Venne mai davvero Enea a Cartagine, come asserisce il poeta?", gli indotti risponderanno di ignorarlo, i più dotti affermeranno addirittura che no davvero; se invece domanderò con quali lettere si scrive il nome di Enea, tutti coloro che hanno appreso l'alfabeto mi risponderanno esattamente, secondo le norme con cui gli uomini convennero tra loro di fissarne i segni. Così pure, se domanderò quale di queste due conoscenze sarebbe più dannoso per la vita dimenticare, se la lettura e la scrittura oppure le invenzioni dei poeti citate sopra, chi non sa quale sarebbe la risposta di chiunque non abbia perduto completamente il senno? Io peccavo dunque da fanciullo nel prediligere le vacuità dei poeti alle arti più utili, o meglio, nell'odiare decisamente le seconde e nell'amare le prime. L'"uno più uno due, due più due quattro" era una cantilena odiosa per me, mentre era spettacolo dolcissimo, eppur vano, il cavallo di legno pieno di armati, l'incendio di Troia e l'ombra di lei, di Creusa 69.


Difficoltà nello studio del greco
14. 23. Come mai, dunque, provavo avversione per le lettere greche, ove pure si cantano i medesimi temi? Omero, ad esempio, è un abile tessitore di favolette del genere, dolcissimo nella sua vanità; eppure per me fanciullo era amaro. Credo avvenga altrettanto di Virgilio per i fanciulli greci, quando sono costretti a impararlo come io il loro poeta. Era cioè la difficoltà, proprio la difficoltà d'imparare una lingua straniera ad aspergere, dirò così, di fiele tutte le squisitezze greche contenute in quei versi favolosi. Io non conoscevo alcuna di quelle parole, e mi s'incalzava furiosamente per farmele imparare con minacce e castighi crudeli. Prima, durante l'infanzia, anche di latino non conoscevo nessuna parola, ma con un poco di attenzione le imparai senza bisogno d'intimidazioni e torture, anzi fra carezze di nutrici, festevolezze di sorrisi e allegria di giochi. Dunque le imparai senza il peso di castighi e sollecitazioni, perché il mio cuore stesso mi sollecitava a dare alla luce i suoi pensieri. Ma non ne avrebbe avuto la via, se non avessi imparato qualche vocabolo, più che a scuola da chi insegnava, dalla voce di chi parlava, nelle cui orecchie a mia volta deponevo i miei sentimenti. Ne emerge in modo abbastanza chiaro che per imparare queste nozioni vale più la libera curiosità che la pedante costrizione; ma il flusso della prima è contenuto dall'altra secondo le tue leggi, o Dio, le tue leggi. Dalle verghe dei maestri fino alle torture dei martiri le tue leggi sanno combinare amari salubri, che ci richiamano a te dopo le dolcezze pestifere che da te ci hanno allontanato.


Tutto al servizio di Dio
15. 24. Ascolta, Signore, la mia implorazione 70: non venga meno la mia anima 71 sotto la tua disciplina, non venga meno io nel confessarti gli atti della tua commiserazione 72, con cui mi togliesti dalle mie pessime strade 73. Che tu mi riesca più dolce di tutte le attrazioni dietro a cui correvo; che io ti ami fortissimamente e stringa con tutto il mio intimo essere la tua mano; che tu mi scampi da ogni tentazione 74 fino alla fine 75. Ecco, non sei tu, Signore, il mio re e il mio Dio 76? Al tuo servizio sia rivolto quanto di utile imparai da fanciullo, sia rivolta la mia capacità di parlare e scrivere e leggere e computare. Mentre io imparavo delle vanità, tu mi davi una disciplina, e i diletti peccaminosi che in quella vanità io trovai, tu me li hai perdonati 77. Sì, se appresi per loro mezzo molti vocaboli utili, è possibile apprenderli anche attraverso materie meno vane, e questa è la via sicura, per cui i fanciulli dovrebbero camminare.


La poesia corrotta e corruttrice
16. 25. Ma guai a te, fiumana delle consuetudini umane! Chi ti resisterà? 78 fino a quando non ti seccherai, fino a quando travolgerai i figli di Eva nel vasto e terribile mare, che appena riescono a traversare coloro che si sono imbarcati sul legno ? Non ho letto fra le tue onde di un Giove tonante e adultero? due atti che non poteva davvero compiere simultaneamente, eppure glieli fecero compiere, perché ottenesse credito il modello di un adulterio vero col lenocinio di un tuono falso. Chi però fra i maestri paludati ascolta senza alterarsi un uomo che dalla sua stessa lizza proclama ad alta voce: "Queste sono invenzioni di Omero, il quale trasferiva qualità umane agli dèi. Io preferirei avesse trasferito qualità divine a noi" 79? Più esattamente si potrebbe però dire: Omero nell'immaginare queste vicende attribuiva qualità divine a uomini viziosi, per ottenere che i vizi non fossero ritenuti vizi, e chiunque vi si abbandonasse, sembrasse imitare non già la corruzione umana, ma la celestialità divina.

