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Primogeniti genealogie e le due città.
15. 1. Qualcuno potrebbe obiettare: si deve credere allora che un individuo, il quale poteva aver figli e non aveva il proponimento della castità, ha potuto astenersi dal giacere con donne per cento anni e più o, secondo il testo ebraico, per non molto meno, cioè ottanta, settanta, sessanta anni, e se non si è astenuto, che gli è stato possibile non aver figli? La domanda ha due risposte possibili. O la pubertà era in proporzione tanto posposta quanto maggiore era il numero degli anni della intera vita, ovvero, ipotesi che ritengo più attendibile, nel testo non sono menzionati i primogeniti ma quei figli che esigeva la genealogia per giungere a Noè. E vediamo che da lui si giunge ancora fino ad Abramo e poi fino a un determinato periodo di tempo in cui si richiede indicare, anche attraverso l'elenco delle genealogie, lo svolgersi della gloriosissima città in esilio in questo mondo e in viaggio verso la patria del cielo. Non si può negare tuttavia che Caino è il primo uomo nato dall'accoppiamento del maschio e della femmina. Altrimenti Adamo alla sua nascita non avrebbe detto ciò che si legge: Ho ricevuto un uomo da Dio 68, se egli nascendo non si fosse per primo aggiunto ai due genitori. Abele, che lo seguì e fu ucciso dal fratello maggiore, per primo presentò una predizione allegorica della città di Dio in esilio che avrebbe sopportato ingiuste persecuzioni dagli uomini empi e in certo senso nati dalla terra, che amano, cioè l'origine terrena e godono della terrena felicità della città terrena. Ma non è detto quanti anni aveva Adamo quando lo mise al mondo. Di seguito vengono registrate alcune generazioni da Caino e altre da colui che Adamo ebbe in sostituzione del figlio ucciso dal fratello. Gli diede il nome di Set e disse, come si ha nella Scrittura: Dio mi ha dato un altro figlio in luogo di Abele che Caino ha ucciso 69. Dunque queste due genealogie, una da Set, l'altra da Caino, indicano nelle rispettive serie le due città, di cui stiamo parlando, una celeste in esilio sulla terra, l'altra terrena che brama e si attacca agli ideali terreni come se fossero gli unici. Però nessuno della discendenza di Caino, sebbene essa sia stata iniziata da Adamo, inserito nella lista fino all'ottava generazione, è stato presentato col numero degli anni quando ha messo al mondo colui che è elencato dopo di lui. Lo Spirito di Dio non ha voluto indicare nelle generazioni della città terrena i periodi di tempo prima del diluvio, ha preferito farlo per quelle della città celeste, come se fossero più degne di passare alla storia. Quando nacque Set non sono stati passati sotto silenzio gli anni del padre 70 ma aveva già altri figli e non si può affermare che avesse avuto soltanto Caino e Abele. Non si deve ritenere come logica conseguenza che furono gli unici generati da Adamo perché sono i soli nominati nelle genealogie che era opportuno menzionare. Poiché, pur passato sotto silenzio il nome di tutti gli altri figli, si dice che ha generato figli e figlie, chiunque voglia evitare la taccia di avventato non può pretendere di indicare quale fu il numero dei figli. È possibile che, dopo la nascita di Set, Adamo ispirato da Dio abbia detto: Dio mi ha dato un altro figlio in luogo di Abele perché sarebbe stato tale da continuare la devozione del fratello e non perché egli fu il primo in ordine di tempo a nascere dopo di lui. È scritto poi: Set visse duecentocinque anni, nel testo ebraico centocinque, e diede alla luce Enos 71. Soltanto uno incapace di riflessione può dire che fu il primogenito. A buon diritto dovremmo chiederci meravigliati come ha fatto per tanti anni senza il voto di castità ad astenersi dall'accoppiamento ovvero perché, malgrado l'accoppiamento, non ha avuto figli. Al contrario anche di lui si legge: E diede alla luce figli e figlie e quando morì la sua età era di novecentododici anni 72. E così di seguito dei Patriarchi, di cui sono indicati gli anni, non si tace che hanno avuto figli e figlie. Quindi non appare affatto che il figlio menzionato fosse il primogenito. Anzi giacché non è credibile che quei Patriarchi per tanto tempo abbiano osservato il voto di castità o non abbiano avuto mogli e figli, non è credibile anche che quei figli fossero i primogeniti. Ma poiché l'agiografo intendeva giungere, attraverso il succedersi delle generazioni nei vari periodi, alla nascita e alla vita di Noè, non ricordò quelle che erano le prime per i genitori ma quelle che s'inserivano nell'ordine genealogico.

