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265. A Francesco e a monna Agnesa predetti.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati di voi medesimi e vestiti di Cristo Crocifisso (Ep 4,22-24), morti ad ogni propria voluntà, e a ogni parere e piacere umano; e solo viva in voi la dolce sua volontà, poiché in altro modo non vedo che poteste perseverare ne la virtù, e, non perseverando, non ricevareste la corona de la beatitudine, e così avreste perduto lo frutto de le vostre fatiche.

Voglio Perciò, figli miei dolci, che in tutto vi studiate d'uccidere questa perversa volontà sensitiva, la quale sempre vuole ribellare a Dio. Lo modo da uccidarla è questo: di salire sopra la sedia de la conscienzia vostra, e tenersi ragione, e non lasciare passare uno minimo pensiero fuore di Dio che non sia corretto con grande rimproverio.

Faccia l'uomo due parti di sé, cioè la sensualità e la ragione: questa ragione tragga fuore lo coltello dei due tagli, cioè odio del vizio e amore de la virtù, e con esso tenga la sensualità per serva, dibarbicando e divellendo ogni vizio e movimento di vizio de l'anima sua. E mai non dia a questa serva cosa che ella gli adomandi: ma con l'amore de le virtù conculcarla sotto i piei dell'affetto. Se ella vuole dormire, e tu con la vigilia e con l'umile orazione; se vuole mangiare, e tu digiuna; se si leva con concupiscenzia, e tu con la disciplina; se vuole starsi in negligenzia, e tu con l'essercizio santo; se s'aviluppa - per sua fragilità o per illusione del demonio - in vani e disonesti pensieri, e tu ti leva col rimproverio, vituperandola, e con la memoria de la morte la 'mpaurisce, e con santi pensieri cacciare i disonesti: e così in ogni cosa fare forza a voi medesimi. Ma ogni cosa con discrezione, cioè, de la vita corporale, pigliando la necessità de la natura, a ciò che il corpo, come strumento, possi aitare all'anima, ed essercitarsi per Dio.

Per questo modo, con molta forza e violenzia che farete a questa perversa legge de la carne nostra e de la voluntà propria, avrete vittoria di tutti i vizii, e acquistarete in voi tutte le virtù. Ma questo non vedo che poteste fare mentre che fuste vestiti di voi, e però vi dissi che io desideravo di vedervene spogliati, e vestiti di Cristo Crocifisso, e così vi prego strettissimamente che v'ingegniate di fare, a ciò che voi siate la gloria mia. Fate che io vi vegga due specchi di virtù nel conspetto di Dio, e levatevi oggimai da tanta negligenzia e ignoranza quanta io sento in voi; non mi date materia di pianto, ma d'allegrezza. Non dico più qui.

Spero ne la bontà di Dio che ancora mi darà consolazione di voi.

Per molte occupazioni e per la poca mia carità, non v'ho scritto già è buono pezzo. Non voglio poiché ne pigliate pena, ma con fede viva tenete che più che mai desidero di vedervi scritti nel libro de la vita, e dinanzi a Dio vi tengo con quello desiderio che è piaciuto e piace a la sua bontà di infondere nell'anima di me miserabile, e così intendo di fare per lo inanzi, mediante la divina grazia. Altro non vi dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Confortate e benedite Bartalo e monna Orsa con tutta la loro fameglia, e beneditemi Bastiano. Diteli che impari di forza e che si guardi da l'usanze dei gattivi fanciulli, ché se nol farà io gli sarò più presso che egli non crede. Tutti stiamo bene per la grazia di Dio. Lisa, Alessa e le Giovanne molto vi confortano in Cristo Gesù, e questo negligente di Barduccio vi si racomanda. Se con questa vi sono date due altre lettere, fate che tosto siano date a cui elle vanno. Gesù dolce, Gesù amore.




266. A messere Ristoro Canigiani da Fiorenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi privato d'ogni amore proprio di voi medesimo, affinché non perdiate lo lume e il cognoscimento di vedere l'amore ineffabile che Dio v'ha.

