00 19/10/2012 19:20
337. Ai signori Priori de l'arti e Gonfaloniere di giustizia del Popolo e del Comune di Firenze .

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti delle grazie che ricevete dal vostro Creatore, la quale gratitudine notrica la fonte della pietà ne l'anima, sì come la ingratitudine la disecca.

Perciò ci conviene, per onore di Dio e nostra utilità, essere grati e conoscenti, ma non posso vedere che noi la possiamo avere mentre che noi siamo vestiti del vestimento vecchio del sensitivo amore. Poiché l'uomo che s'ama di proprio amore sensitivo - lo quale è quello vecchio uomo del quale si vestì lo primo nostro padre Adam, ed Eva, in tanto che non solo che la fonte della pietà si secasse in loro, ma tutta l'umana generazione ne sentì: serrata fu la vita eterna, che con tutte le nostre giustizie neuno vi poteva intrare. Chi fu cagione di tanto male? L'amore proprio, lo quale amore fa l'uomo ingrato e parturisce la superbia; e perché Adam fu ingrato della innocenzia e signoria che Dio gli aveva dato, avendolo fatto signore sopra tutte le creature che non hanno in loro ragione (unde qualunque animale egli avesse chiamato, sarebbe andato a lui, come sudditi suoi): ma poi doppo la ingratitudine sua, con la quale passò lo comandamento di Dio, trovò ribellione in tutti gli animali. E sì come fu ribelle a Dio, così fu ribelle a sé medesimo, trovando ribellione nella legge perversa della fragile carne sua, la quale continuamente combatte contro lo spirito. Sì che, mentre che altri è vestito del vecchio uomo, mai non può essere grato né a Dio né alle creature.

La ingratitudine per che procede? Da l'amore propio: priva della carità della carità; fa l'uomo superbo, riconoscendo quello che egli ha di bene da sé, e non da Dio; non vede sé non essere, perché il proprio amore l'ha accecato - ché se egli vedesse conoscerebbe che l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere, spirituale e temporale, tutto l'ha da Dio, perché solo Dio è colui che è -. L’ingrato non è paziente, perché è separato dalla carità e carità del prossimo; la sua speranza è vana, perché si confida in sé: spera ne l'aiuto umano, e non ne l'aiuto divino; la fede sua è morta, perché è senza buona opera: poiché fede senza opera, morta è.

Se egli è suddito, egli è disobbediente; se egli è signore che tenga stato di signoria, egli commette ingiustizia, e non fa giustizia se non ad animo - la quale non è giustizia, anco è ingiustizia -, perché o egli la fa per odio o dispiacere che egli ha verso quello cotale, o per piacere e non dispiacere alle creature, o per propria utilità che egli ne trasse: unde vediamo in ogni cosa mancare la santa giustizia. I signori naturali sonno fatti tiranni; al petto del Comune non si notricano i sudditi con giustizia né carità fraterna, ma ciascuno con falsità e bugie attende al bene proprio particulare, e non al bene universale; ognuno cerca la signoria per sé, e non il buon stato e reggimento della città. Ma, come ciechi, non s'aveggono dei loro guai, ché, credendo acquistare, perdono; credendo possedere, lassano a tale ora che essi non se il pensano.

Questo aviamo veduto e provato; tutto lo permette Dio per divina giustizia, per purgare la nostra ingratitudine, e per farci tornare a cognoscimento, e con la verga umiliarci sotto la potente sua mano. Non sia veruno così matto che, mentre che egli sta in questa cecità d'ignoranza e d'ingratitudine, credper potere acquistare né conservare la grazia, né possedere la signoria temporale, poiché egli ha perduta la signoria di sé medesimo, e con ingratitudine sottoposta la ragione alla propria fragilità.

Non è veruno male, carissimi fratelli, che di questo vizio non esca; Perciò v'è necessario di spogliarvi dell’uomo vecchio, cioè del proprio amore unde esce la ingratitudine, e vestirvi dell’uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della dottrina sua, seguitando le sue vestigie. Egli, per l'obbedienzia del Padre e salute nostra, per satisfare alla colpa d'Adam fece il contrario di ciò che esso Adam aveva fatto: Adam con la disobbedienza corse al diletto, con superbia e ingratitudine del beneficio ricevuto; e il dolce e amoroso Verbo corse, come innamorato, con obbedienzia all'obrobriosa morte della croce. Umiliossi Dio a l'uomo pigliando la nostra umanità, e Dio e Uomo si umiliò fino all'obrobriosa morte della croce; e così satisfece alla colpa della nostra ingratitudine, sì come nostro mediatore.

Convienci vestire dunque della dottrina di questo uomo nuovo, con vera e santa sollicitudine, e vestirci dell'affetto della sua carità che tanto amore ci ha mostrato che - se l'uomo non è già più duro che la pietra, villano e mercenaio, senza lume o intendimento - non può fare che non ami: poiché condizione è de l'amore d'amare quando si vede amare. Ma la nuvola de l'amore proprio ci ha tolto lo lume, che non il vediamo; e chi non vede non conosce, e chi non conosce non ama; non amando, non è grato. Perciò ci è bisogno lo lume per conoscere quanto siamo amati da Dio, e i difetti nostri, e a cui Dio vuole che si dimostri l'amore che noi aviamo a lui.

