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294. A Sano di Maco e a tutti gli altri figli in Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi forti e perseveranti fino all'ultimo de la vita vostra, considerando me che senza la perseveranza neuno può piacere a Dio, e non riceve la corona del premio (Mt 10,22 Mt 24,13).

Colui che persevera sempre è forte, e la fortezza lo fa perseverare. Necessario e di necessità c'è lo dono de la fortezza, poiché siamo assediati da molti nemici: lo mondo con le delizie e con gli inganni suoi; e il demonio con le molte molestie e tentazioni, e con ponarsi in su le lingue degli uomini, facendo lo' dire parole d'infamia e mormorazione, e spesse volte con farci togliere le cose nostre (e questo fa solo per revocarci da l'affetto e carità del prossimo nostro); la carne si leva con la propria sensualità, volendo combattere contro lo spirito. Ànnoci assediati questi nostri nemici, ma non ci bisogna temere di timore servile, ché essi sono sconfitti per lo sangue de lo immacolato Agnello.

Doviamo arditamente rispondere e resistere al mondo col pentimento de le delizie e stati suoi, giudicando che non ha in sé fermezza né stabilità veruna. Mostraci la longa vita con la fiorita gioventudine e con le molte ricchezze, e elle si veggono tutte vane: da la vita veniamo a la morte, da gioventudine a vecchiezza, e da ricchezza a povertà; e così corriamo sempre verso lo termine de la morte. Ècci necessario d'aprire l'occhio dell'intelletto a vedere quanto è miserabile colui che se ne fida: a questo modo gli verrà a dispiacere e odiarà quello che prima amava.

A lo inganno del demonio si risponda virilmente, vedendo la sua debolezza - ché non può vincere se non colui che vuole essere vinto -. Risponda con la viva fede e speranza, e con uno odio santo di sé medesimo; nell'odio diventarà paziente a ogni tentazione e molestia di tribulazioni del mondo: da qualunque lato elle vengano, tutte le portarà con vera pazienza, se sarà odiatore de la propria sensualità e amerà di stare in croce con Cristo Crocifisso. Da la viva fede trarrà una volontà acordata con quella di Dio, e spegnarà del cuore e de la mente sua ogni giudicio umano; giudicarà solo la volontà di Dio, che non vuole né cerca altro che la nostra santificazione. A questo modo non si scandalizza col prossimo suo, non mormora né giudica colui che favella contro di lui; condanna pur sé medesimo, vedendo la volontà di Dio che permette che coloro lo molestino per suo bene.

Oh quanto è beata quella anima che si veste di sì dolce giudicio! Egli non condanna i servi del mondo che gli fanno ingiuria; egli non giudica i servi di Dio, volendoli mandare a modo suo, come fanno molti presuntuosi superbi, i quali - col mantello de l'onore di Dio e salute delle anime - si scandalizzano nei servi di Dio, pigliando una mormorazione cuperta con questo mantello, dicendo: «Non piacciono a me questi modi». Così si turba in sé, e, anco, con la lingua sua fa turbare altrui, mostrando che per affetto d'amore lo dica, e così gli pare; ma se egli aprirà l'occhio dell'intelletto troverà lo verme de la presunzione con uno perverso parere, lo quale parere fa giudice, giudicando a modo suo e non secondo i misterii e i modi santi e diversi che Dio adopera ne le sue creature.

Vergognisi l'umana superbia, e voglia vedere che ne la casa del Padre eterno ha molte mansioni (Jn 14,2); non voglia ponere regola a lo Spirito santo, che è essa regola e datore de la regola, né misuri colui che non si può misurare. Non farà così lo vero servo di Dio, vestito de la somma eterna sua volontà; anco averà in reverenzia i modi e gli atti e costumi dei servi suoi, poiché non gli giudica fatti da uomo, ma da Dio.

Ché, perché le cose non piacciono a noi e non vadano secondo i nostri costumi, debbo presupponere e credere che sono piacevoli a Dio, ché veruna cosa doviamo né possiamo giudicare se non quello che si vede manifesto e espresso peccato. E anco questo l'anima inamorata di Dio, che ha perduto sé, nol piglia per giudicio, ma per pentimento del peccato e dell'offesa di Dio, e con grande compassione dell'anima di colui che offende, volendo volentieri darsi a ogni tormento per salute di quella anima.

A questa perfezione v'invito, figli carissimi, che vi studiate con ogni vera e santa sollicitudine d'acquistarla. Pensate che ogni perfezione, senza veruno scandalo o pena, vi darà questo santo e vero giudicio; così, per contrario, lo falso giudicio dà ogni pena e colpa e mormorazione e ruina d'infedelitade verso i servi di Dio. Tutto questo procede da la propria passione e radicata superbia, che si muove a giudicare la volontà dell’uomo. Sempre questo cotale vòlle lo capo adietro, e non persevera ne la carità del prossimo suo; non ha mai amore forte né perseverante, anco è fatto come l'amore imperfetto dei discepoli di Cristo che essi avevano inanzi a la passione: dilettandosi molto de la presenza sua, l'amavano, ma perché l'amore non era fondato in verità, - eravi del piacimento e diletto loro - però mancò quando lo' fu tolta la presenza sua; e non seppero portare la pena con Cristo, ma per timore fuggirono (Mt 26,56 Mc 14,50). Guardate, guardate che questo non tocchi a voi.