E perché il lume è quello che cel fa conoscere, e l'amore proprio è quella cosa che ci tolle il lume, però ho grandissimo desiderio di vederlo spento in voi. Oh quanto è pericoloso alla nostra salute questo amore proprio! Egli priva l'anima della grazia, perché le priva della carità di Dio e del prossimo - la quale carità ci fa vivere in grazia -; egli ci tolle il lume, come dicemmo, perché offusca l'occhio dell'intelletto: tolto lo lume, andiamo in tenebre e non cognosciamo quello che c'è necessario. Che c'è necessario conoscere? La grande bontà di Dio e la ineffabile carità sua inverso di noi; la nostra miseria e la legge perversa che sempre combatte contro lo spirito. In questo cognoscimento l'anima comincia a rendare il debito suo a Dio - cioè gloria e loda al nome suo, amando lui sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesimo (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27), con fame e desiderio delle virtù -; a sé rende odio e dispiacere, odiando in sé lo vizio e la propria sensualità che è cagione d'ogni vizio. Ogni virtù e grazia acquista l'anima nel cognoscimento di sé, standovi dentro col lume, come detto è. Dove trovarrà l'anima la ricchezza della contrizione delle colpe sue, e l'abbondanza della misericordia di Dio? In questa casa del cognoscimento di sé. Or vediamo se noi ce la troviamo o no.

Parlianne alcuna cosa perché, secondo che mi scriveste, voi avete desiderio d'avere contrizione dei vostri peccati; e non parendovela avere, per questo lassavate la santa comunione. E anco vedremo se per questo si debba lasciare. Voi sapete che Dio è sommamente buono, e amocci prima che noi fussimo; ed è eterna sapienza; e la sua potenza e virtù è inestimabile: unde per questo siamo certi che egli ci sa dare quello che ci bisogna, e che egli può e vuole. E bene vediamo per pruova che egli ci dà più che non sappiamo adimandare, e quello che non è adimandato per noi. Pregammolo noi mai che egli ci creasse più creature ragionevoli, ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), che animali bruti? No, né che egli ci recreasse a grazia nel sangue del Verbo unigenito suo Figlio, né che egli ci lassasse in cibo tutto sé Dio e Uomo, la carne e il sangue, lo corpo e l'anima unita nella deità. Oltre a questi altissimi doni, i quali sonno sì grandi - e tanto fuoco d'amore ci mostrano che non è cuore sì duro o di pietra che, a considerarli punto, non si dissolvesse la durezza e fredezza sua -, infinite sonno le grazie e doni che riceviamo da lui senza nostro adimandare. Perciò, poiché egli dà tanto senza nostro chiedere, quanto maggiormente compirà i desiderii nostri quando desiderremo cosa giusta? Anco, chi ce le fa desiderare e adimandare? Solamente egli. Dunque se egli le fa adimandare, segno è che egli le vuole compire, e dare quello che adomandiamo.

Ma voi mi direte: «Io confesso che egli è ciò che tu dici; ma unde viene che molte volte io adimando e la contrizione e dell'altre cose, e non pare che mi siano date?». Io vi rispondo: o egli è per difetto di colui che adimanda, dimandando imprudentemente, solo con la parola e non con altro affetto (di questi cotali disse il nostro Salvatore che il chiamano «Signore, signore!», dicendo che non saranno cognosciuti da lui (Mt 7,22-23 Lc 13,25): non che egli non gli conosca; ma per li loro difetti non saranno cognosciuti dalla misericordia sua). O egli dimanda cosa che, avendola, sarebbe nociva alla salute sua, unde, non avendo quello che dimanda, sì l'ha, poiché egli lo dimanda credendo che sia suo bene: avendolo gli farebbe male, e non avendolo gli fa bene; e così Dio ha compita la sua intenzione con la quale adomandava.

Sì che dalla parte di Dio sempre l'aviamo; ma è bene questo, che Dio sa l'occulto e il palese, e conosce le nostre imperfezioni: unde vede che, se subito egli ci desse la grazia che noi adomandiamo, noi faremmo come la mosca che è animale immondo, la quale, levata dal mèle che è dolcissimo, non si cura di ponersi in su la cosa fetida. Così vede Dio che spesse volte facciamo noi che, ricevendo delle grazie e dei beneficii suoi, participando la dolcezza della sua carità, non ci curiamo di ponarci in su le miserie, tornando al vomito del fracidume del mondo (2P 2,22 Pr 26,11). E però Dio alcune volte non ci dà, così tosto come vorremmo, quello che adomandiamo, per farci crescere in fame e in desiderio; e perché si diletta, cioè piaceli, di vedere innanzi a sé la fame della sua creatura.

