00 07/09/2012 22:04
CAPITOLO IV

MARIA E I VANGELI DELL'INFANZIA


Sommario:
- Un problema difficile.
- Ipotesi d'una scelta fra Matteo e Luca.
- Ricordi di Giuseppe. La consegna di Maria.
- Da dove vengono i «ricordi» di Giuseppe.
- Le «memorie» di Maria. Cenni preliminari.
- La saggezza di Maria.
- Maria e S. Matteo Maria e il Vangelo di S. Luca.
- Importanza per la psicologia e la storia mariana dei due primi capitoli di S. Luca.

***

Un problema difficile . - Siamo pervenuti finora a due conclusioni importanti: a sapere che l'umiltà profondissima di Maria aveva fatto escludere dal Vangelo orale primitivo i racconti riguardanti l'infanzia e la nascita verginale di Gesù e che nella preparazione lontana del più preciso e mistico Vangelo Maria ha assolto un compito che pare sia stato preponderante.
Anche se nelle nostre deduzioni le congetture hanno avuto larga parte, tuttavia crediamo che esista un legame sufficientemente logico fra ciò che sappiamo degli ultimi anni terreni di Maria e l'altra missione che ammettiamo le sia stata affidata da Gesù morente. Nulla si oppone che le cose si siano svolte come le abbiamo supposte e le leggi più elementari della psicologia ci autorizzano a pensare che realmente dovettero essere così.
Ora affrontiamo una questione più difficile e delicata: quale influenza ha esercitato la Madonna sulla redazione dei racconti dell'infanzia come si leggono in S. Matteo e in S. Luca. Sorvolando finora sulla questione abbiamo solo constatato che Matteo ha riprodotto i ricordi di S. Giuseppe e Luca le memorie di Maria. Un attento esame dei due testi ci dimostra che in S. Matteo vi sono cose che solo Giuseppe ha potuto dire, come le angosce precedenti al suo matrimonio colla Vergine, i diversi sogni nei quali riceveva ordini da Dio, mentre in S. Luca vi sono segreti tutti proprii della Madonna, come le parole dell'Arcangelo al momento dell'Annunciazione, la visita ad Ain Karin, il testo del Magnificat, ecc.
C'è qualche ombra nella spiegazione di questi due fatti e innanzi tutto, come ha potuto San Giuseppe trasmettere i suoi ricordi a S. Matteo dato che egli era morto parecchi anni prima che Matteo divenisse apostolo di Cristo e logicamente molto tempo prima che prendesse la penna come evangelista? E come mai i ricordi di Giuseppe erano sconosciuti a S. Luca o, se li conosceva, perché li ha passati sotto silenzio? E infine, in qual modo S. Luca conosceva le memorie di Maria e perché S. Matteo non ne sapeva nulla oppure sapendole non ne ha fatto uso?
Sono problemi che si suddividono in vari altri ed occorre un certo coraggio nel tentare di far luce su problemi quasi impenetrabili e ci si perdonerà se noi inciamperemo in questa nostra impresa ardita ma insieme rispettosa.
Sgombriamo le ipotesi incerte e improbabili.

