00 19/10/2012 19:16
333. A frate Raimondo da Capua de l'ordine dei Predicatori, padre dell'anima sua.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi levato oggimai dalla fanciullezza vostra, ed essere uomo virile; levarvi da gustare lo latte, ed essere fatto mangiatore del pane.

Poiché il fanciullo che si nutre di latte non è atto a stare in battaglia, né si diletta di stare altro che in giuochi coi suoi simili: così l'uomo che sta nell'amore proprio di sé non si diletta di gustare altro che il latte delle proprie consolazioni spirituali e temporali, dilettandosi come fanciullo con quelli che li sonno simili. Ma quando egli è fatto uomo, levatosi dalla tenerezza e amore proprio di sé, egli mangia lo pane con la bocca del santo desiderio, ischiacciandolo coi denti de l'odio e dell'amore, in tanto che, quanto più è muffato, più se ne diletta.

Quanto si riputa beata quella anima quando si vede le gengie gittare sangue! Egli è fatto forte, e però piglia la conversazione dei forti; tutto maturo pesato e non leggiero corre con loro insieme a la battaglia, e già non si diletta d'altro. Lo suo riposo è il sostenere: con quello dolce innamorato Paulo si vuole gloriare nelle molte tribulazioni (2Co 12,10), sostenendole per la verità. Questi cotali hanno rifiutato lo latte; rilucono in loro le stimate di Cristo crocifisso, seguitando la dolce dottrina sua. Questa anima, stando nel mare tempestoso, ha bonaccia; ne l'amaritudine gusta la grande dolcezza; con vile e piccola mercanzia acquista le grandi ricchezze; essendo stracciata e dilaniata dal mondo, più perfettamente si ricoglie e s'unisce in Dio. Quanto più è perseguitato dalla bugia, più essulta nella verità; patendo fame, nudità, ingiurie, strazii e villanie, più perfettamente si sazia del cibo immortale; è rivestito, levata via la nudità del proprio amore, lo quale dinuda l'anima d'ogni virtù; e nelle vergogne e strazii trova la gloria sua.

Questi tali sono mangiatori di pane muffato, ma non asciutto, poiché asciutto ben bene i denti nol potrebbono schiacciare, se non con grande loro fatiga e poco frutto; ma essi lo 'ntengono nel sangue di Cristo crocifisso, nella fonte del costato suo: e però, come ebbri d'amore, corrono mettendo lo pane muffato delle molte tribolazioni in questo prezioso sangue. In loro non cercano altro se non in che modo possino rendare gloria e loda al nome di Dio; e perché nel tempo delle molte fatighe veggono che meglio si pruova la virtù - e della buona prova che fa l'anima torna più onore a Dio -, però s'abracciano con esse, e anco perché meglio si conformano con Cristo crocifisso coi la pena che col diletto.

Perciò, carissimo e dolcissimo padre, con pianto ci leviamo dal sonno della negligenzia e ingratitudine, riconoscendo le grazie e i beneficii che vecchie e nuovamente avete ricevute da Dio e da quella dolce madre Maria, per la quale confesso che per nuova grazia l'avete ricevute. In questa grazia vuole Dio che conosciate lo fuoco della sua carità; nella quale carità, col lume della santissima fede, più largamente e liberamente abandoniate voi medesimo per lo suo onore, ed essaltazione della santa Chiesa e del vicario di Cristo, papa Urbano VI, sommo pontefice; e vuole che vi dilatiate in speranza, sperando nella providenzia e aiuto divino - senza neuno timore servile -, e non in uomo né in nostra industria umana. Anco ha voluto che conosciate la vostra imperfezione, mostrandovi che voi siete ancora fanciullo e non uomo che vi notrichiate di pane, ché se egli avesse veduto che voi aveste avuti denti da ciò, ve n'arebbe dato, sì come agli altri vostri compagni. Non foste anco degno di stare un poco in sul campo della battaglia, ma, come fanciullo, ne foste cacciato adietro; e voi volentieri ne fugiste e aveste grande allegrezza che Dio conscese a la vostra infermità.

