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Gesù a pranzo da un fariseo. Invettive e ammonizioni

§ 447. Evidentemente il dissidio tra i Farisei e Gesù diventava sem­pre più grave e profondo. I primi non perdonavano a Gesù la sua indipendenza dal formalismo legale, la quale egli in mille occasioni proclamava con le parole e dimostrava con i miracoli. Gesù, dal canto suo, non cessava dal redarguire con le parole più severe la vacuità spirituale ricoperta dal formalismo farisaico, l'ostinazione pervicace di quegli uomini della Legge e la loro orgogliosa tracotan­za: egli inoltre mostrava di aver sentito intimamente l'ingiuria da es­si rivoltagli, allorché lo avevano designato come amico e ministro di Beelzebul. Tuttavia, poco dopo i fatti precedenti, un Fariseo invitò Gesù a pran­zo: non sappiamo se facesse ciò mosso da una certa simpatia per il discusso Rabbi oppure dal desiderio d'implicarlo in questioni insi­diose, ad ogni modo nessuno più di un Fariseo era abile nel salvare le apparenze e nel distingnere la teoria dalla pratica. Gesù accettò l'invito, ed entrato nella camera da pranzo si adagiò senz'altro sul suo divano in attesa delle vivande. Questa maniera di comportarsi era una mancanza farisaicamente assai grave: Gesù veniva dalla strada e dal contatto con la folla, e osava prender cibo senza prima aver praticato le accurate lavande di pre­scrizione? Il Fariseo ospitante ne rimase disgustato; in cuor suo egli pensò che il suo ospite, invece d'un autorevole rabbi, non era che uno di quei “tangheri” a cui Giuda il Santo non avrebbe dato un tozzo di pane neppure se l'avesse visto morir di fame (§ 40): e invece il Fariseo ospitante aveva commesso la dabbenaggine d'in­vitarlo a pranzo. I sentimenti interni del Fariseo gli si leggevano sul viso: Gesù li lesse, e ne segui una serrata disputa. Disse Gesù: Voi dunque, Farisei, mondate l'esterno della coppa e del piatto, ma il Vostro interno e' ripieno di rapina e malvagità! Stol­ti! Forseché chi fece l'esterno non fece anche l'interno? Piuttosto date in elemosina le cose contenute (in quei recipienti), ed ecco che tutto diventerà per voi puro! - Ma guai a voi, Farisei, perché pagate la decima della menta e della ruta e d'ogni legume, e trasgredite l'(equità nel) giudizio e l'amore di Dio! Invece, queste cose bisognava fare e quelle non tralasciare. - Guai a voi, Farisei, perché amate il primo seggio nelle sinagoghe (§ 63) e i saluti nelle piazze! - Guai a voi, perché siete come i sepolcri invisibili, e gli uo­mini che (ci) camminano sopra non (li) sanno! E’ ben lecito supporre che, alle prime note di questa musica, il pranzo finisse li' e che le in­vettive sostituissero le vivande.
Il Fariseo ospitante e i suoi soci di “colleganza” (§ 39) avranno risposto come meglio potevano; ma as­sistevano a quel pranzo anche taluni maestri di Legge (§ 41), i quali si sentirono chiamati in causa almeno implicitamente, tanto che uno di essi replicò risentito: Maestro, dicendo ciò insulti anche noi! Ma anche egli e i suoi colleghi ebbero la loro parte, giacché l'indomabile Rabbi riprese: E anche a voi legisti, guai! Perché caricate gli uomi­ni di carichi mal sopportabili, e voi con un solo dei vostri diti non toccate quei carichi! - Guai a voi, perché costruite i sepolcri dei profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi! Dunque siete testimoni e consentite alle opere dei vostri padri, perché essi li hanno uccisi e voi costruite. .. Guai a voi, legisti, perché toglieste la chiave della scienza, (ma) voi non entraste ed impediste coloro ch'entravano! (Luca, lì, 39-52).