16. 26. Ciò nonostante i figli degli uomini sono gettati nelle tue onde, o fiumana tartarea, e si paga perché apprendano queste nozioni; e si tratta di cosa seria, se viene compiuta ufficialmente, sulla piazza principale della città, sotto gli occhi delle leggi, che assegnano ai maestri un salario pubblico in aggiunta alla mercede dei privati. Battendo contro le tue rocce, sembri dire col tuo fragore: "Qui dentro s'imparano le parole, di qui si attinge l'eloquenza, assolutamente necessaria per convincere e spiegare il proprio pensiero". Certo noi non conosceremmo parole quali "pioggia aurea", "grembo", "trucco", "templi celesti", e le altre che si trovano nel passo seguente di Terenzio, se il poeta non avesse portato in scena un giovinastro, che si propone per il proprio stupro l'esempio di Giove, mentre osserva sopra la parete un dipinto, ove era raffigurata questa scena: Giove che, come si narra, fa cadere una pioggia aurea in grembo a Danae, truccato per una donna 80. Guarda poi come, dietro il magistero celeste, diremmo, egli si ecciti al piacere:

"E qual dio! dice: quello che i templi celesti
con immenso fragor sconquassa. Ed io,
un povero mortal, non lo farei?
Ma io l'ho fatto, e molto volentieri" 81.

Non è affatto vero, non è affatto vero che sconcezze simili agevolino l'apprendimento delle parole; piuttosto, grazie alle parole si eseguono più leggermente le sconcezze. Io non accuso le parole, che direi vasi eletti e preziosi 82, ma il vino del peccato, che in esse ci veniva propinato da maestri ebbri, e che dovevamo sorbire, pena le busse, senza possibilità di appellarci a un giudice sobrio. Eppure io, Dio mio, davanti a cui evoco ormai pacatamente questi ricordi, imparai volentieri quelle nozioni. Esse costituivano per me, sventurato, un diletto, e perciò venivo definito un fanciullo di belle speranze.


Impiego vano di un'intelligenza eccellente
17. 27. Permettimi, Dio mio, di spendere qualche parola anche sul mio intelletto, tuo dono; di dire in quali vaneggiamenti si logorava. Mi veniva assegnato il compito, piuttosto inquietante al mio spirito per l'allettamento degli elogi e il timore delle mortificazioni e delle busse, di riferire le parole di Giunone adirata e crucciata perché non può stornare dall'Italia il re dei teucri 83, parole che da Giunone non avevo mai sentito pronunciare. Eppure eravamo costretti a perderci sulle orme di queste invenzioni poetiche, riferendo in prosa quanto il poeta aveva riferito in versi; e i maggiori elogi nella dizione toccavano a chi esprimeva sentimenti d'ira e cruccio più adeguati al rango del personaggio rappresentato, e rivestiva i concetti di parole più convenienti. Quale vantaggio mi recavano, o vera vita 84, Dio mio, gli applausi tributati alla mia recitazione più che a quella dei miei molti coetanei e condiscepoli? Non era, ecco, tutto fumo e vento? non esisteva nessun'altra materia, ove esercitare il mio intelletto e la mia lingua? Le tue lodi, Signore, le tue lodi disseminate nelle tue Scritture avrebbero ben potuto reggere il tralcio del mio cuore. Così non sarebbe stato travolto nei vuoti delle frivolezze, né sconciato da uccelli rapaci. In molti modi si sacrifica agli angeli ribelli.


Vanità degli uomini
18. 28. Ma che c'è di strano, se mi lasciavo attrarre fra le vanità e mi sviavo lontano da te, Dio mio, quando mi venivano proposti a modello certi uomini, i quali, rimproverati di essere caduti, nell'esporre alcune loro azioni non malvagie, in un barbarismo o solecismo, si turbavano; mentre, lodati per aver narrato le proprie sregolatezze con facondia ed eleganza 85, facendo uso di vocaboli puri e armonizzandoli a dovere, se ne gloriavano? Tu vedi queste cose, Signore, e longanime, misericordiosissimo, veritiero 86, taci: ma sempre tacerai? 87 ed ora trai da questo baratro spaventoso l'anima che ti cerca, assetata delle tue gioie 88, il cuore che ti dice: "Ho cercato il tuo volto; il tuo volto, Signore, ricercherò" 89, perché lontani dal tuo volto si è nelle tenebre della passione. Da te ci allontaniamo e a te torniamo senza muovere i piedi, senza attraversare spazio di luoghi; oppure bisogna intendere che il tuo figlio secondogenito, di cui parla la parabola 90, dovette procacciarsi davvero un cavallo, un carro, una nave, o s'involò con ali visibili, o percorse la strada col moto delle gambe per dissipare da prodigo, vivendo in un paese lontano, ciò che alla partenza gli avevi dato, padre amabile per i tuoi doni, più amabile al suo desolato ritorno. No, gli bastò vivere nella sregolatezza della passione, perché questo è davvero un vivere tenebroso, ed è vivere lontano dal tuo volto.

18. 29. Guarda, Signore Dio, e pazientemente, come guardi, guarda il rigore con cui da un lato i figli degli uomini osservano le leggi delle lettere e delle sillabe, ricevute da chi prima di loro usò le parole; e la noncuranza che dall'altro dimostrano verso le leggi eterne della salvezza perpetua, ricevute da te. Così se uno di coloro che conoscono e insegnano le antiche convenzioni dei suoni, pronuncia homo senza aspirare la prima sillaba a dispetto delle regole grammaticali, gli uomini ne sono urtati più che se, uomo, odia un altro uomo a dispetto dei tuoi precetti: quasi che il peggiore dei nemici potesse danneggiarlo più dell'odio stesso che lo eccita contro di lui, o si potesse rovinare un estraneo perseguitandolo, più di quanto si rovini il proprio cuore inasprendolo. Certo la scienza delle lettere non è impressa più addentro in noi di ciò che sta scritto nella nostra coscienza 91, cioè che agli altri facciamo quanto non vorremmo subire 92. Come sei nascosto tu, che abiti tacito nei cieli più alti 93, Dio solo grande, che con legge instancabile spargi tenebre punitrici sulle passioni illecite, mentre un uomo in cerca di gloria nell'eloquenza, innanzi a un altro uomo in veste di giudice e in mezzo a una moltitudine di uomini che lo attorniano, si accanisce con odio bestiale contro un suo nemico ed evita con la massima circospezione di cadere in un fallo di pronuncia, dicendo "inter omines", ma non evita di sottrarre al consorzio umano un uomo per i furori della propria mente!