Gattivello padre mio, quanto sarebbe stata beata l'anima vostra e mia se aveste murata una pietra nella santa Chiesa col sangue vostro, per amore del sangue! Veramente noi aviamo materia di pianto, di vedere che la nostra poca virtù non ha meritato tanto bene. Or gittiamo i denti lattaiuoli e studianci di mettare i denti granati de l'odio e dell'amore. Mettianci la panziera della carità con lo scudo della santissima fede (Ep 6,16) e, come uomini cresciuti, corriamo al campo della battaglia e stiamo fermi, con una croce di dietro e una dinanzi, affinché non possiamo fugire: ché andando al campo grandi e armati, non ne saremo cacciati del campo. Affinché Dio infonda in voi e in me questa grazia, e negli altri, oggi cominciarò ad offrire lacrime e ansietato desiderio, il quale è dolce e amaro. Dolce è per lo ringraziamento dei beneficii ricevuti da lui nuovamente, e amaro per la mia e vostra imperfezione la quale ci ha privati di tanto bene.

Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso Bagnatevi nel sangue Saziatevi nel sangue Inebriatevi del sangue Vestitevi di sangue Doletevi di voi nel sangue Rallegratevi nel sangue Crescete e fortificatevi nel sangue Perdete la debolezza e cecità nel sangue E con lume corrite come virile cavaliere a cercare l'onore di Dio, il bene della santa Chiesa e la salute delle anime nel sangue. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





334. A misser Buonaventura da Padova cardinale de l'ordine dei frati eremitani, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna ferma e stabile nel giardino della santa Chiesa, affinché con la fermezza e stabilità vostra e degli altri sia fortificata la fede nostra, essaltiate la verità e confondiate la bugia, e dirizziate la navicella della santa Chiesa, la qual è percossa da l'onde del mare tempestoso della bugia e scisma, levata dalli iniqui uomini amatori di loro medesimi, i quali sonno stati non colonne ferme mantenitori della fede, ma seminatori di veleno.

Voglio dunque, carissimo padre, che siate fermo, constante e perseverante in ogni virtù; le quali virtù fortificano l'anima, traendone la debolezza dei vizii, i quali la fanno debole sottoponendola alla servitudine loro. A questa fortezza delle vere e reali virtù non ci fanno venire stato, ricchezza, né gli onori del mondo, non le grandi prelazioni, né il presumare di sé medesimo, no, ma solo lo conoscimento che l'anima ha di sé medesima.

Nel quale conoscimento vede sé non essere per sé, ma solo per Dio; conosce la miseria e fragilità sua, e il tempo che si vede avere perduto, nel quale molto poteva guadagnare; e conosce col lume la sua indegnità e la sua degnità. La sua indegnità conosce nel corpo suo, lo quale è cibo di morte e cibo di vermini: dirittamente uno sacco pieno di sterco; e nondimeno ci dilettiamo più di contentare, amare e conscendere a questo sacco putrido, con amore sensitivo, che alla ricchezza dell'anima, la quale è di tanta degnità che a maggiore non può venire. Unde noi vediamo che Dio, costretto dal fuoco della sua carità, non ci volse creare animali bruti, né darci la similitudine degli angeli, ma creò noi ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), a fine che noi godessimo di lui nell'eterna sua visione; e per compire la sua verità in noi - cioè di darci quello fine per mezzo del quale egli ci creò -, e per compire la degnità nostra, egli prese la nostra immagine, quando vestì la deità dell'umanità, ricreandoci a grazia nel sangue del dolce e amoroso Verbo unigenito suo Figlio, lo quale ci ricomperò non d'argento, ma del proprio sangue (1P 18-19). Unde lo prezzo del sangue che è pagato per noi, e l'unione che Dio ha fatta nell’uomo, ci manifestano l'amore ineffabile che Dio ci ha e la degnità nostra, la quale ricevemmo nella creazione, come detto è.