Noi sì vediamo che il prossimo ci è posto per mezzo a mostrare in lui l'amore che aviamo a Dio: perché, non potendo fare utilità al sommo bene, àci posto che il facciamo al prossimo nostro, e in lui dimostriamo l'amore, sovenendolo, aiutandolo, e consigliandolo in ciò che si può, a ognuno secondo lo stato suo. Questo è uno debito che ciascuno è tenuto di pagarlo; sì come ci è debbito d'essere sudditi e obbedienti alla santa Chiesa, e sovenirla in ciò che si può. Ché se noi siamo tenuti di sovvenire nella necessità lo fratello nostro, molto maggiormente la nostra madre santa Chiesa, e il padre nostro Cristo in terra: sopra questi mostraremo la gratitudine d'essere grati e conoscenti dei beneficii ricevuti, e notricaremo in noi la fonte della pietà.

A questa gratitudine v'invito che voi ci veniate, perché mi pare che per fino a qui poco l'aviate avuta.

Non fate così, carissimi fratelli, ché non è venuta meno la virga della divina giustizia, con la quale siamo stati e saremo battuti. Recatevi, recatevi oggimai le colpe vostre commesse, e le grazie ricevute, a memoria, a ciò che siate grati e conoscenti, e notrichiate in voi la fonte della pietà. Non c'inganniamo, fratelli miei dolci: molte sonno l'offese e le iniquità vostre, contro Dio commesse e contro il prossimo, contro il vicario di Cristo e contro la santa Chiesa; le quali iniquità non potete mantellare coi difetti dei pastori e amministri della santa Chiesa, poiché non tocca a voi di punirli, ma al sommo giudice e al vicario suo.

Ora, non obstanti questi difetti, i quali hanno meritato grande punizione, avete ricevuta tanta misericordia: riposti sete con grande benignità al petto della santa Chiesa, potendo ricevere lo frutto del sangue, se voi lo volete, da papa Urbano VI, vero sommo pontefice e vicario di Cristo in terra, lo quale v'ha perdonato e absolutovi con tanta carità, dandovi ciò che avete chiesto, trattativi non come figli che avessero offeso e ribellatisi al padre loro, ma come se mai non l'aveste offeso. Ora il vedete in tanto bisogno; e non tanto che voi lo soveniate, ma quello che avete promesso non attenete, unde mostrate segno di grande ingratitudine, della quale temo che, se voi non sarete grati e conoscenti, che Dio non permetta che la punizione ve la diate tra voi medesimi, sì come già avete fatto per l'adietro.

Perciò io vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, e per vostra utilità, che il cuore vostro sia fermato e stabilito, e non vada vacillando; ma affermativamente tenere questa verità ferma, che papa Urbano VI è veramente sommo pontefice. E mostrate d'essere, e siate, grati e conoscenti e veritieri, cioè d'attenere quello che avete promesso e sovvenire la santa Chiesa e il padre vostro. Voi vedete bene se fa per voi, o sì o no, essendo voi fatti debili per divisione; e i travagli sonno grandi nel mondo. A questo modo conservarete lo stato vostro, e non con la ingratitudine; e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi grati e conoscenti, considerando io che ella è quella virtù che notrica la fonte della pietà, e con essa invitiamo Dio a crescere e multiplicare le grazie. Perciò voglio che siate solliciti a mostrarla, come veri figli che dovete essere nella santa Chiesa, combattitori per la verità e per la santa fede a dissolvere e disfare quelli che ne sonno contaminatori. A questo modo sarete grati delle grazie ricevute, e purgarete le colpe vostre. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Amatevi, amatevi insieme, ché se tra voi vi farete male, neuno sarà che vi faccia bene. Non dormite più nel letto della ingratitudine, ma siate grati e conoscenti a Dio e a la santa Chiesa, e al padre nostro papa Urbano, unde vi verrà ogni bene; e conservarete i beni delle grazie spirituali e temporali. Perdete l'amore proprio, e state in carità insieme, nella carità sua; rendete il debito vostro a cui voi siete tenuti di renderlo.

Perdonate alla mia ignoranza, ché per amore della salute vostra mi sono mossa a scrivere a voi, constretta dalla divina dolce bontà. Gesù dolce, Gesù amore.



338. A missere Andreasso dei Cavalcabuoi, allora Senatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi signore giusto: cioè che nello stato vostro della signoria, dove voi sete, voi siate giusto e mantenitore della santa giustizia, facendola sempre con ragione; e non siate ingiusto, commettendo ingiustizia volendo più tosto piacere agli uomini che a Dio.

Ma non vego che già mai l'uomo possa avere questa virtù della santa giustizia se in prima egli non vive giustamente, privandosi de l'amore propio di sé e d'ogni piacere umano, poiché tutti i vizii procedono da questi: ché solo offendiamo Dio quando noi cerchiamo di compire i nostri disordenati desiderii, desiderando con propio amore quelle cose che sono fuore della volontà di Dio, con uno piacimento disordinato che l'uomo ha in sé. E perché esso piace a sé medesimo, però si studia di piacere agli uomini del mondo; e di piacere a Dio non cura.

