00 19/10/2012 17:18
260. Ai pregioni, lo giovedì santo, in Siena - anno 1377.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi bagnati per santo desiderio nel sangue di Cristo crocifisso.

Ponetevelo per obbietto dinanzi all'occhio de lo intelletto vostro, e facendo così acquistarete una pazienza vera, poiché il sangue di Cristo ci rapresenta le nostre iniquità, e rapresentaci la infinita misericordia e carità di Dio: la quale ripresentazione ci fa venire in odio e in pentimento i difetti e peccati nostri, e facci venire in amore le virtù.

E se voi mi domandaste, carissimi figli, perché nel sangue si vegono più i nostri difetti, e la misericordia sua, rispondovi: perché la morte del Figlio di Dio fu data a lui per li peccati nostri. Lo peccato fu cagione della morte di Cristo, ché il Figlio di Dio non avea bisogno per via di croce intrare nella gloria sua, ché in lui non era veleno di peccato, e vita eterna era sua. Ma noi miserabili avendola perduta per li peccati nostri, era caduta grandissima guerra fra noi e Dio. L'uomo era infermo ed era indebilito, ribellando al suo Creatore, e non potea pigliare l'amara medicina che seguitava la colpa comessa; fu necessario dunque che Dio ci donasse lo Verbo de l'unigenito suo Figlio. E così per la sua inestimabile carità fece unire la natura divina con la natura umana; lo infinito si unì colla nostra miserabile carne finita.

Egli viene come medico infermo, e cavaliere nostro. Medico, dico, perché col sangue suo ha sanato le nostre iniquità, e ci ha dato la carne in cibo, e il sangue in beveragio (Gv 6,55). Questo sangue è di tanta dolcezza e soavità, e di sì grande fortezza, che ogni infermità sana - e dalla morte viene a la vita -; egli priva delle tenebre, e dona la luce. Perché il peccato mortale fa cadere l'anima in tutti questi inconvenienti: lo peccato ci priva della grazia, tolleci la vita e dacci la morte; egli offusca lo lume de lo intelletto, e fallo servo e schiavo del demonio; tollegli la vera sicurezza, e dagli lo disordinato timore, perché il peccato sempre teme. Egli ha perduta la signoria, colui che si lassa signoregiare al peccato.

Oimé, oimé, quanti sonno i mali che ne seguitano! Quante sonno le tribulazioni, l'angosce e le fatiche che ci son permesse da Dio solo per lo peccato! Tutti questi difetti e questi mali sonno spenti nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si lava l'anima delle immondizie sue, riducendosi alla santa confessione. Nel sangue s'acquista la pazienza, ché, considerando l'offese che abiamo fatte a Dio, e il rimedio ch'egli ha posto per darci la vita de la grazia, veniamo a vera pazienza. Sì che bene è vero ch'egli è medico, ché ci ha donato lo sangue per medicina.

Dico ch'egli è infermo, cioè ch'egli ha presa la nostra infermità, prendendo la nostra mortalità e carne mortale; e sopra essa carne del dolcissimo corpo suo ha puniti i difetti nostri. Egli ha fatto come fa la balia che notrica lo fanciullo, che, quando egli è infermo, piglia la medicina per lui; perché il fanciullo è piccolo e debole, non potrebbe pigliare l'amaritudine, perché non si notrica altro che di latte. O dolcissimo amore Gesù, tu sei balia che hai presa l'amara medicina, sostenendo pene, obrobi, strazii, villanie; legato (Mt 27,2 Mc 15,1 Gv 18,12), battuto (Mt 26,67 Mc 14,65 Lc 22,63) e flagellato (Mt 27,26 Mc 15,15 Gv 19,1) alla colonna, confitto e chiavellato in croce (Mt 27,35 Mc 15,24 Lc 23,33 Jn 19,18); satollato di scherni e d'obrobi (Mt 27,39-41 Mc 15,29-31 Lc 23,35-36); afflitto e consumato di sete (Jn 19,28) senza veruno refrigerio - e gli è dato aceto (Mt 27,48 Mc 15,36 Lc 23,36 Jn 19,29) mescolato con fèle, con grandissimo rimproverio -: ed egli con pazienza porta, pregando per coloro che il crocifigono.

O amore inestimabile, non tanto che tu preghi per quelli che ti crocifigono, ma tu gli scusi dicendo: «Padre, perdona a costoro che non sanno che si fanno» (Lc 23,34). O pazienza che eccedi ogni pazienza! Or chi fu mai colui che, essendo percosso, battuto, e schernito e morto, egli perdoni e prieghi per coloro che l'offendono? Tu solo sei colui, Signore mio. Bene è vero dunque che tu hai presa l'amara medicina per noi fanciulli debili e infermi; e con la tua morte ci dai la vita, e con l'amaritudine ci dai la dolcezza. Tu ci tieni al petto come balia, e hai dato a noi lo latte della divina grazia, e per te hai tolto l'amaritudine; e così riceviamo perfetta sanità. Sì che vedete ch'egli è infermato per noi.