§ 448. In queste invettive Gesù ha di mira la pratica e non la teo­ria, la generalità e non i singoli. In teoria i rabbini, almeno dopo l'Era Volgare, insegnarono più d'una volta che la dottrina doveva esser congiunta con l'esempio personale, e che era cosa riprovevole esser più severo con gli altri che con se stesso ; quanto alla pratica, lo storico prudente non ha che da rimettersi al giudizio degli stessi in­teressati, cioè al riportato passo del Talmud che descrive i sette tipi diversi di Farisei (§ 38). Non tutti e singoli i Farisei e gli Scribi meri­tavano queste invettive, senza dubbio; ma Gesù s'indirizza, non ai singoli, ma alla generalità, e questa le meritava senza dubbio. Se poi Gesù rinfaccia loro di costruire i sepolcri ai profeti, non è per rim­proverarli dell'opera in sé pia: è piuttosto perché la pietà si limitava all'opera materiale, mentre spiritualmente quei che costruivano sepolcri ai profeti continuavano con la loro condotta morale l'opera dei padri loro che avevano ucciso gli stessi profeti: i figli, mentre confessavano d'aver nelle loro vene il sangue dei padri, mostravano con i fatti di averne ereditato anche lo spirito (cfr. Matteo, 23, 29 segg.). In particolare i legisti e gli Scribi si erano arrogati il mono­polio della Legge mosaica, e di questa torre d'avorio pretendevano di possedere essi soli la chiave: ma era una chiave monca e ruggi­nosa, che poteva aprire a mala pena gli accessi esterni di quella tor­re i quali si chiamavano “lettera morta”, mentre né ai possessori della chiave né ad altri essa permetteva d'inoltrarsi fino ai penetrali interni i quali si chiamavano “carità viva”. Il risultato di quel battagliero pranzo fu quale ci potevamo facilmen­te attendere. Uscito egli (Gesù) di là, gli Scribi e i Farisei comincia­rono ad essere terribilmente indignati (contro di lui) e ad assillano di questioni su molti punti, tra­mandogli insidie per cogliere alcunché dalla sua bocca. L'antica lot­ta, dunque, diveniva sempre più serrata, e tutto lasciava prevedere una conclusione prossima.

§ 449. Da quanto era avvenuto Gesù trasse argomento per impartire avvisi ai suoi seguaci. La folla, in questa congiuntura di tempo, si era moltiplicata al punto da esserne in pericolo l'incolumità perso­nale degli accorsi (Luca, 12, 1): e qui Luca fa pronunziare a Gesù un discorso i cui elementi si ritrovano quasi tutti in Matteo ma spar­pagliati. - Si guardino i suoi discepoli dal fermento dei Farisei, ch'è ipocrisia (§ 393). Nessun discepolo è dappiù del proprio maestro; se dunque Gesù è stato chiamato Beelzebul (§ 444), i suoi discepoli non dovranno aspettarsi un trattamento migliore (Matteo, 10, 25). Essi tuttavia parlino con tutta apertura e franchezza: non v'è nulla di occulto che non debba esser rivelato, e ciò ch'essi hanno udito in se­greto lo palesino dall'alto dei tetti. Non temano essi di coloro che possono soltanto uccidere il corpo ma non l'anima; temano invece di colui che può mandare in rovina corpo e anima nella Geenna.
Non si preoccupino della propria esistenza, ma si affidino alle predi­sposizioni del Padre celeste che sorveglia su ogni cosa; i passeri dei campi valgono un'inezia, perché se ne comprano cinque per due assi (13 centesimi), eppure nessuna di quelle bestiole è dimenticata da Dio: stiano dunque tranquilli i discepoli perché essi valgono assai più di molti passeri messi insieme, e perché tutti i capelli delle loro teste sono contati. Chiunque pertanto confesserà davanti agli uomini il figlio dell'uomo, costui lo confesserà davanti al Padre celeste e agli angeli di Dio, ma chiunque lo rinnegherà sarà da lui rinnegato. Nè si preoccupino i discepoli della propria difesa oratoria quando sa­ranno citati al giudizio delle sinagoghe e dei vari tribunali, perché lo Spirito santo insegnerà loro in quel momento ciò che dovranno dire per difendersi. Anche in quest'ultima norma Gesù si mostra capovolgitore (§ 318). Preoccupazioni di difesa oratoria non aveva avute neppure Socrate, quando si presentò al tribunale per uscirne condannato a morte: Le cose infatti stanno così. Io adesso per la prima volta sono salito in tribunale, all'età di settanta anni; sono quindi imperito e straniero al parlare di qui (Apologia di Socrate, 1). Il filosofo ateniese parlò con sincerità perfetta, con franchezza assoluta; rna il suo discorso -almeno nella forma pervenutaci - è disposto secondo tutte le norme classiche dell'oratoria forense, con esordio, proporzione, confutazione delle accuse, perorazione e controproposta di pena. Né egli parlò in virtù di altri, ma in virtù sua propria; parlò egli Socrate, non già il suo abituale (§ 194).
Quel suo arcano genio ispiratore, mentre in altre occasioni gli si era opposto internamente affinché non operasse alcunché di inopportuno, in quella mattina del giudizio non intervenne in nessuna maniera: A me infatti, o uomini giudici, - e chiamandovi giudici intendo chiamarvi esattamente - e' accaduto alcunché di meraviglioso. Infatti l'ispirazione a me abituale era sempre assai frequente in tutto il tempo passato e si opponeva anche in cose assai minute, se io fossi stato per operare a­cunché non rettamente. Adesso invece... il segno del Dio non mi si oppose né all'uscire stamane di casa, nè quando salivo qui in tribu­nale, nè in alcun punto del discorso quando stavo per dire alcunchè; eppure in altri discorsi mi trattenne a mezzo in molti punti mentre parlavo: adesso invece non mi si e' opposto giammai in tutto ciò che ho fatto o detto in questo negozio (Apologia, 31). Nei seguaci di Ge­sù avverrà un fenomeno ben più importante di quello di Socrate. In essi lo Spirito non agirà solo negativamente, come il socra­tico che impediva il non retto ma non suggeriva il retto; invece lo Spirito stesso suggerirà le parole di difesa e porrà un'efficace apolo­gia in bocca ai calunniati. I quali perciò potranno e dovranno tra­scurare l'oratoria forense.