Alcune volte farà la grazia dandola in effetto, ma non per sentimento: questo modo usa con providenzia perché conosce che, se l'anima se la sentisse avere, o allentarebbe la fune del desiderio, o verrebbe a presunzione: e però sottraie lo sentimento, ma non la grazia. Altri sonno che ricevono e sentono, secondo che piace alla dolce bontà sua, come nostro medico, di dare a noi infermi: a ognuno dà per quello modo che bisogna alle nostre infermità. Perciò vedete che, in ogni modo, l'affetto della creatura col quale dimanda a Dio sempre è adempito.

Ora vediamo quello che doviamo adimandare, e con che prudenzia. Parmi che la prima dolce Verità c'insegni quello che doviamo adimandare, quando disse nel santo Evangelio, riprendendo l'uomo della disordinata sollicitudine sua, la quale mette in acquistare e tenere gli stati e le ricchezze del mondo, dicendo: «Non voliate pensare del dì di domane, basta il dì la sollicitudine sua» (Mt 6,34). Qui ci mostra che con prudenzia raguardiamo la brevità del tempo. Poi soggiogne: «Domandate prima lo reame del cielo; ché queste cose minime, ben sa lo Padre celestiale che voi n'avete bisogno» (Mt 6,33-32 Lc 12,31).

Quale è questo reame? E con che s'adimanda? I il reame di vita eterna, ed è il reame de l'anima nostra, lo quale reame de l'anima, se non è posseduto dalla ragione, giamai non entra nel reame di Dio. Con che si dimanda? Non solamente con la parola - ché già aviamo detto che questi cotali non sonno cognosciuti da Dio -, ma con l'affetto delle vere e reali virtù.

La virtù è quella che dimanda e possiede il reame del cielo, la quale virtù fa l'uomo prudente, che con prudenzia e maturità adopera in onore di Dio, in salute sua e del prossimo, portando e sopportando i difetti suoi: con prudenzia ordina l'affetto della carità, amando Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sé medesima. L'ordine è questo: che egli dispone di dare la vita del corpo suo per salute de l'anime, e la substanzia temporale per campare lo corpo del prossimo suo. Questo ordine pone la carità prudente; se fusse imprudente farebbe tutto lo contrario, come fanno molti che usano una stolta e matta carità, che molte volte, per campare il prossimo loro - non che l'anima, ma la vita corporale - ne pongono l'anima loro, con giuri e menzogne, dando false testimonanze. Costoro perdono la carità, perché non è condita con la prudenzia.

Veduto aviamo che ci conviene adimandare il reame del cielo prudentemente. Ora vi rispondo al modo che doviamo tenere della santa comunione, e come ce la conviene prendere; e non doviamo usare una stolta umilità, come fanno molti secolari mondani. Dico che ci conviene prendere questo dolce sacramento, perché ci è comandato e perché egli è cibo de l'anima, senza lo quale cibo non possiamo vivere in grazia. Poiché neuno legame è tanto grande nell'anima che non si debba e possa tagliare per potere venire a questo dolce sacramento, debbe fare l'uomo dalla parte sua ciò che può: e bastali.

Come il doviamo prendere? Con la bocca del santo desiderio; e col lume della santissima fede raguardare tutto Dio e tutto Uomo in quella ostia. Allora l'affetto che va dietro a lo intelletto prende con uno affettuoso amore, con una santa considerazione dei difetti e peccati suoi, unde viene a contrizione; e considera la larghezza della inestimabile carità di Dio che con tanto amore se gli è dato in cibo. E perché non gli paia avere quella perfetta contrizione e disposizione che esso medesimo vorrebbe, non debba lasciare però; perché egli è sufficiente solo la buona voluntà e disposizione che dalla sua parte ha fatta.

