00 06/08/2012 17:19

[SM=g27998] La purificazione di Maria

§ 249. La dimora dei tre nella grotta dovette esser breve, forse di pochi giorni soltanto. Man mano che il censimento progrediva, la gente ripartiva e le case si sfollavano: una di esse fu occupata da Giuseppe che vi si trasferì con gli altri due, e fu la casa ove si pre­sentarono alcune settimane dopo i Magi (Matteo, 2, 11). Forse già in questa casa avvenne la circoncisione del neonato, praticata secon­do la prescrizione otto giorni dopo la nascita (§ 69), e in tale occasio­ne gli fu imposto il nome di Gesù notificato dall'angelo sia a Maria sia a Giuseppe (§§ 230, 239). L'angelo infatti aveva detto che il na­scituro sarebbe stato chiamato figlio dell'Altissimo; ma di fatto era comparso nel mondo come discendente d'Israele per il casato di Da­vid, né dall'angelo era stata comunicata alcuna istruzione che esi­messe questo nuovo Israelita dagli obblighi comuni a tutti gli Israe­liti: perciò Giuseppe e Maria compirono tali obblighi a suo riguardo. E li compirono anche riguardo a se stessi. La Legge ebraica prescri­veva che la donna dopo il parto fosse considerata impura, e rimanesse segregata 40 giorni se aveva fatto maschio, e 80 se femmina dopo di che doveva presentarsi al Tempio per purificarsi legalmen­te, e farvi un'offerta che per i poveri era limitata a due tortore o due piccioni. Se poi il bambino era primogenito, esso di legge ap­parteneva al Dio Jahvè, come tutti i primogeniti degli animali do­mestici e le primizie dei campi; perciò i suoi genitori dovevano ri­scattarlo pagando al Tempio, in cambio del primogenito, cinque si­cli. Non era obbligo portare materialmente il neonato primogenito al Tempio per presentarlo a Dio, ma di solito le giovani madri lo portavano per invocare su lui le benedizioni celesti. Ambedue queste usanze furono seguite riguardo a Gesù: dopo 40 giorni Maria si recò al Tempio per la propria purificazione, offren­do ciò ch'era prescritto per i poveri, e portò con sé Gesù per pre­sentarlo a Dio, pagando i cinque sicli.
Se i due piccioni o tortore per la purificazione valevano ben poco, i cinque Sicli per il riscatto del primogenito furono assai gravi per la povertà dei due coniugi; infatti cinque sicli d'argento, che equivalevano a un po' più di 20 lire nostre in oro, era quanto un artigiano come Giuseppe avrebbe guada­gnato a mala pena con una ventina di giornate di lavoro, mentre poi in quei giorni a Bethlehem egli avrà potuto poco o nulla lavorare: tuttavia alla spesa straordinaria ma prevista si sarà fatto fronte con qualche risparmiuccio che i due si saranno portati appresso da Nazareth come scorta. Quel gruppetto di tre persone che entravano nel Tempio di Gerusalemme non era fatto per attirare su di sé gli sguardi della gente, che stava là a oziare o a sentire le dissertazioni dei maestri farisei o a commerciare nell'”atrio dei gentili” (§ 48): erano tante le madri le quali ogni giorno venivano là a purificarsi dopo il parto e a presentare i loro primogeniti, che quel gruppetto di tre persone non meritava davvero uno sguardo particolare. Ma proprio quel giorno c'era qualcuno, là nell'atrio, che aveva uno sguardo differente dagli altri e poteva scorgere ciò che gli altri non scorgevano; era un uomo di Gerusalemme, di nome Simeone, e quest'uomo (era) giusto e ti­morato, aspettava la consolazione d'Israele e Spirito santo era su lui; e gli era stato rivelato dallo Spirito santo che non avrebbe visto morte prima che avesse visto il Cristo del Signore (Luca, 2, 25-26).

