00 19/10/2012 19:35
363. A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante nelle virtù; e non fatto come la foglia che si vòlle al vento.

Ma, come arbolo, dovete essere piantato al basso della terra de la vera umiltà, a ciò che lo vento della superbia non possa offendere l'arbolo dell'anima vostra; la quale è uno arbolo d'amore perché è creata da Dio per amore, e però è d'amore, e non può vivere d'altro che d'amore: cioè o d'amore santo, o d'amore sensitivo proprio di sé medesimo. Lo quale dà morte e priva della vita della grazia, posto nell'altezza del monte della superbia dove giongono i venti in diversi modi contrarii, i quali tutti l'offendono, e fanno cadere i frutti e rompere i rami; e se egli non si fortifica ponendovi lo remedio, dà a terra l'arbolo.

E alcune volte giongono venti subbiti di ladie e diverse tentazioni e cogitazioni nel cuore, le quali spesse volte scuotono l'arbolo, e dinudanlo de le foglie - ciò sono i santi pensieri, con le dolci parole caritative col prossimo suo -, le quali foglie hanno a guardare i frutti; quando uno altro vento giogne, lo quale entra nei cuori delli uomini, ed esce per la bocca. E questi sono i persecutori del mondo, i quali, entrata la puzza nei cuori loro, gittano i venti, per la bocca, delle molte mormorazioni ingiurie scherni e villanie, in detto e in fatto. Questo è quello vento che fa cadere lo frutto de la pazienza, e rompe i rami dell'altre virtù; e dà a terra l'arbolo, se egli non lo remedisce con l'amore di Dio e carità del prossimo. E tutto questo gli adiviene - di ricevere danno da' venti - perché egli è posto in alto, poiché se egli fusse a basso, in mezzo tra due monti, non gli adiverrebbe, perché percotarebbero i monti facciorti, e non lui, ma solamente sentirebbe lo busso.

Che remedio ci ha che questo arbolo si transpianti ne la valle e terra de l'umiltà? Dicovelo: con uno vero cognoscimento di noi medesimi, e con un odio e pentimento della propria sensualità, poiché in altro modo non potremmo essere umili. Ma allora si trovarà tra due monti facciorti, cioè tra la virtù della fortezza e de la vera pazienza, le quali ricevono i colpi di qualunque vento contrario si vuole essere; anco, quanto più contrarii ha, più si fortifica e si prova l'anima essere forte, provandosi la virtù de la pazienza.

Allora si conservano le virtù, e maturansi questi frutti, dando dottrina con la parola ed edificazione al prossimo, coi fiori odoriferi dei santi pensieri del giusto giudizio che l'anima piglia, giudicando in sé e nel prossimo suo la volontà dolce di Dio - che non vuole altro che il nostro bene - e non quella delli uomini; mortificando ogni suo parere, e uccidendo la propria volontà; e mantenendo e notricando l'arbolo de la carità del prossimo suo, con ansietato desiderio della salute delle anime; dilettandosi di questo cibo per onore di Dio.

Oh quanto è glorioso l'arbolo dell'anima nostra, quando è piantato così dolcemente, perché si conforma con l'umilità de lo immacolato Agnello dunde aviamo avuta la vita, uno sole di grazia e di misericordia; la quale misericordia non si poteva avere con tutte le nostre giustizie, ma poi che Dio s'aumiliò a l'uomo, dandoci questo dolce e amoroso Verbo - e lo Verbo del Figlio di Dio con vera pazienza s'aumiliò all'obrobiosa morte della croce -: sì che le nostre giustizie e ogni virtù vale per l'umilità sua, e per la virtù del suo prezioso sangue, sparto con tanto fuoco d'amore. Si ché vedete che altro modo non ci ha a conservare e crescere nella virtù.

E però vi prego, carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, che impariate da questo dolce e immacolato Agnello a stare sempre a basso per vera e dolce umilità, a ciò che sempre conserviate e cresciate la virtù in qualunque stato voi sete; poiché colui che è umile, ogni sua opera spirituale e temporale gli vale a vita eterna, perché è fatta in grazia. Se egli fa opere temporali, esse gli danno vita, perché le fa con l'occhio dirizzato in Dio; e se elle sono spirituali, gittano odore di virtù dinanzi a Dio e dinanzi alli uomini del mondo; e se egli è in stato di signoria, gitta odore di santa giustizia, poiché colui che è umile non fa ingiustizia verso lo prossimo suo, né dispiacere, anco l'ama come sé medesimo.

E così vi prego, carissimo figlio, che ora ne lo stato vostro manteniate ragione e giustizia al piccolo come al grande, al povaro come al ricco; e aguegliatamente a ciascuno rendere lo debito suo, secondo che vuole la giustizia santa, condita con la misericordia. Sono certa, per la bontà di Dio, che lo farete, e io ve ne strengo quanto so e posso; e pregovi che vi ritroviate, in questo dolce Avento e nella santa Pasqua, nel presepio con questo dolce e umile Agnello, dove trovarete Maria con tanta reverenzia a quello figlio, pellegrina in tanta povertà - avendo la ricchezza del Figlio di Dio - che non ha panno da poterlo invòllere né fuoco da scaldare esso fuoco, Agnello immacolato; ma gli animali aciando sopra lo corpo del fanciullo, lo riscaldavano col fiato loro. Bene si debba dunque vergognare la superbia e le delizie stati e ricchezze del mondo, di vedere Dio tanto umiliato.