Bene è mercenaia quella creatura che si tiene cotanto vile che si sottomette a colpa di peccato, lo quale è la più vile cosa che sia, anco è non nulla; e come cieco, non vede che tale diventa quale è la cosa di cui esso si fa servo. Detto aviamo che il peccato non è nulla, perché ci priva di Dio per grazia, lo quale è colui che è (Ex 3,14). Questo non è stato nella casa del conoscimento di sé, ma è stato fuori di sé; come matto e farnetico s'è attaccato alla morte e tenebre del proprio amore sensitivo di sé medesimo, unde nasce ogni male; e ha lasciata la luce d'uno conoscimento della 'nfinita bontà di Dio, che gli ha data tanta dignità: per debito, no - ma per grazia. Che se egli con lume avesse conosciuto sé, vedendo lo difetto suo, egli avrebbe acquistata la vera e perfetta umilità, poiché l'anima che sta in questa dolce casa del conoscimento di sé e della bontà di Dio in sé, ella s'umilia, perché la cosa che non è non può insuperbire: ed egli vede, come detto è, sé non essere per sé, ma per Dio. E però cresce in lei lo fuoco della carità, riconoscendo da Dio l'essere, e ogni grazia posta sopra l'essere. E perché vede che la indegna legge perversa, la quale sempre combatte contro lo spirito (Rm 7,23), l'è cagione, se volontà consente, di farle perdare Dio per grazia e il frutto del sangue, però subito concepe uno odio santo verso la propria sensualità: e quanto più odia, più ama la ragione; e con questo amore e lume si leva da quello che il faceva indebilire, e uniscesi per affetto d'amore in Dio, che è somma fortezza, col mezzo delle vere e reali virtù.

Perciò, bene è vero che nel conoscimento che l'uomo ha di sé medesimo, nel modo detto, acquista la fortezza. E quanto è forte, carissimo padre? Tanto che né demonio né creatura il può indebilire, mentre ch'egli sta unito con la sua fortezza; e da questa fortezza nullo lo può separare, se egli non vuole. Fanno le battaglie e molestie del demonio indebilire l'anima? Certo no; ma molto magiormente si fortifica, perché elle sonno cagione di farla fugire con più sollecitudine alla fortezza sua; e anco pruova l'amore ch'ella ha a Dio, se egli è fondato in proprio diletto o no: cioè che ella l'ami d'amore mercenaio. Né le creature con le molte perseguizioni, ingiurie, strazii e villanie, rimprovari e scherni la indebiliscono, anco la fanno levare molto magiormente da ogni amore delle creature, fuori del Creatore, e fannola provare nella virtù della pazienza. Perciò neuno è che la possa indebilire, se non quando ella vuole, separandosi dalla sua fortezza, in qualunque stato l'uomo si sia: poiché lo stato né il tempo non ci tòllono Dio, poiché egli non è accettatore degli stati né dei luoghi né dei tempi, ma dei santi e veri desiderii.

Perciò voglio che voi siate una colonna forte ferma e stabile, fortificandovi nelle vere virtù, nel conoscimento santo di voi, affinché pienamente potiate fare nella santa Chiesa quello per che voi sete posto; che se nol faceste, vi sarebbe molto richiesto da Dio. E quanta confusione sarebbe ne l'ultima estremità della morte dinanzi al sommo giudice, dove noi non ci possiamo nascondare, ma il minimo pensiero del cuore è manifesto dinanzi a lui! O carissimo padre, non dormiamo più, ché siamo nel tempo della vigilia, ma con ardente desiderio conosciamo noi, e la grande bontà di Dio in noi, affinché come veri lavoratori lavoriamo nel giardino della santa Chiesa. Ognuno lavori secondo che gli è dato a lavorare, per onore di Dio, salute de l'anime e riformazione della santa Chiesa, e per acrescimento della verità di papa Urbano VI, sommo pontefice, con una vera umilità e pazienza, riputandoci degni delle pene e fatighe, e indegni del frutto che segue doppo la pena. Anneghiamo la propria perversa volontà nel sangue di Cristo crocifisso; seguiamo la dolce dottrina sua. Altro non vi dico.