Anco dico che cel conviene prendere sì come fu comandato nel Testamento Vecchio, quando fu comandato che si mangiasse l'agnello arrostito e non lesso; tutto e non parte; cinti e ritti, col bastone in mano; e il sangue dell'agnello ponessimo sopra il limitare dell'uscio (Ex 12,3-11). Per questo modo ci conviene prendere questo sacramento: mangiarlo arrostito, e non lesso, però ché, lesso, v'è in mezzo - tra l'agnello e il fuoco - l'acqua e la terra, cioè l'affetto terreno e l'acqua del proprio amore. E però vuole essere arrostito, che non v'è in mezzo nulla: allora si prende arrostito quando lo riceviamo col fuoco della divina dolce carità. E doviamo essere cinti col cingolo della continenzia, ché troppo sarebbe sconvenevole cosa che a tanta mundizia e purezza s'andasse con la mente e con lo corpo immondi. Doviamo stare ritti, cioè che il cuore e la mente nostra sia tutto fedele e drizzato in Dio; col bastone in mano, cioè il bastone della santissima croce, unde traiamo la dottrina di Cristo crocifisso, che è quello bastone al quale noi ci appogiamo, e che ci difende da' nemici nostri, cioè dal mondo, dal demonio e dalla carne. E conviensi mangiare tutto, e non parte: cioè che col lume della fede doviamo raguardare non solamente l'umanità in questo sacramento, ma lo corpo e l'anima di Cristo crocifisso unita e impastata con la deità, tutto Dio e tutto Uomo. Convienci togliere il sangue di questo Agnello, e ponercelo in fronte, cioè confessarlo ad ogni creatura che ha in sé ragione, e mai non dinegarlo né per pena né per morte. Or così dolcemente ci conviene prendere questo Agnello arrostito al fuoco della carità in sul legno della croce: così saremo trovati segnati del segno di tau (Ez 9,4), e non sarremo percossi da l'Angelo percussore (Ex 12,23).

Dissi che non ci conviene fare come gl'imprudenti secolari, i quali trapassano il comandamento della santa Chiesa, dicendo: «Io non ne sono degno»; e così passano luongo tempo col peccato mortale e senza lo cibo de l'anima loro. O umilità stolta! E chi non vede che tu non ne sei degno? Quale tempo aspetti d'esserne degno? Non l'aspettare, ché tanto ne sarai degno nell'ultimo, quanto nel principio, ché con tutte le nostre giustizie non ne saremo mai degni. Ma Dio è colui che è degno, e della sua dignità fa degni noi.

La sua dignità non diminuisce mai. Che doviamo fare? Disponerci dalla parte nostra, e osservare il dolce comandamento. Che se noi lassassimo la comunione, nel modo detto, credendo fuggire la colpa cadremmo nella colpa.

E però io conchiudo e voglio che così-fatta stoltizia non sia in voi; ma che vi disponiate, come fedele cristiano, a ricevere questa santa comunione nel modo che detto è. Tanto perfettamente il farete, quanto starete nel cognoscimento di voi, altrimenti no; poiché, standoci, ogni cosa vedrete coraggiosamente. Non allentarete il desiderio vostro per pena o per danno, né per ingiuria che riceviate, né per ingratitudine di coloro ai quali voi avete servito; ma virilmente con longa e vera perseveranza perseverrete fino alla morte, e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



267. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore contro le molestie e insidie del demonio, e contro le malizie e persecuzioni delli uomini, e contro lo vostro proprio amore sensitivo, lo quale è quello nemico che se la persona non lo parte da sé con la virtù, e con odio santo, già mai non può essere forte contro all'altre battaglie che tutto dì riceviamo.

Perché l'amore proprio indebilisce, e però c'è necessario di privarcene con la forza della virtù, la quale acquistaremo nell'amore ineffabile che Dio ci ha manifestato col mezzo del sangue dell'unigenito suo Figlio. Lo quale amore, tratto dell'amore divino, ci dà lume e vita; lume in conoscere la verità: quanto egli è necessario, alla nostra salute e ad acquistare la grande perfezione, lo sostenere con vera pazienza e fortezza e constanzia infine alla morte; da la quale fortezza, acquistata dal lume che ci fece conoscere la verità, acquistiamo la vita della divina grazia.