Dico che egli è cavaliere: venuto in questo campo della battaglia ha combatuto e vénto i demoni. Dice santo Agostino: «Con la mano disarmata questo nostro cavaliere ha sconfitti i nimici nostri, salendo a cavallo in sul legno della santissima croce». La corona delle spine gli fu l'elmo; la carne fragellata l'osbergo; le mani chiavellate i guanti della piastra; la lancia per lo costato fu quello coltello che tagliò e ricise la morte da l'uomo; i piei confitti sonno li speroni. Vedete come dolcemente è armato questo nostro cavaliere! Bene lo dobiamo seguire, e confortarci in ogni nostra aversità e tribulazione. E però vi dissi io che il sangue di Cristo ci manifesta i peccati nostri, e mostraci lo rimedio e l'abondanzia della divina misericordia, la quale abiamo ricevuta nel sangue suo.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, ché in altro modo non potremo participare la grazia sua, né avere il fine per mezzo del quale fumo creati; né portareste pazientemente le vostre tribulazioni, poiché nella memoria del sangue ogni amara cosa diventa dolce, e ogni gran peso legiero. Altro non vi dico, per lo poco tempo che ho.

Rimanete etc.



E ricordovi che dovete morire, e non sapete quando. Fate che vi disponiate alla confessione e alla comunione santa, chi può, affinché siate risuscitati in grazia con Cristo. Gesù dolce etc.





261. A ser Mariano prete nella Misericordia di Siena essendo a Montechiello.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile combattare virilmente in su questo campo della battaglia e non vòllarvi adietro a schifare neuno colpo che venisse, poiché sareste cavaliere senza gloria; ma virilmente pigliate l'arme sì che il colpo non passi dentro, cioè l'arme della santissima croce, poiché ella è quella arme che ci difende da ogni colpo e tentazione di demonio visibile e invisibile. Nella memoria del sangue arete la vittoria.

O figlio mio carissimo, quanto sarà beata l'anima vostra e la mia quando starete in questo campo della battaglia, mare tempestoso, armato dell'arme della carità, la quale acquistarete nella memoria della croce, prendendo lo coltello con che vi potiate difendare da' nemici che v'hanno assediato - cioè il coltello del timore e de l'amore -, quando vedete ch'i nemici delle molte cogitazioni v'assalissero o le creature che vi dessero esempio invitandovi a peccato. Allora tenete salda la memoria nel prezzo del sangue del quale tanto dolcemente sete ricomprato, e il coltello detto, percotendoli col santo timore di Dio, vedendo quanto gli è spiacevole lo peccato - ché per lo peccato è morto -, e quanto gli è piacevole la virtù; e con questo tutti gli sconfiggiarete.

Ricordivi di quel santo padre che si misse alla prova col fuoco dicendo: «Pensa anima mia che di questo ne va lo fuoco eterna: pruova questo fuoco e se puoi sostenerlo commette lo peccato». Così riprendete voi medesimo, guardando sempre che l'occhio di Dio è sopra di voi e non è cosa sì segreta che egli non vega; ed è rimuneratore del bene e del male, e neuno è che da questo giudicio si possa difendare. Perciò levatevi con sollicitudine e ricordivi che dovete morire e non sapete quando. Lo bene che egli rimunera si è amore, sì che per amore ogni cosa per lui vorrete sostenere; e il male vi darà timore col quale tagliarete e porrete freno alle perverse cogitazioni, sì che essendo armato, come detto è, i colpi delle tentazioni non vi faranno male, e adoparando il coltello con perseveranza rimarrete vincitore e sconfiggiarete i nemici vostri. Poi potrete dire quella dolce parola, quando verrà lo tempo de la morte, che dice Pavolo: «Io ho corso e òllo consumato, sempre osservando fede a te, Signore: ora ti dimando la corona della giustizia».

Bene è Perciò da perseverare: ponetevi al costato del Figlio di Dio e bagnatevi nell'abondanzia del sangue suo; e fate con umilità ciò che avete a fare, poiché il demonio non si caccia col demonio ma con la virtù della pazienza e con l' umilità. Siate buono dispensatore ai poverelli che n'hanno bisogno, e il conversare con cotesta gente sia sempre col timore di Dio. Se potete difendare quello dei povari con umilità, fatelo; quanto che no, sapiate andare nel tempo che voi sete.

Del comandamento del capitano fate dalla parte vostra ciò che potete. Confortate etc.

Rimanete etc. Gesù dolce Gesù amore.



262. A monna Tora, figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e sposa di Cristo Crocifisso sì, e per sì-fatto modo, che per lo suo amore lo mondo ti venga a tedio con tutte le sue delizie, poiché non hanno in loro fermezza né stabilità veruna.