Pregovi che costà, nel luogo dove voi sete, voi attendiate alla salute delle anime: dicolo perché molti vi sono che stanno in grandissima eresia. Per l'amore di Dio, vi prego che abiate l'occhio sopra coteste pecorelle, senza timore servile, affinché il demonio infernale non le divori. Perdonatemi la negligenzia, isconoscenzia e presunzione mia, che tanto v'ho gravato di parole. Umilemente mi vi raccomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







335. A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo Martino di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi lo lume e il fuoco dello Spirito santo, lo quale lume caccia ogni tenebre, e il fuoco consuma ogni impazienzia e amore proprio che fusse nell'anima, o corporalmente o spiritualmente che fusse. Però ho grande desiderio di vedere in voi questo lume e fuoco perché, secondo che mi scriveste, avete passioni e tribolazioni spirituali e corporali, per le quali egli vi bisogna questo lume.

E perché ci bisogna, padre carissimo, questo lume? Perché è uno vedere che ha l'occhio dell'intelletto, poiché, come nella visione di Dio sta la nostra beatitudine, così nel vedere e nel cognoscimento di noi medesimi e de la bontà di Dio, che è in noi, riceviamo lo lume della grazia de lo Spirito santo, lo quale lume e grazia fortifica e accende l'anima a portare, con grande desiderio e pazienza, ogni infermità e tribolazione e tentazione che ricevessimo o dagli uomini, o dal demonio, o dalla carne propria. E non vuole eleggiare neuno tempo a modo suo, anco ogni tempo e stato che ha, ha in reverenzia, sì come persona che è vestita de la dolce e eterna volontà di Dio. Ché, subito che l'uomo vòlle l'occhio dell'intelletto a cognosciare sé, e vedere la volontà di Dio in sé, e quello che la volontà di Dio richiede, trova che non cerca né vuole altro da lui che la sua santificazione: ché se egli avesse voluto altro, Dio non ci averebbe dato lo Verbo del Figlio suo, e il Figlio non avrebbe data la vita con tanto fuoco d'amore. Vede dunque l'anima che ciò che Dio li permette in questa vita, o d'infermità corporale o spirituale per diverse tentazioni, egli le giudica nella volontà di Dio: la quale permettendole solo per nostro bene, vedell’uomo che una foglia d'arbolo non cade senza la providenzia sua.

Dio ci lassa tentare per prova delle virtù, e per acrescimento di grazia; non perché noi siamo vinti, ma perché noi siamo vincitori: non confidandoci nella nostra fortezza, ma nell'aiutorio divino, dicendo con l'appostolo dolce Pavolo: «Per Cristo Crocifisso ogni cosa potrò, che è in me che mi conforta». (Ph 4,13) Facendo così, lo demonio rimane sconfitto, e questa è l'arme con che rimane sconfitto: spogliarsi de la sua volontà e vestirsi di quella di Dio, giudicando che ciò che egli permette è per nostra santificazione, ché nessuna cosa è che dia pena nell'anima, se non la propria volontà.

E perché di questo lo demonio se n'avede, non potendo ingannare i servi di Dio ne le cose che paiono male, o in troppo larga conscienzia, egli si pone a ingannarli sotto colore di virtù, con disordenata confusione e 'strema conscienzia, dicendo allo infermo: «Se tu fussi sano, molto bene potresti fare». E a colui che è tentato e molestato da esso demonio, di qualunque tentazione o molestia si vuole essere, per cogitazioni e pensieri, dice ne la mente sua, volendo che egli le rifiuti: «Se tu non l'avessi, ne piaciaresti più a Dio: avaresti la mente pacifica; l'offizio e l'altre opere tue sarebbero grate e piacevoli a Dio», volendoli fare vedere che, per quelli pensieri e forti battaglie, neuno suo detto o fatto piaccia alla bontà di Dio. E poiché il demonio guadagna più nei servi di Dio de la confusione che d'altro, poiché egli non li può fare cadere con colore di vizio, egli gli vuole fare cadere sotto colore di virtù.