Non può essere giustizia in costui, perché non è giusto egli, come detto è; anco è crudele che ingiustamente, o per avarizia e desiderio di pecunia o per preghiere d'uomini, sarà devoratore delle carni del prossimo suo. Unde spesse volte vediamo che questi cotali mantengono la giustizia solo nei povarelli - la quale spesse volte è ingiustizia -, ma nei grandi no, cioè di quegli che possono alcuna cosa. Tutto questo procede dall'amore propio e dal piacimento di sé: non è giusto, e però non tiene la santa e vera giustizia; non ha l'occhio suo verso la città de l'anima sua ma solo al miserabile corpo, cercando pure in che modo lo possa dilettare, spendendo tutto lo tempo suo lascivamente, pieno di superbia e di pompa e di vanità: le quali tutte gli danno la morte. Ma la tapinella anima che deve essere tempio di Dio - dove Dio abiti per grazia -, egli l'ha fatta tempio del demonio: data ha questa città nelle mani e signoria sua, sottopostala al peccato che non è nulla. E, come cieco, senza veruna ragione, non raguarda in quanto male egli è venuto, né la pena che segue doppo la colpa, ché se egli la vedesse sceglierebbe inanzi la morte che offendere il suo Creatore per veruna cosa del mondo; anco s'ingegnarebbe di fare buona guardia affinché l'anima - che deve essere donna - non fusse serva, e la sensualità - che deve essere serva - non fusse donna. Ma egli fa lo contrario, perché non attende ad avere cura della città sua; e non avendo l'occhio a sé, non l'avrà mai sopra la città attuale della quale fusse fatto signore. E però non guarda al bene universale e comune di tutta la città, ma solo a sé medesimo o a bene particulare, lo quale è per proprio suo piacere, o utilità che ne torni a lui medesimo.

Perciò ci è bisogno d'essere giusti, e giustamente guardare la città dell'anima nostra, vivendo col vero e santo timore di Dio: essere amatori delle virtù e odiatori dei vizii. Per questo modo gustaremo lo sangue di Cristo crocifisso; rilucerà in noi la vera e santa giustizia, perché sarete signore giusto e pietoso a l'anima vostra e al prossimo: in altro modo, no. E però vi dissi ch'io disideravo di vedervi signore giusto, cioè vivendo giustamente, affinché voi manteniate ragione e giustizia nello stato che voi sete.

Carissimo fratello, non dormite più, ma con sollicitudine vi svegliate dal sonno. Torniamo a noi medesimi, non aspettando lo tempo poiché il tempo non aspetta noi. Considerando io che il tempo è tanto breve che mai non potremo imaginarlo, vorrei che noi escissimo d'obligo, rompessimo lo legame nel quale siamo legati, poiché colui che è legato non può andare: ed egli è a noi pur bisogno d'andare per la via delle virtù seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale è via, verità e vita; e chi va per lui non va in tenebre, ma per la luce: Perciò ci bisogna andare per questa dolce e dritta via. Con che tagliaremo questo legame? Col coltello dell'odio del vizio e amore delle virtù, gittando la fune con la santa confessione. E per giognere a questo nessuna fatica ci debba parere malagevole né dura, ché più malagevole e duro ci debba parere di vedersi legata l'anima, che veruna fatica che portasse il corpo. Unde io vi prego per amore di Cristo crocifisso, che per fatica voi non lassiate di venire al luogo dove potete essere sciolto.

Ingegnavomi bene di fare che voi non aveste questa fatica, ma lo sommo nostro pontefice, papa Urbano VI, disse - ponendogli io lo caso vostro innanzi - che a lui pareva e piaceva che, potendo voi venire, e non essendo molto di lunga, voleva che veniste; non tanto per voi, ma perché gli altri, vedendo riescitone voi senza fatica, di leggiero non s'avezzassero a cadere in simile caso. «Ma venga egli, e io gli farò - disse - ogni grazia». Ora dico io a voi: forse che la divina bontà lo permette - che alla Santità sua non sia piaciuto -, affinché voi veniate a ricevere utilità in più modi: ché, venendo, voi sarete sciolto l'anima; e il corpo poterebbe essere che si legarebbe al servizio della santa Chiesa. Lo quale servizio è molto piacevole a Dio, e spezialmente nel tempo d'oggi, che ella è in tanta necessità. Pregovi che non vi sia grave, ma pigliate lo partito lo più tosto che si può; e io in questo mezzo non lassarò, però, ch'io non bussi alla porta della Santità sua a pregarnelo strettamente. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Abiate memoria del sangue sparto per voi con tanto fuoco d'amore. Guardatevi dell'offizio e della messa, affinché non s'agionga colpa sopra colpa. Gesù dolce, Gesù amore.



339. AI signori Priori del Popolo e Comune di Perugia.

Al nome di Gesù crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sovenitori a la necessità del padre vostro e alla vostra medesima: poiché il sovvenire a lui è sovvenire a la salute vostra spiritualmente e temporalmente.