Ipotesi d'una scelta, fatta da S. Matteo e S. Luca.
- Ci sembra tanto inverosimile che S. Matteo abbia potuto trascurare le memorie di Maria se egli le conosceva, come è inammissibile che San Luca abbia deliberatamente scartato i fatti resi da Matteo se il Vangelo di quest'ultimo era già in circolazione quando Luca redigeva il suo.
In altri termini: non si può immaginare che Matteo e Luca abbiano fatto, ciascuno per proprio conto, una scelta arbitraria sulla base comune di racconti conosciuti dalla prima generazione cristiana per finire di darci due testi divergenti in modo da non incontrarsi che su pochi punti ma nello stesso tempo abbastanza concordi sull'essenziale da poter innestarsi l'uno nell'altro con relativa facilità.
Sarebbe inutile parlare di libertà di composizione. L'evangelista non è un autore comune. Non scrive per il piacere di scrivere. Lo Spirito Santo lo guida nel suo compito, egli è mosso dal fine principale di manifestare le alte verità per il profitto della Chiesa e mira ad essere il più completo possibile perché in una storia divina anche i minimi dettagli hanno un loro grande valore. S. Luca proclama in termini precisi d'essersi applicato «a conoscere tutto esattamente ». frase che riassume mirabilmente lo spirito fondamentale dell'evangelista. Nessun dubbio che Marco e Matteo non abbiano avuto il medesimo desiderio di essere completi oltre che scrupolosamente esatti. Dirà alcuno, con certi critici, che Matteo si proponeva lo scopo determinato di mostrare l'avverarsi delle profezie nella nascita di Gesù e che scrivendo per i giudei, agli occhi dei quali contava solo il capo, legame della famiglia, egli si era limitato a ripetere i racconti di Giuseppe? E si aggiungerà forse che Luca, scrivendo per i pagani, non si era tenuto agli stessi limiti e che si fosse invece preso il compito di completare i ricordi di Giuseppe con le memoria di Maria? Ma nessuna delle due asserzioni spiega in qualche modo il problema che ci occupa.
Prendiamo il testo di S. Matteo ricco di reminiscenze bibliche, rivela chiaramente la sua intenzione di convincere i giudei, suoi lettori immediati, sul carattere messianico di Gesù. Certo la sua dimostrazione sarebbe stata più concreta se avesse attinto al tesoro dei ricordi della Madonna. Per esempio non era il caso di accennare all'annunciazione ed alla nascita del precursore? Si era guardato al Battista come un grande Profeta e si continuava ad onorarlo come tale, secondo i passi che gli consacra lo storico Giuseppe. Era dunque nel piano previsto da Matteo di parlarci delle sue origini sacerdotali, delle meraviglie riguardanti la sua nascita e delle profezie realizzate in Lui. forse che la presentazione al Tempio con le belle parole del vecchio Simeone fossero senza interesse per lui, per i lettori? Impossibile che Matteo non le conoscesse e non ne abbia tenuto conto: piuttosto sembra ormai asso dato ch'egli conobbe solo i ricordi di Giuseppe e noi ci domandiamo per quale mezzo tali confidenze sono giunte fino a lui.
Le chiamiamo «confidenze» perché uniamo S. Luca nel medesimo ragionamento: è ancor più sorprendente che Luca scrivendo dopo Matteo abbia rivelato le memorie della Vergine e non accenni ai ricordi di S. Giuseppe. In realtà tutto avviene come se un personaggio misterioso, in possesso di tutti i segreti, li avesse distribuiti seguendo una legge oscura, conosciuta da lui solo e seguendo un sistema che secondo una espressione familiare si direbbe: «da contagocce». Chi sarebbe questo personaggio? Sono parecchi o uno solo? Perché non possiamo noi ammettere che S. Luca abbia volontariamente e sistematicamente omesso quanto conteneva il racconto di S. Matteo, ché egli non scriveva, come farà Giovanni, più tardi, un Vangelo «completamente»?
Abbiamo visto ch'egli dichiara di essersi «applicato a conoscere tutto»: segue che egli voleva dire tutto ciò che sapeva. E non ci fu neppure tale intervallo fra il suo Vangelo e quello di Matteo da supporre ch'egli ritenesse inutile ripetersi, anche perché se era lontano dal riprodurre quanto avevano detto bene gli altri prima di lui, non si sarebbe servito con costanza e fedeltà del Vangelo di Marco.
Il silenzio di Luca circa il testo di Matteo non avrebbe avuto il medesimo significato del silenzio di Giovanni in rapporto ai racconti di chi lo precedette. Giovanni scriveva a distanza di quarant'anni dai primi e non avanzò mai l'idea di raccontar tutto. Egli non fece che colmar le lacune dei suoi predecessori rettificandoli, con discrezione, qua e là e ciò che Giovanni sorpassa nei testi dei Sinottici viene a godere, per lo stesso fatto del silenzio, della sua imponente autorità di testimnio attento e meravigliosamente informato. Per S. Luca, invece, niente di simile. Egli riprende dalla base tutti i racconti precedenti; annuncia il suo programma di non omettere nulla, ma di tutto «scrivere con ordine».
In queste condizioni il solo fatto di passar sotto silenzio le informazioni di S. Matteo concernenti l'infanzia di Gesù, equivaleva ad una specie di smentita. Ma se Luca non ha saputo niente di ciò che Matteo aveva scritto, se è ormai positivo per i lettori dei due evangelisti ch'essi abbiano scritto alla medesima epoca ma in luoghi lontani uno dall'altro - Luca senza dubbio a Roma dove era apparso il racconto di Marco e Matteo probabilmente a Gerusalemme - allora le loro divergenze riunite in un racconto essenziale offrono l'argomento più persuasivo in favore della veridicità di ciascuno di essi (30).
Teniamo per cosa sicura che né Matteo ha conosciuto le «Memorie di Maria» né Luca, ha avuto fra mano il testo che riportava i «Ricordi» di Giuseppe.
Non si trattava in fondo di documenti accessibili a tutti, ma piuttosto di fonti confidenziali. L'utilizzazione di tali sorgenti pare sia stata regolata da una volontà ferma alla quale nessuno certo pensava di poter disubbidire.

La consegna di Maria. - La precedente conclusione è singolarmente interessante per noi. Le pagine di questo studio non hanno avuto finora che il risultato di prepararci ad ammettere l'esistenza di una consegna - passateci il termine d'uso militare in mancanza di meglio - imposta da Maria, al principio dell'evangelizzazione, ai primi redattori del Vangelo orale. Per effetto di tale consegna non si doveva parlare della vita nascosta di Gesù né di quanto precedeva la predicazione di Giovanni e il Battesimo di Gesù al Giordano. Ammessa la necessità di questo primo punto, nasce la necessità di dimostrare tre asserzioni.
1. «I Ricordi» di Giuseppe non poterono essere trasmessi che dalla Madonna.
2. «Le Memorie di Maria» emanarono certamente da Lei e da Lei sola.
3. Allargando, secondo un piano provvidenziale, i rigori della primitiva consegna precedente giustifica con larghezza il carattere più o meno «confidenziale» delle comunicazioni di Maria all'uno e all'altro.
È chiaro che se riusciremo a convalidare con probabilità notevoli le tre considerazioni il nostro punto di partenza ne uscirà fortificato. Esiste una regola nella storia secondo la quale il valore di una ipotesi è proporzionale al numero delle ombre ch'essa rischiara ed all'aiuto ch'essa porta per spiegarla.