Inebriatevi dunque nel sangue dello immacolato Agnello; e siate servo fedele, e non infedele, al vostro Creatore; e non dubbitate, né vollete lo capo indietro per alcuna battaglia o tenebre che vi venisse, ma con fede perseverate fino alla morte, poiché voi sapete bene che la perseveranza vi darà lo frutto de la vostra fatica.

HO inteso da alcuna serva di Dio, la quale vi tiene per continua orazione dinanzi da lui, che avete sentite grandissime battaglie; e tenebre sono cadute nella mente vostra per illusione e inganno del demonio, volendovi fare vedere lo torto per ritto, e il ritto per torto: e questo fa perché veniate meno nell'andare, a ciò che non giogniate al termine. Ma confortatevi, ché Dio ha proveduto e provedarà, e non vi mancarà la providenzia sua. Fate che in tutto ricorriate a Maria, abracciando la santissima croce, e non vi lassate venire mai a confusione di mente, ma nel mare tempestoso navicate con la navicella de la divina misericordia.

So che dagli uomini religiosi o secolari, e anco nel corpo mistico de la santa Chiesa, se riceveste o aveste ricevuto alcuna persecuzione o pentimento e indegnazione dal vicario di Cristo - o per voi, o aveste sostenuto o sosteneste per me con tutte queste creature -, non state a contastare ma con pazienza sostenete: partendovi di subito, e andandovene in cella a conoscere voi medesimo con una santa considerazione; pensando che Dio vi facci degno di sostenere per amore della verità e d'essere perseguitato per lo nome suo (Ac 5,41 1P 4,14); con vera umilità reputandovi degno della pena, e indegno del frutto. E tutte le cose che avete a fare, fate con prudenzia, ponendovi Dio dinanzi all'occhio vostro; e ciò che avete a dire o a fare, ditelo e fatelo inanzi tra Dio e a voi, col mezzo della santissima orazione. Ine trovarete lo dottore de la clemenza dello Spirito santo, lo quale infonderà uno lume di sapienza in voi che vi farà discernere ed scegliere quello che sarà suo onore. Questa è la dottrina che v'è data da la prima dolce Verità, procurando al vostro bisogno con smisurato amore.

Se venisse lo caso, carissimo padre, che vi trovaste dprima della Santità del vicario di Cristo, dolcissimo e santissimo padre nostro, umilmente me li racomandate; rendendomi io in colpa alla Santità sua di molta ignoranza e negligenzia che io ho commessa contro Dio, e disobbedienza contro lo mio Creatore, lo quale m'invitava a gridare con ansietato desiderio: con l'orazione, che io gridasse dinanzi da lui; o con la parola e presenza fussi presso al vicario suo. Per tutti quanti i modi ho commessi smisurati difetti, per li quali io credo che egli abbi ricevute molte persecuzioni, e la Chiesa santa, per le molte iniquità mie. Per la quale cosa, se egli si lagna di me egli ha ragione, e di punirmi dei difetti miei; ma diteli che io m'ingegnarò, giusta al mio potere, di correggiarmi ne le colpe mie, e di fare più a pieno l'obedienzia sua.

Sì che io spero, per la divina bontà, che vollarà l'occhio della sua misericordia verso della Sposa di Cristo e del vicario suo, e verso di me, tollendomi i difetti e la mia ignoranza; e verso della sposa in darle refrigerio di pace e di renovazione, con molto sostenere - poiché in altro modo che senza fatica non si possono trare le spine dei molti difetti, che affogano lo giardino della santa Chiesa -; e a lui farà grazia colà dove egli voglia essere uomo virile, e non vòllere lo capo indietro per alcuna fatica o persecuzione che egli riceva dagl'iniqui figli; ma, costante e perseverante, non schifi labore ma, come uno agnello, si gitti nel mezzo dei lupi (Mt 9,16), con fame e desiderio de l'onore di Dio e della salute delle anime, lassando e alienando la cura delle cose temporali - e attendere a le spirituali -. Facendo così - che gli è richiesto da la divina bontà -, l'agnello signoreggiarà i lupi, e i lupi tornaranno agnelli; e così vedaremo la gloria e la loda del nome di Dio, bene pace e utilità della santa Chiesa. Per altra via non si può fare; non con guerra, ma con pace e benignità, con quella santa punizione spirituale che deve dare lo padre al suo figlio quando commette la colpa.