Voi vi dilettate molto de la presenza, e in absenzia fate fuoco di paglia, ché, tolta la presenza, ogni piccolo vento o pioggia lo spegne, e non ne rimane altro che fummo nero di tenebre di conscienzia. Tutto questo adiviene perché siamo fatti giudici de la volontà degli uomini, e dei costumi e modi e vie dei servi di Dio, e non de la dolce volontà sua. Or non più così, per l'amore di Cristo Crocifisso; siate figli fedeli, forti e perseveranti in Cristo dolce Gesù: così sconfiggerete le tentazioni del demonio e le parole sue, che egli dice ponendosi per le lingue de le creature.

L'ultimo nemico nostro, la miserabile carne con l'appetito sensitivo, si sconfigga con la carne di Cristo flagellata e confitta in su lo legno de la santissima croce, con domarla col digiuno e vigilia e continua orazione, con ardente dolce e amoroso desiderio. Or così dolcemente venciaremo e sconfiggiaremo i nemici nostri con la virtù del sangue di Cristo; così adempirete la volontà sua e il desiderio mio, lo quale si duole quando raguarda la nostra imperfezione: spero, per la sua infinita bontà, che consolarà lo desiderio mio di voi.

Pregovi che non siate negligenti, ma solliciti; né foglia che vi volliate al vento, ma fermi stabili e constanti, amandovi insieme con vera carità fraterna, (Rm 12,10) portando e sopportando i defetti l'uno dell'altro (Ga 6,2). A questo m'avederò se voi amate Dio, e me, che non desidero altro che di vedervi in vera unità. Amatevi amatevi insieme. Annegatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, nascondetevi ne le piaghe dolcissime sue. Altro non dico.

Siavi racomandato lo monasterio di Santa Maria degli Angeli; e non mirate perché io non vi sia, ché i buoni figli fanno più quando la madre non è presente che essendo presente, volendo mostrare l'amore che essi hanno a la madre, e per più venirle in grazia. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Voi prego, Sano, che a tutti i figli leggiate questa lettera; tutti pregate Dio per noi, che ci dia a compire l'onore suo, lo quale è cominciato, e la salute delle anime, ché altro desiderio non vogliamo né altro adoperare, a malgrado di chi lo voleva e vuole impedire. Dio vi riempia de la sua dolcissima grazia.





295. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori singulare padre dell'anima sua, dopo uno romore di popolo che si levò in Fiorenze nel quale essa fu voluta uccidere.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo e sposo fedele della verità - e a quella dolce Maria -, a ciò che mai non voltiamo lo capo indietro per nessuna cosa del mondo, né per tribulazione che vi volesse dare; ma con una speranza ferma, col lume della santissima fede, constante e perseverante passare questo mare tempestoso con ogni verità.

E nel sostenere ci gloriamo, non cercando la gloria nostra, ma la gloria di Dio e la salute delle anime, sì come facevano i gloriosi martiri, i quali per la verità si disponevano alla morte e a ogni tormento, unde col sangue loro, sparto per amore del sangue, fondavano le mura della santa Chiesa.

O sangue dolce che resuscitavi i morti! Sangue, tu davi vita; tu dissolvevi le tenebre delle menti acecate delle creature che hanno in loro ragione, e davi lume.

Sangue dolce, tu univi i discordanti; tu vestivi gli nudi.

Sangue, tu pascevi gli affamati; e daviti in beveraggio a quelli che avevano e hanno sete del sangue; e col latte della dolcezza tua notricavi i parvoli, che sono fatti piccioli per vera umilità, e innocenti per vera purezza.

O sangue, e chi non si inebria in te? gli amatori proprii di loro medesimi, poiché non sentono l'odore tuo.

Perciò, carissimo e dolcissimo padre, spoglianci di noi e vestianci della verità, e allora saremo sposi fedeli. Io vi dico che oggi voglio cominciare di nuovo, a ciò che i miei peccati non mi ritragghino da tanto bene quanto egli è a dare la vita per Cristo Crocifisso, poiché io vedo che per lo tempo passato, per lo mio difetto, io ne fui privata.

Molto avevo desiderato, d'uno desiderio nuovo cresciuto in me oltre a ogni modo usato, di sostenere senza colpa in onore di Dio, e salute delle anime, e in reformazione e bene della santa Chiesa: tanto che il cuore si distillava per amore e desiderio che io avevo di ponere la vita. Questo desiderio stava beato e doloroso: beato stava per l'unione che si faceva nella verità; e doloroso stava per una occupazione che il cuore sentiva nell'offesa di Dio, e nella moltitudine deli demoni che obumbravano tutta la città, offuscando l'occhio dell'intelletto delle creature. Quasi pareva che Dio lassasse fare, per una giusta e divina disciplina, unde la vita mia non si poteva dissolvere altro che in pianto, temendo dil grande male che pareva che fusse per venire, e che per questo la pace non fusse impedita. Ma dil grande male, Dio - che non dispregia lo desiderio dei servi suoi -, e quella dolce madre Maria - il cui nome era invocato con penosi dolorosi e amorosi desiderii -, providde che, nel romore e nella grande mutazione che fu, non c'ebbe quasi male, diciamo di morte d'uomini, di fuore da quelli che fece la giustizia. Sì che il desiderio che io avevo che Dio usasse la providenzia sua, e tollesse la forza alle demonia che non facessero quello male che esse erano disposte a fare, fu adempito; ma non fu adempito lo desiderio mio di dare la vita per la verità e per la dolce Sposa di Cristo.