Da dove vengono ricordi di Giuseppe. - A proposito di questi ricordi un eminente critico inglese, Plummer, ha avanzato l'idea che essi siano stati trasmessi dall'Apostolo Giacomo, cugino di Gesù. Ma non possiamo dargli credito per varie difficoltà evidenti e considerevoli. Per esempio: potremo domandare come mai Giacomo in possesso del meraviglioso segreto per via di confidenza dello zio S. Giuseppe, abbia lasciato a Pietro la cura di proclamare in seno al collegio apostolico la grandezza biblica e divina di Gesù Cristo. Se Giacomo era davvero informato perché non usò della sua influenza sui suoi fratelli e sorelle per avvicinarli a Gesù quando ne erano lontani al punto da far dire: I suoi fratelli non credevano in Lui?
Ma sull'ipotesi di Plummer c'è da fare un'altra obiezione più grave. La confidenza familiare di Giuseppe costituirebbe un'indiscrezione imperdonabile per il padre putativo e una prova di diffidenza ingiustificata verso Gesù e Maria, i due personaggi più sublimi e più rispettati da lui, rimasti in terra dopo la sua morte a propagare, se lo volevano e come loro piaceva, la conoscenza degli ineffabili misteri di cui erano depositari con lui.
E' un'ipotesi quella di Plummer che si può ammettere solo dietro a prove irrefutabili, perché contraria ad ogni verosimiglianza e, diciamo pure, a tutte le convenienze.
S. Giuseppe, morendo, non aveva motivo di preoccuparsi per la diffusione del segreto messianico. Gesù aveva scelto di vivere nascosto per un periodo di trent'anni e Giuseppe era stato testimonio con la Madonna dei suoi costanti progressi nella «Sapienza». Tutto ci fa credere che anche egli sia stato iniziato all'interpretazione esatta del messianismo che ormai solo rarissimi in Israele comprendevano ancora (31).
Non aveva ragione di preoccuparsi del resto, degli avvenimenti, né poteva fare a Gesù e a Maria questa offesa di rivelare ad una terza persona, sia pure in stretta parentela e uomo di provata fiducia, i tanti misteri a cui la Provvidenza l'aveva associato. -Questa ragione decisiva non vale solamente per Giacomo. Vale per qualunque altro intermediario fra Giuseppe e Matteo i quali non hanno potuto conoscersi direttamente. Non è perciò possibile che i «Ricordi» di Giuseppe siano passati attraverso altri che non siano Maria e Gesù e, data la poca probabilità che Gesù abbia fatto à Matteo delle rivelazioni su questo punto, rimane la convinzione che solo Maria abbia potuto dare delle precise informazioni.
Si può obiettare che ci gettiamo in supposizioni inestricabili; perché Maria avrebbe fatto a S. Matteo delle confidenze rifiutate a S. Luca e viceversa? Non turbiamoci prima del tempo, siamo attenti, secondo il celebre consiglio di Bossuet: «a tener bene i due estremi della catena».
Per il momento accontentiamoci di tenerne un capo e cioè sapere che i «Ricordi» di Giuseppe non erano diffusi nel pubblico cristiano, che Luca, il diligente ricercatore, non li incontrò sulla sua strada e che Maria sola ne conservava il prezioso segreto.
Ed eccoci all'altro capo: «Le memorie» della Madonna non erano meno conosciute dal pubblico ed Ella sola poteva, al momento opportuno, introdurre nell'impenetrabile mistero.

Le «memorie» di Maria. - Qui c'è qualche cosa di più delle semplici verosimiglianze; non siamo costretti a laboriose deduzioni. Oltre il fatto che il soggetto non comporta incertezze e che è difficile supporre che Maria abbia confidato a chiunque si presentasse il sacro deposito custodito come un tesoro sotto le volte di un'assoluta e religiosa discrezione, ci sono anche prove di primo ordine che appoggiano la nostra affermazione: Matteo che abitava a Gerusalemme e che poteva di conseguenza consultare Maria e Giovanni ogni qualvolta lo desiderasse, non ha invece saputo nulla dei fatti raccontati da S. Luca. Si vede perciò che la Vergine Maria non ne parlò a nessuno e che Ella rimase fedele alla consegna data al principio della evangelizzazione, nei tempi in cui conveniva segnare le grandi linee del Vangelo orale, di cui S. Marco ci diede gli elementi.
Comunque, tale consegna deve essere stata tolta se noi troviamo in S. Luca le memorie della Vergine. E perché non sorgesse alcun dubbio il redattore fedele ha introdotto nel suo testo a due riprese, questo accenno estremamente significativo ed esplicito: Maria conservava in sé tutte queste cose e le meditava in cuor suo (32).
Questa volta non c'è soltanto un timbro a secco come nel Prologo di S. Giovanni, c'è una firma autentica e per di più doppia. Ed è talmente strano incontrare due attestazioni di questo genere che si può essere tentati che Maria abbia esposto le sue memorie in due riprese.
Nella prima, Ella avrebbe raccontato, col suggello della sua testimonianza, ciò che si riferiva all'annunciazione di Giovanni Battista e di Gesù, una seconda volta Ella avrebbe aggiunto ciò che costituisce gli ultimi trentatré versetti dell'Evangelo dell'infanzia di Gesù in S. Luca, ossia il periodo che va dalla circoncisione alla presentazione al tempio, all'esempio del dodicesimo anno.
Non ci rimane ora che di rendere conto di questa anomalia: la Madonna manifestò a due evangelisti, separatamente, degli insegnamenti differenti sull'infanzia di Gesù. Quale motivo la fece agire così? Perché questa reticenza, queste confidenze parziali emesse in due riprese, fors'anche mentre, una pia curiosità la consultava?