Oimé, oimé, oimé, santissimo padre, lo primo dì che veniste nel luogo vostro l'aveste fatto! Spero nella bontà di Dio e nella santità vostra che quello che non è fatto farete; e per questo modo si racquistano le temporali e le spirituali. Questo vi richiese - come voi sapete che vi fu detto - Dio che faceste: di procurare alla reformazione della santa Chiesa - procurando in punire i difetti e in piantare i virtuosi pastori -; e pigliaste la pace santa con gl'iniqui figli per lo migliore modo e più piacevole secondo Dio che fare si potesse, sì che poteste attendere a riparare con l'arme vostra del gonfalone della santissima croce sopra gl'infedeli. Credo che le nostre negligenzie ed lo non fare ciò che si può, non con crudeltà, né pur con guerra, ma con pace e benignità - sempre dando la punizione a chi ha commesso lo difetto: non quanto egli merita, poiché non potrebbe tanto portare quanto egli merita più, ma secondo che lo infermo è atto per potere portare - sieno cagione che è gionta tanta ruina e danno e inreverenzia della santa Chiesa e dei amministri suoi, quanto egli è. E temo che se non si remedisse di fare quello che non è fatto, che i nostri peccati non meritassero tanto che noi vedessimo venire maggiori inconvenienti, che ci cociarebbero più che non fa lo perdere le cose temporali.

Di tutti questi mali e pene vostre io miserabile ne sono cagione per la poca mia virtù, e per molta mia disobbedienza. santissimo padre, miticate col lume della ragione, e con la verità, lo dispiacere verso di me, non per punizione, ma per dispiacere. E a cui ricorro, se voi m'abandonaste? chi mi soverrebbe? a cui refuggo, se voi mi cacciaste? I persecutori mi perseguitano, e io refuggo a voi e agli altri figli e servi di Dio. E se voi m'abandonaste pigliando dispiacere e indignazione, e io mi nasconderò nelle piaghe di Cristo Crocifisso, di cui voi sete vicario: so che mi ricevarà, perché non vuole la morte del peccatore.

Essendo ricevuta da lui, voi non mi cacciarete; anco staremo nel luogo vostro a combattere virilmente con l'arme de la virtù per la dolce Sposa di Cristo. In lui voglio terminare la vita mia, con lacrime, con sudori, e con sospiri, e dare lo sangue e le mirolla dell'ossa. E se tutto lo mondo mi cacciasse, io non me ne curarò, riposandomi, con pianto e con molto sostenere, al petto de la dolce sposa. Perdonatemi, santissimo padre, ogni mia ignoranza e offesa che Io ho fatto a Dio e a la vostra Santità. La verità sia quella che mi scusi e mi deliberi: Verità eterna. Umilemente dimando la vostra benedizione.

A voi dico, padre carissimo, che, quanto è possibile a voi, siate dprima della Santità sua con virile cuore, e senza alcuna pena o timore servile; e prima siate in cella dinanzi a Maria e alla santissima croce, con santissima orazione e umile, e con vero cognoscimento di voi, e con viva fede e volontà di sostenere. E poi andate sicuramente, e adoperate ciò che si può per onore di Dio e salute delle anime, infine alla morte; e anunziateli quello che io vi scrivo in questa lettera, secondo che lo Spirito santo vi ministrarà. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



268. Alli Anziani, Consoli e Gonfaloniere di giustizia della città di Bologna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliati dell’uomo vecchio e vestiti dell’uomo nuovo: cioè spogliati del mondo e del proprio amore sensitivo, che è lo vecchio peccato di Adam, e vestiti del nuovo Cristo dolce Gesù, cioè dell'affettuosa sua carità.

La quale carità, quando è nell'anima, non cerca le cose sue proprie (1Co 13,5): ma è liberale e largo a rendere lo debito a Dio - cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e a sé rendere odio e dispiacere della propria sensualità -; e ama sé per Dio, cioè per rendere gloria e loda al nome suo. Al prossimo rende la benevolenza con una carità fraterna e con ordinato amore, poiché la carità vuole essere ordinata: cioè che l'uomo non faccia a sé male di colpa per campare non tanto che una anima, ma se possibile fusse di salvare tutto quanto lo mondo, nol debba fare, poiché non è licito di commettere una piccola colpa per adoperare una grande virtù. E non si debba ponere lo corpo nostro per campare lo corpo del prossimo; ma doviamo bene ponere la vita corporale per salute delle anime, e la sustanzia temporale per bene e vita del corpo del prossimo: sì che vedete che vuole essere ordenata, ed è ordenata, questa carità ne l'anima.