Anco mi fece lo sposo eterno una grande beffa, sì come Cristofano a bocca pienamente vi dirà. Unde io ho da piagnere, poiché tanta è stata la moltitudine delle mie iniquità che io non meritai che il sangue mio desse vita, né alluminasse le menti acecate, né pacificasse il figlio col padre, né murasse una pietra col sangue mio nel corpo mistico della santa Chiesa. Anco, parve che fussero legate le mani di colui che voleva fare; e dicendo io: «Io sono essa. Tolle me e lassa stare questa famiglia», erano coltella che drittamente gli trapassavano il cuore.

O babbo mio, sentite in voi amirabile gaudio, poiché mai in me non provai simili misterii con tanto gaudio. Ine era la dolcezza della verità, ine era l'allegrezza della schietta e pura conscienzia, ine era l'odore de la dolce providenzia di Dio, ine si gustava lo tempo dei martiri novelli, sì come voi sapete predetti dalla verità eterna. La lingua, carissimo padre, non sarebbe sufficiente a narrare quanto è il bene che l'anima mia sente; unde tanto mi pare essere obligata al mio Creatore che, se io desse il corpo mio ad ardere, non mi pare di potere satisfare a tanta grazia quanta io e i diletti miei figli e figlie aviamo ricevuta. Tutto questo vi dico non perché pigliate amaritudine, ma perché sentiate ineffabile diletto, con suavissima allegrezza, e a ciò che io e voi cominciamo a dolerci della mia imperfezione, poiché per lo mio peccato fu impedito tanto bene. Or quanto sarebbe stata beata l'anima mia, che per la dolce sposa, e per amore del sangue e per salute delle anime, avessi dato il sangue! Or godiamo e siamo sposi fedeli. Io non voglio dire più sopra questa materia; lasso questo e l'altre cose dire a Cristofano.

Solo questo voglio dire, che voi preghiate Cristo in terra che per lo caso occorso non ritardi la pace, ma molto più spacciatamente la facci - a ciò che si possa fare poi gli altri grandi fatti che egli ha a fare per l'onore di Dio e per la reformazione della santa Chiesa -, poiché per questo non è mutato stato, anco per ora s'è pacificata la città assai convenevolmente. Pregatelo che facci tosto; e questo gli dimando per misericordia, poiché si levaranno infinite offese di Dio, che per questo si fanno. Diteli che avesse pietà e compassione a queste anime che stanno in molta tenebre. E diteli che mi tragga di pregione spacciatamente, poiché se la pace non si fa, non pare che io ci possa uscire; e io vorrei poi venire costà a gustare il sangue dei martiri, e a visitare la Santità sua, e ritrovarmi con voi a narrare gli ammirabili misterii che Dio in questo tempo ha adoperati, con allegrezza di mente e con giocondità di cuore, e con acrescimento di speranza, col lume della santissima fede. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



296. A don Giovanni da le Celle, monaco di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e mangiatore delle anime, per onore di Dio, in su la mensa della santissima croce, e acompagnarvi con l'umile e immacolato Agnello. In altro luogo, carissimo padre, non vedo che si possa mangiare questo dolce cibo. Perché no? perché nol possiamo mangiare in verità senza molto sostenere; e coi denti della vera pazienza e con la bocca del santo desiderio si conviene mangiare, e in su la croce delle molte tribulazioni - da qualunque lato elle vengono, o per mormorazioni o per scandali del mondo -, e tutte sostenere infine alla morte.

Ora è lo tempo, carissimo padre, di dimostrare se noi siamo amatori di Cristo Crocifisso, o no, e se noi ci dilettiamo di questo cibo. Tempo è di dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo - fatica corporale con molto sostenere, e fatica mentale, cioè con dolore e amaritudine offrire lacrime e sudori, umile e continua orazione, con ansietato desiderio, dinanzi a Dio - poiché io non vedo che per altro modo si plachi l'ira di Dio verso di noi, e s'inchini la sua misericordia - e con la sua misericordia ricoverare tante pecorelle che periscono nelle mani deli demoni - se non per questo modo detto: cioè, con grande dolore e compassione di cuore, e con orazioni grandissime. E però io v'invito, carissimo padre, da parte di Cristo Crocifisso, che ora di nuovo cominciamo a perdere noi medesimi e a cercare solo l'onore di Dio nella salute de l'anime, senza alcuno timore servile; o per pene nostre, o per piacere alle creature, o per morte che ci convenisse sostenere, per nessuna cosa allentare mai i passi, ma corrire, come ebbri d'amore e di dolore della persecuzione che è fatta al sangue di Cristo Crocifisso, poiché, da qualunque lato noi ci volliamo, lo vedemo perseguitare.