Osservazioni preliminari. - Prima di affrontare la delicata e spinosa questione facciamo due osservazioni che non sono senza importanza.
La prima che se anche non trovassimo alcuna soluzione al problema posto, ciò non toglierebbe nulla alla correttezza e rigorosità delle deduzioni anteriori. Teniamo stretti i due capi della catena, ripeteva giustamente Bossuet, a proposito d'una questione: quella dell'accordo tra la prescienza divina e la bontà umana, di cui conosciamo bene le due estremità, ma non la parte interna. Il fatto certo è che tanto le informazioni riportate da S. Matteo quanto quelle conservate da S. Luca vengono da Maria e non possono venire che da Lei.
Che noi possiamo o non possiamo affatto addurre le ragioni per giustificare la sua cernita e suddivisione dei documenti, non muta nulla delle prime constatazioni.
La seconda osservazione è che se pure fossimo impotenti a rischiarare questo mistero avremo mo ugualmente ottenuto un risultato apprezzabile designando nettamente la sorgente comune dei racconti dell'infanzia di Gesù.
Si possono paragonare i due testi di Matteo e di Luca alle due metà d'un medesimo prezzo d'oro (33).
Vi è infatti una netta distinzione fra i due racconti; eppure i due frammenti si completano nel modo più felice. I personaggi che vi troviamo hanno i medesimi caratteri; le designazioni del tempo e dei luoghi concordano perfettamente. Ora, è più facile intuire che il racconto sia stato diviso in due, volontariamente, da una sola persona piuttosto che immaginare che le due metà si trovassero in possesso di due persone differenti.
Comunque si è fatto un notevole passo nella conoscenza delle fonti dei nostri Vangeli, con lo stabilire che i due racconti dell'infanzia di Gesù provengono da una sola persona e che essa non è che la Vergine Maria.
Si può andare oltre? Possiamo penetrare l'enigma delle intenzioni della Vergine Regina in possesso delle chiavi di tutto questo mistero?
Con tutto il rispetto tentiamo di farlo, e il lettore giudicherà se siamo riusciti a portare un poco di luce su un problema ricco d'interesse per i nostri cuori.

La Sapienza di Maria. - Teniamo ora ben vicino a noi le conclusioni già riscontrate e le minime luci percepite.
Un primo punto da ricordare è che Maria aveva cominciato a trattenere nella memoria e nel cuore quando sapeva. Ella conservava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore. Non ne parlava e l'autorità stessa di Pietro non influirà sulla sua risoluzione. Il Vangelo di San Marco non contiene nulla sull'infanzia del Salvatore. Tutt'al più ci lascia capire che Gesù non era figlio di Giuseppe secondo la carne, ma «figlio di Maria sola».
Abbiamo addotto come primo motivo del silenzio l'umiltà della Vergine. Essa non vuole essere che l'Ancella. Non c'era posto per Lei nel messaggio redentore del suo Gesù. La buona novella, cioè il Vangelo di Gesù Cristo cominciava con la predicazione del Battista nel deserto. E' un'umiltà però che non rappresenta un cieco partito preso d'oblio o d'annientamento, anzi si ammanta della più alta sapienza. Ciò che importava agli uomini di sapere era la divinità di Gesù, le prove della sua missione, le incomparabili ricchezze della sua dottrina, i mezzi di salvezza da Lui apportati al mondo, i segni indimenticabili del suo amore visibili nella gloriosa morte volontaria per l'espiazione dei nostri peccati.
Tutto ciò si trova nel vangelo orale commentato e sviluppato dalla predicazione apostolica di cui gli atti degli apostoli e le epistole di S. Paolo rappresentano l'eco.
Se in seguito la curiosità dei fedeli si attaccò alle origine umane del Salvatore era opportuno attendere che tale curiosità prendesse uri carattere interamente religioso. Necessitava una certa preparazione ai fedeli della prima generazione cristiana per avvicinarsi ai misteri commoventi, ma insieme sconcertanti dell'umile nascita di Gesù in una stalla di Betlem.
Abbiamo visto come la Madonna trattenesse le impetuosità di Giovanni, come sapesse ricordargli, pare, l'importanza dell'ora in tutte le cose. Il suo Gesù le aveva detto a Cana: La mia ora non è ancora venuta. Non sono queste lezioni che si dimenticano e Maria non era stata inutilmente alla scuola della Sapienza. Ella stessa al contatto del suo Gesù era divenuta la creatura più «sapiente» nel significato più forte e profondo che di questa parola il mondo abbia conosciuto.
Non ci sorprende che la Vergine abbia preso infinite precauzioni per introdurre nella tradizione cristiana i documenti di cui conservava il segreto intorno alla nascita verginale. Era un soggetto particolarmente delicato. Maria non dovette lasciar offuscare con alcun dubbio il carattere soprannaturale della concezione e nascita del Cristo.
Ma per far ciò dovette fornire a spiriti già preparati dall'altra predicazione apostolica le prove più irresistibili e fornirle in modo semplice, fermo, categorico e senza ombra di esitazione e di riserva. Ora, c'era stato un uomo, predestinato da Dio, per essere il guardiano, il testimonio, il garante della virtù soprannaturale di Maria. Quest'uomo era Giuseppe.
E il giorno in cui la Vergine giudicò che l'ora fosse suonata, che era tempo di levare la consegna pei primi anni e che era necessario parlare per non tradire il deposito confidatole da Dio, quel giorno Ella trovò ancora il modo di conciliare fra di loro l'umiltà, la sapienza, la discrezione e il rispetto verso Pietro. Essa aveva limitato al primo apostolo - almeno a parer nostro - i dettagli che egli desiderava conoscere sui misteri di Betlemme e di Nazareth. Ed anche manifestandoli a Matteo gli imporrà il segreto per qualche tempo. Non gli aveva fatto che una confidenza intima (34) e confidò dapprima soltanto ciò che poteva mantenere Lei in seconda linea e cioè solamente i «ricordi» di Giuseppe.
Ancora una volta Giuseppe faceva da testimonio; era il garante ed il guardiano. Molti dei lettori di Matteo l'avevano conosciuto, essi potevano sottoscrivere a quelle parole rivelatrici della grande e santa prudenza di Maria: «Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non volendo esporla al disprezzo pubblico, formò il disegno di ripudiarla segretamente».
Riflettendo si ritrova qui una implicita difesa. Ma tutto è così discreto, così puro ed elevato da riconoscervi senza fatica la «sapienza » superiore della Vergine stessa. Era come se dicesse: I nostri Libri Santi contenevano un annuncio che nessuno dei Dottori della legge aveva compreso (35). Il Messia doveva nascere da una Vergine e al di fuori della legge comune alla nascita di tutti gli uomini.
Così è nato. Vediamo due prove. Prima: Giuseppe era un uomo giusto. Tutti coloro che l'hanno conosciuto sono là per testimoniarlo. La sua dignità, la sua pietà, la sua virtù sono sicure garanzie del suo focolare. Se egli ha sposato Maria l'ha fatto in seguito ad un avvertimento divino e in questo era sicuro circa la concezione soprannaturale di Gesù. La seconda prova sta nel fatto che tutto era scritto. Difatti tutto accadeva perché si compisse ciò che il Signore per mezzo del Profeta aveva annunciato: «Ecco che la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato l'Emmanuele, ciò che vuol dire: Dio è con noi».