Confronto con la genealogia di Matteo.
15. 2. Affinché l'assunto sia più chiaro voglio inserire, a titolo di esempio, una considerazione per cui non si controverta la possibilità di ciò che sto dicendo. L'evangelista Matteo, volendo affidare alla storia la genealogia della stirpe del Signore nella successione dei Patriarchi, cominciando dal patriarca Abramo e intendendo giungere nella prima serie fino a Davide, dice: Abramo generò Isacco. Perché non ha detto Ismaele che Abramo mise al mondo per primo? Isacco, prosegue, generò Giacobbe. Perché non ha detto Esaù che fu il primogenito? Perché evidentemente con essi non poteva giungere fino a Davide. Prosegue: Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli. Neanche Giuda fu il primogenito. Giuda, soggiunge, generò Fares e Zarat 73. Nessuno di questi due fu il primogenito di Giuda che prima di loro ne aveva avuti tre. Inserì dunque nella genealogia coloro attraverso i quali poteva giungere fino a Davide e da lui fino a chi intendeva. Se ne può dedurre che anche degli antichi prima del diluvio non furono menzionati i primogeniti ma coloro attraverso i quali il succedersi delle generazioni fosse tratto fino al patriarca Noè. Non ci affanni dunque il problema astruso e inutile della loro tardiva decisione ad accoppiarsi.

L'ampliarsi delle parentele.
16. 1. Poiché il genere umano, dopo l'accoppiamento dell'uomo prodotto dal suolo e della donna prodotta dal fianco di lui, era condizionato, per aumentare di numero con le nascite, al congiungimento di maschi e femmine e gli individui umani erano soltanto i nati da loro due, gli uomini presero per mogli le proprie sorelle. Il fatto quanto è più antico perché inevitabile, tanto in seguito fu riprovevole perché lo proibiva il sentimento religioso. Si tenne presente infatti il nobile criterio dell'affetto per cui gli uomini, ai quali è moralmente vantaggioso il comunicare con gli altri, fossero uniti dai vincoli di varie relazioni di parentela. Perciò un solo individuo non doveva avere una moltitudine di rapporti soltanto con un altro, ma ogni relazione doveva ripartirsi in più individui e così più relazioni avrebbero impegnato più individui ad articolare con maggiore attenzione la vita comunitaria. Il padre e il suocero sono appellativi di due relazioni. Quindi l'affetto si allarga nel numero se si ha il padre diverso dal suocero. Adamo invece era costretto ad essere l'uno e l'altro per figli e figlie quando fratelli e sorelle si unirono in matrimonio. Anche Eva, la moglie, fu suocera e madre per l'uno e l'altro sesso della figliolanza. Se fossero state due donne, l'una madre, l'altra suocera, l'affetto per gli altri avrebbe avvinto un numero maggiore. Inoltre la sorella, che diventava anche moglie pur essendo una, aveva due vincoli che se fossero stati differenziati in modo che sorella e moglie fossero due persone, la parentela sarebbe accresciuta di numero. Ma non era possibile che in quel tempo ciò avvenisse perché dai due progenitori non erano nati individui umani che non fossero fratelli e sorelle. Doveva in seguito avvenire, quando fu possibile, che aumentando il numero si avessero per mogli donne che non erano sorelle e che non solo non v'era necessità di contrarre quel matrimonio, ma era empietà il contrarlo. Infatti anche se i nipoti dei progenitori, che potevano prendere per mogli le cugine, si fossero uniti in matrimonio con le sorelle, si sarebbero avuti in un solo uomo non più due ma tre rapporti, sebbene per diffondere l'affetto mediante una parentela sempre più larga dovrebbero essere distribuite una per ogni individuo. Diversamente un solo individuo sarebbe per i propri figli, cioè fratelli e sorelle sposati, padre suocero e zio materno e la moglie per i medesimi figli in comune madre zia paterna e suocera. Allo stesso modo i loro figli sarebbero reciprocamente non solo fratelli e sposi ma anche cugini, cioè figli di fratelli. Ora tutti questi rapporti di parentela, che legavano tre persone a una, se fossero distribuiti uno per ciascuno, ne unirebbero nove in modo che un solo individuo avrebbe diversi la sorella, la moglie, la cugina, il padre, lo zio, il suocero, la madre, la zia, la suocera. Il vincolo sociale non sarebbe ristretto a pochi ma sarebbe allargato a un numero sempre più ampio con le molte parentele.