Se io mi vollo a noi membri putridi, noi lo perseguitiamo con molti difetti, e con tante puzze di peccati mortali, e con l'avelenato amore proprio, lo quale avelena tutto quanto lo mondo. E se io mi vollo ai amministri del sangue di questo dolce e umile Agnello, la lingua anco non può narrare tanti mali e difetti. Se io mi vollo ai amministri che sono al giogo dell’obbedienza, per la maladetta radice dell'amore proprio, che non è anco morta in loro, gli vedo tanto imperfetti che neuno s'è condotto a volere dare la vita per Cristo Crocifisso, ma più tosto hanno usato lo timore della morte e della pena che lo santo timore di Dio e la reverenzia del sangue. E se io mi vollo ai seculari che già hanno levato l'affetto dal mondo, non hanno usata tanta virtù che si sieno o partiti dal luogo, o eletta la morte, inanzi che fare quello che non si debba fare. O essi l'hanno fatto per imperfezione, o essi lo fanno con consiglio; lo quale consiglio se io l'avesse a dare, io consigliarei che, se essi volessero usare la perfezione, scegliessero inanzi la morte; e se essi si sentissero debili, fuggire lo luogo e la cagione del peccato, giusta al nostro potere.

Questo consiglio medesimo, se neuno ve ne venisse a le mani, mi parrebbe che voi e ogni servo di Dio lo dovesse dare, poiché voi sapete che in neuno modo, non di pena o di morte, ma per adoperare una grande virtù, non c'è licito di commettere una picciola colpa. Sì che da qualunque lato noi ci volliamo, non troviamo altro che difetti, che io non ne dubbito che, se uno solo avesse avuta tanta perfezione che avesse data la vita per li casi che sono occorsi, e occorrono tutto dì, che lo sangue avrebbe chiamato misericordia, e legate le mani de la divina giustizia, e spezzati i cuori di Faraone, che sono indurati come pietra di diamante; e non vedo modo che si spezzino altro che col sangue.

Oimé, oimé, oimé, disaventurata l'anima mia! Vedo giacere lo morto della religione cristiana, e non mi doglio né piango sopra di lui. Vedo le tenebre venuta nel lume, ché dal lume della santissima fede ricevuto nel sangue di Cristo, gli vedo essere abbaccinati, e riseccata la pupilla dell'occhio; e sì come ciechi gli vediamo cadere nella fossa, cioè nella bocca del lupo infernale, dinudati de le virtù, e morti di freddo: essendo dinudati della carità di Dio e del prossimo, e sciolti dal legame della carità, e perduta ogni reverenzia di Dio e del Sangue. Oimé, credo che le iniquità mie ne sieno cagione. Perciò vi prego, carissimo padre, che preghiate Dio per me che mi tolga tante iniquitadi, e che io non sia cagione di tanto male; o egli mi dia la morte. E pregovi che pigliate questi figli morti in su la mensa della santissima croce, e ine mangiate questo cibo, bagnati nel sangue di Cristo Crocifisso.

Dicovi che se noi e gli altri servi di Dio non ci argomentiamo con molte orazioni, e gli altri con correggiarsi di tanti mali, lo divino giudicio verrà, e la divina giustizia trarrà fuore la verga sua, benché, se noi apriano gli occhi, n'è già venuta una delle maggiori che noi possiamo avere in questa vita, cioè d'essere privati del lume di non vedere lo danno né lo male dell'anima e del corpo. E chi non vede, non si può correggere, perché non odia lo male, e non ama lo vero bene; non correggendosi, cade di male in peggio: e così mi pare che si faccia, e a peggio siamo ora che lo primo dì. Perciò c'è necessario di non ristarci mai, se noi siamo veri servi di Dio, con molto sostenere e con vera pazienza; e dare la fatica al prossimo e l'onore a Dio, con molta orazione e ansietato desiderio; e i sospiri ci sieno cibo, e le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6), in su la mensa della croce: altro modo non ci vedo. E però vi dissi che io desideravo di vedervi gustatore e mangiatore delle anime in su la mensa della santissima croce.

Pregovi che vi sieno racomandati i vostri e miei carissimi figli: cotesti di costà, e questi di qua; notricateli e acresceteli nella grande perfezione, giusta al vostro potere. E brighiamo di corrire, morti a ogni propria volontà spirituale e temporale, cioè di non cercare le proprie consolazioni spirituali, ma solo lo cibo de l'anime, dilettandoci in croce con Cristo Crocifisso; e per loda e gloria del nome suo dare la vita, se bisogna. Io per me muoio e non posso morire a udire e vedere l'offesa del mio Creatore; e però vi dimando limosina che preghiate Dio per me, voi e gli altri. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



297. Allo soprascritto Nicolò Soderini, poi che il furore del popolo di Firenze gli robbò e arse la casa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienza, poiché senza la pazienza non saremo piacevoli a Dio, né potremo stare in stato di grazia, poiché la pazienza è il midollo della carità.

Poiché ella ci è tanto necessaria, bisogno c'è di trovarla; ma dove la trovaremo? Sapete dove, dolcissimo e carissimo padre? In quel medesimo luogo dove noi trovaremo l'amore. E dove s'acquista l'amore? L'amore troviamo nel sangue di Cristo crocifisso, che per amore lo sparse in sul legno della santissima croce; e dall'amore ineffabile che noi vediamo che egli ci ha, traiamo e acquistiamo l'amore: poiché colui che si vede amare, non può fare che non ami; amando, subito si veste della pazienza di Cristo crocifisso: riposasi con questa gloriosa e dolce virtù nel mare tempestoso delle molte fatiche.