Questioni finanziarie. La suprema aspettativa

§ 450. Un giorno, durante questo vago peregrinare di Gesù, un tale si presentò a lui pregandolo che interponesse la sua autorità in una questione finanziaria: Maestro, dì a mio fratello di spartire con me l'eredità (Luca, 12, 13). Assai imprudentemente siffatto invito era n­volto a colui che nel Discorso della montagna aveva contrapposto nettamente Dio e Mammona (§ 331); la risposta adeguata non po­teva essere che una esortazione di lasciare l'intero Mammona a chi lo deteneva e di passar totalmente alla parte di Dio. Gesù invece dette una risposta inadeguata, non entrando neppure nell'argomento dell'invito: O uomo, chi mi costituì giudice o spartitore a vostro ri­guardo? Si direbbe quasi che il denaro per se stesso faccia ribrezzo a Gesù, e che egli tema imbrattarsi le mani anche maneggiandolo in servizio. Non vuoi saperne nulla. All'invito respinto seguirono considerazioni sulla fallacia dei beni materiali, illustrate da una parabola. C'era un uomo ricco, a cui un annata i campi fruttarono in misura abbondantissima. Su tutto quel raccolto egli si concentrò col pensiero, cercando modo di allo­garlo e conservarlo per bene. E cominciò a dire: Butterò giù i miei granai e ne costruirò di maggiori, e là disporrò convenientemente questa gran raccolta! - Tutto contento per questa sistemazione, passò a rallegrarsi con se stesso: Allegro, che hai l'abbondanza assicurata per molti anni! Sta' tranquillo, mangia, bevi e divertiti! - Ma ecco che improvvisamente interviene come nuovo attore di scena Dio stesso, il quale dice a quel ricco beato: Stolto, questa notte tu dovrai morire, e tutti quei tuoi beni di chi saranno? - Tale è la sorte, concluse Gesù, di chi tesoreggia per se stesso, e non e' ricco in Dio. Soggiunse poi, riannodandosi ai concetti del Discorso della montagna: Non temere, o piccolo gregge! Poiché si compiacque il vostro Padre di dare a voi il regno. Vendete le vostre sostanze e date elemosina; fatevi borse che non s'invecchiano, tesoro non manchevole nei cieli!... (§ 330) (Luca, 12, 32-33).
E’ comunismo tutto ciò? E’ assai più che comunismo, perché è altruismo della carità; è precisamente quell'altruismo totale ed asso­luto, che per un principio sovrumano provvede materialmente agli altri fino a trascurare se stesso: vendete le vostre sostanze e date ele­mosina. D'altra parte il comunismo odierno, nella sua intima essen­za, non ha neppur l'ombra della dottrina di Gesù, perché non cono­sce affatto le borse che non s'invecchiano e il tesoro non manchevole nei cieli: gli manca cioè la suprema aspettativa.