E tu vedi bene, figlia mia, che egli è così la verità: lo mondo ti si mostrò di grande bellezza e piacere; e ora ha mostrato che tutte le sue allegrezze e piaceri sono vani, caduchi, e germinano tristizia con grande amaritudine all'anima che disordenatamente le possede: elle tolgono la vita de la grazia e danno morte; e càdene l'anima in somma miseria e povertà. Bene è dunque da fuggirlo, e odiare la propria sensualità e ogni diletto del mondo, e dispregiarli con tutto lo cuore e con tutto l'affetto, e servire solo al nostro dolcissimo Creatore. Lo quale servire non è essere servo, ma fa regnare, perciò che tutti ci fa signori ne la vita durabile; e in questa vita diventa libero perché s'è sciolto dal legame del peccato mortale e de la morte del mondo e de la propria sensualità, e la ragione n'è fatta signore; e, signoreggiandola, è signore di tutto quanto lo mondo, poiché se ne fa beffe: e neuno è che pienamente lo possa possedere se non colui che perfettamente lo spregia.

E non sarebbe bene matta e stolta quella anima che può essere libera e sposa, ed ella si facesse serva e schiava - rivendendosi al demonio - e adultera? Certo sì. E questo fa l'anima che, essendo liberata da la servitudine del demonio, ricomprata del sangue di Cristo Crocifisso, non d'oro né d'argento, ma di sangue, ella tiene a vile sé, e non riconosce la dignità sua, e spregia e avilisce lo sangue del quale è ricomprata con tanto fuoco d'amore. E avendola Dio fatta sposa del Verbo del suo Figlio, lo quale dolce Gesù la sposò con la carne sua (poiché, quando egli fu circunciso, tanta carne si levò ne la circuncisione quanto una estremità d'uno anello, in segno che come sposo voleva sposare l'umana generazione), ed ella amando alcuna altra cosa fuore di lui - o padre o madre o suore o fratelli, ricchezze o stati del mondo -, diventa adultera, e non è sposa leale né fedele a lo sposo suo. Ché la vera sposa non ama altro che lo sposo suo: cioè cosa che fusse contro a la sua volontà.

E così debba fare la vera sposa di Cristo, cioè amare solamente lui con tutto lo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze sue; e odiare quello che egli odia, cioè lo vizio e il peccato - che tanto l'odiò e gli dispiacque, che volse punirlo sopra lo corpo suo, in salute nostra -; e amare quello che egli ama, ciò sono le virtù, le quali si pruovano ne la carità del prossimo, servendolo con carità fraterna ne le sue necessità, secondo che c'è possibile. E però io voglio che tu sia sposa e serva fedele; e senza sposo non voglio che tu stia.

Secondo che io òe inteso, pare che Dio s'abbi chiamato a sé lo sposo tuo: de la quale cosa, se egli si dispose bene dell'anima sua, sono contenta che egli abbi quello vero fine per mezzo del quale egli fu creato. Unde, poiché Dio t'ha sciolta dal mondo, voglio che ti leghi con lui; e sposati a Cristo Crocifisso con l'anello della santissima fede. E vesteti non di bruno, cioè de la nerezza dell'amore proprio e del piacere del mondo, ma de la bianchezza de la purezza, conservando la mente e il corpo tuo ne lo stato de la continenzia. E sopra questa purezza ci pone lo mantello vermiglio de la carità di Dio e del prossimo tuo, affibbiato di perfetta umilità, con la fregiatura de le vere e reali virtù, con l'umile e continua orazione, poiché senza questo mezzo a veruna virtù potresti venire.

E fa' che tu lavi la faccia dell'anima tua con la confessione spesso, e con la contrizione del cuore: lo quale sarà uno unguento odorifero che ti farà piacere a lo Sposo tuo Cristo benedetto. E così adornata, va' a la mensa dell'altare a ricevere lo pane vivo che dà vita, cibo degli angeli, allora e al tempo suo, come è per le pasque e per le feste di Maria, e secondo che Dio ti dispone per cotali altre feste solenni. E dilettati di stare alla mensa continuamente de la santissima croce, e ine ti nasconde e serrati ne la camera sua, cioè nel costato di Cristo Crocifisso, dove tu trovarai lo bagno del sangue che egli t'ha fatto per levare la lebbra dell'anima tua. Ine trovarai lo segreto del cuore suo, mostrandoti nell'apritura del lato che t'ha amata e ama inestimabilemente.

E pensa che questo dolce Sposo è molto geloso, poiché non vede la sposa sua sì poco partire da sé che egli si sdegna, e ritrae dall'anima la grazia e la dolcezza sua. Voglio dunque che tu fugga la conversazione dei secolari e secolare, lo più che tu puoi, affinché tu non cadessi in cosa che lo Sposo tuo si partisse da te. E però sia abitatrice de la cella; e guarda che tu non perda lo tempo tuo, perciò che molto più ti sarebbe richiesto ora che prima, ma sempre essercita lo tempo o con l'orazione o con la lezione o con fare alcuna cosa manuale, affinché tu non caggi nell'ozio, poiché sarebbe pericolosa cosa. E resistendo virilmente senza veruno timore, ripara ai colpi con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16), confidandoti nel tu' Sposo Cristo, che sarà egli colui che combattarà per te. Io so che tu entrarai ora - o tu sei intrata, che dirò meglio vero - nel campo de le molte battaglie de le demonia - gittandoti molte cogitazioni e pensieri ne la mente tua - e de le creature, che non sarà meno forte battaglia, ma forse più. So che ti porranno innanzi che tu sia fanciulla, e però non stia bene in cotesto stato: quasi reputandoselo a vergogna i semplici ignoranti, e con poco lume, se non ti rallogassero al mondo. Ma tu sia forte e constante, fondata in su la viva pietra, e pensa che, se Dio sarà per te, veruno sarà contro te. Non credere né a demonio né a creature quando ti consigliassero di cosa che fusse fuore de la volontà di Dio, o contro lo stato de la continenzia.