Questa è quella virtù che non si scorda dalla volontà di Dio; ella è forte, poiché non è mai vinta, ma sempre vince, perch'ella ha con con sè la fortezza e la longa perseveranza, e però riceve lo frutto d'ogni sua fatica. Ella è una regina che signoreggia la impazienzia, non si lassa vinciare a l'ira, non si pente del bene adoperato, del quale spesse volte ne riceve fatiche e tribulazioni; anco gode e ingrassa, l'anima, di vedersi sostenere senza colpa. Solo della colpa doviamo avere fatica, e d'altro no, poiché per la colpa perdiamo quello che è nostro. Che se ne perde? la grazia, che è il sangue di Cristo, che è nostro: che non ci può essere tolto né da demonio né da creatura, se noi non vogliamo.



Ma queste altre cose, ricchezze onore stato delizie sanità e vita, e ogni altra cosa - perché non sono nostre, ma sonci state date per uso quanto piace alla divina bontà - ci possono essere tolte. E però non ci doviamo turbare, né venire a impazienzia, ma rendarle senza pena; poiché bisogno è di rendare e di lasciare quel che non è nostro. Unde noi vediamo che nessuno è che le possa tenere a suo modo, anco glil conviene lasciare: ché o esse lassano noi, o noi lassiamo loro col mezzo della morte. Poiché così è, bene è matto e stolto colui che ci pone disordinato e miserabile affetto. Ma conviensi, come uomo virile, spogliare lo cuore e l'affetto nostro da ogni cosa transitoria e dall'amore proprio di noi, e abbracciarci colla santissima croce, dove noi trovaremo l'amore ineffabile, gustando lo sangue di Cristo dove noi trovaremo la pazienza de l'umile immacolato Agnello. Vedremo che con quello amore dolce ch'egli ha data la vita per noi, dà e ha permessa e permette ogni nostra fatica e tribulazione e consolazione.

Parmi che la divina dolce bontà di Dio ora di nuovo v'abbi mostrato singularissimo amore, avendovi fatto tenere per la dottrina e vita dei santi, fattovi degno di sostenere per gloria e loda del nome suo, e per rendarvi lo frutto nella vita durabile e non in questa vita. Ora è il tempo nostro, carissimo padre, a fare qualche bene per la salute nostra; a ponarci inanzi lo sangue di Cristo per inanimarci alla battaglia, affinché non voltiamo lo capo adietro per impazienzia, né veniamo meno sotto la potente mano di Dio: ma con pazienza portare, facendoci beffe della nostra propria sensualità, e del mondo con tutte le sue delizie, e cognosciare la poca fermezza e stabilità loro. E così ci acordaremo con Pavolo dicendo: «Lo mondo fa beffe di me (1Co 4,9 He 10,33), e io di lui».

Vestirenci, e stregnaremo in noi, la dottrina di Cristo crocifisso; dilettarenci delle tribulazioni - non tanto che noi le fuggiamo - per conformarci con lui che tanta pena sostenne per noi. Provaremo in noi la virtù della pazienza, perché non si pruova se non nel tempo delle molte tribulazioni; poi nell'ultimo, nella vita durabile, ricevaremo lo frutto d'ogni nostra fatica: ma non senza la pazienza. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienza, affinché, quando tornarete alla città vostra di Ierusalem, visione di pace, riceviate quel guadagno che nella via della peregrinazione avete acquistato.

Confortatevi, e con dolcezza ricevete la medicina che Dio v'ha data per vita de l'anima vostra. Voglio che raguardiate, carissimo padre, le grazie che Dio v'ha fatte, e la dolce providenzia sua, la quale ha usata in questo ponto affinché l'anima notrichi in sé la fonte della pietà, essendo grata e conoscente a Dio. Altro non etc.

Rimanete etc.

Confortate monna Costanza da parte di Cristo crocifisso e da mia; e diteli che raguardi a chi ha più fatica di lei, e voglia vedere quanto della gran tempesta Dio l'ha fatta tornare a convenevole bonaccia. Gesù dolce, Gesù amore, etc.




298. Al detto Stefano, essendo essa a Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti portatore con vera e santa pazienza, a ciò che tu facci quel vero fondamento che debbono fare i veri servi di Dio, poiché, come essi eleggono di volere servire a lui, così eleggono di volere portare infine alla morte, per gloria e loda del nome suo. In altro modo, non terrebbe per la via, né succederebbe la dottrina de la dolce Verità.

O figlio carissimo, quanto ti sarà dolce quando tu ti vedrai giunto nel tempo desiderato! La speranza ti facci portare, non con tedio né con pena di mente, ma con debita reverenzia e con fede viva, credendo in verità che, quando egli vedrà che sia l'onore suo e la salute tua, egli ti darà altro tempo. Rende lo debito tuo con reverenzia al padre e alla madre, l'onore a Dio, e la fatica a loro: ora si fabricano le virtù. E a ciò che tu meglio diventi portatore, bàgnati nel sangue di Cristo Crocifisso, e ine aniega e uccide la tua volontà.

Altro non ti dico qui.

Pregoti che se tu puoi senza scandalo, e se la via è sicura, che tu vada fino (...) tu gli dica che i denari per li quali frate Raimondo s'obligò per lui (...) poiché frate Raimondo più volte me n'ha scritto; e ora non potendo (...) per questa cagione, poiché egli non può più sostenere chi debba avere i denari () o no () Anibaldo gli promisse di mandarglili a mezzo marzo prossimo passato. E però mettili mano saviamente quantunque tu puoi; e digli come frate Raimondo non ha neuno modo da sé, e dagli questa lettera che io gli scrivo, e inducelo quanto più puoi che almeno scriva di qua a chi fa i suoi fatti, che restituiscano questi denari. E di queste cose non t'impacciare di parlare con persona; e se tu non vi puoi andare, dà la lettera a Cristofano che ti darà questa lettera.