§ 250. Il nome Simeone era comunissimo fra i Giudei di quel tem­po: e qui si dice di lui soltanto ch'era uomo giusto e timorato, e tutt'al più dalle parole ch'egli pronunzierà si può argomentare che era ben avanti negli anni; nulla però induce a credere che egli fosse sacerdote, e tanto meno il sommo sacerdote come vorrebbe un Apo­crifo. L'uguaglianza poi del nome non basta per identificario, come taluni hanno suggerito, con Rabban Simeon figlio del grande Hillel e padre del Gamaliel maestro di S. Paolo, mentre contro questa iden­tificazione stanno gravi difficoltà cronologiche. Questo laico era dun­que un privato qualunque che si teneva a parte dai grandi avveni­menti dei politicanti di Gerusalemme, viveva tra le sue opere di giustizia e di timor di Dio come i pecorai di Eeth-lehem vivevano tra le loro pecore, e come quelli aspettava la consolazione d'Israele, cioè il promesso Messia: e nella stessa guisa che i pecorai furono av­visati dall'angelo, cosi Simeone era stato preavvisato dallo Spirito santo che la sua amorosa aspettativa sarebbe stata appagata. Cosic­ché quel giorno egli venne nello Spirito al tempio; e mentre i genitori introducevano il bambino Gesu' per far con lui secondo il consueto della legge, egli lo ricevette sulle braccia, e benedisse Iddio e disse: Ora dimetti lo schiavo tuo, o Padrone, - secondo la tua parola - in pace! Perché videro gli occhi miei la tua salvezza, che preparasti al cospetto di tutti i popoli: luce a rivelazione di genti, e gloria del tuo popolo d'Israele Luca, 2, 27-32.

La salvezza che appagava l'aspettativa di costui era rappresentata da quell'infante di quaranta giorni, che esteriormente non aveva niente di straordinario: e fin qui si poteva lasciar correre. Ma se lì presso ci fosse stato un Fariseo, di quelli più genuini e piu tipici, non avrebbe potuto reprimere il suo sdegno a udir quelle parole, secondo cui il Messia (chiunque fosse) avrebbe operato la salvezza per tutti i popoli e sarebbe stato una rivelazione di genti, cioè di quelle genti pagane che non facevano parte dell'eletta nazione d'Israele. Siffatte affermazioni erano scandalose e sovversive! E’ vero che in fondo si aggiungeva che lo stesso Messia sarebbe stato la gloria del popolo d'Israele; ma questa aggiunta finale rappresentava un compenso trop­po scarso, era un misero piatto di lenticchie con cui si pretendeva compensare una spirituale primogenitura - o meglio unigenitura - perduta. Il futuro Messia, invece, doveva apparire in Israele e per Israele soltanto, e le altre genti, tutt'al più sarebbero stati ammessi come umili sudditi e discepoli d'Israele nei trionfali tempi del Messia; equiparare Israele e le genti agli effetti della salvezza messianica era un'eresia e una rivoluzione! Il genuino e tipico Fariseo avrebbe avuto ragione, come Fariseo: in­fatti il vaticinante Simeone non avrebbe potuto appoggiare la sua affermazione su nessuna sentenza dei grandi maestri farisei.
Tut­tavia, risalendo più su di costoro, l'avrebbe appoggiata su sentenze di Dio stesso, il quale nella Scrittura sara aveva proclamato al futuro Messia Metterò te qual patto di popolo, quale luce di genti Isaia, 42, 6, e aveva confermato poco appresso metterò te quale luce di genti, per esser la mia salvezza fino all'estremità della terra Isaia, 49, 6. Il nazionalismo escludente aveva fatto dimenticare la parola di Dio, ma Simeone passava sopra al particolarismo geloso dei Farisei e rie­vocava il decreto universalistico di Dio. Fatto ciò e contemplato il Messia, il vecchio non desiderava altro, e poteva partire per il viaggio senza ritorno. Tuttavia alle sue pa­role perfino il padre di lui (del bambino) e la madre erano mera­vigliati (Luca, 2, 33); onde il contemplativo si rivolse anche ad essi. Ma essi erano in realtà la sola Maria, alla quale perciò egli soggiun­se: Ecco, costui é posto a caduta e resurrezione di molti in Israele e a segno contraddetto - e a te stessa trapasserà l'anima una spada - affinché siano rivelati i pensieri da molti cuori (2, 34-35). Dunque, il contemplativo scorge bensì la luce del Messia brillare su tutti i popoli, ma non già fugare tutte le tenebre; in Israele stesso molti procomberanno a causa di quella luce, la quale sarà un segno di contraddizione, un “segno d'immensa invidia - e di pietà profon­da, - d'inestinguibile odio - e d'indomato amor”. E i colpi vibrati contro quel segno non raggiungeranno solo esso, ma anche la madre di lui, la cui anima sarà trafitta da acuta spada. Forseché, nella salvezza operata da quel bambino, la madre sarebbe stata unita col figlio, e non si sarebbe potuto colpire il figlio senza trapastare insieme la madre?