I peccati del fanciullo
19. 30. Sulla soglia di una simile scuola di moralità io, povero fanciullo, ero disteso; e in una tale arena si svolgeva il mio addestramento, ov'ero più timoroso di cadere in un'improprietà di linguaggio, che attento a evitare, nel cadervi, l'invidia verso chi non vi cadeva. Dico questo, Dio mio, e ti confesso di che mi lodavano le persone, il cui compiacimento costituiva allora per me l'onore della vita. Non scorgevo la voragine d'ignominia in cui mi ero proiettato lontano dai tuoi occhi 94. Al loro sguardo nulla ormai doveva essere più deforme di me, se giunsi a dispiacere persino a quella gente con le innumerevoli menzogne usate per ingannare il pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il mio amore per il gioco, la mia passione per gli spettacoli frivoli e la smania d'imitare gli attori. Commisi persino qualche furto dalla dispensa e dalla tavola dei miei genitori, ora spinto dalla gola, ora per procurarmi qualcosa da distribuire agli altri fanciulli, che vendevano i loro giochi, sebbene vi trovassero un diletto pari al mio. Nel gioco stesso, dominato dal vano desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode. Eppure nulla ero così restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo, come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto di cedere. E questa sarebbe l'innocenza dei fanciulli? No, Signore, non lo è, dimmelo tu, Dio mio. È sempre la stessa cosa, che dai pedagoghi e dai maestri, dalle noci e dalle pallottoline e dai passeri si trasferisce ai governatori e ai re, all'oro, ai poderi, agli schiavi, assolutamente la stessa cosa, pur nel succedersi di età più gravi, come succedono alle verghe più gravi supplizi. Perciò tu, re nostro, nella statura dei fanciulli hai approvato soltanto il simbolo dell'umiltà, quando hai detto: "Di chi assomiglia a costoro è il regno dei cieli" 95.


Ringraziamento a Dio per tutti i suoi doni
20. 31. Eppure, Signore, a te eccellentissimo, ottimo creatore e reggitore dell'universo, a te Dio nostro, grazie 96, anche se mi avessi voluto soltanto fanciullo. Perché anche allora esistevo, vivevo, sentivo, avevo a cuore la preservazione del mio essere immagine della misteriosissima unità da cui provenivo; vigilavo con l'istinto interiore sull'integrità dei miei sensi, e persino in quei piccoli pensieri, su piccoli oggetti, godevo della verità; non volevo essere ingannato, avevo una memoria vivida, ero fornito di parola, m'intenerivo all'amicizia, evitavo il dolore, il disprezzo, l'ignoranza. Cosa vi era in un tale essere, che non fosse ammirevole e pregevole? E tutti sono doni del mio Dio, non io li ho dati a me stesso. Sono beni, e tutti sono io. Dunque è buono chi mi fece, anzi lui stesso è il mio bene, e io esulto in suo onore 97 per tutti i beni di cui anche da fanciullo era fatta la mia esistenza. Il mio peccato era di non cercare in lui, ma nelle sue creature, ossia in me stesso e negli altri, i diletti, i primati, le verità, precipitando così nei dolori, nelle umiliazioni, negli errori. A te grazie, dolcezza mia e onore mio e fiducia mia, Dio mio, a te grazie dei tuoi doni. Tu però conservameli, così conserverai me pure, e tutto ciò che mi hai donato crescerà e si perfezionerà, e io medesimo sussisterò con te, poiché tu mi hai dato di sussistere.



1 - Sal 47. 1; 95. 4; 144. 3; 146. 5.

2 - Cf. 2 Cor 4. 10.

3 - Gc 4. 6; 1 Pt 5. 5.

4 - Cf. Sal 118. 34, 73, 144.

5 - Rm 10. 14.

6 - Sal 21. 27.

7 - Cf. Mt 7. 8; Lc 11. 10.

8 - 2 Cr 2. 12; Gn 1. 1.

9 - Sal 138. 8.

10 - 1 Cor 8. 6; Rm 11. 36.

11 - Ger 23. 24.

12 - Cf. Gl 2. 28 s. (= At 2. 17 s.); Tt 3. 6.

13 - Sal 17. 32.

14 - Cf. Sap 7. 27.

15 - Gb 9. 5 (LXX); cf. Aug., Adn. in Iob, 9: PL 34, 834.

16 - Cf. Gl 2. 18; Zc 1. 14; 8. 2.

17 - Cf. Gn 6. 6 s.

18 - Cf. Es 4. 14.

19 - Cf. Mt 25. 27.

20 - Cf. Lc 10. 35.

21 - Cf. Mt 15. 31.

22 - Cf. Ger 44. 9.

23 - Cf. Sal 84. 6.

24 - Sal 34. 3.

25 - Cf. Dt 31. 17; 32. 20.

26 - Cf. Sal 18. 13 s.

27 - Sal 115. 10 (= 2 Cor 4. 13).

28 - Tb 8. 9; Gv 21. 15 s.

29 - Sal 31. 5.

30 - Cf. Gb 9. 3; Ger 2. 29.

31 - Cf. 1 Gv 5. 6.

32 - Cf. Sal 26. 12.

33 - Sal 129. 3.