Conforta tutti cotesti figli da parte di Gesù Cristo Crocifisso e da nostra. Di' a Petro di Giovanni che io mi maraviglio come egli non mi possiede risposto dei fatti dell'Abbate di Monte Oliveto, e però di' che mi risponda subito come l'Abbate vuole fare; e se Petro non può, sì vi va' tu, e fa' quello che doveva fare egli: e se tu non ne sei informato, fattene informare a lui. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Rispondemi d'ogni cosa lo più tosto che tu puoi. Gesù dolce, Gesù amore.

Io Neri del quattrino che ti sai, ti prego che mi racomandi a don Girolamo dei Frati della Rosa, ma non pugnare quanto a frate Simone.





299. A missere Ristoro di Piero Canigiani da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato dell’uomo vecchio e vestito del nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10). Spogliato, dico, del vecchio peccato d'Adam, e di quello disordenato affetto che egli ebbe, col quale affetto offese Dio passando laobbedienza sua, e offese sé tollendosi la vita della grazia.

Unde, subito che ebbe offeso, trovò ribellione in sé e in tutte le creature; e così l'anima che segue e si veste di questo uomo vecchio trova né più né meno, amando disordenatamente sé medesimo d'amore sensitivo; dal quale amore sensitivo segue ogni altro disordenato amore.

Questo è quello miserabile amore che tolle lo lume della ragione e non lassa conoscere la verità; priva della vita della grazia e dacci la morte; tolleci la libertà e facci servi e schiavi del peccato, che è quella cosa che non è, unde in questa vita gusta la caparra de l'inferno. Dico che non conosce la verità, poiché, se conoscesse la verità, non porrebbe il cuore e l'affetto e tutta la sollicitudine sua nel mondo e non se ne farebbe dio, anco lo spregiarebbe con tutti i suoi diletti, vedendo la poca fermezza e stabilità sua, e quanto è vano e caduco.

E non il vediamo noi tutto dì, carissimo fratello, che ogni cosa del mondo passa come lo vento, e nessuna cosa si può tenere a modo nostro? Poiché nessuna cosa è nostra, se non solo la divina grazia, la quale non ci può essere tolta se noi non vogliamo: poiché questa grazia non si perde se non per la colpa, ed i non è né demonio né creatura che ci possa costrignere a commettere una picciola colpa, e però non ci può essere tolta. Ma le cose del mondo che ci sono date in presta e per uso, ci possono essere tolte; e sonci tolte quando piace alla divina bontà, che ce l'ha date. Unde noi vediamo che testé l'uomo è ricco, e testé povero; ora è in grande altezza, e ora in grande bassezza; e dalla sanità veniamo alla infermità, e dalla vita alla morte. E così ogni cosa c'è mutabile; e tale ora le vuole l'uomo tenere, che egli non può, poiché non sono sue: che se elle fussero sue, le terrebbe quanto vuole. Ma songli state date perché se l'usi per necessità, ma non perché le tenga con disordenato amore, amandole fuore di Dio: poiché, facendo così, trapassarebbe il suo comandamento, lo quale dice che noi lo doviamo amare sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27). Unde, non facendolo, sì passa l'obedienzia sua; ed essofatto che egli è fatto disobbediente, è privato della vita della grazia, ed èssi fatto degno della morte eterna.

Egli è fatto incomportabile a sé medesimo, unde gusta la caparra dell'inferno, poiché il verme della conscienzia sempre rode. Per la quale cosa sostiene pena intollerabile, quando si vede privato di quella cosa che egli amava tanto disordenatamente, vedendo che glil convenga lasciare o nella vita, essendoli tolta, o nella morte; poiché, morendo l'uomo, ogni cosa gli conviene lasciare, ché con sè non ne porta altro che il bene che egli ha operato, o il male, ricevendo ognuno quello che ha meritato: poiché ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato. Altro non ne può portare; e però l'uomo che disordenatamente ama sostiene grandissima pena, quando perde quello che tanto amava, poiché tanto si perde con dolore quanto si possiede con amore. Unde tutta la vita sua è pena, ed eziandio possedendo e stando in delizie ha pena, perché teme di perdere quello che egli ha.

Chi non conosce tanta miseria e grave tormento quanto dà il mondo? Chi ha acecato lo lume della ragione con l'amore proprio di sé; lo quale lume perde per conscendere alla serva della propria sensualità, la quale sensualità è vestita dell’uomo vecchio, cioè del peccato d'Adam. Quanto è miserabile lo stolto e ingrato uomo che si tolle tanta dignità quanta è il lume della ragione, e la vita della grazia, e la libertà, essendosi fatto servo del demonio e del peccato, che non è alcuna cosa! La quale libertà gli fu renduta col mezzo del sangue del Figlio di Dio, nel quale sangue fu lavata la faccia dell'anima nostra. Oh quanto sarà degno di reprensione colui che iniquamente spende e consuma la vita sua, la quale iniquità non gli lassa conoscere la bontà di Dio in sé, né ricevere il frutto del sangue! Che ha fatto lo stolto uomo, poi che egli ha distese le braccia e ha abbracciate tutte le delizie del mondo per desiderio? Nulla se ne trova altro che confusione e stimolo di conscienzia nell'ultima stremità della morte. Egli è fatto come il frenetico, o come colui che sogna, che gli pare avere i grandi diletti, e poi, svegliato, non si trova alcuna cosa; e così l'uomo che si desta dal sonno di questa tenebrosa vita non si trova altro che pena e rimproverio.