§ 251. Amante dei quadretti abbinati, Luca soggiunge immediata­mente all'episodio di Simeone quello di Anna (2, 36-38). Egli la chiama profetessa, com'erano state altre donne nell'antico Israele. Ancora un settantennio più tardi Flavio Giuseppe presenterà se stesso come conoscitore di eventi futuri (Guerra giud., su, 351-353, 400 segg.), e a Roma Svetonio lo prenderà sul serio e gli darà ra­gione (Vespasian., 5): ma Giuseppe era tutt'altro che il “profeta”, “uomo di Dio” il quale viveva e moriva per la sua fede. La profetessa Anna invece era veramente donna di Dio: rimasta vedova dopo sette anni di matrimonio, aveva passato la sua vita negli atrii del Tempio fra digiuni e preghiere, raggiungendo l'età di 84 anni. Anch'ella, sopravvenuta in quella stessa ora, rendeva a sua volta lode a Dio, e parlava di lui (del bambino Gesù) a tutti quei che aspettavano la liberazione di Gerusalem­me (2, 38). Di questi aspettanti Luca ha presentato i soli Simeone ed Anna; ma appresso a quei due dovevano stare molti altri, e verso ognuno di loro si sarebbe potuto esclamare: Guarda! Uno davvero Israelita, in cui non e' inganno! (Giovanni, 1, 47): tutta gente ignota agli alti ceti sacerdotali, aliena da beghe politiche, ignara di sottigliezze ca­suistiche, ma che aveva concentrato la sua esistenza in una ansiosis­sima attesa, quella del Messia promesso da secoli ad Israele. Tuttavia in quei giorni a Gerusalemme erano certamente piu' nume­rosi coloro la cui ansiosissima attesa era di conoscere le decisioni dei sommi dottori Hillel e Shammai su una formidabile questione che al­lora si discuteva, quella di sapere se era lecito o no mangiare un uo­vo fatto dalla gallina durante il sacro riposo del sabbato (Besah, I, 1; Eddujjòth, iv, 1).



I Magi

§ 252. Attorno al neonato Messia, Luca finora ha condotto, oltre ai cortigiani celestiali, soltanto gente umile in funzione di cortigiani terreni, i pecorai della steppa e i due vecchi della città. Su tutti costoro tace Matteo; il quale invece gli conduce dappresso non solo personaggi insigni ma ciò che può sorprendere nel pio israelita fra i quattro evangelisti - personaggi precisamente non israeliti e appar­tenenti agli aborriti. Se questo nuovo episodio fosse stato nar­rato da Luca, si sarebbe detto ch'era stato introdotto per dimostrare avverato l'annunzio di Simeone riguardo alla rivelazione di genti; ma trattandosi di Matteo, non rimane che da richiamarsi alla real­tà dei fatti selezionata diversamente dai diversi narratori. Essendo dunque nato Gesu', ecco che magi da Oriente si presentarono a Ge­rusalemme dicendo: Dov'e' il nato re dei Giudei? Vedemmo infatti La stella di lui nell'Oriente, e venimmo ad adorano. Allora, avendo udito (ciò), il re Erode si turbò, e tutta Gerusalemme con lui; e avendo adunato tutti i sommi sacerdoti e gli Scribi del popolo, ri­cercava da essi dove il Cristo debba nascere. E quelli gli dissero: in Beth-lehem della Giudea; così infatti e' stato scritto per mezzo del profeta “ tu Beth-lehem, terra di Giuda, non sei in alcun modo la minima fra i duci di Giuda; da te infatti uscirà un duce il quale pascolerà il popolo mio Israele“(Matteo, 2, 1-6. GI'inaspettati stranieri, dunque, erano magi e venivano da Oriente; questi sono a loro riguardo i soli dati sicuri, ma anche vaghi. Il piu' vago è oriente, che geograficamente designa tutte le legioni di là dal Gior­dano, ove procedendo verso levante s'incontra dapprima l'immenso deserto siro-arabico, quindi la Mesopotamia (Babilonia), e infine la Persia: e infatti nell'Antico Testamento tutte e tre queste vegioni sono designate oome Oriente, anche la lontanissima Persia (come