Sappiate, carissimo padre, che Dio ci permette le fatiche solo perché noi proviamo in noi la virtù de la pazienza, de la fortezza e perseveranza; le quali virtù escono dal cognoscimento di sé, poiché ne la battaglia io cognosco me non essere: ché, se io fussi alcuna cosa, io me la levarei, ma io non posso levarmi le battaglie dell'anima né l'infermità del corpo. Possiamo bene levare la volontà, che non consenta; e in questa volontà troviamo la bontà di Dio che per amore ineffabile ci donò questa volontà libera, ne la quale sta lo peccato e la virtù ché, sì come donna che ella è, né demonio né creatura la può constringere, più che ella si voglia, a neuno peccato. Vedendo questo, l'anima prudente nel tempo de le battaglie gode, vedendo che Dio gli il permette per farla cresciare in maggiore e più provata virtù, perché la virtù non è mai provata se non per lo suo contrario, e non si vede se ella è virtù: sì come la donna che ha conceputo in sé lo figlio, che fino che nol parturisce, nol può vedere di verità quello che è, se non per oppinione.

Così l'anima, se ella non parturisce le virtù con la pruova delle molte pene - da qualunque lato elle vengano, o da la carne o dal demonio o dagli uomini -, non può mai vedere se ella l'ha, o sì o no, ché molte volte l'anima che anco non è provata in virtù si dispone a volere portare ogni cosa per lo Dio suo.

E quando Dio vede conceputo lo desiderio nell'anima, subito la mette alla prova, e vuole provare l'amore suo, se egli è fedele o mercennaio: poiché allora lo pruova l'anima in sé quando il trova fedele, che tanto si muova per la tribolazione, quanto per la consolazione. Perché vede che ogni cosa è permessa da Dio, gode ed è lieta di ciò che ella ha, perché è fatta una volontà con quella di Dio. E se egli si trova servo, che nel tempo della prova egli voglia fuggire la pena, questi sarebbe mercennaio, e non fedele: ha materia allora di correggiarsi. Perciò bene è la verità che Dio ogni cosa permette a noi per acrescimento di grazia e prova de la virtù come detto è: l'anima per questo ne conosce meglio sé, nel quale cognoscimento s'umilia, e non si leva in superbia, e conosce la bontà di Dio in sé, trovando che gli conserva la volontà che non consente a tante molestie e illusioni di demonio. Or questo è la volontà di Dio: cioè che per questo fine ce le concede.

Ma la volontà perversa del demonio quale è? è questa: per fare venire l'anima a tedio, a confusione, a tristizia di mente, e a stimolo di conscienzia, non ci tenta l'antico nemico di peccato dissoluto, dandoci molte volte molestia e movimento nel corpo nostro, perché egli creda che noi vi cadiamo - poiché egli vede bene che la volontà ha deliberato inanzi di morire che consentire -, ma fallo per giognarlo nel secondo, facendolo reputare che quella sia offesa colà dove ella non è, dicendoli: «Le tue opere e orazioni debbono essere fatte con purezza di mente e di cuore, e tu le fai con tanta immondizia!». Questo dice perché l'orazione gli venga in tedio, affinché nel tedio e ne la tristizia egli l'abbandoni - e quello e ogni santa e buona opera -, perché raguarda solo che modo possa tenere di farci gittare l'arme a terra con la quale noi ci difendiamo, perché gli è poi agevole averci nel primo e nel secondo. L'arme nostra è questa, la santa orazione e le cogitazioni sante, fondate nella dolce e eterna volontà di Dio, nella quale volontà l'anima non cerca sé per sé, ma sé per Dio, e il prossimo per Dio, e Dio per Dio, e non per propria utilità, in quanto Dio è somma et eterna bontà, e degno d'essere amato e servito da lui, sì che l'ama e serve in ogni stato e tempo che egli è. Allora sta in su la rocca sicura, con uno acceso e ardito desiderio, levando sé sopra di sé, tenendosi ragione con uno odio santo di sé medesimo, reputandosi degno de le pene e battaglie, e indegno del frutto che vede che segue de la pena; per umilità egli si reputa indegno della pace e quiete della mente; dilettasi di stare in croce con Cristo Crocifisso. Egli si vuole satollare d'obrobii, di pena, di scherni e di villania, pure che egli si possa conformare con Cristo, perché vede che l'anima non si può unire col suo Creatore se non per amore, e l'amore Cristo Gesù elesse questa via per la più perfetta e migliore che avere potesse: egli ce l'insegnò che ella era la via della verità e de la luce dicendo: «Io sono via, verità e vita: (Jn 14,6) chi va per questa via non erra, anco va per la luce» (Jn 8,12).