Perciò visitate questo prezioso luogo in questo Avento, a ciò che potiate rinascere a grazia. E a ciò che meglio lo potiate fare, e ricevare questo Bambino, fate che vi confessiate e vi disponiate, se possibile v'è, a la santa comunione. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





364. Al papa Urbano VI predetto.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con cuore virile, affinché realmente riprendiate i vizii che tutto dì si commettono; e spezialmente quelli vizii che sonno contro alla santa volontà vostra - poniamo che ogni vizio vi dispiaccia sì come debbano fare a l'anima che teme Dio, di dispiacerle l'offesa che è fatta contro il suo Creatore -.

O santissimo padre, aprite l'occhio de lo intelletto, e con esso riguardate ne l'oggetto della dolce verità. Ine conosciarete quanto sete tenuto e obligato d'avere l'occhio vostro sopra i vostri figli, e riguardare di metare aitatori che v'aitino a guardare le pecorelle, sì che - quando elle fussero inferme della grave infermità che lo' dà morte, cioè della colpa del peccato mortale - questi infermi, quando li vedete, o vi fussero fatti vedere per quelli che amano la Santità vostra, non gli dovete sostenere apresso di voi nel ventre della santa Chiesa; o voi gli corregete, e teneteli per modo che essi non possano commettare iniquità, almeno di quelle che tanto vi dispiacciono cordialmente, delle quali io so che la Santità vostra m'intende, e non bisogna ch' io ve la spieghi altrimenti.

Io vi dico che la divina bontà si lagna che la Sposa sua è spogliata delle piante vecchie, che invecchiate erano nei vizii, in molta superbia immondizia e avarizia, commettendo le grandissime simonie; e ora le piante nuove, le quali con la virtù debbano confondare i vizii, e esse si cominciano a dilargare e a pigliare quello stile medesimo. Di questo si lagna Cristo benedetto, ch'ella non è spazzata dei vizii, e la Santità vostra non ci ha quella solecitudine che deve avere.

Voi non potete di primo colpo levare i difetti delle creature, i quali si commettono comunemente nella religione cristiana - massimamente ne l'ordine chericato, sopra dei quali dovete più avere l'occhio -; ma ben potete e dovete fare per debito - e se non, sì l'avareste sopra la coscienza vostra - almeno di farne la vostra possibilità: lavare lo ventre della santa Chiesa, cioè procurare a quelli che vi sono presso e intorno voi, spazzar lo' del fracidume, e ponarvi quelli che attendano a l'onore di Dio e vostro e bene della santa Chiesa, che non si lassino contaminare né per lusinghe né per danari. Se riformate questo ventre della Sposa vostra, tutto l'altro corpo agevolemente si riformarà, e così sarà onore di Dio, e onore e utilità a voi; con la buona e santa fama e odore delle virtù si spegnerà la 'resia; ciascuno corrirà alla Santità vostra vedendo che voi siete estirpatore dei vizii, e mostriate in effetto quello che desiderate. E non curo che vi curiate, né per vestimento né per altro, più di grande valuta che di piccola; ma solo che sieno uomini schietti, che vadano con dirittura e non con falsità.

Sapete che ve ne diverrà, se non ci si pone rimedio in farne quello che ne potete fare? Dio vuole in tutto riformare la Sposa sua, e non vuole ch'ella stia più lebbrosa; se non lo farà la vostra Santità giusta lo vostro potere - che non sete posto da lui per altro, e datavi tanta dignità -, lo farà per sé medesimo col mezzo delle molte tribolazioni: tanto levarà di questi legni torti, ch'egli li drizzarà a modo suo. Oimé, santissimo padre, non aspettiamo d'essere umiliati, ma lavorate voi virilmente, e fate le cose vostre secrete e con modo, e non senza modo - ché il fare senza modo più tosto guasta che non acconcia -; e con benevolenza e cuore tranquillo udite quelli che temono Dio, e diconvi quello che bisogna e si debba fare, manifestandovi quelli difetti che sapessero che si commettessero intorno alla Santità vostra. Babbo mio dolce, grandissima grazia vi debba essere d'avere di quelli che v'aitino a vedere e a procurare di quelle cose che fussero vitoperio a voi, e danno delle anime.

Mitigate un poco per l'amore di Cristo crocifisso quelli movimenti sùbiti, che la natura vi porge: con la virtù santa date il botto alla natura. Come Dio v'ha dato lo cuore grande naturalmente, così vi prego e voglio che v'ingegniate d'averlo grande sopranaturale, cioè che col zelo e desiderio della virtù e della riformazione della santa Chiesa acquistiate cuore virile fondato in vera umilità. Per questo modo avarete lo naturale e il sopranaturale, ché il naturale senza l'altro poco ci farebbe, ma darebbeci più tosto movimento d'ira e di superbia; e quando venisse a vedere a fare alcuno fatto di coregiare persone che li fussero molto intrinsiche, allentarebbe i passi e diventarebbe pusillanime. Ma quando c'è agionta la fame della virtù - che l'uomo attenda solo a l'onore di Dio, senza alcuno rispetto di sé -, egli riceve lume, fortezza, costanzia e perseveranza sopranaturale che mai non allenta, ma tutto virile, sì come egli debba essere.