Spiritualmente in quanto, sovenendo a questa dolce sposa della santa Chiesa e a papa Urbano VI, voi rendete il debito vostro - lo quale tutti siamo obligati di rendere -; rendendolo noi mostriamo d'essere grati e conoscenti a Dio e a lui delle grazie che egli ci ha fatte e fa continuamente: grazie, ché comparazione non potremmo ponere a quello che noi rendessimo a lui, a rispetto di quello che dà a noi. Poiché quello che egli ci dona è uno bene che ci dà vita eterna: ciò sonno i sacramenti della santa Chiesa e altri doni spirituali, che tutti hanno vita e vagliono a noi in virtù del sangue - dove noi gli riceviamo con vera e santa disposizione e col lume della santa fede -, e in altro modo ci darebbero morte, non per difetto d'i doni, né di lui che dona, ma per la mala disposizione nostra con che noi ricevessimo.

E tutti sonno ministrati da lui; e senza lui non gli possiamo ricevere, poiché tiene le chiavi del sangue de l'umile Agnello, sparto per noi con tanto fuoco d'amore: sì che egli dà a noi bene infinito, dove noi ci disponiamo, come detto è. E noi doviamo dare, se voliamo rendere il debito nostro, cosa finita, cioè di queste cose transitorie, suvenendolo nel suo bisogno; e doviangli dare il desiderio con umile orazione; e con cordiale amore dare questa substanzia temporale, sì come debba fare lo figlio al padre suo. Vedete dunque che comparazione non si può ponere da l'uno a l'altro, se non quanto dalla cosa infinita a la finita.

Anco ci soviene temporalmente. Come? Che, essendo noi figli ribelli a l'obedienzia di lui padre, giustamente eravamo privati della eredità; ed egli v'ha concessa la eredità, e perdonatavi la ingiuria fatta a Dio e a lui: distese ha le ale della sua misericordia, sovenendo al bisogno della salute de l'anima e del corpo. Doviamo dunque essere grati, a ciò che se nutrichi la fonte della pietà in noi, e non si desecchi.

Ora è il tempo da mostrare questa gratitudine, nel tempo che vediamo contaminare la fede nostra: faccendolo, facciamo bene, perché rendiamo il debito; rendendo il debito siamo obbedienti, della quale obbedienzia ci segue la grazia che ci dà vita. Ecco dunque che a noi medesimi facciamo bene, e soveniamo spiritualmente al bisogno della nostra salute: perché ne l'obedienzia della santa Chiesa e del sommo Pontefice ci vagliono tutte le grazie le quali ci sono ministrate per lui. E non facendolo, ce ne priviamo; e così ci facciamo danno di colpa.

Bene è dunque vero che, sovenendo lo padre nostro, noi medesimi soveniamo delle grazie: spirituali, dico, e temporali. Come? Dicovelo: che vedendo noi questi tempi apparechiati a tante fatiche, e disponere i vostri paesi ad avenimento di signori, e noi siamo teneri come il vetro, per li molti defetti nostri e grandi divisioni. Unde discostandovi, e non sovenendo lo padre nostro, saremmo a pericolo, perché, essendo separati dalla nostra fortezza, troppo saremmo debili. Ché, non mostrando ora in questi bisogni d'essere per lui, mostriamo d'essere contro lui, sì come disse la dolce Verità: «Chi non è per me, è contro me» (Mt 12,30 Lc 11,23); e diamo materia che, nei grandi bisogni che ci occorrono, egli ci renda di quello che noi diamo a lui.

E voi sete pure certi di questo - se già voi non sete più ignoranti che l'altre persone -: che il braccio della santa Chiesa, se pure indebilisce, mai non è rotto; e de la debolezza esce sempre fortificato lo braccio e chi ad esso s'accosta. Poi invitiamo il divino sopplicio a venire sopra di noi, dimostrando tanta ingratitudine: ché giustamente Dio s'indegnarebbe contro noi - disciplinandoci con la verga sua - non sovenendo al padre nostro papa Urbano VI e alla fede nostra; la quale vediamo che gl'iniqui uomini ci hanno dentro seminata le tenebre, come crudeli e malvagi uomini. Ma la luce confonderà le tenebre loro, e la verità la loro bugia.

Non tardate più, né dormite nel sonno della negligenzia, ma con sollicitudine fate ciò che si può fare in bene della santa Chiesa, poiché questo è nostro; e ciascuno per sé medesimo lo debba fare, perché l'utilità torna a noi come al padre nostro, sì come detto è, in ogni modo. Siatemi tutti virili, e non voliate ritrare adietro per veruno timore servile, poiché qui non è bisogno timore se non lo timore santo di Dio.

E se noi saremo veri figli e vorremo la eredità, saremo sovenitori al padre e a noi medesimi; e non tanto la substanzia, ma la vita ci metteremo, se bisognasse. Ma io m'aveggo che la fredezza ha ricoperti i cuori nostri, e la cecità ha offuscato l'occhio dell'intelletto che non ci lassa sentire né conoscere lo nostro danno lo quale noi vediamo; ma, come idioti, senza cognoscimento del danno e delle grazie che aviamo ricevute fino ad ora, secondo che si mostra ne l'atto di fuore, non aviamo dato neuno aiutorio se non parole. Conviensi che l'affetto germini lo frutto; e nel frutto m'avedrò che voi amiate e reveriate con vera e prontaobbedienza alla fede nostra, sovenendo alla necessità della santa Chiesa.