E però i servi di Dio, volendolo seguire, se possibile fusse di fuggire l'inferno e avere paradiso e uscire del mondo senza pena, non vogliono. Anco, con pena vogliono uscire del mondo, campare dell'inferno e avere vita eterna, per conformarsi col loro diletto Cristo. E se essi sono infermi godono, perché veggono vendetta del corpo loro e di quella legge perversa che combatte contro lo spirito; se essi sono in battaglie e in tenebre di mente, o in tentazione di bastemmia o di disperazione o d'infedelità, o d'altra molestia che il demonio gli desse, egli gode per vera umilità, reputandosi indegno della pace, e non cura fatiche: attende pure a conservare la rocca forte della sua volontà che egli non s'inchini a neuno suo consentimento, sentendo che la rocca della volontà, per la grazia di Dio, sta forte: che non tanto che ella consenta, ma d'altro non ha pena se non per timore che ha di non offendare Dio.

In questa pena voglio che v'abbiate cura, perché mi pare che il demonio vi ci dia molta molestia: anco, tutte le vostre pene sono redutte qui su. Sappiate che questa pena vuole essere ordenata, come detto è, e fondata in cognoscimento di sé per umilità, e nel cognoscimento della bontà di Dio, lo quale vi conserva la volontà: a questo modo sarà pena ingrassativa, che ingrasserà l'anima nella virtù, e non consumativa per disperazione. Trarranne la virtù picciola dell'umilità per cognoscimento di sé, e la virtù de la carità per lo cognoscimento di Dio, che sono due ale che fanno volare l'anima a vita eterna, ché non sarebbe buono a pigliare solo lo timore dell'offesa che non fusse mescolato con la speranza de la divina misericordia: ché altro non vorrebbe lo demonio che conduciarci in su la confusione e tristizia, la quale disecca l'anima. La quale tristizia e confusione di mente gitta a terra l'arme che lo Spirito santo ha dato nell'anima, cioè della volontà sua, conformata con quella di Dio; e cominci a volere la sua propria, sotto colore di meglio servire a Dio, volendo levare la infermità e altre pene mentali che egli ha avute e ha, dicendo: «Meglio e più liberamente servirei al mio Creatore». Questo cotale s'inganna, e lo inganno gli viene dal disordenato timore che il demonio gli dà, che il fa per rivestirlo de la volontà sua propria. Unde nasce una impazienzia, che diventa incomportabile a sé medesimo, una occupazione di mente, uno parere proprio, uno volere eleggiare le vie e gli stati a suo modo, e non secondo che Dio le permette.

Dunque non ci voglio più confusione, né tristizia, né volontà vostra, ma con una letizia, e fuoco dolce d'amore, e lume di Spirito santo, con uno cuore virile e non timoroso, vestendovi de la dolce e eterna volontà di Dio, la quale v'ha permessa e permette ogni pena, corporale e mentale: e questo ha fatto e fa per vostra santificazione, e per singulare amore donato a voi, e non per odio. Orsù, con l'arme! Sconfiggiamo questo demonio con l'eterna volontà sua; e col pensiero cacciamo lo pensiero, coi pensieri di Dio cacciando i pensieri del demonio. E se voi mi diceste: «Io non posso pensare di Dio, né dire l'offizio, né fare nessuna altra buona opera, sì per la infirmità e sì per li molti contrarii che ne la mente mi vengono», io vi rispondo: non lassate però, ma nella infermità adoperate la pazienza, ché ine si prova.

Nelle cogitazioni del demonio adoperate l'offizio e i pensieri santi di Dio, non occupandovi la mente di stare a contastare col demonio, volendo per questo modo fare resistenza a lui. Non fate così: poiché ella se ne occuparebbe più, ma fate ragione che sia fuore di voi, poiché la potete fare: perché tanto sono dentro da noi, quanto la volontà consente. Non consentendo, non sono intrati ne la casa, ma bussano alla porta. Debbasi levare l'anima, e non pigliare la saetta del demonio, e con essa volerlo ferire - ché nol ferirebbe mai - cioè di volere stare a contastare con lui; ma è da pigliare la saetta della volontà di Dio e dell'odio e pentimento di sé, e con esso percuotarlo, rispondendo al demonio: «Se tutto lo tempo della vita mia lo mio Creatore mi volesse tenere in questa pena e fatica, io sono apparecchiato di volere per gloria e loda del nome suo». E dire alle tentazioni: «Voi siate le molto ben venute», e ricevarle come carissimo amico, perché sono cagione e strumento di levarmi del sonno della negligenzia e farmi venire a virtù.