Di questo ho pregato e prego continovamente il sommo e eterno Padre che ne vesta voi, padre santissimo di tutti i fedeli cristiani, ché mi pare che nei tempi nei quali ci troviamo n'abbiate grandissimo bisogno. Io, miserabile e ignorante figlia, non mi restarò mai, sicondo ch'egli mi darà la grazia: terminare voglio la vita mia per voi e per la santa Chiesa in continovo pianto, vigilia, e fedele umile e continova orazione, quanto Dio mi concedarà; ché da me nessuna cosa potrei. So che a l'umile, continova e fedele orazione non sarà disdetto quello che si dimandarà dalla infinita bontà di Dio, essendo giusta petizione. E così gli altri servi e figli vostri, che temono Dio, fanno e faranno questo per voi, e tanto più, quanto essi sonno buoni e io piena di difetto.

Fate voi dal lato vostro quello che dovete e potete; e così mitigaremo l'ira di Dio e darete rifrigerio ai servi suoi. Sono certa che, avendo lo cuore virile, come detto è, voi lo farete; in altro modo, no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi lo cuore virile; e così desidera l'anima mia. Allora sarete lo gaudio, l'alegrezza e consolazione mia e degli altri servi di Dio, che riguardano alle mani della Santità vostra, i quali v'amano, e cercano l'onore di Dio e il vostro con ogni solecitudine; non infinti, avendo una in lengua e un'altra in cuore. Altro non vi dico.

Rimanete etc.

Piaccia alla Santità vostra di tenere persone fedeli presso a sé, che si vega che temano Dio, affinché quello che si fa e dice in casa vostra non sia riportato ai dimoni incarnati - che i difetti loro sonno nostri nemici -, cioè a l'antipapa e ai seguaci suoi. Perdonate, padre santissimo, alla mia presunzione, ché ho presunto di scrivare a voi sicuramente, costretta dalla divina bontà, e dal bisogno che si vede, e dall'amore ch'io porto a voi. Sarei venuta e non arei scritto, se non per non darvi tedio nel tanto mio venire. Abbiate pazienza in me, ch'io non mi ristarò mai di stimolarvi con l'orazione o con la boce viva o con lo scrivare, mentre ch'io viverò, tanto ch'io vedrò in voi e nella santa Chiesa quello ch'io desidero, e ch'io so che molto più di me voi desiderate. A dare la vita, se bisogna, santissimo padre! e non dormiamo più.

Umilemente v'adomando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





365. A Stefano di Corrado Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti fuori delle mani dei nimici tuoi. Parmi, s'io non sono ingannata, che la divina bontà facci già apparire l'aurora, und'io spero che tosto ne venga il dì chiaro che sia levato il sole.

Tu fusti preso, sicondo che mi scrivi: ma non nel tempo della notte, ma nel tempo del dì. Puoi, adoparando la clemenza dello Spirito santo, apparbe l'aurora nei cuori dei dimoni incarnati, unde tu fusti lassato. Pensati, dolcissimo figlio, che mentre che tu starai nella notte del vero cognoscimento di te, tu non sarai mai preso; ma se la propria passione volesse passare col dì del proprio sensitivo amore, o l'anima volesse passare prima al dì del cognoscimento di Dio che alla notte del cognoscimento di sé, sarebbe presa da' nimici suoi. E non è dubbio che se l'anima con ansietato e dolce desiderio non sta nel cognoscimento di sé, e della bontà di Dio in sé, i si trovarebbe menato preso da' nimici di Dio: subito lo nemico della presunzione col legame della superbia, le passioni e le dilizie e stati del mondo, lo demonio e la carne, tutti ci piglierebbono.

E però voglio che sempre ti riposi tra il dì e la notte, cioè conoscendo te in Dio, e Dio in te. Allora trovarai che nimici che t'avessino legato, e agombrato lo cuore di molti e varii pensieri; ricevarà lo cuore l'aurora; saratti detto dentro nell'anima tua, e tu il dirai ancora: «Vatti in pace, e riposati in pace in su la mensa della croce, du' troverai la pace e la quiete, stando nel mare tempestoso». Quanta pace vi fu quando - voi agnelli in mezzo di que' lupi - i vi fu detto da loro: «Andatevi in pace»! Essendo anco tra la guerra loro, gustaste la pace, quando voi l'udiste. E così ti pensa che, quando l'anima si sente presa con molti e diversi pensieri, ella si conforma con la volontà di Dio, vedendo con quanto amore egli le il concede, e quanto ci fanno venire a più perfetta sollicitudine e vera umilità: vi trova la pace, essendo ancora nel tempo della guerra.