Ma quelli che sono privati della carità, e pieni dell'amore proprio di loro, fanno tutto lo contrario - e come essi sono disordenati nel cuore e nell'affetto loro, così sono disordenati in tutte le loro opere -: unde noi vediamo che li uomini del mondo senza virtù servono e amano lo prossimo loro, e con colpa; e per piacere e servire a loro, non si curano di diservire a Dio, e di dispiacerli, e fare danno all'anime loro.

Questo è quello amore perverso lo quale spesse volte uccide l'anima e il corpo; e tolleci lo lume e dacci la tenebra; tolleci la vita e dacci la morte; privaci della conversazione dei beati, e dacci quella dello inferno.

E se l'uomo non si corregge mentre che egli ha lo tempo, spegne la margarita lucida della santa giustizia, e perde lo caldo della carità e della veraobbedienza. Unde, da qualunque lato noi ci volliamo, in ogni maniera di creature che hanno in loro ragione, si vede mancare in ogni virtù per questo malvagio vestimento del proprio amore sensitivo.

Se noi ci volliamo ai prelati, essi attendono tanto a loro, e a stare in delizie che, vedendo i sudditi nelle mani deli demoni, non pare che se ne curino. I sudditi, né più né meno, non si curano d'obbedire né nella legge civile né nella legge divina, né si curano di servire l'uno l'altro se non per propria utilità. E però non basta questo amore, né l'unione di quelli che sono uniti d'amore sensitivo e non di vera carità; ma tanto basta e dura l'amicizia loro, quanto dura lo piacere ed lo diletto, e la propria utilità che ne traggono.

Unde, se egli è signore, egli manca nella santa giustizia, e questa è la cagione: poiché teme di non perdere lo stato suo; e per non fare dispiacere, sì va mantellando e occultando i loro difetti, ponendo l'unguento in su la piaga nel tempo che ella vorrebbe essere incotta e incesa col fuoco. Oimé, misera l'anima mia!, quando egli debba ponere lo fuoco della divina carità, e incendere lo defetto con la santa punizione e correzione per santa giustizia fatta, e egli lusinga, e infingesi di non vederlo. Questo fa verso coloro che egli vede che possino impedire lo stato suo; ma nei povarelli, che sono da poco e di cui egli non teme, mostra zelo di grandissima giustizia: e senza alcuna pietà o misericordia pongono grandissimi pesi per piccola colpa. Chi n'è cagione di tanta ingiustizia? l'amore proprio di sé.

Ma i miserabili uomini del mondo, perché sono privati della verità, non cognoscono la verità, né secondo Dio, per la salute loro, né per loro medesimi, per conservare lo stato della signoria. Poiché se essi conoscessero la verità, vederebbero che solo lo vivere col timore di Dio conserva lo stato e la città in pace, e per conservare la santa giustizia, rendendo a ciascuno dei sudditi lo debito suo: e a chi debba ricevere misericordia, fare misericordia non per propria passione ma per verità; e a chi debba ricevere giustizia, farla condita con la misericordia, non passionata d'ira, né per detto di creatura, ma per santa e vera giustizia; e attendere al bene comune e non al bene particulare; e ponere gli offiziali, e quelli che hanno a reggere la città, non a sette, né per animo, né per lusinghe, né rivendarie, ma solo con virtù e con modo di ragione; e scegliere uomini maturi e buoni, e non fanciulli; e che temino Dio, amatori del bene comune, e non del bene particulare suo. Or per questo modo si conserva lo stato loro e la città in pace e in unione.