Godete e essultate, e perseverate infine alla morte; e inanzi morire, che muovervi mai dal luogo che Dio v'ha chiamato, ma con una pazienza abbracciate la croce, nascondendovi tra Dio e le pene, aprendo l'occhio dell'intelletto all'Agnello esvenato e consumato per voi, essendo contento di permanere in quello che Dio vi pone, o vi ponesse per lo tempo a venire. Dovetelo fare, perché sete certo che Dio ci chiama e c'sceglie in quello modo che più piacciamo a lui. Facendo così, acquistarete lume sopra lume; la pena per Cristo crocifisso vi sarà diletto, e il diletto e le consolazioni del mondo vi recarete a pena; e in questa vita cominciarete a gustare la caparra di vita eterna, ché questa è una delle beatitudini principali che ha l'anima che è nella vita durabile: che è confermata e stabilita nella volontà del Padre eterno. Ine gusta la divina dolcezza, ma non la gusta mai di là sù, se egli non se ne veste di qua giù, mentre che siamo pellegrini e viandanti.(He 11,13 1P 2,11) Quando n'è vestito gusta Dio per grazia ne le pene, empiesi la memoria del sangue dell'Agnello immacolato; l’intelletto s'apre, e ponsi per oggetto l'amore ineffabile che Dio gli ha manifestato nella sapienza del Figlio: allora l'amore che trova ne la clemenza de lo Spirito santo caccia l'amore proprio di sé e d'ogni cosa creata, fuore di Dio.

Non temete, padre carissimo, ma con letizia portate in conformarvi bene con la volontà sua, infermo e sano e in qualunque modo o stato vi vuole, ché ora non vi richiede altro essercizio che la pazienza e la fortezza, con dolce perseveranza, la quale perseveranza averete, se deliberarete nel cuore vostro di non volere altro che fatiche e pene. Seguitaravene la corona, poiché ella è data alla fortezza e perseveranza: questa riceve l'anima che è alluminata e piena del fuoco dello Spirito santo; senza questa guida non possiamo andare, e questa guida s'acquista e si perde nel modo detto di sopra. E però dissi io che io desiderava di vedervi lo lume e l'ardore de lo Spirito santo, e così prego e pregarò la somma e eterna verità, che vi riempi sì perfettamente, che voi cognosciate lo tesoro de le molte tribolazioni e tentazioni che v'è messo ne le mani solo per amore, e perché voi siate dei suoi eletti, per remunerarvi de le vostre fatiche nell'eterna sua visione. Altro non dico.

Se piacerà alla bontà di Dio che voi serviate al luogo di Gorgona sono certa che egli farà che sarà meglio per voi. State contento in ogni luogo, e guardate che non credeste a la tenerezza e compassione del corpo.

Siate contento alla vita degli altri vostri fratelli che sono stati e sono di quella carne che voi, e quello Dio è per voi ch'è per loro.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





336. Alla priora e monache del monasterio di santa Agnesa di Montepulciano

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grate e conoscenti verso il vostro Creatore, affinché non si disecchi la fonte de la pietà nell'anime vostre, ma nutrichisi con gratitudine.

Ma attendete che solamente gratitudine di parole non è quella che risponde, ma richiedesi le buone e sante opere. In che la mostrarete? In osservare i dolci comandamenti di Dio, e, oltre ai comandamenti, osserverete i consigli attualmente e mentalmente. Voi avete eletta questa via dei consigli: Perciò ve gli conviene osservare fino alla morte, altrimenti offendereste; ma l'anima che è grata sempre gli osserva.