Confidati in Cristo Crocifisso, ed egli ti farà passare questo mare tempestoso, e giugnarai al mare pacifico, dove è pace senza veruna guerra. Unde, a conducerti bene sicura al porto di vita eterna, ti consigliarei per tua utilità che tu entrassi ne la navicella de la santaobbedienza, poiché questa è più sicura e perfetta via, e fa navigare l'anima per questo mare non con le braccia sue, ma con le braccia dell'Ordine. E però io ti prego che tu ci dia pensiero, affinché tu sia più espedita a essere serva e sposa di Cristo Crocifisso; lo quale servire è regnare, come detto è. E per vederti regnare e vivere in grazia, dissi che io desideravo di vederti vera serva e sposa di Cristo Crocifisso. Abbi buona e santa pazienza in questo e in ogni altra cosa che ti potesse avenire. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio.

Molto mi racomanda a missere Piero e a madonna Benedetta e a Lisabetta e a tutti gli altri. Gesù dolce, Gesù amore. Fatta a dì xxvi d'ottobre 1378.

Poi che ebbi scritta questa lettera ne ricevetti una da te. Sono molto allegra del tuo santo desiderio, e così ti prego che il conservi.



263. A madonna Montagna serva di Dio, in Capitone nel contado di Narni.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissima e dilettissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arsa e consumata nel fuoco della divina carità, la quale carità non cerca le cose sue (1Co 13,5), cioè che non cerca sé né il prossimo per sé, né Dio per sé: ma sé e il prossimo per Dio, e Dio per lui medesimo, in quanto egli è degno d'essere amato come somma eterna bontà.

Questo fuoco arde, e non consuma (Ex 3,2): non consuma dico affligitivamente, che affligga o disecchi l'anima (ma ingrassala, ugnendola di vera e perfetta umilità, la quale è baglia e nutrice da questa carità), ma consuma ogni amore propio spirituale e temporale e ogni altra cosa che trovasse ne l'anima fuore della dolce volontà di Dio. Dico che consuma l'amore propio temporale: poiché col lume ha cognosciuta sé, e le cose temporali e transitorie essere tutte strumento di morte che uccidono l'anima che disordinatamente le possiede; e però le comincia ad odiare, e gittarle fuore del cuore e della mente sua. E perché l'anima non può vivere senza amore, subito comincia a drizzare l'affetto e l'amore verso la ricchezza delle virtù, unde questo fuoco d'amore per forza del calore suo consuma l'altro amore. Poi che l'anima l'ha così consumato in sé, anco non è però perfetta, ma fino che non giogne a la sua perfezione le rimane un amore proprio spirituale o verso le creature o verso il Creatore, benché l'uno non è senza l'altro: poiché, con quella imperfezione che noi amiamo Dio, con quella amiamo la creatura che ha in sé ragione.

A che si vede che questo amore propio spirituale sia ne l'anima? Quando ama in sé la propia consolazione, per la quale lassarà di non adoperare la salute del prossimo suo - quando in quella opera si vedesse diminuire la pace e quiete della mente, o altri essercizii che per sua consolazione volesse fare -; o quando alcune volte amasse la creatura di spirituale amore, e a lei non paresse che quella creatura rispondesse a l'amore suo, o che avesse più stretta conversazione e mostrasse più amore a un'altra che a lei, ella ne sostiene pena gravissima, sdegno e dispiacere, e spesse volte giudicio nella mente sua, e dilungasi da quella creatura, sotto colore di umilità e di più avere la sua pace: ed egli è il proprio amore che ella ha a sé medesima.

Questi sonno i segni verso la creatura, che l'amore sensitivo spirituale non è anco consumato in quella anima; verso lo Creatore è quando la mente ricevesse alcuna tenebre, battaglie, o privazione delle consolazioni usate: se ella per questo viene a tedio o a confusione di mente, per la quale confusione e tedio spesse volte lassarà il dolce essercizio de l'orazione - la qual cosa non debba fare, ma per ogni modo debba pigliare la madre de l'orazione, e non partirla da sé -: che se ella lassa questo, o veruno atto virtuoso, segno è che l'amore è mercennaio, cioè che ella ama per propia consolazione, e che l'amore propio del diletto spirituale è anco radicato ne l'anima sua.