34 - Gb 42. 6 (LXX); cf. Aug., De civ. Dei, 22, 29, 3: PL 41, 798; (NBA 5/3, 408).

35 - Cf. Sal 2. 4; 36. 13; Sap 4. 18.

36 - Cf. Ger 12. 15.

37 - Sal 93. 19; 2 Esd 13. 22; Sal 50. 3; 68. 17; Sir 36. 1.

38 - Cf. 2 Sam 23. 5.

39 - Cf. Sal 2. 4; 36. 13; Sap 4. 18.

40 - Mt 11. 25.

41 - Cf. Sal 99. 3.

42 - Cf. Ml 3. 6.

43 - Cf. Rm 11. 36.

44 - Cf. Lam 1. 12.

45 - Sal 101. 28 (= Eb 1. 12).

46 - Es 13. 14; 16. 15; Sir 39. 26.

47 - Cf. Is 1. 4.

48 - Gb 14. 4 s. (LXX).

49 - Sal 91. 2.

50 - Sal 50. 7.

51 - Sal 115. 16.

52 - Cf. Gn 3. 16; Sir 40. 1.

53 - Sal 17. 3.

54 - Sal 21. 3.

55 - Lam 1. 9, 11.

56 - Ger 2. 27; Mt 6. 13

57 - Cf. Gb 7. 20; Gn 28. 15.

58 - Cf. Ap 22. 11.

59 - Cf. Sal 34. 3.

60 - Mt 10. 30.

61 - Cf. Sal 141. 8.

62 - Sal 77. 39.

63 - Cf. Gv 11. 25; 14. 6.

64 - Cf. Gv 6. 35, 48, 59.

65 - Sal 72. 27.

66 - Sal 34. 21; 39. 16; 69. 4.

67 - Verg., Aen. 6, 457.

68 - Cf. Sal 118. 101; Ger 18. 11; 26. 3.

69 - Verg., Aen. 2, 772.

70 - Sal 60. 2.

71 - Cf. Sal 83. 3; 118. 81.

72 - Cf. Sal 106. 8, 15, 21, 31 (cf. Aug., En. in ps. 106, 4-10 ss.: PL 37, 1421 ss.; NBA 27, 872).

73 - Cf. 2 Re 17. 13; 2 Cr 7. 14.

74 - Cf. Sal 17. 30.

75 - Sal 15. 11; 37. 7; 1 Cor 1. 8.

76 - Sal 5. 3; 43. 5.

77 - Mt 9. 5; Mc 2. 5, 9; Lc 5. 23.

78 - Sal 75. 8.

79 - Cic., Tusc. 1. 26. 65.

80 - Terent., Eun. 584 s., 589.

81 - Terent., Eun. 590 s.

82 - Cf. At 9. 15; Prv 20. 15; 1 Pt 2. 6.

83 - Verg., Aen. 1. 38.

84 - Cf. Gv 11. 25; 14. 6.

85 - Cic., Tusc. 1. 4. 7.

86 - Sal 102. 8; 85, 15.

87 - Cf. Is 42. 14 (LXX).

88 - Cf. Sal 85. 13; 62. 2; 41. 3; 15. 11.

89 - Sal 26. 8.

90 - Cf. Lc 15. 11-32.

91 - Cf. Rm 2. 15.

92 - Cf. Tb 4. 16; Mt 7. 12; Lc 6. 31.

93 - Cf. Is 33. 5.

94 - Sal 30. 23.

95 - Mt 19. 14.

96 - 2 Cor 2. 14; 8. 16; Ap 7. 10.

97 - Cf. Sal 2. 11.
Caterina63
00domenica 10 gennaio 2021 20:45
Libro secondo

IL SEDICESIMO ANNO





L'adolescenza inquieta
Scopo di un ricordo disgustoso
1. 1. Voglio ricordare il mio sudicio passato e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le ami, ma per amare te, Dio mio. Per amore del tuo amore m'induco a tanto, a ripercorrere le vie dei miei gravi delitti. Vorrei sentire nell'amarezza del mio ripensamento la tua dolcezza, o dolcezza non fallace, dolcezza felice e sicura, che mi ricomponi dopo il dissipamento ove mi lacerai a brano a brano. Separandomi da te, dall'unità, svanii nel molteplice quando, durante l'adolescenza, fui riarso dalla brama di saziarmi delle cose più basse e non ebbi ritegno a imbestialirmi in diversi e tenebrosi amori. La mia bella forma si deturpò e divenni putrido marciume 1 ai tuoi occhi, mentre piacevo a me stesso e desideravo piacere agli occhi degli uomini 2.


Fermenti oscuri
2. 2. Che altro mi dilettava allora, se non amare e sentirmi amato? Ma non mi tenevo nei limiti della devozione di anima ad anima, fino al confine luminoso dell'amicizia. Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l'azzurro dell'affetto dalla foschia della libidine. L'uno e l'altra ribollivano confusamente nel mio intimo e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi. La tua collera si era aggravata su di me senza che me ne avvedessi. Assordato dallo stridore della catena della mia mortalità, con cui era punita la superbia della mia anima, procedevo sempre più lontano da te, ove mi lasciavi andare, e mi agitavo, mi sperdevo, mi spandevo, smaniavo tra le mie fornicazioni; e tu tacevi 3. O mia gioia tardiva, tacevi allora, mentre procedevo ancora più lontano da te moltiplicando gli sterili semi delle sofferenze, altero della mia abiezione e insoddisfatto della mia spossatezza.