Maria e S. Matteo. - Ciò che doveva passare fra la Madonna e S. Matteo ce lo rappresentiamo pressappoco così: Da dieci, quindici e forse più anni durava il silenzio della Vergine Maria sulle origini del suo divin figlio. Si predicava ancora soltanto il Vangelo orale di cui il testo di S. Marco offre le linee essenziali.
In Palestina vicino all'abitazione della Madonna viveva l'apostolo Matteo. Pare che egli da principio abbia evangelizzato la Galilea. Ora se poniamo la data della sua partenza dalla Palestina nell'anno 42, ritenuto comunemente come l'anno di separazione degli Apostoli, possiamo anche ammettere ch'egli abbia fatto delle soste presso la Madonna tanto prima del 42 come dopo in occasione di qualche ritorno in Palestina prima della morte di Maria. Comunque sia S. Matteo si era proposto di scrivere ciò che andava predicando, in altre parole di redigere un Vangelo. Possiamo anche credere che egli, vivente Gesù, abbia preso delle note riassuntive dei discorsi del Maestro e ciò è naturalissimo trattandosi di un uomo assuefatto alle registrazioni di ufficio. Nel predicare in Galilea egli aveva avuto modo di ravvivare i suoi ricordi, completarli con le atte stazioni di numerose persone ancora viventi che erano state testimoni della predicazione di Gesù e dei suoi miracoli. Aveva sentito parlare di Giuseppe da molti che l'avevano conosciuto e conservavano per lui la più profonda stima. Però Matteo conosceva soltanto il fatto della nascita verginale ma non sapeva nulla dell'annunciazione né dell'infanzia del Salvatore. Può anche darsi che egli abbia raccolto sul posto questa ingenua domanda: «Ci parlate del Profeta, Gesù di Nazareth? Non era il figlio di Giuseppe, il falegname?»
Deciso a scrivere la storia di Gesù, reso attento ai misteri dell'infanzia del Cristo anche per le questioni e critiche espresse dai suoi uditori, Matteo avrà sollecitato degli schiarimenti dalla Vergine stessa. Nel corso delle sue predicazioni si era reso conto della forte influenza degli argomenti scrittura li sugli uditori Galilei e Giudei. Tutta la vita del Cristo, era tracciata sulle scritture e parecchi passi rimasti fino allora incompresi e falsati nel loro significato s'illuminavano di giusta luce di fronte agli avvenimenti della vita di Gesù.
Era di grande importanza il precisare la discendenza davi dica del Maestro. La sua nascita verginale, conosciuta senza alcuna ombra fin dall'inizio della predicazione cristiana, proiettava una chiarezza nuova su una celebre pagina di Isaia. Per tutte queste ragioni Matteo sentiva il bisogno imperioso di ricorrere a Maria.
Ella sola poteva fornire gli elementi sicuri della genealogia paterna di Cristo, dal punto di vista legale e, soprattutto, Lei sola poteva fornire nei riguardi della nascita reale di Cristo le informazioni indispensabili a spiegare perché, nato a Betlemme, il Fanciullo divino era cresciuto a Nazareth. Tutte ragioni di cui Maria dovette rendersi conto. Dovette pensare ad approvarne la bontà. Non poteva perciò rifiutarsi ai desideri tanto legittimi dell'Evangelista sebbene esistessero ancora in una certa misura i motivi che l'avevano trattenuta sempre dal far confidenze. Maria non voleva, mentre si predicava Cristo, essere messa in scena, almeno fino a tanto ch'Ella rimaneva in questo mondo, ché la vita nascosta di Gesù era diventata il modello della sua vita quaggiù. Ella acconsentì, dunque, ad aprirsi con S. Matteo ma con la riserva che soltanto più tardi sarebbero stati rivelati quell'insieme di documenti in cui, Giuseppe appariva tanto bene in primo piano da poterli denominare i «Ricordi » di Giuseppe. Matteo difatti non li dovette usare che molto tempo dopo la morte della Madonna e in attesa di innestarli nel suo Vangelo è facile che non li abbia comunicati ad alcuno. Anche lui dovette attendere l'ora. Tutti gli uomini debbono saperlo fare, ma più di tutti coloro che si professano seguaci di Cristo, di Colui il quale di questo grande principio di condotta umana ha offerto esempio sorprendente.
Così noi spieghiamo come i documenti entrati in possesso di S. Matteo, probabilmente prima dell'anno 42, non furono messi in circolazione che una ventina di anni più tardi e non furono prima conosciuti da altri, tolto forse S. Giovanni il quale era legato dallo stesso segreto e dallo stesso obbligo del silenzio (36).