Che modo c'è dunque da tenere a ciò che noi non perdiamo lo bene del cielo, né in questa vita viviamo in tanta afflizione? Questo è il remedio, dolcissimo fratello: che noi ci spogliamo di questo uomo vecchio che ci dà intollerabile pena, e vestianci dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù (Rm 13,14 Ga 3,27); ordinando la vita nostra, vivendo come uomo e non come animale; levando la nuvola dell'amore proprio di noi; e odiare la propria nostra sensualità - che è una legge perversa che combatte contro lo spirito (Rm 7,23) -, e il mondo con tutte le sue delizie. E subito, veramente, che con l'occhio dell'intelletto le raguardarete, vedrete quanto elle sono nocive alla salute nostra - amandole fuore di Dio -, e quanta pena intollerabile in questa vita ci danno.

Allora, quando l'anima raguarda questo, subito concepe uno odio alla propria sensualità e a tutto quanto il mondo (non che egli non ami le cose che sono create; e l'uomo che ha i suoi figli, ama i figli suoi e la donna e gli altri che gli sono congiunti, ma amali d'amore ordenato e non disordenato: cioè che per loro non vuole ponere l'anima sua né offenderne Dio. Sì che ama con ordine, e non senza ordine, poiché Dio non ci vieta che noi non amiamo, anco ci comanda che noi amiamo lo prossimo come noi medesimi, ma vietaci i nostri disordenati modi con che noi amiamo). E questo è quello che l'anima odia, perché vede che egli è vietato da Dio, ed è danno suo. Allora, poi che ha conceputo l'odio verso quella cosa che die odiare, perché l'anima non può vivere senza amore subitamente ama sé, e il prossimo suo, e le cose che sono create, d'amore ordinato e con affetto di virtù, ponendosi dinanzi all'occhio dell'intelletto - col lume della santissima fede - per obiettivo Cristo Crocifisso, e in lui vede e conosce quello che egli die amare.

E perché nel sangue di Cristo vede l'amore ineffabile che Dio gli ha - perché più manifestamente il sangue ci ha manifestato l'amore e la carità di Dio, che nessuna altra cosa -, distendesi subito ad amarlo con tutto il cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), perché condizione è dell'amore d'amare quando si sente amare, e d'amare tutte quelle cose che ama colui che egli ama. E però, a mano a mano che l'anima ha cognosciuto l'amore del suo Creatore verso di lei, l'ama; e amandolo ama tutte quelle cose che Dio ama. E perché vede che sommamente Dio ama la sua creatura che ha in sé ragione (che in tanto l'amò, che ci donò il Verbo del suo Figlio, a ciò che desse la vita per noi, e lavasseci la lebbra della colpa del peccato mortale nel sangue suo), però l'uomo distende e participa l'affetto e la carità sua col prossimo; e al prossimo vuole rendere quello che a Dio rendere non può, cioè di fargli utilità, poiché egli è lo Dio nostro, che non ha bisogno di noi. E però quella utilità che a lui non può fare, la fa al prossimo, che è quello mezzo che Dio ci ha posto, nel quale mezzo manifestiamo l'amore che aviamo a lui.

Per questo amore l'uomo non concepe odio verso lo prossimo suo per nessuna ingiuria che da lui gli fusse fatta, ma con pazienza porta e sopporta i difetti suoi, dolendosi più dell'offesa di Dio e del danno dell'anima sua, che della ingiuria o del danno proprio. Questo è amore ordenato, poiché non esce dell'ordine della carità. E vestesi dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù, seguitando le vestigie e la dottrina sua, rendendo bene a quelli che gli fanno male (Lc 6,27). Odia quello che Cristo benedetto odia, e ama quello che egli ama.

Che odiò Cristo benedetto? Odiò lo vizio e il peccato, onore delizie e stati del mondo; e tanto gli dispiacque lo peccato che, non essendo in lui veleno di peccato, della nostra colpa volle fare vendetta, e punilla sopra il corpo suo in tanto tormento e pena che la lingua nostra non sarebbe sufficiente a narrarlo.

L'onore e le delizie egli spregiò - unde, quando volse essere fatto re, egli sparve di mezzo di loro (Jn 6,15) -, ma abracciò la povertà, le ingiurie, gli scherni e le villanie, sostenendo fame e sete e molte persecuzioni, infine alla obbrobriosa morte della santissima croce. A questo non fuggì, ma féssi rincontra ai Giuderi quando lo volsero prendere, dicendo: «Cui dimandate voi?». E rispondendo ellino: «Gesù Nazzareno», «E se voi cercate me - disse il dolce e amoroso Verbo -, io sono esso. Pigliatemi e lassate stare costoro» (Jn 18,78), dicendo dei discepoli suoi.