2. 3. Chi avrebbe potuto temperare il mio affanno, volgere in un bene per me le fugaci bellezze delle creature più basse, proporre una meta ai piaceri che ne traevo, in modo che i flutti della mia età non montassero oltre il lido del matrimonio, contenendosi, se non potevano placarsi, entro i termini della procreazione di una prole secondo il precetto della tua legge 4? Tu, Signore, regoli anche i tralci della nostra morte e sai porre una mano leggera sulle spine bandite dal tuo paradiso 5, per smussarle. La tua onnipotenza non è lontana da noi neppure quando noi siamo lontani da te. Oh, almeno fossi stato più desto ad ascoltare i tuoni delle tue nubi : In questo stato soffriranno tuttavia le tribolazioni della carne che io vorrei invece risparmiarvi 6; e: È bene per l'uomo non toccare donna 7; e: Chi non ha moglie, pensa alle cose di Dio, come piacere a Dio; chi invece è vincolato dal matrimonio, pensa alle cose del mondo, come piacere alla moglie 8. Più desto ad ascoltare queste voci e mutilato per amore del regno dei cieli 9, avrei atteso più lietamente i tuoi amplessi.

2. 4. Invece mi scatenai, sventurato, abbandonandomi all'impeto della mia corrente e staccandomi da te; superai tutti i limiti della tua legge senza sfuggire, naturalmente, alle tue verghe: e quale mortale vi riuscirebbe? Tu eri sempre presente con i tuoi pietosi tormenti, cospargendo delle più ripugnanti amarezze tutte le mie delizie illecite per indurmi alla ricerca della delizia che non ripugna. Dove l'avessi trovata, non avrei trovato che te, Signore, te, che dài per maestro il dolore 10 e colpisci per guarire e ci uccidi per non lasciarci morire senza di te 11. Dove ero, in quale esilio remoto dalle dolcezze della tua casa 12 trascorsi quel sedicesimo anno di età della mia carne, quando prese il dominio su di me, ed io mi arresi a lei totalmente, la follia della libidine, ammessa dall'onorabilità pervertita degli uomini, ma non dalle tue leggi? I miei genitori non si curarono di contenere quella frana col matrimonio; si curarono unicamente che imparassi a comporre i migliori sermoni e a convincere con belle parole.


Interruzione degli studi
3. 5. Quell'anno però i miei studi erano stati interrotti. Richiamato da Madaura, una città vicina, ove in precedenza mi ero trasferito per studiare letteratura ed eloquenza, ora si andavano raccogliendo i fondi necessari al mio trasferimento in una sede più remota, Cartagine, secondo le ambizioni, piuttosto che le possibilità di mio padre, cittadino alquanto modesto del municipio di Tagaste. Ma a chi narro questi fatti? Non certo a te, Dio mio. Rivolgendomi a te, li narro ai miei simili, al genere umano, per quella piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All'unico scopo che io ed ogni lettore valutiamo la profondità dell'abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te 13. Eppure cos'è più vicino alle tue orecchie di un cuore che si confessa e di una vita sostanziata di fede 14? Chi non faceva allora alti elogi di un uomo, mio padre, il quale per mantenere agli studi suo figlio in una città lontana spendeva più di quanto permettesse il patrimonio familiare? Molti cittadini assai più ricchi di lui non affrontavano per i loro figli un sacrificio simile. Eppure quello stesso padre non si preoccupava di conoscere intanto come crescessi ai tuoi occhi o quanto fossi casto, purché fossi forbito nel parlare, o piuttosto, sfornito della tua scienza, o Dio, unico vero e buon padrone del tuo campo 15, il mio cuore.


Nell'ozio
3. 6. Quando però nel corso di quel sedicesimo anno tornai presso i miei genitori e dalle strettezze della mia famiglia fui ridotto all'ozio, senza alcun impegno scolastico, i rovi delle passioni crebbero oltre il mio capo senza che fosse là una mano a sradicarli. Anzi quel mio padre, al vedermi un giorno ai bagni ormai cresciuto e già ricoperto dai segni dell'adolescenza inquieta, fu come colto da una gioia smaniosa per i nipoti che gliene potevano nascere e lo riferì festante a mia madre, festante, dico, dell'ebbrezza in cui il mondo ha affogato il ricordo di te, suo creatore, per amare in tua vece la tua creatura 16, ebbrezza del vino occulto della sua volontà perversamente inclinata alle bassezze. Ma nel cuore di mia madre avevi già posto mano all'erezione del tuo tempio e alle fondamenta della tua santa casa 17, mentre il padre era ancora catecumeno, e da poco per di più. Essa quindi trasalì in un'apprensione e trepidazione 18 pia, paventando per me, sebbene non ancora battezzato, le vie storte in cui cammina chi volge a te la schiena e non il volto 19.


Ammonimenti e sollecitudini della madre
3. 7. Ahimè, come oso dire che tu, Dio mio, tacesti mentre mi allontanavo da te ? Tacevi davvero per me in quei momenti? Di chi erano dunque, se non tue, le parole che facesti risuonare alle mie orecchie per la bocca di mia madre, tua fedele? Ma nessuna scese di là nel mio cuore per tradursi in pratica. Essa mi chiedeva - come ricordo dentro di me l'incalzante sollecitudine dei suoi ammonimenti! - di astenermi dagli amorazzi e specialmente dall'adulterio con qualsiasi donna. Io li prendevo per ammonimenti di donnicciuola, cui mi sarei vergognato di ubbidire. Invece venivano da te: io ignaro pensavo che tu tacessi e lei parlasse, mentre tu non tacevi per me 20 con la sua voce, sebbene in lei io disprezzassi te, io, io, figlio suo, figlio dell'ancella tua 21 e servo tuo. Nella mia ignoranza procedevo a capofitto verso l'abisso, tanto cieco da vergognarmi fra i miei coetanei di non essere spudorato quanto loro. Al sentirli esaltare le loro dissolutezze e tanto più gloriarsene quanto più erano indegne, cercavo di fare altrettanto, non solo per il piacere dell'atto in sé, ma altresì della lode che ne ottenevo. Che altro merita biasimo, se non il vizio? E io per evitare il biasimo m'immergevo nel vizio. Quando mancavo di colpe che mi uguagliassero ai malvagi, inventavo fatti che non avevo fatto per timore di apparire tanto più vile quanto più ero innocente e di essere giudicato tanto più spregevole quanto più ero casto.