ap­pare da lsaia, 41, 2, ove si allude al persiano Cino il Grande). Ma precisamente in Persia, a preferenza delle altre due regioni piu' pros­sime, ci conduce il termine magi che è originariamente persiano e strettamente legato alla persona e alla dottrina di Zarathushtra (Zo­roastro). Di Zarathush tra i magi furono originariamente discepoli; ad essi ave­va egli affidato la sua dottrina riformatrice delle popolazioni del­l'Iran, ed essi ne furono poi i custodi e i trasmettitori. La loro clas­se appare molto potente fin nei tempi più antichi, già all'epoca dei Medi e ancor più a quella degli Achemenidi: era un “mago” quel Gaumata (il “falso Smerdi”) che usurpò il trono achemenide nel 522 av. Cr. durante la campagna di Cambise in Egitto; ma, anche dopo l'uccisione di Gaumata, i magi si mantennero sempre potenti nell'Impero persiano e nei regimi successivi, fin verso il secolo VIII dopo Cr. Nel campo culturale essi si saranno anche occupati del corso degli astri come tutte le persone colte a quei tempi e in quelle regioni, ma astrologi e fattucchieri certamente non erano: ché anzi, come discepoli di Zarathushtra e fedeli trasmettitori dell'Avesta, es­si dovevano essere i naturali nemici delle dottrine astrologiche e mantiche dei Caldei, le quali sono recisamente condannate nell'Avesta.

§ 253. I Magi venuti a Gerusalemme avevano dunque visto una stella in Oriente, avevano compreso ch'era la stella del “re dei Giudei”, e perciò si erano messi in viaggio dall'Oriente per venire ad adorarlo. Riguardo alla stella abbiamo già espresso la nostra opinione secondo cui Matteo intende presentarla come un fatto miracoloso, da non po­tersi identificare con un fenomeno naturale (§ 174) poco appresso egli dirà che, usciti i Magi da Gerusalemme, la stella li precederà a guisa di fiaccola indicatrice della strada e si fermerà proprio sul posto dove stava il bambino ricercato (Matteo, 2, 9). Se del re Mi­tridate si narrava che alla sua nascita e all'inizio del suo regno era spuntata una cometa (Giustino, Hist., XXXVII, 2), e altrettanto si af­fermava di Augusto per l'inizio del suo impero (Servio, in Eneide, X, 272), nessuno però aveva mai detto che tali comete avessero indi­cato ad uomini un dato cammino passo passo, aspettandoli anche nelle soste, e poi rimovendosi, e infine fermandosi definitivamente sopra alla mèta. Stabilito pertanto questo carattere miracoloso, come si spiega che i Magi, veduta la stella, la riconoscono come quella del “re dei Giudei”? Che sapevano in precedenza essi, nella lontana Persia, di un re dei Giudei aspettato come salvatore in Palestina? Il riconoscimento della stella da parte dei Magi è, nella narrazione di Matteo, strettamente legato col carattere della stella: la miraco­losa stella miracolosamente si fa riconoscere da essi come segno del neonato. Ma riguardo alle predisposizioni culturali dei Magi, e alla loro possibile conoscenza dell'aspettativa messianica dei Giudei, sia­mo oggi informati da recenti studi meglio che per l'addietro, e pos­siamo affermare che in Persia si aspettava per tradizione interna una specie di salvatore e inoltre si sapeva che una analoga aspettativa esisteva in Palestina. Trattiamo di ciò in nota come di questione troppo lunga per discutersi qui, ma troppo importante per esser tra­lasciata. Matteo non dice quanti fossero i Magi venuti; la tradizione popo­lare tardiva li credette più o meno numerosi, da un minimo di due a un massimo di una dozzina, ma con preferenza del numero tre suggerito certamente dai tre doni ch'essi offrirono: di questi tre, già da prima del secolo IX, si seppero anche i nomi, Gaspare, Melchiore e Baldassare.