Così ci dié dottrina, la verità dolce, della carità del prossimo - quanto noi lo doviamo amare -, e della pazienza: come doviamo portare ogni cosa che Dio permette a noi, realmente, per gloria e loda del nome suo, non schifando fatica né labore, né voltando mai lo capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62) per impazienzia, né per odio del prossimo suo, ma con allegrezza cordiale farse lo' a rincontra, e strignarle per affetto d'amore, per Cristo Crocifisso.

E veramente noi doviamo portare, e materia n'aviamo: sì perché la fatica è piccola, e sì perché ella è di grande frutto, e sì per amore di colui che le dà. Piccola è, e sapete quanto? quanto una punta d'aco, poiché tanto è la fatica, quanto lo tempo; e il tempo vedete bene che egli è tanto piccolo che l'uomo nol può imaginare. Lo tempo che è passato, voi non l'avete; lo tempo che è a venire, non sete sicuro d'averlo: solo dunque questo punto del tempo presente avete, e più no. Dunque la fatica passata non c'è, né l'avenire, poiché non siamo sicuri d'averla, ma tanta fatica aviamo quanto è il tempo, e più no: bene è dunque vero che ella è piccola. Quanto è grande il frutto? Dimandatene il dolce banditore di Paulo, che dice che non sono condigne le passioni di questa vita a quella futura gloria.

Se noi vediamo colui che le dà, è il dolce Dio nostro sommamente buono; e perché egli è sommamente buono non può volere altro che bene. E perché ce le dà? Per nostra santificazione, a ciò che la margarita della virtù della pazienza sia provata in noi; la quale virtù ci manifesta se in verità amiamo lo Creatore nostro, e se aviamo in noi la vita della grazia, o no. Poiché come la impazienzia è uno segno che noi amiamo più noi e le cose create che il Creatore, così la pazienza è segno dimostrativo che ci fa manifesto che noi amiamo Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi.

Sì che vedete che segue Cristo odiando lo vizio e amando la virtù; e strignela a sé, e vestesene in tanto che sceglie prima la morte che volersene spogliare, tanto gli è dilettevole e piacevole la virtù. Vestita che l'anima è di questo uomo nuovo, col lume de la ragione, gusta vita eterna; e nessuna cosa lo può turbare. Se egli ha fatiche, egli gode della tribulazione: egli ne 'ngrassa; e non ha timore affriggitivo - cioè timore servile che tema di perdere la sustanzia del mondo - poiché con l'amore ordinato le possiede, e come cose prestate e non come cose sue, perché già vidde e cognobbe che elle erano cose transitorie, e non le poteva tenere a modo suo perché non erano sue; e però si dispose a tenerle per suo uso e con amore ordenato.



E tutta la vita sua ha ordenata in Dio, in qualunque stato si sia. Se egli è allo stato del matrimonio, egli lo conserva in grande onestà, avendo in debita reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa. E se egli ha figli, egli fa come creatura ragionevole, che notrica l'anima e il corpo: e così debba fare, allevandoli nei comandamenti dolci di Dio. E se egli è in altro stato che avesse a sovvenire al prossimo suo, egli si fa padre dei povari, e volentieri s'affatica per loro, sovenendoli in ciò che può.

Del corpo suo, per diletto e delizie di vestimenti, non se ne vuole fare dio, ma con modo ordinato e piacevole a Dio tiene lo stato suo, senza leggerezza o vanità di cuore. E non attende a spendere solamente il suo in adornamento di casa - poiché vede che, adornata che ella fusse, gli potrebbe essere guasta, e tolto l'adornamento -, ma ingegnasi solo d'adornare la casa dell'anima sua di vere e reali virtù; lo quale adornamento neuno è che glil possa togliere, se egli non vuole. E però questi cotali di nessuna cosa possono avere pena, perché hanno posto l'amore e l'affetto in quella cosa che non lo' può essere tolta. E corrono questa vita piena d'affanno senza pena affriggitiva, e senza stimolo di conscienzia; e vanno leggieri per la via di Cristo Crocifisso, seguitando la dottrina sua, vestiti del vestimento leggiero di questo uomo nuovo; spogliati della gravezza dell’uomo vecchio che agrava e occupa l'uomo in colpa di peccato mortale, e in molte pene e affanni in questa tenebrosa vita (egli non intende sé medesimo - non tanto che sia inteso da altri -, perché l'amore proprio gli ha tolto lo lume della ragione, unde non conosce la verità. E però ha pena: poiché se non la conosce questa verità, non la può amare; non amandola, non se ne veste, e però è sempre inquieto). E però dissi io - a ciò che fuste liberato da questa pena, e riceveste la vita della grazia, e rispondeste a Dio che vi chiama e v'ama ineffabilemente - che io desideravo di vedervi spogliato dell’uomo vecchio, e vestito dell’uomo nuovo Cristo dolce Gesù: e così vi prego che facciate.

Del caso occorso godete, poiché è la vita dell'anima vostra, e crescete in voi lo fuoco del santo desiderio.

E se altro vi dicesse la propria sensualità, o le lusinghe delli uomini del mondo, non lo' credete, ma fermo e stabile, come uomo virile, seguitate lo santo proponimento; e pensate che gli uomini del mondo non potranno rendere ragione, dinanzi al sommo giudice, per voi, nell'ultima 'stremità della morte, ma solo la buona e santa conscienzia. Or non dormite più, ma in tutto ordinate la vita vostra. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.