Ma le ingiustizie, e il vivere a sette, e il ponere a reggere e a governare uomini che non sanno governare loro medesimi né le famiglie loro, ingiusti e iracundi, passionati d'ira e amatori solo di loro medesimi, questi sono quelli modi che fanno perdere lo stato spirituale della grazia, e lo stato temporale. Unde a questi cotali si può dire: «Invano t'affadighi a guardare la città tua, se Dio non la guarda» (Ps 126,1), cioè se tu non temi Dio, e nelle tue opere non tel poni dinanzi a te. Sì che vedete, carissimi fratelli e signori, che l'amore proprio è guastamento della città dell'anima, e guastamento e rivolgimento delle città terrene. Unde io voglio che voi sappiate, che nessuna cosa ha posto in divisione lo mondo in ogni maniera di gente, se non l'amore proprio, dal quale sono nate e nascono le ingiustizie.

Parmi, carissimi fratelli, che avesseate desiderio di crescere e conservare lo buono stato della vostra città, e per questo desiderio vi moveste a scrivere a me indegna, miserabile e piena di difetto, la quale lettera intesi e viddi con affettuoso amore, e con volontà di satisfare ai desiderii vostri, e di ingegnarmi, con quella grazia che Dio mi darà, d'offrire voi e la città vostra dinanzi a Dio con continua orazione. Se voi sarete uomini giusti, e che lo reggimento vostro sia fatto come detto è di sopra - non passionati, né per amore proprio e bene particulare, ma con bene universale fondato in su la pietra viva Cristo dolce Gesù -, e che col timore suo facciate tutte le vostre opere, e col mezzo dell'orazione, conservarete lo stato, la pace, e l'unità della città vostra. E però vi prego per amore di Cristo Crocifisso - poiché altro modo non c'è - che, avendo voi l'aiuto dei servi di Dio, voi non manchiate dalla parte vostra in quello che bisogna, poiché, se voi mancaste, voi sareste bene un poco sostentati da l'orazione, ma non tanto che tosto non venisse meno: poiché voi dovete aitare a portare questo peso dalla parte vostra. Unde, considerando me che col vestimento dell'amore sensitivo e particulare non potreste subvenire ai servi di Dio; e che colui che non soviene sé del sovenimento della virtù, non può sovvenire la città sua con la carità fraterna, e col zelo della santa giustizia, è bisogno che siate vestiti dell’uomo nuovo, Cristo dolce Gesù, cioè della inestimabile sua carità. Ma non ci possiamo vestire che prima non ci spogliamo; né spogliare non mi potrei se io non vedo quanto m'è nocivo a tenere lo vecchio peccato, e quanto m'è utile lo vestimento nuovo della divina carità: poiché, veduto che l'uomo l'ha, l'odia, e per odio se ne spoglia; e ama, e per amore si veste del vestimento delle virtù fondate ne l'amore dell’uomo nuovo. Or questa è la via, e però vi dissi che io desideravo di vedervi spogliati dell’uomo vecchio, e vestiti dell’uomo nuovo, Cristo Crocifisso; e a questo modo acquistarete e conservarete lo stato della grazia, e lo stato della città vostra; e non mancarete mai alla debita reverenzia della santa Chiesa, ma con modo piacevole rendarete lo debito, e conservarete lo vostro stato. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





269. A Neri predetto, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di veder morto in te ogni proprio sentimento, affinché la mente e il desiderio tuo non sia mai contaminato da la propria passione, ma più tosto sia aumentata la virtù in te.

Questo farai quando con l'occhio dell'intelletto ti specchiarai ne la verità eterna, poiché de la verità l'anima se ne inamora guardandola intellettualmente, e per questo modo se ne veste, tollendo da sé ogni amore proprio, poiché in altro modo non si potrebbe dibarbicare. Perciò io voglio, figlio mio, che ti specchi ne la somma eterna verità e non perda ponto di tempo, ma sempre, giusta al tuo potere, t'ingegna, quanto tu puoi, di portare e soportare i defetti de le creature.

Fa' che tu non sia negligente all'orazione santa, e di fare ogni domenica pasqua con la santa comunione. E non ti curare perché tu ora sia di longa da me corporalmente, poiché col santo desiderio e con l'orazione santa io sarò sempre presso a te. Confortati e fatti facciorza e violenzia affinché rapischi lo reame del cielo.

Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Dio ti dia la sua dolce eterna benedizione.

La nonna, Lisa, Alessa, Francesco e Barduccio tutti ti salutano. Gesù dolce, Gesù amore.