3. 8. In tale compagnia percorrevo la mia strada fra le piazze di Babilonia, avvoltolandomi nel suo fango come fosse cinnamomo e unguenti preziosi 22. E per impantanarmi più tenacemente nel suo mezzo, il nemico invisibile mi calcava 23, seducendomi poiché mi lasciavo facilmente sedurre. La donna che era già fuggita dal centro di Babilonia 24, ma ancora si attardava negli altri quartieri, la madre della mia carne, mi raccomandò, sì, il pudore, ma non si curò di rinserrare nei limiti dell'affetto coniugale, se non si poteva reciderla fino al vivo 25, la mia virilità, di cui suo marito le aveva parlato, e che, lo sentiva, già allora funesta, sarebbe divenuta pericolosa in avvenire. Non se ne curò per timore che le pastoie coniugali inceppassero le mie prospettive, non la prospettiva della vita futura, che mia madre fondava in te, ma le prospettive degli studi, ove entrambi i miei genitori ambivano troppo che io progredissi, l'uno perché di te non pensava quasi nulla e di me pensava delle vacuità, l'altra perché riteneva che la formazione culturale allora in voga non solo sarebbe nessun detrimento, ma anzi alcun giovamento a portarmi fino a te. A queste conclusioni, almeno, giungo oggi rievocando come posso l'indole dei miei genitori. Essi allentavano anche le briglie ai miei divertimenti oltre il tenore di una severità ragionevole, dando sfogo alle mie varie passioni; e così tutt'intorno a me si stendeva una grande foschia, che mi toglieva, Dio mio, la visione del sereno della tua verità. E come da adipe rampollava la mia iniquità 26.

Un furto di pere
L'impresa
4. 9. La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini 27, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? Neppure se ricco, e l'altro costretto alla miseria. Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell'iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d'aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze, come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell'ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell'abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l'amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l'oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi 28 non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.


Natura e moventi del peccato
5. 10. Le belle forme nei corpi e l'oro e l'argento e ogni cosa simile attraggono gli occhi col loro aspetto; nel senso del tatto importa moltissimo la consonanza della carne e del suo oggetto, come gli altri sensi ricevono dagli oggetti una loro specifica e conveniente modificazione. Anche l'onore mondano, il potere, il dominio posseggono una loro dignità, origine fra l'altro nell'uomo del desiderio di vendetta. Tuttavia per ottenere tutti questi beni non occorre allontanarsi da te, Signore, né deviare dalla tua legge. La vita stessa che viviamo qui sulla terra possiede un suo fascino, che le deriva da una certa misura di grazia sua propria e dall'armonia con tutte le altre minime bellezze dell'universo. E l'amicizia fra gli uomini non è forse deliziosa per l'amabile nodo con cui unifica molte anime? Tutte queste cose e le altre ad esse simili sono fonte di peccato soltanto nel caso che ad esse tendiamo smoderatamente e per esse, che sono beni infimi, trascuriamo gli altri migliori e sommi: te, Signore Dio nostro, e la tua verità e la tua legge 29. Perché, sì, anche questi infimi beni dilettano, ma non quanto il mio Dio, autore di ogni cosa, in cui appunto gode l'uomo giusto e che appunto è la delizia dei cuori retti 30.

5. 11. Perciò nella ricerca del movente di un delitto non si è paghi di solito, se non quando si scopre la brama di ottenere l'uno o l'altro dei beni che abbiamo definito minimi, oppure il timore di perderlo, perché essi, sebbene abietti e vili a paragone dei beni superiori e beatificanti, posseggono una loro bellezza e grazia. Qualcuno ha ucciso: perché l'ha fatto? Vagheggiava la moglie o il podere del morto, oppure cercò di predare per vivere, oppure temeva di perdere uno di questi beni per mano del morto, oppure era arso dal desiderio di vendicare un affronto subito. Avrebbe mai perpetrato un omicidio senza ragione, per il solo piacere di uccidere un uomo? Chi lo crederebbe? Persino alle follie e alle crudeltà estreme di un uomo, del quale fu detto che sfogava abitualmente per nulla la propria malvagità e crudeltà, fu premessa una ragione: "perché nell'inattività - dice il suo storico - non s'intorpidisse la mano o lo spirito" 31. Domandati anche questo: a che scopo? perché questo? Evidentemente per ottenere mediante la pratica dei delitti e una volta padrone della città onori, potere, ricchezze; per liberarsi dal timore delle leggi e dalle angustie che gli derivavano dall'esiguità del patrimonio e dal rimorso dei delitti 32. Dunque neppure Catilina amò i propri delitti, ma altro: lo scopo, cioè, per cui li commetteva.