Strignetevi insieme, per Cristo crocifisso; poi non temete veruno tiranno, poiché l'aiutorio divino, per lo cui amore soverrete alla Sposa sua, vi dilibererà. Aprite gli occhi, carissimi frategli, senza passione d'amore sensitivo, a vedere il bene che ve ne può seguire e che ve ne segue - rendendo il debito, come detto è -, e il male che per lo contrario ne viene da Dio e dagli uomini, aspettando la verga della divina giustizia. Spero, per la bontà di Dio, che vi farà conoscere quello che è da fare; e conoscendolo lo farete; facendolo, abracciarete lo bene e schifarete lo male, e io ne pregarò Dio con tutto lo cuore e con tutto l'affetto mio. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Perdonatemi se troppo v'ho gravati di parole: la necessità della santa Chiesa e della nostra salute mi possiede constretta. Umilemente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.




340. A madonna Agnesa da Toscanella, serva di Dio di grandissima penitenza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare uno vero e reale fondamento, affinché vi si possa ponere su ogni grande e buono edificio, che nessuno vento contrario il possa dare a terra.

Non vi maravigliate perché io dico che io desideri di vedervi fare uno vero fondamento: che pare uno cotale parlare come se ora cominciassimo a edificare la città dell'anima nostra, ed egli è tanto tempo che parbe che noi volessimo cominciare a fare questo fondamento; benché io confesso che io nol feci mai. Ma la cagione perché io dico che ora lo cominciamo a fare è perché ogni dì di nuovo l'anima debba cominciare a fare questo principio.

Poiché aviamo veduto che ci conviene fare questo fondamento, ora vediamo dove, come, e in che.

Dicovelo: lo luogo è il vero cognoscimento di noi, lo quale cognoscimento si cava nella valle della vera umilità. E in che modo? col lume della santissima fede, cavando colle mani dell'odio l'affetto del disordinato amore, lo quale è quella terra che ingombra l'anima; e vuolsi riempire colle pietre delle vere e reali virtù, colla mano dell'amore con ardente e santo desiderio. E che ci porremo su? la fame dell'onore di Dio, e della salute delle anime, imparando dell'umile immacolato Agnello, seguitando la dottrina sua; la quale dottrina non c'insegna altro se non d'amare lui sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi. E però l'anima prudente, che ha fatto lo suo principio nel cognoscimento santo di sé nel modo detto - dove ha cognosciuta la grande bontà di Dio e l'amore ineffabile che egli ci ha -, ella s'inamora di lui e di quello che egli più ama - cioè la creatura che ha in sé ragione -; e però subito si pone alla mensa del santo desiderio di prendere il cibo delle anime e d'uccidere in sé la propria volontà, e vestirsi delle virtù per onore di Dio.

E questa volontà si debba uccidere non mezza, ma tutta. Sapete quando s'uccide pur mezza? quando l'anima taglia l'affetto suo da queste cose transitorie, tagliandone l'amore sensitivo, e piglia di fare la volontà di Dio, lo quale vuole che ce ne spogliamo. Rimane mezza morta, essendo morta in questo; e mezza le rimane viva, cioè nelle cose spirituali, cercando le proprie consolazioni, elegendo tempi e luoghi e consolazioni a modo nostro, e non a modo di Dio: la quale cosa non si debba fare. Anco, doviamo liberamente e coraggiosamente servire il nostro Creatore, e a lui lasciare discernere tempi e luoghi e consolazioni a modo suo, poiché egli è il medico e noi siamo gl'infermi; onde a suo modo doviamo ricevere e pigliare la medicina. Bene è stolta e matta quella anima che vuole andare a suo modo: pare che si reputi sapere più che Dio, e non se n'avede. Egli è pur così, perché l'è velato con questo colore: che le pare esser più piacevole a Dio nel modo suo che in quello che l'è permesso da Dio. Per questo modo spesse volte riceve grandissimi inganni. E onde viene la cagione che la volontà sta viva in questo? dall'amore che ha conceputo alle proprie consolazioni, avendo fatto in esse il suo fondamento. Alcuni lo fanno nelle visioni e revelazioni, unde traggono grande diletto, quando ne ricevono; e non ricevendo, hanno pena. Questo non è buono principio, poiché spesse volte crederanno che ella sia da Dio, e ella sarà dal demonio, perché il demonio ci piglia con quello amo che egli ci vede più atti a ricevere.

E anco alcune volte ci permetterà le molte consolazioni mentali Dio, non a ciò che noi ci poniamo il principale affetto, ma perché raguardiamo all'affetto di lui donatore più che al dono. Poi in un altro tempo non ce le darà, ma darà altro sentimento, o di molte battaglie, o tenebre e sterilità di mente, unde l'anima ne viene a grandissima pena, e parle essere privata di Dio quando è privata di quello che ama. E Dio il permette per levarla dalla imperfezione, e farla venire a perfezione; e per levarla dall'apetito delle revelazioni, e farla notricare alla mensa del santo desiderio, nel quale ella debba fare ogni suo principio.