Maria e il Vangelo di S. Luca. - Fino ad ora ci pare che i critici più accaniti possano muovere serie obbiezioni alle nostre ipotesi: forse si possono correggere dei dettagli alle nostre congetture ma non si cambierà gran cosa alle conclusioni. È possibile, per esempio, che Matteo non abbia ricevuto direttamente da Maria i documenti che egli utilizzava ma da Giovanni quando la Madonna aveva già lasciato questa terra; possibilità tuttavia, poco probabile. Sembra invece che Matteo fosse già erudito, se così possiamo dire, quando per attingere alla medesima sorgente si presentò un medico zelante, convertito dal paganesimo da S. Paolo e di venuto uno degli assidui compagni del grande apostolo. Il medico, tutti lo sappiamo, era S. Luca.
Luca era d'Antiochia ed era uomo di alta coltura. Maneggiava il greco a perfezione. Il breve preambolo ch'egli ha posto all'inizio del suo Vangelo lo rivela come uno scrittore ben sicuro della sua penna e come uno storico cosciente dei suoi doveri. Egli non aveva conosciuto il Cristo ma dal giorno della sua conversione s'era fatto un dovere di raccogliere tutti gli insegnamenti possibili per poter appoggiare sulla roccia della certezza la sua fede e quella degli altri. Lui stesso ci assicura di questa costante diligenza nelle sue ricerche, «dall'origine» ossia dall'epoca della sua conversione. Egli interrogò senza posa i testimoni oculari della vita, degli insegnamenti, dei miracoli di Gesù e il suo Vangelo difatti porta le tracce della sua assiduità. Luca ha arricchito considerevolmente il Vangelo orale primitivo che egli prese come base fondamentale del proprio testo dopo averne potuto verificare le attendibilità delle notizie. Ciò attestava la sua alta stima per il primo Vangelo al quale aggiunse un buon numero di testimonianze di cui possiamo congetturare le origini: quelle, per esempio, di Maria di Betania, di Giovanna a Chuzo, di Cleofa, uno dei discepoli di Emmaus.
Fra tutte queste fonti ve n'è una sola che Luca si è preso cura di segnalare con una dichiarazione esplicita e cioè, Maria la Madre del Salvatore, che gli fornì un tesoro di informazioni. Come pervenne alle sue mani tale tesoro? Questione non difficile a risolversi se non si complicasse con la seguente: Come mai questo tesoro era alleggerito dalle ricchezze offerte al pubblico cristiano dal Vangelo di Matteo? Ci troviamo di fronte all'enigma affacciato precedentemente.
Abbiamo usato altra volta il paragone della moneta d'oro spezzata in due. Evidentemente se si trattasse davvero d'un pezzo d'oro tutto sarebbe facile. Il primo pezzo è stato dato a Matteo, il secondo a Luca. Ma invece non si tratta che d'un paragone.
Supponendo che Maria avesse di proposito dato a Matteo soltanto ciò che rispondeva strettamente al suo programma, ci si può domandare perché Luca non fu messo al corrente di questi fatti già raccontati circa l'infanzia di Gesù, lui che aveva manifestato la lodevole intenzione di c conoscere tutto esattamente allo scopo di scrivere con ordine»?
Saremo inclinati a credere che S. Luca non abbia conosciuto personalmente la Madonna, per conseguenza egli avrebbe ricevuto i documenti manifestati nel suo Vangelo attraverso un intermediario che a sua volta sarebbe stato legato da una consegna formale. La Vergine non aveva avuto certo il bisogno d'imporre la sua volontà con chiasso e se noi usiamo anche qui la parola consegna lo facciamo con la coscienza precisa di ciò ch'essa contiene di troppo imperativo e di duro. Maria era circondata da troppo rispetto perché il minimo desiderio da Lei espresso non divenisse per i circostanti un dovere dei più sacri.
Seguiamo l'ipotesi dell'intermediario fra Maria e S. Luca.
Chi fu? Viene immediatamente alle labbra il nome di Giovanni, ché Luca alla ricerca dei documenti necessari alla sua storia non poteva mancare di battere a tale porta. Giovanni non lasciò Gerusalemme - si crede - che al momento della partenza generale dei cristiani dalla capitale in decadenza ed in rivolta contro Roma, per ritirarsi a Pella, dunque circa l'anno 66. Luca probabilmente ebbe occasione di vederlo in più riprese e immaginiamo con quale santa avidità l'avrà interrogate. Fra i propositi del pio medico c'era un punto che doveva piacere moltissimo a Giovanni: l'intenzione «di scrivere con ordine». Difatti ciò di cui difettava la catechesi primitiva, con altre parole, il Vangelo orale, era appunto la cronologia. L'esattezza dei fatti non ne soffriva. Poiché nei primi tempi della predicazione il Vangelo era manifestato ai fedeli con frammenti più o meno brevi inseriti nella celebrazione della Cena, l'ordine cronologico aveva importanza relativa. I nostri Vangeli domenicali cominciano uniformemente con le parole: In quel tempo ... Non c'erano inconvenienti anche se i racconti orali degli apostoli erano ogni volta incominciati con formule generiche. Ma dal momento che la prima generazione cristiana stava per scomparire e necessitava quindi la redazione d'un testo per le età future, diveniva pure necessario un ordine storico.