§ 451. Su questa aspettativa infatti tornò di lì a poco Gesù, come sulla più profonda base di tutti i suoi insegnamenti. Perché rinunzia­re alle ricchezze? Perché confidare solo nel tesoro dei cieli? Perché considerare tutto il mondo presente come un'ombra fugace? A que­ste domande rispose Gesù ammonendo: Siano i vostri fianchi recinti e le lucerne accese (tale era la tenuta notturna dei famigli pronti a servire), e voi (siate) simili ad uomini: aspettanti il loro signore quando torni dalle nozze, affinché venuto che sia e bussato che abbia subito gli aprano. Il padrone era partito avvertendo la servitù che sarebbe andato ad una festa di nozze, e perciò il suo ritorno non poteva essere che a notte assai inoltrata (§ 281); ma i premurosi servi vogliono ch'egli non attenda alla porta neppure un istante, ed essi passano le ore notturne vegliando con i fianchi recinti e le lucerne accese e con l'orecchio teso all'arrivo di lui. Beati quei servi che il signore venuto troverà veglianti! Commos­so da tanta cura, quel buon padrone si cingerà egli stesso i fianchi, li farà adagiare a mensa e li servirà: egli infatti ha già cenato alle noz­ze, ma quei bravi servi non hanno avuto tempo di prepararsi un po' di cibo per l'ansia di tenersi pronti mentre passavano in sollecita attesa la seconda e la terza vigilia della notte (§ 376). Nella stessa guisa un solerte padrone di casa fa sorvegliare tutta la notte, perché non sa in quale ora il ladro possa venire a scassinare la casa: volen­do il padrone esser sicuro, diffida di qualunque ora e durante l'intera notte mantiene la sorveglianza. Onde Gesù concluse: Anche voi siate preparati, perché in quell'ora che non credete il figlio dell'uomo viene. Qual è questa “venuta” del figlio dell'uomo?

E’ quella che mostrerà palesemente il risultato perenne e immutabile degli insegnamenti di Gesù. Aveva egli parlato della rinunzia alle ricchezze, contrapponen­do ad esse il tesoro nei cieli. Ma perché rinunziare alle ricchezze? Perché considerare il mondo presente come un'ombra fugace? Ap­punto perché si effettuerà questa “venuta” del figlio dell'uomo; la quale dissiperà l'ombra fugace e disvelerà la realtà perenne, farà sfumare le ricchezze terrene accumulate e distribuirà l'invisibile te­soro celeste, adempirà le speranze di coloro che hanno sperato in quella “venuta” e fisserà in eterno la loro sorte beata. Beati quei servi che il signore venuto troverà veglianti!.

§ 452. Pietro domandò spiegazioni a Gesù: Signore, a noi dici que­sta parabola, o anche a tutti? Egli era rimasto colpito dell'annunzio che il padrone dei premurosi servi si metterà egli stesso a servire i servi per premiarli della loro premura, e voleva sapere se questa era la sorte di alcuni privilegiati soltanto, ovvero di tutti. Gesù rispose introducendo un elemento nuovo, cioè i servi eventualmente trascu­rati e infingardi, e stabilendo una graduazione fra i doveri e le re­sponsabilità dei servi in genere. C'è un servo zelante ch'è stato desti­nato, durante l'assenza del padrone, a dispensare i viveri agli altri servi; se egli eseguirà fedelmente questa incombenza, il padrone al suo ritorno lo premierà eleggendolo amministratore di tutti i suoi averi. Se invece quel dispensiere, approfittando della prolungata as­senza del padrone, si darà a spadroneggiare egli stesso, a battere gar­zoni e ancelle, e a far orge ed ubriacarsi, il padrone al suo improv­viso ritorno lo punirà di castigo severissimo, mentre con castighi mi­nori punirà anche gli altri servi che abbiano mancato in misure mi­nori; rimane infatti il principio generico che a chiunque fu dato molto, molto sarà ricercato a lui; e a chi fu affidato molto, maggior­mente si domanderà a lui (Luca, 12, 35-48). Dunque, la « venuta » del figlio dell'uomo apporterà come elemento comune a tutti la stabilità immutabile della propria sorte, ma in questo elemento comune vi saranno differenze e graduazioni; soprat­tutto, poi, il tempo preciso della “venuta” è ignoto.