Alcune volte sono molti che ricevono inganno nella penitenza. Questo è quando la creatura si pone per principale affetto la penitenza, e attende più a uccidere il corpo che la propria volontà - colà dove ella debba uccidere la propria volontà e mortificare il corpo -: e tanto amore vi pone, che non le pare potere avere Dio senza questa penitenza. Questo fondamento non è sufficiente di ponervi su grandi edificii, anco, è molto pericoloso e nocivo all'anima. E però non si debba ponere per fondamento ma per parete; e il principio suo fare sopra l'affetto dolce della carità, e nelle virtù intrinseche dell'anima, le quali non si perdono mai per luogo né per tempo, se noi non vogliamo, e non ci possono essere tolte da veruna creatura. La penitenza si debba pigliare come mezzo, e usarla per augumentare la virtù e per mortificare il corpo, ma non per principale affetto. Chi fa altrimenti, inganna molto sé medesimo. Ben debba la persona conoscere che la penitenza le conviene fare a tempo, poiché in ogni tempo non l'è possibile seguirla come ha cominciato, perché il vasello del corpo, quando è mortificato e macerato un tempo, non può così l'altro; non potendo, ha pena, e parle essere riprovato da Dio. La mente ne rimane tenebrosa, perché è tolto via quello unde le pareva ricevere lo lume e la consolazione: questo l'adiviene perché ha fatto qui su il suo principio. Questi cotali sono atti ad avere pur assai fatica, ma poco frutto.

Sono atti a mormorazione e a giudicio inverso coloro che non tenessero per la via della penitenza, perché tutti gli vorrebbero vedere andare per quella via che vanno essi. Non se n'avegono: e quasi pare che vogliono ponere legge allo Spirito santo che ci chiama e guida per diversi modi: chi per penitenza e chi per altro modo; chi con poca, e chi con molta, secondo la possibilità della natura; e chi se ne va solo con l'ardente desiderio, e questi sono quelli che fanno il grande guadagno: corrono tutti illuminati, liberi e senza pena; perché hanno morta la volontà loro, non danno giudicio ma godono di vedere tanta diversità di modi nei servi di Dio, perché vegono che nella casa del Padre nostro sono molte mansioni, e che egli ha che dare.

Questi non ricevono pena per privazione di consolazioni, anco ne godono per odio santo che hanno di loro, reputandosi degni della pena e indegni del frutto che segue doppo la pena. Non attendono a cercare sé per sé, ma per Dio; e Dio non amano per proprio diletto, ma per la bontà sua, che è degno d'essere amato da noi; e il prossimo amano perché ci è comandato; e hanno veduto col lume della fede che Dio l'ama ineffabilmente, e però essi l'amano. In questa vita gustano la caparra di vita eterna, perché hanno morta la volontà in tutto, e non a mezzo, nelle cose spirituali e temporali.

O carissima sorella, non credete, né caggia nella mente vostra, ch'io vi spregi la penitenza corporale. No, anco la commendo in quanto ella sia posta per strumento, come è detto, ma non per principale affetto. Per altro modo, riceveremo moltissimi inganni. Doviamo Perciò fare uno principio d'uno cognoscimento di noi, e di Dio in noi; tutte schiette e liberali corrire alla mensa della santissima croce - dove noi troviamo lo fuoco della divina sua carità -, e, come affamate, a questa mensa pigliare lo cibo de l'onore di Dio e salute delle anime, satollandoci d'obrobrii, di scherni e villanie, sostenendo fino alla morte. Per questo modo seguitaremo la dottrina di Cristo crocifisso, lo quale è via, verità e vita; e chi va per lui, non va in tenebre, ma giogne alla luce.

E veramente egli è verità, che chi segue la sua dottrina riceve lume di grazia: tollegli le tenebre de l'amore proprio e della ignoranza; e riceve una luce, cioè uno lume sopranaturale, col quale lume ha veduto e cognosciuto dove gli conviene fare il suo principio: e però l'ha fatto, e ha edificato la città dell'anima sua. Ha veduto con grande prudenzia quella cagione che impedisce la sua perfezione, e però in tutto la tolle da sé; e strigne e abraccia quello che l'abbi a conservare e crescere nella perfezione.

Dilargando lo cuore e l'affetto nell'ardore della divina carità, non pensa di sé, ma pensa pure in che modo possa più piacere a Dio in cercare l'onore suo e la salute delle anime. E perché vede che questo non potrebbe fare con la volontà viva, però si studia d'uccidere e abnegare in tutto questa volontà, e di mortificare il corpo, in tanto che di nessuna cosa pare che si cura, se non di vestirsi delle virtù. Unde se ella ha consolazione da Dio, o da le creature per Dio, ella s'umilia, ricevendo con ringraziamento, e reputandosene indegna; e se ella ha tribolazione, tentazione o tenebre di mente, ella le riceve con pazienza e amore, conoscendo che ciò che Dio le permette, di qualunque cosa si sia, glili dà per amore, per farla venire allo stato perfetto del quale ella ha desiderio.