Ora disidera l'anima mia che, puoi che il dolce sposo eterno vi campò miracolosamente e trassevi delle mani loro, così prego lui che tosto ti traga degli altri, i quali ci sono maggio nemici e più crudeli che non erano eglino: questi erano nimici del corpo, ma gli altri sono nemici dell'anima. E così è la verità: che i dimestici dell'uomo sicondo lo mondo sono nostri nimici (Mt 10,36); e spezialmente quegli che ci sono più congiunti, che non pare che attendeno altro che alla propria utilità. Quando tu sarai dilibarato da loro, escito fuore di prigione, sarà levato lo sole. Ora sei nell'aurora, che anco ben bene non ti lassa gustare né discernere la virtù, perché non sei ancora nel tempo del sole che tu sia sciolto da questi nimici dimestici.

Ma io voglio, carissimo figlio, che tu ti conforti ora in questo tempo dell'aurora, poiché tosto ne verrà lo sole. Udiremo quelle dolci parole: «Lassa i morti sepellire ai morti, e tu mi segue» (Mt 8,22). Altro non ti dico sopra a questo fatto. Anniegati nel sangue di Cristo crocifisso, nisconditi nel costato di Cristo crocifisso, affinché i nemici non ti truovino più. Or non dormire nel letto della nigligenzia, e vienti sciogliendo tosto, affinché meglio ti possa legare.

Rispondoti al fatto dell'andare alle messe. Voi fate bene di non andarvi; e d'avervi fatti famegli di missere Giacomo, s'io l'avessi saputo non l'avreste fatto, ma serestevi stati umili e obbedienti, aspettando con pazienza come gli altri lo tempo della pace. Ora ti dico che, se chiaramente i vi mostra in verità, e che non s'intenda né facci la conscienzia a modo suo, che voi v'andiate; e quando che no, no. Che se già la dignità sua non la può pigliare largamente, non so ched i si intenda altro che della famiglia sua propria, la quale stesse al servizio suo. Ché noi sappiamo pure che, perch'io mi faccia titolo d'essere suo fameglio, io pure non sono né voglio essere; nondimeno, forse che la sua dignità per grazia singulare ha di poterlo fare.

Se n'avete avuta tanta dichiarazione che basti, sono contenta.

Del tuo venire, puoi che per lo fatto d'Anibaldo non è bisogno, per questo non te richeggo che tu venga; ma bene l'avrei avuto molto caro che tu fussi venuto, e che tu venissi, se venire puoi senza scandalo, ma con scandalo e turbazione del padre e della madre, no, fino che lo scandalo non fosse necessario. Anco voglio, in chesto tempo, che gli fuga, quantunque tu puoi. Sono certa che, se la divina bontà vedrà che sia lo meglio, che cessarà lo scandalo, sicché tu potrai venire con pace. Vieni, se tu puoi. Se monna Lapa torna a Siena, fate ch'ella vi sia raccomandata.

A Petro risponde che dei danari che mi mandò, dicendo dell'avanzo del cavallo, io non ebbi mai nulla, né mai parola ne feci di avergli, né pensiero veruno; né mai a me non ne fu fatto parola nessuna, se non, il dì ch'io ebbi le lettere, venne Mino di Simone Mino a me, e dimandommi se questi danari io gli avesse avuti: sì ch'io gli rispuosi di no - come egli è la verità -, né parola udita mai. Dissemi che andarebbe a Andrea, e sì gliel direbbe s'egli gli recava; sì glili mandarò di quegli che degga dare. Se gli vuole dare, sì gli dia a Nanni. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Conforta Petro e tutti gli altri figli; e al priore ditegli che di monna Lapa farà quel che gli pare; e mandivi cui gli pare. Non scrivo a lui né a Petro, perché non ho tempo, ché sono occupata d'altro scrivere.

Dice il tuo negligente fratello Barduccio, che tu sì ne venga tosto, per alcuna cosa ch'egli ha a fare, ché vorrebbe la tua compagnia. Pargli malagevolemente trovare lo modo di farla, se tu non sei con lui: tanto che, se non ci vieni, verrà fino a te, inanzi che la faccia. Sievi raccomandato nell'orazione di te e degli altri, perché n'ha grande bisogno; ché ora è messo al paragone per sempre. Lisa similemente ti prega che preghi Dio per liei, tu e gli altri. Gesù dolce, Gesù amore.

Di Baptista, ti rispondo che sarà bene fatto che voi lo mandiate (...) oltre acciò, che sia buona pianta novella nel corpo mistico della santa Chiesa. Ma tanto ti dico, ch'io vorrei volentieri che fusse o con misser Tommaso, o con misser Martino, poiché sono uomini virtuosi e sofficienti in ogni cosa. Mandai a chiedere alla Contessa lo libro mio; e òllo aspettato parecchie dì, e non viene. E però se tu vai là, dì che il mandi subito; o tu ordina che chi vi va lo dica, e non manchi.





366. A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore dei santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che, terminata la vita vostra, voi potiate avere la eredità di vita eterna.