Giovanni aveva tanto ben compreso tale opportunità che il suo Vangelo porterà più tardi le note cronologiche più numerose, più esatte. Ed abbiamo già affermato che l'influenza della Vergine Maria non deve essere stata estranea a tale pia minuziosità.
S. Giovanni era perfettamente in grado di rendere a Luca i preziosi servizi. C'è da osservare però che egli mantenne la sua riservatezza in primo luogo, col non svelare nulla di quel Vangelo «complementare» che portava nel proprio cuore e che aveva elaborato nelle lunghe e quotidiane meditazioni con la Vergine e, in secondo luogo, col non accennare a Luca dei documenti trasmessi dalla Madonna e, forse da lui stesso a nome di Lei a S. Matteo. Sono due considerazioni complementari: la prima ci aiuterà a comprendere meglio la seconda.
Riprendiamo più profondamente le due constatazioni: Giovanni non ha rivelato nulla del proprio Vangelo. E' un fatto che appare evidente: nel terzo Vangelo non c'è alcuna traccia delle idee, delle percezioni teologiche, delle discussioni, paragoni ed allegorie e dei discorsi che si trovano nel quarto Vangelo. Si può dire: Ma Giovanni non doveva stendere tutto il suo racconto che quarant'anni più tardi. Stendere, sì, ma non inventare. Ciò che Giovanni scrisse verso l'anno 100 lo conosceva bene anche nel 60. Ricordiamo quanto abbiamo affermato in precedenza che Egli ha vissuto nell'intimità più filiale verso la Vergine Madre.
Se Maria ha potuto dire che «conservava tutte le parole meditandole in cuor suo» anche Giovanni poteva dire altrettanto dei propri ricordi. Nessun dubbio che egli abbia nutrito il suo fedele amore, la sua anima e la sua fede con i ricordi del suo adorato Maestro. E nessun dubbio che giorno per giorno, d'accordo con Maria e stimolato da Lei, non sia nato un inventario esatto e completo di ciò che poteva arricchire in futuro i fatti del Vangelo orale edificato da Pietro e dagli altri testimoni immediati della vita pubblica. Ma ancora una volta Giovanni attendeva l'ora. Crediamo che non si possa spiegare in altro modo il silenzio volontario da lui osservato fin dopo la morte di Pietro e Paolo, fino a quel momento che possiamo chiamare «la sua provvidenziale entrata in scena».

Noi non ci fermiamo neppure al meschino pensiero d'una riserva dettata da una piccola gloriuzza personale, cioè che il progetto di pubblicare un giorno quanto sapeva sui particolari della vita del Redentore potesse trattenerlo dal manifestare i documenti ad un terzo. E' un'insinuazione indegna del carattere di S. Giovanni. E per di più è contraddetta dai fatti perché se Giovanni. pensava di riservarsi degli «inediti» per usarli in futuro, avrebbe potuto servirsi anche delle preziose «memorie» di Maria. Non l'ha fatto: ciò prova che egli era immensamente più alto dei gretti calcoli di una rinomanza letteraria.
Senza inconvenienti e senza ingiustizia non si possono prestare a Giovanni idee tanto meschine e per giustificare il suo silenzio verso Luca non resta altro che ricorrere alla spiegazione proposta nel secondo capitolo di questo studio: Maria aveva collaborato nella formazione del suo futuro Vangelo e gli aveva raccomandato di aspettare l'ora. Aveva distolto Giovanni da ogni premura. L'una e l'altro sapevano bene che non si deve, come dirà più tardi S. Vincenzo de' Paoli, «anticipare i tempi alla Provvidenza».
Nel periodo in cui Pietro viveva e dirigeva la Chiesa, e per tutta la durata della prima generazione cristiana, era buona cosa, giusta e conforme alla volontà di Dio, attenersi alle forme della predicazione primitiva. Senza alcun dubbio si poté apportare, cominciando dalla seconda generazione, cioè dieci o vent'anni dopo la morte della Madonna, qualche aggiunta complementare circa l'infanzia misteriosa del Cristo e la vita nascosta a Nazareth. Ma anche qui conveniva rispettare il mistero di cui Gesù si era circondato. La vita nascosta doveva rimanere tale in tutto il corso dei secoli.
Supposto che Maria abbia manifestato il suo segreto a Giovanni - e lo si ammette volentieri riconoscendo l'uso fatto dall'apostolo nel Prologo dei passi relativi alla Sapienza - deve poi aver regolato Ella stessa ciò che era il caso di pubblicare a tempo opportuno e ciò che doveva rimanere per sempre nascosto nell'ombra.
Tentiamo di rendere chiaro il nostro pensiero attraverso un dialogo immaginario.