I peccati, simulazione della potenza di Dio
6. 12. Ma io, sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello, se eri un furto; anzi, sei qualcosa, per cui possa rivolgerti la parola ? Belli erano i frutti che rubammo, perché opera delle tue mani, o Bellezza massima fra tutte, creatore di tutto, Dio 33 buono, Dio sommo bene e bene mio vero. Belli, dunque, erano quei frutti, ma non quelli bramò la mia anima miserabile, poiché ne avevo in abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. E infatti appena colti li gettai senza aver assaporato che la mia cattiveria, così inebriante a praticarla. Se pure un briciolo di quei frutti entrò nella mia bocca, a insaporirlo era il misfatto. E ora, Signore Dio mio, mi domando: cosa mi attrasse in quel furto? Non vi trovo davvero bellezza alcuna, non dico la bellezza insita nella giustizia e nella saggezza, o nell'intelletto umano, nella memoria, nella sensibilità, nella vita vegetativa, o la bellezza e la grazia propria nel loro ordine agli astri e alla terra e al mare, popolati di creature che si succedono nella nascita e nella morte, e nemmeno quella difettosa e irreale con cui ci seducono i vizi.

6. 13. Infatti l'orgoglio simula l'eccellenza, mentre il solo Dio eccelso 34 al di sopra di tutte le cose sei tu. L'ambizione a che altro aspira, se non a onori e gloria, mentre tu solo sopra tutto meriti onore e gloria eterna? La crudeltà dei potenti mira a incutere timore; ma chi è davvero temibile, se non Dio solo, al cui potere cosa si può strappare o sottrarre, e quando o dove o come o da chi? Le seduzioni delle persone lascive, poi, mirano a suscitare amore, ma nulla è più seducente della tua carità, né vi è amore più salutare di quello della tua verità, tanto è bella e splendente oltre ogni cosa. La curiosità si atteggia a desiderio di conoscenza, mentre chi conosce tutto e in sommo grado sei tu; persino l'ignoranza e la scempiaggine si coprono col nome di semplicità e innocenza, poiché si trova nulla più semplice di te e c'è cosa più innocente di te, se ai malvagi stessi nuocciono le opere loro? La pigrizia dal canto suo sembra cercare quiete, ma esiste quiete sicura senza il Signore? Il lusso vuol essere chiamato soddisfazione e copiosità di mezzi; sei tu però la pienezza e l'abbondanza inesauribile d'incorruttibili bellezze. La prodigalità si copre con l'ombra della liberalità, ma il più copioso dispensatore di ogni bene sei tu. L'avarizia aspira a possedere molto, mentre tu possiedi tutto. L'invidia disputa per eccellere, ma cosa eccelle più di te? L'ira vuole vendetta, ma quale vendetta è più giusta della tua? La pavidità trema, nella sua ricerca di sicurezza, dei pericoli insoliti e repentini che incombono sugli oggetti d'amore; a te infatti riesce qualcosa insolito, repentino? o qualcuno ti può privare degli oggetti del tuo amore? e dove si è saldamente sicuri, se non al tuo fianco? L'uggia si rode per la perdita dei beni, di cui si dilettava la cupidigia, poiché vorrebbe che, come a te, così a sé nulla si potesse cogliere.

6. 14. In queste forme l'anima pecca allorché si distoglie da te e cerca fuori di te la purezza e il candore, che non trova, se non tornando a te. Tutti insomma ti imitano, alla rovescia, quanti si separano da te e si levano contro di te. Ma anche imitandoti, a loro modo, provano che tu sei il creatore dell'universo e quindi non è possibile allontanarsi in alcun modo da te. Cosa amai dunque in quel furto e in che cosa imitai, sia pure in male e alla rovescia, il mio Signore? Mi compiacqui di violare la sua legge con la malizia, non potendolo fare con la potenza? Il prigioniero voleva imitare una libertà monca, compiendo a man salva un'azione illecita con una simulazione oscura di onnipotenza? Eccolo questo servo fuggitivo dal suo padrone, che ha raggiunto un'ombra 35. Oh marciume, oh mostruosità di vita, oh abisso di morte! Poté mai piacermi l'illecito per l'illecito, e null'altro?


Perdono e pietà per il peccatore
7. 15. Come rimunerare il Signore 36 del fatto che la mia memoria rievoca simili azioni e la mia anima non ne è turbata? Io ti amerò, Signore, ti renderò grazie e confesserò il tuo nome 37, poiché mi hai perdonato malvagità e delitti così grandi. Attribuisco alla tua grazia e alla tua misericordia il dileguarsi come ghiaccio dei miei peccati 38; attribuisco alla tua grazia anche tutto il male che non ho commesso. Cosa non avrei potuto fare, se amai persino il delitto in se stesso? Eppure tutti questi peccati: e quelli che di mia spontanea volontà commisi, e quelli che sotto la tua guida evitai, mi furono rimessi, lo confesso. Quale uomo conscio della propria debolezza osa attribuire alle proprie forze il merito della castità e dell'innocenza che serba, e quindi ti ama meno, quasi che meno abbia avuto bisogno della misericordia con cui condoni i peccati a chi si rivolse a te 39? Chi dunque alla tua chiamata seguì la tua voce ed evitò le colpe che qui mi vede ricordare e confessare, non mi schernisca se, malato, fui guarito dal medico che lo preservò dai malanni, o meglio, da più gravi malanni. Perciò dovrà amarti altrettanto, anzi più davvero di me, poiché vede come da tanta prostrazione di peccati io mi libero ad opera di Colui che, come vede, in tanta prostrazione di peccati non lo lasciò avviluppare.