Ma voglio che voi sappiate che la legge di Dio non si può osservare mentre che l'uomo giacesse nell'amore proprio di sé medesimo, poiché colui che ama sé di disordenato amore non può amare né servire lo prossimo suo coraggiosamente, come debba, e i comandamenti della Legge stanno solamente nella carità di Dio e del prossimo: cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. E però colui che disordenatamente s'ama non gli può osservare infine che non si spoglia dell’uomo vecchio, cioè della propria sensualità, e vestasi del nuovo, Cristo dolce Gesù, seguitando la dottrina sua.

Perciò c'è necessario, carissimo figlio, di venire a odio santo e di noi medesimi, a ciò che in verità amiamo e temiamo Dio. E se voi mi diceste: «Che modo posso tenere per avere questo odio, a ciò che io abbi questo amore? e dove lo truovo?», io vi rispondo: lo modo è questo, che voi apriate l'occhio dell'intelletto vostro col lume della santissima fede; poiché senza lo lume non potreste vedere lo luogo.

Lo luogo dove egli si trova è la casa del cognoscimento di noi medesimi; e in altro luogo non possiamo conoscere, e non conoscendo la cosa buona da la gattiva, non si può odiare né amare.

Ma come l'occhio dell'intelletto col lume de la fede raguarda in questa casa del cognoscimento di sé - vede sé per sé non essere, anco l'essere suo conosce e vede averlo da Dio -; che egli conosce e vede tanta larghezza e fuoco di carità - cioè d'essere creato ad immagine e similitudine di Dio, e d'essere recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio -; e più, che si vede essere quella pietra e terra che tenne ritto lo gonfalone della santissima croce, - sì che la croce non era sufficiente né la terra a tenerla ritta, né i chiodi a tenerlo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto -, allora cresce l'anima nell'amore con ansietati e dolci desiderii, osservando i comandamenti suoi, cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo.

E vedendo che utilità a Dio non può fare, fa utilità al suo prossimo, amandolo e servendolo in ciò che egli può; e così dimostra l'amore perfetto che egli ha al suo Creatore, poiché con altro mezzo non può mostrare l'amore e la virtù che è dentro nell'anima, se non col prossimo: perché ogni virtù si pruova con questo mezzo. E poi che l'anima ha trovato amore per lo cognoscimento che ha avuto di Dio, ed ella trova la balia de l'umilità, la quale è balia e nutrice della carità. Dove la trovò? Nella casa del cognoscimento di sé, là dove egli trovò la carità, come detto è, poiché colui che conosce sé medesimo non ha materia di insuperbire, poiché la cosa che non è non può venire a superbia.

Necessario è dunque che chi non è superbo, sia umile: poi che egli ha cognosciuto sé e la bontà di Dio in sé, ama ed è umile, e da l'umilità conosce i difetti suoi, e vedesi sempre combattere con la perversa legge del corpo suo contro alla grande bontà di Dio, che egli ha cognosciuta in sé. E però si leva con odio santo e pentimento della propria sensualità; e per l'odio che ha, ne vuole fare vendetta. E con che ne la fa? Con darle lo contrario di quello che l'amore sensitivo vuole. Ella si vuole dilettare del vizio, e la ragione le dà lo contrario, ché si diletta della virtù; dilettasi de l'onore e dello stato e dei disordenati diletti e di fare ingiustizia al prossimo, e l'anima che col lume della ragione ha cognosciuto Dio, ne fa la vendetta, spregiando lo mondo con tutte le sue delizie - o attualmente, che al tutto si parte dal mondo, o egli vi sta attualmente e levasene col santo desiderio: e questo debba fare ogni creatura che ha in sé ragione -; e fa giustizia - poiché giustamente rende a Dio la gloria e l'onore, e a sé rende odio e pentimento della propria sensualità, e amore de la virtù -; e al prossimo rende carità di carità e fatica - affaticandosi per la salute sua: per l'anima offera orazioni, e il corpo soviene della sustanzia temporale, se egli n'ha, o di qualunque altra cosa egli lo può sovvenire -. E se egli è in stato di signoria, fa giustizia e ragione al grande e al piccolo, e al povaro come al ricco, e non teme di dispiacere ad alcuna creatura; ma solo teme Dio, poiché lo timore servile lo perdette nell'amore divino e nell'odio santo di sé medesimo, e questa è la principale vendetta che fa l'anima della propria sensualità.

Una altra vendetta fa: che gastiga lo corpo suo, quando impugnasse contro allo spirito. E anco non si chiama contento di questo; ma ciò che egli fa, gli pare fare poco, e desidera che altri ne la facci per lui, quando egli pensa all'offese che ha fatte al suo Creatore. E però non si scandalizza della ingiuria, né d'alcuna altra tribulazione o pena che sostenesse o da le creature o da Dio - cioè che Dio gli desse alcuna disciplina, o perché egli sotraesse da la mente sua la consolazione della mente, e lassasseli dare al demonio le molte tentazioni e battaglie -, ma tutte s'ingegna di portarle pazientemente; e fa forza a sé medesimo, tenendo la volontà che non si scandalizzi, e umiliando sé medesimo, reputandosi degno della fatica e indegno del frutto che segue doppo la fatica, e indegno de la pace e quiete de la mente. E così trae fuore la pazienza, che è lo midollo de la carità.