Giovanni: Madre mia, più d'una volta m'avete parlato della visita dell'Angelo quando eravate nella vostra casa di Nazareth. Mi avete raccontato la nascita a Betlemme del mio dolce Maestro. Ho conosciuto, per grazia vostra, le sublimi conversazioni tra voi due quand'egli cresceva in Sapienza e in grazia dinnanzi a Dio e agli uomini. Quanti dei nostri fedeli, guadagnati alla luce dagli sforzi di Pietro e degli altri apostoli, sarebbero stati felici di sapere queste belle cose! Non ci permetterete di dire loro come è nato il Salvatore e quali erano le promesse del cielo sulla sua culla?
Maria: Sì, figlio mio, essi sapranno un giorno ciò che desidereranno. Ma l'ora non è ancora venuta; Un prezioso insieme di «ricordi » è già stato manifestato all'apostolo Matteo che aspetterà per scriverli il momento propizio. Io non ti abbandonerò per raggiungere il Signore senza averti lasciato il racconto di quello che i discepoli debbono conoscere. Ma ciò che è stato consegnato a Matteo, col sigillo provvisorio del silenzio, non sarà toccato. Siamo legati dalla stessa consegna imposta a Lui. Se egli ci domanderà di completare qualche notizia non ci rifiuteremo e seguiremo in ciò le aspirazioni dell'alto. Se qualche altro scrittore si presentasse in nome del Signore non potremo riferire ciò che è stato affidato già a Matteo: sarebbe un fargli offesa. Ma potremo aprire nuovamente il nostro tesoro e confidare ciò che esso ancora contiene.
È facile individuare ciò che d'arbitrario contiene questo dialogo, ma crediamo che Giovanni; unico depositario delle «memorie » di Maria, quando essa fu assunta in cielo, si sia sentito legato dagli impegni resi verso Matteo e non si sia creduto Quindi in diritto di manifestare a dei terzi le confidenze che solo Matteo aveva ricevuto. Come del resto anche quest'apostolo - se Luca lo poté incontrare ed interrogare (37) ­ non credette poter rivelare quelli, che abbiamo chiamato i «ricordi » di Giuseppe. Ciò basta per spiegare il duplice fatto delle differenze dei racconti sull'infanzia e insieme la perfetta coincidenza su punti essenziali.
Maria avrebbe dunque redatto prima di morire o forse ha dettato ciò che si trova nei primi due capitoli di S. Luca. S. Giovanni avrebbe avuto in consegna la preziosa redazione e Luca in cerca di documenti per la storia di Gesù sarebbe stato scelto dalla Provvidenza per portare quel testo a conoscenza della Chiesa della seconda generazione. Una sapienza superiore aveva presieduto a queste rivelazioni parziali e successive. I «ricordi » di Giuseppe dovevano essere conosciuti per primi. Essi presentavano una prima affermazione del dogma della nascita verginale e donavano al dogma stesso l'appoggio della «giustizia » di Giuseppe e il fondamento del testo di Isaia divenuto per la prima volta luminoso. Né si potrebbe pretendere che tutto questo racconto sia stato creato per convalidare un passo - quello di Isaia - poiché nessuno l'aveva compreso fino allora e perché la divinità di Gesù era ormai una certezza acquistata indipendentemente dal racconto della sua concezione soprannaturale. Al contrario le testimonianze indubitabili che la predicazione apostolica aveva accumulato sui miracoli e gli insegnamenti di Gesù, sulla divina sua missione e suo diritto al titolo di Figlio di Dio, aprivano le vie, nel pensiero dei primi cristiani, alla fede più cieca verso le novelle rivelazioni concernenti le sue origini miracolose.

Più si riflette al carattere delicato di queste rivelazioni in cui l'onore della Vergine, e per conseguenza quello del suo Figlio divino, si trovano impegnati; più si ammira la perfetta prudenza di Maria in tutto, più si comprende il suo lungo silenzio e più si intende il motivo delle diverse tappe nella pubblicazione dei racconti dell'infanzia. Non diciamo che tutto sia stato predisposto come poi in realtà avvenne. Tutti gli avvenimenti di questo mondo comportano una parte enorme di oscurità per noi. Comunemente le ombre si chiamano «destino», ma la sapienza cristiana vede dappertutto l'azione della Provvidenza. Gesù aveva detto con parole profonde: «I capelli stessi del vostro capo son tutti contati».
Il problema esaminato è stato dunque risolto da Maria e Giovanni tenendo conto delle circostanze in cui essi riconoscevano la volontà divina. Molte di tali circostanze sono ignote a noi ed è probabile che se le conoscessimo tutto si farebbe più chiaro. Ma non siamo in pericolo di sbagliare ammettendo come fattori essenziali le due virtù dominanti in Maria: la sua umiltà e la sua sapienza.
Importanza dei documenti di S. Luca. - Per lungo tempo questa sapienza e questa umiltà s'erano fuse per privarci degli inapprezzabili documenti racchiusi nei primi due capitoli di S. Luca. Sembra ormai certo che soltanto alla fine della sua vita, Maria abbia aperto il suo tesoro alla posterità, pensando unicamente alla gloria del suo divin Figlio.

Questi capitoli del terzo Vangelo appartengono essenzialmente alla storia di Cristo. Ce ne siamo già serviti nella misura delle nostre forze raccontando l'infanzia del Salvatore (38).
Ma se essi non sono stati pubblicati per sodo disfare a delle semplici curiosità ed ancor meno per servire da piedestallo postumo alla Madonna, essi non sono meno stupendamente utili agli storici desiderosi di scrivere intorno alla Madre di Cristo. Senza di quei documenti non conosceremmo nulla di Lei.
Né il Vangelo di Marco, né quello di Matteo é meno ancora quello di Giovanni forniscono le basi indispensabili alla più modesta analisi psicologica ed al più breve saggio di storia.
Grazie a S. Luca invece, noi possiamo finalmente uscire dalle semplici congetture. Non solamente i suoi due capitoli ci parlano di Maria intrattenendoci su Gesù, ma ciò che è di ben maggiore interesse per noi, essi emanano direttamente da Maria stessa. Essi portano una impronta armonica che tutti gli studiosi hanno notato. Conservano un carattere nettamente preevangelico; formano nel terzo Vangelo un tutto a sé. Se l'Evangelista ha posto qua e là la nota personale del suo stile, come certi critici hanno voluto riconoscere, essi però hanno conservato sotto una debole vernice superficiale, lo stesso testo con cui erano stati espressi a Luca. Possiamo dunque inchinarci con tutta fiducia su questi passi. Se bastano poche espressioni per giudicare un uomo qui abbiamo assai di più del numero desiderato.
Il Vangelo dell'infanzia di Gesù in S. Luca comprende 132 versetti, esclusa la genealogia. È poco ed è pure una ricchezza inestimabile: vi è in essi una densità straordinaria di fatti e di pensieri. Esempi e parole: ciò che ci rimane da meditare.