Dico che il fuoco della divina carità lo consuma, e leva la imperfezione; fa l'anima perfetta ne l'amore di Dio e carità del prossimo: non cura, per onore di Dio e salute de l'anime, di perdere le proprie consolazioni; non rifiuta labore, anco si diletta di stare in su la mensa del crociato desiderio, accompagnando l'umile e immacolato Agnello. Ella piagne con quelli che piangono (Rm 12,15), e fassi inferma con quegli che sonno infermi: poiché le colpe altrui reputa sue. Ella gode con quelli che godono (Rm 12,15), dilargando lo cuore nella carità del prossimo, che più è contenta del bene, pace e consolazione altrui, che di sé medesima. Dico che piagne e fassi inferma con quelli che piangono e che sono infermi. Quello che ama, ogni gente vorrebbe che l'amasse e non si scandelizza perché vedesse un altro essere più amato di lei; ma con vera umilità - perché reputa sé defettosa, e l'altre virtuose - le pare giusta cosa e convenevole che quella in cui si trova la virtù, sia più amata di lei. Per questo modo fugge ogni sdegno pena e fatiga, e rimane in pace e in quiete la mente sua.

Questa carità unisce l'anima con Dio, annegando la volontà sua, e vestela e uniscela con la eterna volontà di Dio, in tanto che di nessuna cosa si può scandelizzare né turbare la mente sua, se non dell'offese fatte al suo Creatore, e della dannazione de l'anime. Questo è uno fuoco che converte ogni cosa in sé, e fa levare l'affetto de l'anima sopra sé medesima, ricevendo tanta unione per elevazione di mente, che ha fatta nella divina carità, che il vasello del corpo suo perde ogni sentimento, in tanto che vedendo non vede, udendo non ode, parlando non parla, andando non va, toccando non tocca: tutti i sentimenti paiono legati, e pare perduta la virtù loro, perché l'affetto si perdette a sé, e unissi in Dio.

Unde Dio con la virtù e carità sua trasse a sé quello affetto: e però mancano i sentimenti del corpo, perché più perfetta è l'unione che l'anima ha fatta in lui, che quella che è dell'anima nel corpo. Egli trae a sé le facoltà dell'anima con tutte le sue opere, perché la memoria s'è impita del ricordo dei beneficii, e della grande bontà sua; l'intelletto ha posto dinanzi a sé la dottrina di Cristo crocifisso, data a noi per amore; e però la volontà corre con grandissimo affetto ad amarla. Allora tutte le opere sono ordinate e riunite nel nome suo. Ella gusta il latte della divina dolcezza, ella s'inebria del sangue di Cristo, e, come ebra, non si vuole satollare altro che d'obrobrii, abracciando rimproverii scherni e villanie, freddo e caldo, fame e sete, persecuzione dagli uomini e molestie dali demoni: in tutte si gloria col glorioso Pavolo in Cristo dolce Gesù.

Dissi che la carità non cercava sé, perché non sceglie tempo né luogo a modo suo, ma secondo che l'è conceduto dalla divina bontà; e però ogni luogo l'è luogo, ogni tempo l'è tempo. Tanto le pesa la tribolazione quanto la consolazione, perché ella cerca l'onore di Dio nella salute delle anime, con affetto d'acquistare le vere e reali virtù e di crescere in esse. Qui ha fatto lo suo principio: non nelle proprie consolazioni mentali, né in revelazioni; non in uccidere il corpo, ma la propria volontà, avendo veduto col lume che in quello non sta la perfezione de l'anima, ma sì in uccidere la propria volontà spirituale e temporale: e però liberamente la gitta nel fuoco della fornace della divina carità. Poi che ella v'è dentro, necessario è che ella sia arsa e consumata nel modo che detto è.

Poi che aviamo veduto non nulla a rispetto di quello che è quello che dà questa dolce madre della carità nell'anima, vediamo in che luogo s'acquista e con che. Dicovelo in poche parole: acquistasi col lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla dell'occhio dell’intelletto. Con questo vede l'anima quello che deve amare, e quello che deve odiare; vedendo conosce, e conoscendo ama e odia quello che cognobbe della divina bontà, e della sua malizia e miseria, la quale era nociva a la salute sua. Chi ne fu cagione? lo lume onde procedette lo cognoscimento, e dal cognoscimento l'amore, poiché la cosa che non si conosce, non si può amare. Perciò lo lume ci conduce a questo fuoco, ed è unito l'uno coll'altro, ché fuoco non è senza lume, né lume senza fuoco.