§ 254. Erano proprio stranieri quei Magi e non sapevano proprio nulla delle condizioni politiche di Gerusalemme, giacché appena en­trati si dànno a domandare: Dov'e' il nato re dei Giudei? Di re dei Giudei non c'era altri che Erode; bastava del resto conoscere un po­chino il carattere di costui (§ 9 segg.) per star sicuri che un suo eventuale competitore, appena si fosse mostrato, avrebbe avuto i giorni e anche le ore contate. Perciò, nell'interesse stesso del bam­bino ricercato, quella domanda era pericolosa nella sua ingenuità. I primi cittadini interpellati rimasero stupiti, e anche un po' turbati, perché una domanda di quel genere fatta da quegli ignoti personag­gi induceva a subodorare tenebrose congiure, le quali si sarebbero portate appresso i soliti sconvolgimenti civili e le stragi di gente so­spetta. Passando di bocca in bocca la domanda pervenne a gente della corte, e quindi anche ad Erode. Il vecchio monarca, che per sospetti di congiure aveva già ammaz­zato due figli e stava per ammazzarne un terzo, non poté non tur­barsene; ma capì subito che, se una minaccia c'era, era ben diversa dalle altre. La sua polizia segreta, egregiamente organizzata, lo te­neva informato dei minimi fatti che accadevano in città, e in quei giorni non era stato riferito assolutamente nulla d'inquietante; d'al­tra parte dalla lontana Persia non si dirigevano facilmente le fila d'una congiura, nè si sarebbero inviate sul posto persone cosi inesper­te e ingenue come quei Magi. No, qui doveva esserci sotto qualcosa d'altro genere, qualche ubbia religiosa, molto probabilmente la fisima di quel Re-Messia che i suoi sudditi aspettavano ma che egli non aspettava affatto. Ad ogni modo era bene premunirsi, dapprima informandosi chiaramente in proposito, eppoi giocando d'astuzia. Trattandosi di beghe religiose, Erode consultò non l'intero Sinedrio (§ 58) ma quei suoi due gruppi ch'erano più versati in simili faccen­de, cioè i sommi sacerdoti e gli Scribi del popolo (§§ 41, 50), e propose loro il quesito astratto e generico dove il Cristo (Messia) debba nascere. Egli cioè voleva sapere quale sarebbe stato, secondo le tradizioni giudaiche, il luogo di nascita del­l'aspettato Messia: saputo ciò, avrebbe provveduto egli a servirsi di quei semplicioni di Magi per fare i suoi propri conti col neonato re dei Giudei. I consultati risposero che il Messia doveva nascere a Beth-lehem, e citarono a prova il passo di Michea, 5, 1-2, che nel testo ebraico dice: E tu Beth-lehem Efrata, piccola pur essendo nelle ripartizio­ni di Giuda, da te per me uscirà (colui che) sarà dominatore tn Israele, le cui uscite (origini) dall'antichità, dai giorni eterni. Per­ciò (Dio) li consegnerà (in potere dei nemici), fino al tempo in cui la partoriente partorirà. Si noterà che questo passo non è riprodotto nè integralmente nè con queste precise parole dalla risposta dei dot­tori consultati, qual è riferita da Matteo (§ 252); ad ogni modo c'è l'essenziale, cioè la designazione di Beth-lehem come luogo d'origine del Messia, e in tal senso si esprime anche il Targum allo stesso passo. Questa designazione era dunque tradizionale nel giudaismo di quei tempi. Ottenuta questa risposta, Erode dovette rimanere perplesso. Beth­-lehem era un paesucolo qualunque, in cui la sua polizia segreta non gli segnalava assolutamente nulla di sospetto; tuttavia quel comples­so di stella, di sconosciuti Magi, e specialmente quell'appellativo di re dei Giudei, mentre da una parte stuzzicavano la sua curiosità, dall'altra disturbavano alquanto la sua tranquillità. Per soddisfare dunque alla prima e provvedere alla seconda, non rimaneva che ser­virsi degli stessi Magi, in maniera tale da non destare i sospetti nè di loro né di altri.