E per questo modo ha adempita tutta la legge, cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo. Con che la vidde e cognobbe? con l'occhio dell'intelletto e col lume de la santissima fede. Dove la trovò? nel cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento trovò la bontà di Dio, e però l'amò; e trovò la miseria sua, e però s'aumiliò e concepette odio al vizio e a la propria sensualità. Senza questo cognoscimento non poteva osservare la legge; e non osservandola, è privato l'uomo della grazia e del regno di Dio, lo quale regno è la eredità che dà lo sommo Padre ai legittimi figli che virilmente combattono nel campo della battaglia coi nemici loro, non vollendo lo capo a dietro.

E però vi dissi che io desideravo di vedervi osservatore dei santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che aveste qui la vita della grazia, e nell'altro vita eterna. Pregovi per l'amore di Cristo Crocifisso che v'ingegniate d'osservarli infine alla morte. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





367. Ai magnifici Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servi fedeli alla santa Madre Ecclesia affinché siate membri legati coniunti col capo vostro sì come veri e fedeli cristiani, con zelo santo di vera e santa giustizia, volendo che la margarita della santa giustizia sempre riluca nei petti vostri, levandovi da ogni amore propio, attendendo al bene universale della vostra città, e non propiamente al ben particolare di voi medesimi.

Poiché colui che ragguarda solamente a sé vive con poco timore di Dio; non osserva la giustizia, anco la trapassa e commette molte ingiustizie; lassasi contaminare alle lusenghe degli uomini alcune volte per denari, alcune volte per piacere a coloro che gli dimandano il servizio, che sarà una ingiustizia ad averlo; alcune volte, per fuggire la punizione del difetto che avrà commesso, sarà diliberato, colà dove la verga della giustizia debba venire sopra di lui. Costui ha fatto come iniquo uomo: degno sarebbe che quella medesima disciplina che doveva venire in colui che egli ha diliberato per denari, venisse sopra di lui. I povarelli che non commettaranno, delle mille parti l'una, tanto difetto, lo' sarà data dura punizione senza alcuna misericordia. Terrà occhio spesse volte l'uomo miserabile, posto a governare la città (e non governa anco sé medesimo), che le povarelle e povarelli sieno rubbati, non tenendo lo' punto di ragione; ma terranno occhio ch'ella sia data a colui che non l'ha.

Non me ne maraviglio, se questi cotali commettono ingiustizia, perché essi si veggono fatti crudeli a lor medesimi, vivendo in tanta immondicia che, dal porco che s'involle nel loto a loro, non ha nulla; in tanta superbia, che per la superbia loro non possono sostenere che lo' sia detta la verità. Mordono, con rimproverio, il prossimo loro, con guadagni inliciti, e con molti altri infiniti mali dei quali io taccio per non attediarvi di parole. Per questo non mi maraviglio che manchino nella santa e vera giustizia.

E però Dio ha permesso e permette che noi riceviamo tante discipline e tante fatiche, che mai non credo che fussino vedute simili, poi il mondo fu mondo, cioè per questo modo. Chi n'è cagione? L'amore propio, donde escono le ingiustizie, e caggiono nella irreverenzia della santa Chiesa: di figli fedeli, diventano infedeli. Questo aviamo veduto e vediamo manifestamente, che egli è così.

E però vi dissi che volevo che fuste giusti, rilucesse nel petto vostro la margarita della giustizia: ché altrimenti non compireste il desiderio mio, che desidero che siate servi fedeli alla santa Chiesa, obedienti a papa Urbano VI - sì come veri e fedeli cristiani -, il quale è veramente papa, vicario di Cristo in terra.

Ora m'avvedrò, carissimi padri, se sarete figli, o no. Nel tempo dil grande bisogno, si vedrà se il figlio sarà amatore del padre, provedendo a sovvenire alla sua necessità, secondo che gli sarà possibile.

Ora vediamo il padre nostro e la santa Chiesa in tanto bisogno, che mai non l'ebbe simile, per li malvagi e iniqui uomini i quali erano posti nel giardino della santa Chiesa per dilatare la fede, ed essi son quelli che l'hanno tutta contaminata, seminando scisme e grandissime eresie. Noi cristiani, e figli a così dolce padre, e giusto, cioè papa Urbano VI, ci doviamo mettere ciò che si può, per confondere e distruggere questa bugia. Eziandio se bisogna morire, moriamo, ché il morire ci sarà vita. Non dormite più, ché non è tempo da dormire, ma destatevi dal sonno, per onore di Dio, bene della santa Chiesa, e utilità vostra.

Neuno sacrificio potete donare al vostro Creatore che tanto gli sia piacevole, quanto questo, e non vi paia duro; ché non v'è paruto duro né malagevole, di tanto tempo quanto è passato, avere servito contro Dio e contro ogni ragione, a quelli che erano membri allora fetidi, ribelli alla santa Chiesa: del quale servizio non aveste né avete altro che danno dell'anima, del corpo, e della sustanzia temporale con molta vergogna, confusione di mente, e vituperio, rimanendone il verme della coscienza. In tutto questo non pensaste, ma liberamente abandonaste voi medesimi per volere essere trovati fedeli a quello che promesso avavate, la quale fede osservare non si doveva, perché non si osservava senza colpa; e colpa in neuno modo si debba commettere.