Che prometteste voi nella vostra professione? Prometteste d'osservareobbedienza, continenzia e povertà voluntaria; e se voi non gli osservate, diseccate la fonte della pietà.

Grande vergogna è alla religiosa che ella possegga tanto che ella abbi che dare: non debbe possedere, ma con una carità fraterna vivere caritativamente con le sue suore. Non debbe sostenere che l'altre periscano di fame, e ella abbondi: chi è grata non lo sostiene; anco sovviene e fa utilità al prossimo suo, vedendo che a Dio non la può fare, poiché egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. E volendo mostrargli che in verità riconosce le grazie ricevute da lui, il mostra verso la creatura che ha in sé ragione. E in tutte quante le cose s'ingegna di mostrare nel prossimo suo gratitudine a Dio, unde tutte le virtù sono essercitate per gratitudine: cioè che per amore che l'anima ha diventa grata, perché con lume riconosce le grazie del suo Creatore in sé.

Chi la fa paziente, che con pazienza porti le ingiurie, rimproverii e villanie da le creature, battaglie e molestie dal demonio? La gratitudine. Chi le fa abnegare la propria voluntà e soggiogarla al giogo dell’obbedienza? Essa gratitudine. Chi le fa osservare il terzo voto della continenzia? Essa gratitudine: ché per osservarla mortifica il corpo col digiuno, vigilia, e umile e continua orazione. E con l'obedienzia ha uccisa la propria voluntà, affinché - mortificato il corpo e morta la voluntà - la potesse osservare, e in essa osservanzia mostrasse la gratitudine. Sì che le virtù sono uno segno dimostrativo che dimostrano che l'anima non sia isconoscente d'essere creata ad immagine e similitudine di Dio, e della recreazione che ha ricevuta nel sangue de l'umile Agnello, ricreandola a grazia, e così di tutti gli altri doni e grazie che ha ricevute, spirituali e temporali: ma tutte con grandissima gratitudine le riconosce dal suo Creatore.

Allora cresce uno fuoco nell'anima d'uno desiderio santo, che sempre si nutre di cercare l'onore di Dio, e del cibo delle anime, con pena sostenendo fino alla morte. Se fosse ingrata, non tanto che si dilettasse del sostenere per onore di Dio, o per mangiare questo dolce cibo, ma se la paglia se le vollesse tra' piedi, sarebbe incomportabile a sé medesima: l'onore darebbe a sé, nutrendosi del cibo de l'amore proprio di sé medesima, il quale le germina la ingratitudine, privandola della vita della grazia.



Unde, considerando me quanto è pericoloso questo cibo che ci dà morte, dissi che io desiderava di vedervi grate e conoscenti di tante ismisurate grazie quante avete ricevute dal vostro Creatore; e singularmente di quella che al presente avete ricevuta, d'avere degnato la santità e benignità di Cristo in terra d'avervi dato a tutte la indulgenzia - e anco alla famiglia di fuore -, la quale è la maggiore grazia che in questa vita potiate ricevere. Convienvi Perciò essere grate inverso Dio, amandolo con un amore ispasimato, senza mezzo - ché altrimenti non sarebbe buono -, e inverso il santo padre, rendendogli orazioni: ché il dovete fare per debito, sì in quanto egli ci è padre, e sì per la grazia ricevuta, e per lo grande bisogno che ora gli vediamo.

Unde io vi scrivo di voluntà sua che ciascuna di voi dica i salmi penitenzali con le letanie, fino che basta questa tribolazione, ogni dì una volta, pregando strettamente per la santa Chiesa e per lui che Dio gli dia vero lume e cognoscimento e fortezza contro ai suoi nimici. Ora dico io a voi, che voi non diciate solamente con la lingua, ma col cuore e con grandissimo desiderio, riunite insieme dinanzi a quella gloriosa vergine Agnesa, madre di molte ignoranti figlie, intanto che Dio e ella ponga remedio alla ignoranza e freddezza vostra, affinché io vi possa vedere spose tutte fiorite di vere e reali virtù, seguitando la dottrina del sommo eterno fiore, dolce e amoroso Verbo. Annegatevi nel prezioso sangue suo. Prego lui che a tutte vi dia la sua dolce eterna benedizione.Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.