Le attrattive del furto
8. 16. Quale frutto raccolsi allora, miserabile, da ciò 40 che ora rievoco non senza arrossire, e specialmente da quel furto ove amai solo il furto e null'altro? E anch'esso era nulla, quindi maggiore era la mia miseria. Tuttavia non l'avrei compiuto da solo. Ricordo bene qual era il mio animo a quel tempo, da solo non l'avrei assolutamente compiuto. In quell'azione mi attrasse anche la compagnia di coloro con cui la commisi. Dunque non amai null'altro che il furto. Ma sì, null'altro, poiché anche una tale società non è nulla. Cos'è in realtà? Chi può istruirmi in merito, se non Colui che illumina il mio cuore 41 e ne squarcia le tenebre? Come accade che mi viene in mente d'indagare, di discutere, di considerare questi fatti? Se in quel momento avessi amato i frutti che rubai e ne avessi desiderato il sapore, avrei potuto compiere anche da solo, se si poteva da solo, quel misfatto, appagando il mio desiderio senza sfregarmi a qualche complice per infiammare il prurito della mia brama. Senonché i frutti non avevano nessuna attrattiva per me; dunque ne aveva soltanto l'impresa e a suscitarla era la compagnia di altri che peccavano insieme con me.


Il sapore della complicità
9. 17. Quale sentimento provavo allora in cuore? Senza dubbio un sentimento proprio molto turpe, ed era una sventura per me 42 il provarlo. Ma pure in che cosa consisteva? I peccati, chi li capisce? 43. Era il riso che ci solleticava, per così dire, il cuore al pensiero di ingannare quanti non sospettavano un'azione simile da parte nostra e ne sarebbero stati fortemente contrariati. Perché dunque godevo di non agire da solo? Forse perché non è facile ridere da soli? Certo non è facile, però avviene talvolta di essere sopraffatti dal riso anche stando soli, tra sé e sé, alla presenza di nessuno, se appare ai nostri sensi o al pensiero una cosa troppo ridicola. Invece io quell'atto da solo non l'avrei compiuto, non l'avrei assolutamente compiuto da solo. Ecco dunque davanti a te, Dio mio, il ricordo vivente della mia anima. Da solo non avrei compiuto quel furto in cui non già la refurtiva ma il compiere un furto mi attraeva; compierlo da solo non mi attraeva davvero e non l'avrei compiuto. Oh amicizia inimicissima, seduzione inesplicabile dello spirito, avidità di nuocere nata dai giochi e dallo scherzo, sete di perdita altrui senza brama di guadagno proprio o avidità di vendetta! Uno dice: "Andiamo, facciamo", e si ha pudore a non essere spudorati.


Desiderio d'innocenza e di pace
10. 18. Chi può districare un nodo così tortuoso e aggrovigliato? È sudicio, non voglio più riflettervi, non voglio guardarlo. Voglio te, giustizia e innocenza bella e ornata delle tue pure luci e di un'insaziabile sazietà. Accanto a te una pace profonda e una vita imperturbabile. Chi entra in te, entra nel gaudio del suo Signore 44; non avrà timori e si troverà sommamente bene nel sommo Bene. Io mi dispersi lontano da te ed errai 45, Dio mio, durante la mia adolescenza per vie troppo remote dalla tua solida roccia. Così divenni per me regione di miseria 46.




1 - Cf. Dn 10. 8.

2 - Cf. Sal 78. 10.

3 - Cf. Is 42. 14 (LXX).

4 - Cf. Gn 1. 28; 1 Cor 7. 2.

5 - Cf. Gn 3. 18.

6 - 1 Cor 7. 28.

7 - 1 Cor 7. 1.

8 - 1 Cor 7. 32 s.

9 - Mt 19. 12.

10 - Sal 93. 20.

11 - Cf. Dt 32. 39; Os 6. 2.

12 - Cf. Mic 2. 9; Lc 15. 13, 17.

13 - Cf. Sal 129. 1.

14 - Cf. Ab 2. 4; Rm 1. 17; Gal 3. 11; Eb 10. 38.

15 - Cf. Mt 13. 24-30.

16 - Cf. Rm 1. 25.

17 - Cf. 1 Cor 3. 16 s.; 6. 19; 2 Cor 6. 16; Sir 24. 14.

18 - Cf. 2 Cor 7. 15.

19 - Ger 2. 27.

20 - Cf. Is 42. 14 (LXX).

21 - Sal 115. 16.

22 - Cf. Ct 4. 14.

23 - Cf. Sal 55. 3.

24 - Ger 51. 6.

25 - Cf. A. Otto, Sprichwörter und Redensarten der Griechen und Römer, s.v. vivus 4, pp. 377 s.

26 - Sal 72. 7.

27 - Rm 2. 14 s.; cf. Es 20. 15; Lv 15. 11; Dt 5. 19 (= Mt 19. 18; Mc 10. 19; Lc 18. 20; Rm 13. 9).

28 - Gdt 4. 10; Sir 39. 36.

29 - Cf. Sal 118. 142.

30 - Cf. Sal 63. 11.

31 - Sall., Cat. 16. 3.

32 - Cf. Sall., Cat. 5. 5.

33 - Cf. 2 Mac 1. 24.

34 - Gb 36. 22; Sal 77. 35.

35 - Cf. Gb 7. 2.

36 - Sal 115. 12.

37 - Cf. Sal 53. 8.

38 - Cf. Sir 3. 17.

39 - Cf. Sal 50. 15.

40 - Rm 6. 21.

41 - Cf. Sir 2. 10.

42 - Cf. Gb 10. 15.

43 - Sal 18. 13.

44 - Mt 25. 21.

45 - Sal 118. 176.

46 - Cf. Lc 15. 14.
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