E se tanto s'è fatto in servizio del demonio, quanto maggiormente ora dovete sforzare ogni vostro potere! Dovete servire, per Cristo crocifisso, e per debito al vicario suo, Cristo in terra, papa Urbano VI, il quale dovete tenere per sommo pontefice. E chi tiene il contrario, è eretico riprovato da Dio, membro del diavolo. E neuno sia, che vadi vacillando o zoppicando con la mente sua, per illusione del demonio, a detto di veruna creatura, dicendo: «Forse che è; e forse che non è». Non così, per l'amore di Dio! ma affermativamente, con amore cordiale, tenete che il nostro padre è papa Urbano VI, a malgrado di chi dice il contrario. Lui dovete obedire e sovvenire: e, se bisogna, morire per questa verità. Al frutto dell'aiuto che farete, m'avvedrò che in voi sia il fiore della santissima fede, d'essere servi fedeli alla santa Chiesa e al dolce e giusto padre vostro; il quale confesso e confessarò inanzi a tutto il mondo fino alla morte, che papa Urbano VI è veramente papa, vero e sommo pontefice. Oimé, non indugiate più a sovvenire questa dolce Sposa di Cristo. Spero, per la infinita bontà di Dio, che egli vi farà fare quello che v'è debito e dovere. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

So che egli ama voi cordialmente come figli. Amate e reverite lui come caro padre. Gesù dolce, Gesù amore.





368. A Stefano Maconi sopradetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti levato dalla tiepidezza del cuore tuo, affinché non sia vomicato dalla bocca di Dio, udendo quello rimproverio: «Maladetti tiepidi! Che almeno fuste voi stati pur ghiacci! » (Ap 3,15-16).

Questa tiepidezza procede dalla ingratitudine, la quale ingratitudine esce dal poco lume che non si dà a vedere lo crociato e consumato amore di Cristo crocifisso, e gl'infiniti beneficii da lui ricevuti; poiché se in verità gli vedessimo, lo cuore nostro ardarebbe (Lc 24,32) di fuoco d'amore: saremmo affamati del tempo, essercitandolo con molta sollicitudine in onore di Dio e salute de l'anime. A questa solicitudine t'invito, carissimo figlio, che ora di nuovo ci cominci a lavorare.

Mandoti una lettera che io scrivo ai Signori, e una alla Compagnia della Vergine Maria: vedile e comprendile; e poi le darai. Poi sia con etc., con ciascuno di per sé, come fatto ti viene; e parla loro pienamente sopra questo fatto che si contiene nelle lettere, pregando ciascuno di loro per parte di Cristo crocifisso e mia, che con ogni sollicitudine adoperino quanto a loro è possibile coi Signori, e con chi l'ha a fare, che si facci quello che si die verso la santa Chiesa e il vicario di Cristo, papa Urbano VI. Molto gli grava, per mia parte, che lo' piaccia affaticarsi in questo fatto per onore di Dio e utilità della città, spiritualmente e temporalmente. Fa' che tu sia fervente, e non tiepido, in questa opera, e in stimolare i frategli e maggiori tuoi della Compagnia, che faccino la loro possibilità in quello ch'io scrivo. Se sarete quello che dovete essere, mettarete fuoco in tutta Italia, non tanto costì. Altro non ti dico.

Permane nella santa etc.

Conforta etc. Tutti questi tuoi fratelli e sorella ti confortano in Cristo; e tutti t'aspettiamo. Gesù dolce, Gesù amore.





369. Al detto Stefano Maconi essendo essa a Roma (e questa fu l'ultima a lui).

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con il desiderio di vederti specchio di virtù, a ciò che con l'essemplo della vita, con la dottrina della parola, e con la continua e umile orazione, tu sia uno strumento adatto a strappare l'anime dalle mani del demonio e riducerle alla Verità, Cristo dolce Gesù, come Dio ci richiede; a ciò che si renda buona ragione del talento (Mt 25,19) che egli ci ha dato ad essercitare la virtù e la vita de l'anima. E senza essa saremmo privati della vita della grazia, e in questa vita gustaremmo la caparra dell'inferno.

Oh quanto è piacevole e utile la virtù! La quale virtù s'acquista col mezzo de l'orazione fatta nella casa del cognoscimento di noi (nel quale cognoscimento troviamo lo fuoco della divina carità; e la miseria, ignoranza e ingratitudine nostra, unde trovaremo e traremo la vena dell'umiltà per il cognoscimento che avremo di noi) e nella smisurata bontà di Dio, la quale troviamo in questa casa. Per pruova e per fede nutreremo l'affetto nel fuoco della sua carità: allora sarà l'orazione nostra umile fedele e continua, fatta per amore con la memoria del sangue de l'umile Agnello, e così verremo a perfettissima virtù.