Dove il troviamo? nella casa del cognoscimento di noi. In noi troviamo questo dolce e amoroso fuoco, perché per amore ci ha dato l'essere: creati siamo a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26) e ricreati a grazia nel sangue di Cristo crocifisso, poiché l'amore di noi il tenne confitto e chiavellato in croce. Noi siamo quelli vaselli che aviamo ricevuta l'abbondanza del sangue; e tutte le grazie spirituali e temporali date a noi sopra l'essere, aviamo ricevute per amore. Sì che in sé trova l'anima, e conosce, questo fuoco dolce. Perciò con lume intriamo nella casa del cognoscimento di noi; e ine ci notricaremo della divina carità, vedendo noi essere amati da Dio inestimabilmente, la quale carità notrica al petto suo i figli delle virtù, e fa vivere l'anima in grazia: e senza essa saremmo sterili e private della vita. Considerando me questo, dissi ch'io desideravo - e così desidero in me con voi insieme - di vederci arse e consumate nella fornace della divina carità. Prego la clemenza dello Spirito santo che questo ci facci per grazia, affinché la divina bontà sia gloriata in noi, consumando la vita nostra in dolore e amaritudine dell'offese fatte a lui, con umile continua e fedele orazione per la santa Chiesa, e per ogni creatura. Anneghianci nel sangue de l'Agnello. Altro non vi dico. Umilemente mi vi raccomando.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





264. A madonna Giacoma, donna che fu di missere Trincia dei Trinci da Fulegno.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta pazienza, considerando me che l'anima non può piacere a Dio né stare nella sua grazia senza la virtù della pazienza - poiché, essofatto che ella è impaziente, è privata di Dio per grazia -: poiché la impazienzia procede da l'amore proprio di sé medesima, vestita della propria volontà sensitiva, e l'amore proprio e la propria sensualità non è in Dio.

Perciò vedete che l'anima che è impaziente è privata di Dio.

Impossibile è, dice Cristo, che l'uomo possa servire a due signori, poiché se egli serve all'uno, egli sarà in contempto all'altro, perché sono contrarii (Mt 6,24 Lc 16,13). Lo mondo e Dio non hanno conformità insieme, e però sono tanto contrarii i servi del mondo ai servi di Dio: colui che serve al mondo non si diletta d'altro se non d'amare - con la propria sensualità e di disordenato amore - delizie, ricchezze, stati, onore e signoria; le quali cose tutte passano come lo vento, poiché non hanno in loro alcuna fermezza né stabilità. Appetisce la creatura con amore disordenato la longa vita, ed ella è breve; la sanità, e spesse volte ci conviene essere infermi. E tanto è la poca fermezza loro in ogni diletto e consolazione del mondo, che necessario è che o elle sieno tolte a noi, o che noi siamo tolti a loro. Alcune volte permette Dio che elle sieno tolte a noi: e questo è quando noi perdiamo la sustanzia temporale, o eziandio la vita corporale di coloro che noi amiamo; o egli viene caso che noi lassiamo loro: e questo è quando Dio ci chiama di questa vita, morendo corporalmente.

Dico che per lo disordenato amore che i servi del mondo hanno posto a loro medesimi, col quale amore disordenato amano ogni creatura - e figli e marito e fratelli e padre e madre; e tutti i diletti del mondo hanno -, perdendoli, e sostengono intollerabile pena, e sono impazienti e incomportabili a loro medesimi. E non è da maravigliarsene, poiché tanto si perdono con dolore, quanto l'affetto dell'anima le possede con amore. In questa vita gustano la caparra dell’inferno, in tanto che se essi non si proveggono in riconoscere le colpe loro, e con vera pazienza portare - considerando che Dio l'ha permesso per nostro bene -, giongono all'eterna dannazione.

O quanto è stolto, carissime suore e figlie, colui che si dà ad amare questo miserabile signore del mondo, lo quale non ha in sé alcuna fede, anco è pieno d'inganno; e ingannato rimane colui che se ne fida! Egli si mostra bello, ed egli è sozzo; egli ci vuole mostrare che egli sia fermo e stabile, ed egli si muta. Bene lo vediamo manifestamente: ché oggi siamo ricchi, e domane povari; oggi signori, e domane vassalli; oggi vivo, e domane morto: sì che vediamo dunque che non è fermo. Questo parbe che volesse dire quello glorioso di Paulo dicendo: «Abbiti cura a coloro che presummono di fidarsi di loro e del mondo, ché quando tu credi bene stare, e tu vieni meno» (1Co 10,12). E così è la verità; doviamo dunque levarci da l'amore e fidenzia che aviamo al mondo, poiché ci dà tanto male di colpa e di pena da qualunque lato noi ci volliamo. Elle danno molestia e scandalo a chi le possede fuore di Dio; in Dio dunque doviamo amare ciò che noi amiamo, e a gloria e a loda del nome suo.

E non vorrei che voi credeste che Dio non volesse che noi amassimo, poiché egli vuole che noi amiamo, poiché tutte le cose che sono fatte da lui sono degne d'essere amate - perché Dio, che è somma bontà, ha fatte tutte le cose buone, e non può fare altro che bene -, ma solo lo non amarle con ordine secondo Dio e con vera umilità, riconoscendole da lui, è quello che le fa gattive: ed è male di colpa. Questa colpa dunque, che è una disordenata nostra volontà con la quale amiamo, non è degna d'essere amata; anco è degna d'odio e di pena, perché non è in Dio. Molto è discordante veramente, questo misero signore del mondo, da Dio: Dio vuole virtù, e il mondo vizio; in Dio tutta pazienza, e il mondo impaziente.