Se ella è rimossa dalla sua penitenza che ella faceva per mortificare lo corpo - o perobbedienza o per non potere -, ella se ne pone in pace, e non ha tempesta né amaritudine nella mente sua, perché non aveva fatto in essa lo suo fondamento, ma nell'affetto delle virtù: e però non ha pena. Tutto il contrario fanno coloro che hanno fatto lo loro principio solo nella penitenza, perché la volontà loro è viva e non morta, unde hanno pena intollerabile quando ne sono fatti levare, o quando per necessità la conviene loro lasciare: cioè, quando per mancamento di natura non possono seguire quello che hanno cominciato, vengonne ad impazienzia in loro medesimi, e a dispiacere verso chi gli lo 'mpedisce. E volendo giognere a perfezione, vengono a imperfezione.

Perciò, carissima figlia, facciamo lo nostro principio e vero fondamento non in cosa imperfetta, ma in cosa perfetta, cioè nel vero cognoscimento di noi, come detto è, con desiderio delle virtù - le quali non ci possono essere tolte -, notricandoci alla mensa del santo e vero desiderio, satollandoci degli obrobrii de l'umile Agnello. Poiché in altro modo non potremo piagnere con umili e continue orazioni sopra lo figlio morto de l'umana generazione, né sopra lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale oggi vediamo in tanta tribolazione. Vedendo io che altro modo non c'è migliore per lavorare in noi e in altrui, che fare questo dolce principio, dissi ch'io desideravo di vederci fare uno vero e reale fondamento, affinché ci possiamo edificare su virtù vere. E così vi prego per l'amore di Gesù Cristo crocifisso che facciate; e non vogliate usare indiscrezione, per poco lume, di darvi tanto a uccidere il corpo: ma in tutto uccidere la propria volontà, che non cerchi né voglia altro che Dio a modo suo, e non a vostro. Altro non vi dico.

Di quello che mi mandasti a dire, d'andare al Sepolcro, non mi pare che sia d'andarvi per questi tempi; ma credo che sia più la dolce volontà di Dio che vi stiate ferma, e gridiate continuamente con cordiale dolore nel cospetto suo, e con grande amaritudine di vederlo offendere tanto miserabilemente, e spezialmente della eresia che è levata dagli iniqui uomini per contaminare la fede nostra, dicendo che papa Urbano VI non è vero papa. Lo quale è vero sommo pontifice e vicario di Cristo, e così confesso nel cospetto di Dio e dinanzi alle creature.

Bagnatevi nel sangue sparto per noi con tanto fuoco d'amore, e a me perdonate se troppo presuntuosamente avessi parlato. Pregate Dio per Cristo in terra e per me, che mi dia grazia ch'io dia la vita per la sua verità dolce.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





341. A missere Angelo, nuovamente eletto vescovo Castellano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato d'uno vero e perfettissimo lume, a ciò che nel lume di Dio vediate lume, poiché vedendo conosciarete la sua verità; conoscendola, l'amarete: e così sarete sposo della verità.

Senza questo lume andaremo in tenebre: non saremo fedeli ma infedeli sposi della verità, perché questo lume è quello mezzo che fa l'anima fedele; dilongala dalla bugia della propria sensualità, e falla corrire per la via di Cristo crocifisso, lo quale è essa verità; fa lo cuore maturo, stabile e non volubile - cioè a dire che per fatica non si muove con impazienzia, né per consolazione con disordinata allegrezza -: in ogni cosa è ordinato e pesato nei costumi suoi, tutto lo suo operare è fatto con prudenzia e con lume di grande discrezione. E sì come prudentemente adopera, così prudentemente parla, e prudentemente tace, dilettandosi più d'udire le cose necessarie, che parlare senza bisogno. Questo perché è? perché con lume ha veduto nel lume che il dolce Dio eterno si diletta di poche parole e di molte opere.

Senza lo lume non l'averebbe cognosciuto: e però averebbe fatto tutto lo contrario, parlando molto e facendo poco. Lo cuore suo andarebbe a vela, ché nella allegrezza sarebbe leggiero con vanità di cuore, e nella amaritudine si trovarebbe con disordinata tristizia. In ogni male è atto a cadere quelli lo quale è privato del lume; e così colui che nel lume della verità eterna ha veduto lume è disposto e atto a venire a grande perfezione, e vienvi se con sollecitudine e odio santo di sé, e amore della virtù, essercita la vita sua, ma in altro modo no. Anco, sarebbe tutta imperfetta e corrotta la vita sua; corrotta la vita, sarebbero corrotte tutte le sue opere: della ragione averebbe fatta serva, e della sensualità donna; ciò che Dio gli desse, pigliarebbe in morte.

In qualunque stato si fusse, non rendarebbe a Dio il debito suo, né al prossimo, né a sé: cioè di rendare a Dio l'onore d'amarlo coraggiosamente senza rispetto di sé, ma solo perché egli è degno d'essere amato, perché egli è somma ed eterna bontà. A sé non rendarebbe odio (il quale si debba rendare odiando la propria sensualità, con aggravare le colpe sue passate e presenti con vero pentimento - dolendosi più dell'offesa di Dio che della pena propria che gli segue doppo la colpa -), e al prossimo la benevolenza d'amarlo strettamente come sé medesimo, servirlo e aitarlo in ciò che egli può, per trarlo fuore delle mani delle demonia. Costui non si pascerebbe alla mensa dell'ardente desiderio de l'onore di Dio e del cibo de l'anime; a la quale mensa Dio ci richiede che continovamente stiamo a prendere questo cibo: massimamente i pastori della santa Chiesa, ai quali Dio ha commessa la cura de l'anime, dieno cercare.