[SM=g27998] Il segno di contraddizione. Urgenza del cambiamento di mente

§ 453. Insegnamenti di questo genere rovesciano la stratificazione dei pensieri umani. Non erano le elucubrazioni dei casuisti Parisei sull'uovo fatto dalla gallina di sabbato (§ 251) e sulle sciacquature di mani e di stoviglie prima di mangiare: era un incendio che metteva tutto a soqquadro in quel mondo concettuale giudaico, e che più tardi propagherà le sue fiamme anche in altri mondi. Lo riconobbe Gesù stesso, proclamando dopo le precedenti dichiarazioni: Un fuoco venni a gettare sulla terra, e che voglio se e' già acceso? Se è un fuoco, sarà una prova attraverso cui passeran­no i seguaci di Gesù. Vi passerà anzi, per primo, Gesù stesso: Ma d'un battesimo ho da esser battezzato, e come sono angustiato fino a che sia compiuto! Il metaforico battesimo di Gesù segnerà il divam­pare palese del fuoco; ma battesimo e fuoco sono ambedue una prova, il primo per Gesù, l'altro per tutta la terra.
La prova della terra apporterà su essa, non già pace e concordia, ma guerra e discordia. Continua infatti Gesù descrivendo gli effetti della sua dottrina sulla terra: avverranno scissioni e lotte in una famiglia di cinque persone, e tre si schiereranno contro due, e due contro tre; il padre si metterà contro il figlio e viceversa, la madre contro la figlia e viceversa, la suocera contro la nuora e viceversa. Prima, tutti erano d'accordo; ma penetrato che sia in quelle cinque persone il messaggio di Gesù, è penetrata fra esse la discordia, perché alcuni lo benedicono e altri lo maledicono (Luca, 12, 49-53). Già il vecchio del Tempio, più di trenta anni prima, aveva contemplato Gesù quale segno contraddetto (§ 250): la persona di Gesù e la sua dottrina saranno il segno di contraddizione per tutto il genere umano. Anche qui lo storico odierno può facilmente riscontrare se queste idee espres­se venti secoli fa abbiano reale riscontro nei fatti storici di allora e dei secoli seguenti fino ad oggi. Intanto Farisei e Sadducei, mescolati con le turbe, seguivano passo passo Gesù mirando al loro scopo di raccogliere prove contro di lui.
Gesù ne trasse occasione per rivolgere esortazioni in comune ad essi ed alle turbe. I giorni passano, gli eventi precipitano, e costoro invece di provvedere ai loro supremi interessi si arrovellano per ostaco­lare il regno di Dio. Ma non vedono essi ciò che accade attorno a loro? Non riconoscono i segni dei nuovi tempi morali? I segni dei tempi materiali essi sanno ben riconoscere quando di sera scorgono una nuvola che viene su da ponente, dicono subito che verrà la piog­gia; quando invece soffia vento da mezzogiorno, dicono che farà caldo; così infatti avviene. E dai segni morali manifestatisi da Gio­vanni il Battista in poi non scorgono essi, ipocriti, che è venuto il tempo di rinnovamento spirituale e di « cambiamento di mente » (§ 266)? Il vecchiume sarà inesorabilmente abolito; e vi sono ancora dei ciechi che non scorgono la novità che si attua, e pretendono ri manere attaccati al vecchiume? Aprano gli occhi, vedano, e giudichino essi stessi ciò ch'è necessario prima che sia troppo tardi (Luca, 12, 54-57).