In Cristo Crocifisso è tutta clemenza ed è fermo e stabile che mai non si muove, e le sue promesse non fallano mai, poiché egli è vita (Jn 1,4 Jn 14,6) e inde aviamo la vita; egli è verità (Jn 14,6) che attiene la promessa, ogni bene remunera e ogni colpa punisce; egli è luce che ci dà lume (Jn 8,12); egli è nostra speranza, nostro proveditore e nostra fortezza; e a chi si confida in lui, egli non manca mai, poiché tanto quanto l'anima si confida nel suo Creatore, tanto è proveduta. Egli priva della debolezza, e fortifica lo cuore del tribulato che con vera umilità e confidenzia chiede l'aiutorio suo, pur che noi volliamo l'occhio dell’intelletto - con vero lume - a la sua inestimabile carità. Lo quale lume acquistaremo ne l'obiettivo del sangue di Cristo Crocifisso; poiché senza lo lume non potremmo vedere quanto è miserabile cosa amare lo mondo, né quanto è bene e utilità amare e temere Dio: ché, non vedendo, non si potrebbe amare chi è degno d'amore, né dispregiare lo vizio e il peccato, che è degno d'odio.

Or a questo dolce Signore voglio che con vera pazienza voi serviate. Voi avete provato quanto è penosa la servitudine del mondo, e con quanta pena viene tosto meno; dunque acostatevi a Cristo Crocifisso, e lui cominciate a servire con tutto lo cuore e con tutta l'anima, e con vera pazienza portare la santa disciplina che egli v'ha posta non per odio, ma per amore che egli ebbe alla salute dell'anima sua, a la quale ebbe tanta misericordia, permettendo che morisse nel servizio della santa Chiesa: ché, essendo morto in altro modo - per li molti viluppi e tenerezze del mondo e affanno degli amici e dei parenti, i quali spesse volte sono impedimento della nostra salute -, avrebbe avuto molto che fare. Volendo dunque Dio, che l'amava di singulare amore, provedere alla sua salute, permisse di conducerlo a quello punto, lo quale fu dolce all'anima sua. E voi dovete essere amatrice più dell'anima che del corpo, poiché lo corpo è mortale, ed è cosa finita, e l'anima è immortale e infinita.

Sì che vedete che la somma providenzia ha proveduto a la sua salute; e a voi ha proveduto di farvi portare delle fatiche per avere di che remunerarvi in vita eterna. Già aviamo detto che ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita: cioè ogni pena e tribulazione che con pazienza si porta, e ogni impazienzia e mormorazione che aviamo, e odio contro Dio e il prossimo nostro e noi medesimi. E anco ha voluto lo dolce e buono Gesù che cognosciate che cosa è lo mondo, e quanto è miserabile cosa a farsi Dio dei figli, o marito, o stato, o d'alcuna altra cosa.

E se voi mi diceste: «La fatica è sì grande che io non la posso portare», io vi rispondo, carissima sorella, che la fatica è piccola, e puossi portare. Dico che è piccola per la piccolezza e brevità del tempo, poiché tanto è grande la fatica quanto lo tempo, ché, passati che noi siamo di questa vita, sono finite le nostre fatiche. Lo tempo nostro quanto è? Dicono i santi che egli è quanto una punta d'aco, che per altezza né per lunghezza non è nulla: così è la vita del corpo nostro, poiché subito viene meno quando piace alla divina bontà di trarci di questa vita. Dico che si può portare, poiché nullo è che le possa togliere da sé per alcuna impazienzia. Assai dica: «Io non posso né voglio portare», che gli conviene pur portare; e il suo non volere agiogne fatica sopra fatica con la propria sua volontà, nella quale volontà sta ogni pena, poiché tanto è grande la fatica, quanto la volontà la fa grande: tollemi la volontà, ed è tolta la fatica.

E con che si tolle questa volontà? Con la memoria del sangue di Cristo Crocifisso. Questo sangue è di tanto diletto che ogni amaritudine, nella memoria di questo sangue, diventa dolce, e ogni grande peso diventa leggiero: - poiché nel sangue di Cristo troviamo l'amore ineffabile con che siamo amati da lui poiché per amore ci ha data la vita e rendutaci la grazia, la quale per lo peccato perdemmo -; nel sangue troviamo la larghezza della sua misericordia; e ine si vede che Dio non vuole altro che lo nostro bene. O sangue dolce, che inebbri l'anima! Egli è quello sangue che dà pazienza; egli ci veste lo vestimento nuziale col quale ci conviene entrare a vita eterna: questo è lo vestimento della carità, senza lo quale saremmo cacciati del convito di vita eterna (Mt 22,11-13). Veramente, carissima sorella, che nella memoria di questo sangue acquistiamo ogni diletto e ogni refrigerio in ogni nostra fatica e avversità. E però vi dissi che con la memoria del sangue di Cristo si tolleva la volontà sensitiva, la quale ci dà impazienzia; e vesteci, la detta memoria del sangue, de la volontà di Dio, dove l'anima porta con tanta pazienza che di nessuna cosa che l'avenga si può turbare, ma duolsi più quando si sentisse dolore de le fatiche, e ribellare alla volontà di Dio, che non fa delle proprie fatiche. E così dovete fare voi, e dolervi del sentimento vostro che si duole; e per questo modo mortificarete lo vizio dell'ira e della impazienzia, e verrete a perfetta virtù.