§ 255. Questo piano fu attuato. Erode fece chiamare i Magi di nascosto (Matteo, 2, 7), perché non voleva nè apparire troppo cre­dulo dando importanza a gente forse squilibrata, nè rinunciare alle sue misure di precauzione. Interrogatili quindi accuratamente sul tempo e modo dell'apparizione della stella, li lasciò andare a Beth-­lehem: cercassero bene il neonato, e appena trovatolo ne infor­massero lui, perché sarebbe venuto anch'egli laggiu' ad adorarlo. Mandare appresso a quei buffi orientali un manipolo di soldati con qualche ordine segreto sarebbe stato un provvedimento più sicuro, dispensando il vecchio monarca dall'aspettare la notizia che il bam­bino era stato trovato: ma lo avrebbe anche esposto alle beffe dei suoi sudditi, giacché in tutta Gerusalemme non si faceva che parlare di quella strana comitiva, pur prevedendosi con certezza che tutto sarebbe finito in una scena da ridere e che quegli orientali sarebbero risultati sognatori esaltati. Ad ogni modo essi, com'erano passati al­lora per Gerusalemme, così dovevano ripassarci al loro ritorno, e quindi Erode li avrebbe avuti sempre a sua disposizione. I Magi, dopo l'udienza reale, partirono. Ed ecco la stella, che videro nell'Oriente, li precedeva finché venendo stette sopra dov'era il bam­bino. Ora vedendo la stella, godettero di gaudio assai grande. E ve­nuti nella casa, videro il bambino con Maria la sua madre, e caduti l'adorarono: e aperti i loro forzieri, gli presentarono doni, oro, in­censo e mirra. E ricevuta rivelazione per sogno di non ritornare da Erode, per altra strada si ricondussero alla loro regione (Matteo, 2, 9-12). La narrazione è ristretta alle sole linee principali e astrae da tempo e da luogo. Se ne raccoglie tuttavia che i Magi passarono al­meno una notte a Beth-lehem, giacché vi ricevettero rivelazione per sogno, e non è escluso che vi rimanessero anche più d'un solo gior­no; Si raccoglie pure che la famiglia di Giuseppe, abbandonata la grotta, si era ricoverata in una casa (§ 249). Avviandosi per rendere omaggio a un “re”, i Magi avevano pre­parato donativi come esigeva l'etichetta orientale.
La reggia di Erode in Gerusalemme splendeva d'oro, e lungo i suoi ambulacri i bru­ciaprofumi esalavano vapori d'incenso e di resine odorifere. Altrettanto avveniva in quel suo suntuoso Herodium ove il suo fiero costruttore sarebbe stato sepolto fra pochi mesi e che si elevava a poca distanza da Beth-lehem (§ 12); forse più d'una volta i pastori di là, aggirandosi alle falde della sua collinetta, ne avevano intravisto i ri­flessi aurei delle sale ed erano stati raggiunti dalle folate di profumo che ne uscivano. Conforme al cerimoniale delle grandi corti i Magi offrirono oro, incenso e quella resina profumata che tutti i Semiti chiamavano mor, da cui il nostro nome di mirra. Erode stesso lar­gheggiava in donativi con altri monarchi, specialmente se più poten­ti di lui: ad esempio, proprio in quei giorni, egli nel suo testamento lasciava ad Augusto un legato di ben 1000 o anche 1500 talenti (Guerra giud., I, 646:11, 10; cfr. Antichità giud., XVII, 323), somma altissima anche per quei tempi, che però fu rifiutata signorilmente da Augusto. I Magi certamente non poterono essere munifici quanto Erode, ma in compenso ebbero la gioia di vedere accettati i loro doni e inoltre d'accorgersi ch'erano opportunissimi: se tutti e tre i doni riconoscevano la dignità regale del neonato, specialmente l'oro anivava come una provvidenza per restaurare le finanze di quella corte, la quale di suo non aveva né un tetto e forse neanche un mez­zo siclo, dopo averne lasciati cinque interi al Tempio di Gerusalem­me (§ 249). Compiuti gli omaggi, i viaggiatori dopo qualche tempo ripartirono alla volta del loro paese, ma non passarono per Gerusalemme e Ge­tico, bensì forse per l'altra strada che toccando la fortezza erodiana di Masada costeggiava la spiaggia occidentale del Mar Morto. E di loro non si seppe più nulla.