E non mi maraviglio se, per lo cognoscimento che l'anima ha di sé, ella viene a perfettissimo amore e virtù, poiché in neuno luogo troviamo tanto questo fuoco divino, quanto in noi. Poiché tutte le cose create sonno fatte da Dio per la creatura che ha in sé ragione; e la creatura ha creata per sé, affinché amasse e servisse lui con tutto lo cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Lc 10,27). E però l'anima che tanto si vede essere amata non può difendersi che non ami, poiché così è la condizione dell'amore.

Tanto fu pazzo e ineffabile l'amore suo verso di noi che, essendo noi fatti nemici per la colpa commessa, egli ci volse fare amici; e però ci mandò lo Verbo del suo Figlio affinché pagasse il bando nel quale la creatura era incorsa, mostrandoci nel prezzo la grande dignità nostra e la gravezza della colpa. Ben si debba Perciò consumare e dissolvere la durezza del cuore della creatura che ha in sé ragione, usandola: cioè che con lume di ragione e con la santissima fede raguardi in sé tanto amore, e il grande prezzo pagato per lei. Ma chi vive senza ragione, mai non il può vedere né conoscere; non conoscendo, non ama; e non amando, non gli è possibile di venire a veruna virtù, poiché ogni virtù ha vita da l'amore acquistato nell'affetto della carità. La quale carità, poi che aviamo acquistata in noi, doviamo usarla nel prossimo nostro spiritualmente e temporalmente, secondo la sua necessità e secondo che Dio ministra a noi, con ansietato desiderio della salute di tutto quanto lo mondo per onore di Dio, dilettandoci di sostenere pene e fatiche e la morte, se bisogna, per gloria e loda del nome di Dio: e così ci conformaremo col dolce Agnello.

Oggi è quello tempo, carissimo figlio, che Dio ci richiede questo sacrificio: ché vediamo il mondo in tanta tenebre, e specialmente la dolce Sposa di Cristo; e però voglio che sia sollecito di darglili. E perché senza il mezzo delle virtù non potresti, però dissi ch'io desideravo di vedervi specchio di virtù; e così voglio che con ogni studio t'ingegni d'essere. Non dico più qui.

Ieri ricevetti una tua lettera, nella quale etc. A questa ti rispondo breve: delle indulgenzie che scrivi ch'io ti promissi, ti rispondo che tu non aspetti da me né quello né niun altro servigio, se tu non ti vieni per esse. Non dico che io ti dineghi la tua necessità spiritualmente, ché questo più che mai intendo di fare: e della dottrina, e di quello desiderio che Dio infonderà ne l'anima mia, offerendoti nel suo dolce cospetto con maggiore sollicitudine che mai, in quanto più veggio lo bisogno, considerando lo stato tuo, lo quale tu dici che a te è spiacevole. Quando in verità ti spiacerà, io me n'avedrò: ché attualmente te ne levarai.

Allora dimostrarai di conoscere il tuo stato; ché fino a qui poco pare che l'abbi cognosciuto. Spero nella dolce bontà di Dio che, come un poco ha cominciato a levare il panno d'in su l'occhio tuo, così in tutto lo levarà via, e rimarrai con chiaro vedere del tuo stato, e tosto, purché tu non facci resistenza o i miei peccati non lo impediscano.

Rispondoti al fatto di misser Matteo. A me incresce e duole d'ogni pena e amaritudine che egli ha sostenuta per la ignoranza e negligenzia mia. Sappi che la sua pena è più mia che sua: Dio mi dia grazia che tosto si levi a lui e a me. Se quella lettera etc. Abbiate pazienza etc.

Intesi per una lettera che mi mandò l'Abbate, la quale contava delle piante che egli ha piantate nel suo e mio giardino - e è per piantare anco più -, tra le quali pare che sia tu con altri compagni, e setevi obligati.

Mostra etc. Ònne grandissima allegrezza di vedervi uscire della imperfezione e andare alla perfezione, ma molto mi maraviglio che tu ti sia obligato senza farne sentire nulla. Non è senza misterio: prego la divina dolce bontà che ne facci quello che sia suo onore e salute tua. Altro non voglio né desiderai mai, dal primo dì ch'io ti cognobbi, e che tu escisti del loto, per fino al dì d'oggi, e questo desiderio spero d'avere fino all'ultimo, per la bontà di Dio. Se tu hai sentito che lo Spirito santo t'abbi chiamato ed eletto a cotesto stato, hai fatto bene di non averli fatto resistenza; e io ne sarò consolata, quando ti senti chiamare, che tu risponda. Molte cose t'avarei a dire, le quali non posso né voglio scrivere. Neri è a Napoli, ché il mandai con l'Abbate Lisolo. Credo che stieno con assai fatiche, specialmente mentali, per tante offese quante vegono fare a Dio. Altro non dico.

Permane etc.

Conforta tutti cotesti figli, e singularmente Petro; e digli che, perch'io dica che Dio si diletta di poche parole e di molte opere, io non gli pongo però silenzio che egli non parli e scriva a me quello che sia sua pace e consolazione; anco, alcune volte n'ho avuta ammirazione che egli non ha scritto. Gesù dolce, Gesù amore.