§ 454. Un paio di fatti di cronaca offrirono di lì a poco occasione per tornare sullo stesso argomento. A Gesù, galileo, fu riferita in quei giorni la strage che il procuratore romano Pilato aveva fatta di cer­ti Galilei mentre offrivano sacrifizi nel Tempio (§ 26). Gesù allora, riferendosi alla vecchia opinione ebraica secondo cui il male materiale era sempre punizione di un male morale (§ 428), rispose: E cre­dete voi forse che quei Galilei rimasti uccisi fossero peccatori più di tutti gli altri Galilei, essendo capitata loro questa sorte? Tutt'altro; vi dico infatti che se non « cambierete di mente », tutti nella stessa guisa perirete. Col fatto recentissimo ne ricollegò poi Gesù un altro, avvenuto poco prima egualmente a Gerusalemme; ivi nel quartiere del Sibe (§ 428), cioè alla periferia dell'abitato, era crollata improv­visamente una torre che faceva parte del sistema difensivo della città, del quale scavi recenti hanno rimesso in luce varie tracce: crol­lando, la torre aveva travolto ed ucciso diciotto persone. Ebbene - soggiunse Gesù - credete voi che quei diciotto infelici fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti? Tutt'altro; vi dico infatti che se non abbiate “cambiato di mente”, tutti egualmente perirete (Lu­ca, 13, 1-5). Qual è la fine qui minacciata agli impenitenti.

Si osservi come am­bedue i fatti citati quali esempi contengano una fine violenta, perché le vittime di Pilato muoiono di spada e le vittime della torre muoio­no schiacciate: erano le morti ordinarie nelle guerre e negli assedi di allora, e basta leggere la Guerra giudaica di Flavio Giuseppe per tro­vare ad ogni pagina morti di spada o di schiacciamento (oltreché di fame) durante tutto l'assedio di Gerusalemme. Qui dunque si minac­cia una fine tra violenze abitualmente guerresche, alle quali invece non era stato fatto alcun cenno nelle precedenti parabole dei servi che aspettano la venuta del padrone. Là infatti si trattava di un fatto assolutamente inevitabile, sebbene da attuarsi in un tempo ignoto, cioè della “venuta” del figlio dell'uomo il quale fisserà a ciascuno la propria sorte; qui invece la fine violenta è senz'altro evitabile, ba­stando a tale scopo ricorrere al “cambiamento di mente”. Le parole di Gesù sono nettissime nel loro dilemma O non cambierete di mente, e allora tutti perirete come nei due esempi; oppure cambie­rete di mente, e allora vi sottrarrete alla fine violenta degli esempi. Senza alcun dubbio il “cambiamento di mente” rappresenta qui lo scopo della missione di Gesù; questa missione è presentata come un'ultima dilazione offerta da Dio al prediletto popolo giudaico affinché si converta; in caso negativo, le minacce si eseguiranno. Tutto ciò è chiaramente confermato nella breve parabola soggiunta subito da Gesù. C'era un uomo il quale aveva nella sua vigna un albero di fichi che non faceva frutto. Disse pertanto al vignaiuolo: Son già tre anni che vengo a cercar frutti da quest'albero e non ne trovo; perciò taglialo via, giacché non dà frutto e isterilisce anche il terreno attorno! Ma il vignaiuolo intercedette: Padrone, lascialo stare ancora quest'anno. Io zapperò torno torno alle radici, ci met­terò letame, e poi vedremo: se darà frutto, bene; altrimenti, dopo quest'ultima prova, lo taglierai via! (Luca, 13, 643).
Il simbolismo è trasparente. Già rilevammo che i tre anni di sterilità dell'albero sembrano alludere alla durata della vita pubblica di Ge­sù (§ 178), della quale allora correva appunto il terzo anno; ma checché sia di ciò, è chiaro che l'albero rappresenta il giudaismo, il padrone della vigna Dio, il vignaiuolo Gesù stesso. Ritorna quindi la minaccia di prima: in quest'ultima dilazione concessa all'albero, o esso darà frutti, ovvero finirà sotto i colpi d'accetta.