E se voi considerate in voi medesima quante sono le pene che Cristo ha portate per voi; e con quanto amore ve l'ha concedute, solo perché siate santificata in lui; e quanto la fatica è piccola per la brevità del tempo, come detto è; e come ogni nostra fatica sarà remunerata; e quanto Dio è buono, e che la sua bontà non può volere se non tutto nostro bene, dico che ogni cosa - avendo questa santa considerazione - vi farà portare leggiermente, e ogni tribulazione, con vero cognoscimento dei nostri difetti - ché meritiamo ogni fatica - e della bontà di Dio in noi, dove noi troviamo tanta misericordia: ché per le nostre colpe meritaremmo pena infinita ed egli ci punisce con queste pene finite; e insiememente si scontia lo peccato e meritiamo vita eterna per la grazia sua - chi serve lui portando con vera pazienza -. Lo quale è di tanta benignità, che lo servire a lui non è essere servo, ma è regnare; e tutti gli fa re e signori liberi, perché gli ha tratti della servitudine del demonio, e del perverso tiranno del mondo, e della oscura sua servitudine.

Or su dunque, carissime figlie, poi che tanto è amaro lo servire e amare di disordenato amore lo mondo le creature e noi medesimi; ed è tanto dolce a servire e a temere lo nostro dolce Salvatore, signore nostro naturale - che ci ha amati prima che noi fussimo, per la sua infinita carità! - Non è dunque da perdere più lo tempo, ma con vero lume e viva fede, confidandoci che egli ci soverrà a ogni nostro bisogno, lo serviamo con tutto lo cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze nostre, e con reale pazienza, la quale è piena di dolcezza.

Questa virtù è sempre donna, sempre vince, e non è mai vinta, poiché non si lassa signoreggiare né possedere dall'ira; chi l'ha, non vede morte eterna, ma in questa vita gusta la caparra di vita eterna. E senza essa stiamo nella morte, privati del bene della terra e del bene del cielo. E però dissi, vedendo tanto pericolo, e sentendo che - per lo caso occorso a voi - voi n'avavate bisogno a ciò che non perdeste lo frutto delle vostre fatiche, dissi che io desideravo di vedervi fondate in vera e perfetta pazienza. E così dovete fare, a ciò che, quando sarete richieste dalla prima dolce Verità nell'ultimo punto de la morte, potiate dire: «Signore mio, io ho corso () e consumata questa vita con fede e con speranza che io ebbi in te, portando con pazienza le fatiche che per mio bene mi concedesti. Ora t'adimando per grazia, per li meriti del sangue tuo, che tu mi doni te, lo quale sei vita senza morte, luce senza tenebre, sazietà senza alcuno fastidio, e fame dilettevole senza alcuna pena: pieno d'ogni bene in tanto che la lingua nol può dire, né lo cuore pensare, né l'occhio vedere quanto è quello bene che tu hai apparecchiato a me e agli altri che sostengono volontariamente ogni fatica per lo tuo amore».

Io vi prometto, carissima sorella, che facendo così, Dio vi rimettarà ancora nella casa vostra temporale, e nell'ultimo tornarete alla patria vostra di Yerusalem, visione di pace; sì come fece a Job, ché, provato che egli ebbe la sua pazienza (avendo perduto ciò che egli aveva (Jb 1,14-17), morti i figli (Jb 1,18-19), e perduto l'avere e toltogli la sanità (Jb 2,7) - in tanto che le sue carni menavano vermini -, la moglie gli era rimasa per suo stimolo, che sempre lo tribolava (Jb 2,9); e in tutte queste cose Job non si lagna, anco dice: «Dio me le dié, e Dio me l'ha tolte; in ogni cosa sia gloriato lo nome suo » (Jb 1,21)), vedendo Dio tanta pazienza in Job, gli restituì d'ogni cosa lo doppio più che non aveva (Jb 42,10), dandoli qui la sua grazia, e nel fine vita eterna.

Or così fate voi, e non vi lassate ingannare alla passione sensitiva, né al mondo, né al demonio, né a detto d'alcuna creatura. E guardatevi da l'odio del cuore verso lo prossimo vostro, poiché egli è la peggiore lebra che sia. L'odio fa nell'anima come colui che vuole uccidere lo nemico suo; il quale, vollendo la punta del coltello verso di lui, uccide prima sé medesimo, che egli uccida. Così l'odio: poiché prima è morta l'anima dal coltello de l'odio, che egli uccida altrui. Spero nella bontà di Dio che il farete.

E a ciò che meglio lo potiate fare, usate di confessarvi spesso, e di ritrovarvi volentieri coi servi di Dio, e di dilettarvi de l'orazione, dove l'anima conosce meglio e sé e Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.