Questi debbono essere pastori veri, seguitando lo buono e santo pastore, lo quale dispose e dié la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11), e colla pena della croce compì l'obbedienzia del Padre e la salute nostra. Mai non rifiutò labore né fatiga, né allentò mai lo desiderio da questa nostra salute né per lo demonio, né per detto delli Giuderi, che gridavano: «Descende della croce» (), né per nostra ingratitudine. Noi doviamo seguire le vestigie sue: a questo v'invito, carissimo padre.

Nuovamente Dio v'ha messo in questo giardino della santa Chiesa, e postovi lo peso delle anime, a ciò che facciate sì come facevano i dolci e santi pastori, quando anticamente la Chiesa di Dio abondava d'uomini virtuosi, i quali con lume dell'intelletto si spechiavano in questa verità dinanzi, allora che si ponevano non delizie né richezze, con adornamento di casa, con molti donzegli, né con grossi cavagli, come fanno oggi, che tanto sono summersi in questo e negli altri defetti che delle anime non si curano. Dico che non facevano così essi, ma il loro obiettivo era Cristo crocifisso; e conoscendo col lume la fame di questo dolce Verbo - la quale egli ebbe verso la nostra salute - se ne innamoravano per sì-fatto modo, che il sostenere e dare la vita era a loro grande allegrezza; i loro famegli erano i poveri, la loro richezza era l'onore di Dio, la salute delle pecorelle, e la essaltazione della santa Chiesa. Non si ristavano mai d'offrire dinanzi a Dio dolci e amorosi e penosi desiderii, dando loro la dottrina, con essemplo di buona e santa vita; crescendo nello stato, non enfiavano per superbia, ma più perfettamente s'aumiliavano, poiché lo lume lo' faceva chinare lo capo, conoscendo la gravezza e il peso che ricevuto avevano in avere cura delle anime.

Ora è il tempo: in quanto è maggiore necessità che fusse già grandissimi tempi o mai nella Chiesa di Dio; in quanto il mondo più abonda dei vizii, tutto è avelenato, in tanto che non si trova dove altri possa posare lo capo altro che in Cristo crocifisso. Non voglio che allentiate lo santo desiderio che avete e che dovete avere, di fare il debito nell'offizio vostro, né per inganno di demonio, che vi volesse fare vedere che il meglio fosse conformarvi con li costumi degli altri, o che tempo non fusse di correggere li vizii delli sudditi vostri, e massimamente le immondizie e ribaldarie le quali trovansi nei cherici (propriamente sareste uno demonio, perché vi scordareste dalla volontà di Dio, e conformarestevi con la sua); né per detto di creatura che volesse dire: «Discende di questa croce, non volere portare affanno, poiché te ne seguitarà pena e forse la morte. Se tu sostieni, i sudditi ti credaranno, e possiderai in pace lo beneficio tuo». Col timore santo risponda al timore servile, e alle creature che con queste parole spaventano la sensualità: «Or non sono io mortale? or non posso io rivocare questa morte? Sì bene: nel dì de la resurrezione. Ma la morte eterna, la quale per questo mi seguirebbe, non posso io mai reparare: agiungervi sì, cruciando il corpo il dì della resurrezione. Perciò meglio m'è di ponere la vita, e seguire Cristo crocifisso»; e con fede viva credere in verità che per lui potrete ogni cosa. Né voglio che voi lasciate, per ingratitudine loro, mai di subvenirli e procacciare la vita loro, iuxta il vostro potere.

Siatemi vero e perfetto ortolano in divellere li vizii e piantare le virtù in questo giardino: per questo v'ha Dio ora, di nuovo, posto e chiamato. Siate Perciò tutto virile a rendare il debito vostro. Son certa che se arete vero lume, lo farete compitamente; altrementi, no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi illuminato d'uno vero e perfettissimo lume.

Pregovi per amore di Cristo crocifisso e di quella dolce madre Maria, che vi studiate di compire di voi la volontà di Dio e il desiderio mio, e allora reputarò beata l'anima mia. Non è più tempo da dormire, ma da destarsi dal sonno della negligenzia, e levarsi dalla cecità della ignoranza; e realmente sposare la verità coll'anello della santissima fede, non tacendola per veruno timore, ma largo e liberale, disposto a dare la vita, se bisogna; tutto ebbro del sangue de l'umile e immacolato Agnello, traendolo delle mamille de la dolce Sposa sua, cioè della santa Chiesa, la quale vediamo tutta smembrata. Ma spero nella somma ed eterna bontà di Dio che le rendarà i membri sani e non infermi, odoriferi e non putridi; e fabricarannosi questi membri sopra le spalle dei veri servi di Dio amatori della verità, con molti labori e sudori e lacrime, e umile e continova e fedele orazione. Altro non vi dico. Confortatevi in croce con Cristo dolce Gesù.

Umilemente mi vi racomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Siate uno padrone in cotesta città ad annunziare virilmente la verità di papa Urbano VI, sommo e vero pontifice; e in tutto vi studiate di mantenergli nella fede,obbedienza e reverenzia della santa Chiesa e della sua Santità.