Incompatibilità di matrimonio e parentela.
16. 2. Osserviamo che, essendo cresciuta e aumentata di numero la specie umana, questa regola è osservata anche fra gli adoratori di molti falsi dèi. Difatti sebbene matrimoni tra fratelli e sorelle siano permessi da leggi ingiuste, un più onesto comportamento preferisce aborrire questa aberrazione e sebbene nei primordi dell'umanità fosse lecito prendere come mogli le sorelle, ora esso disdegna il fatto come se mai fosse stato lecito. Il costume infatti influisce molto nel blandire o disgustare l'umana sensibilità e poiché in questo settore reprime la sfrenatezza della sensualità, giustamente si considera disonestà se essa non riconosce il limite e si corrompe. Se è disonestà violare, per l'avidità di possedere, il confine dei campi, è molto più disonesto rovesciare il confine della moralità per il piacere del sesso. Sappiamo per esperienza che anche ai nostri tempi, stando alle usanze, raramente si compie il matrimonio con le cugine per il grado di parentela molto vicino a quello dei fratelli, sebbene fosse consentito dalle leggi, poiché non l'ha proibito la legge divina e ancora non l'aveva proibito quella umana. Un rapporto per sé legittimo si detestava a causa della somiglianza con l'illegittimo perché sembrava che il legame che si contraeva con la cugina fosse contratto con una sorella. Anche i cugini a causa della stretta parentela sono chiamati fratelli e quasi dello stesso padre 74. Per i Patriarchi, affinché la parentela, la quale si frazionava un po' alla volta nella serie delle discendenze, non divenisse alla lontana e non cessasse di esser parentela, fu connaturato a un impegno religioso avvincerla con un nuovo vincolo di matrimonio e per così dire rincorrerla mentre fuggiva. Perciò quando la terra era già popolata, gli uomini preferivano sposare non già sorelle di padre o di madre o nate dall'uno e dall'altro dei propri genitori, ma comunque donne della propria tribù. Tuttavia è innegabile che oggi con maggior senso morale sono stati proibiti i matrimoni anche fra cugini. E questo non solo per i motivi che ho esposto, cioè per aumentare il numero dei congiunti affinché una sola persona non abbia due vincoli con un'altra, se possono averli in due e così accrescere il parentado. C'è anche, non saprei in quale misura, che è inerente al pudore umano, qualcosa di moralmente congenito per cui l'uomo trattiene dalla donna alla quale deve, a causa della parentela, un deferente rispetto, la sessualità anche se destinata a generare. Vediamo che ne arrossisce perfino la verecondia coniugale.

Generazione e rigenerazione.
16. 3. L'unione di maschio e femmina, per quanto attiene al genere umano, è il vivaio della città, ma la città terrena ha bisogno soltanto della generazione, quella celeste anche della rigenerazione per sfuggire alla condanna della generazione. La Storia sacra tace se prima del diluvio vi sia stata, e se v'è stata, quale fu la figura simbolica concreta e visibile della rigenerazione, come la circoncisione imposta in seguito ad Abramo 75. Non tace però che anche gli uomini primitivi hanno offerto sacrifici a Dio, come fu manifesto nei due fratelli 76 e si legge che dopo il diluvio anche Noè, uscito dall'arca, immolò vittime a Dio 77. Sull'argomento nei libri precedenti ho detto che i demoni, i quali si arrogano la natura divina e bramano di esser creduti dèi, esigono il sacrificio e godono di tali onori soltanto perché sanno che il sacrificio vero è dovuto al Dio vero 78.

Simbolismo delle due discendenze.
17. Adamo era padre dell'una e dell'altra discendenza, cioè di quella la cui genealogia appartiene alla città terrena e dell'altra la cui genealogia appartiene alla città celeste. Ucciso Abele, alla cui morte è affidato un mirabile mistero, divennero rispettivamente padri delle due città Caino e Set perché nei loro figli, che era opportuno nominare, cominciarono a manifestarsi con maggiore evidenza i caratteri delle due città nell'umana discendenza. Caino generò Enoch e nel suo nome fondò una città, certamente terrena, non esule viandante in questo mondo ma in riposo nella pace e prosperità temporali. Caino significa possesso, perciò quando nacque tanto il padre che la madre dissero: Ho acquistato un uomo dal Signore 79. Enoch invece significa "inaugurazione" 80, in quanto la città terrena s'inaugura in questo mondo dove è fondata, perché in questo mondo ha il fine che si propone e persegue. Inoltre Set significa "risurrezione" 81 e il figlio Enos "uomo" 82 ma non come Adamo. Anche questo nome significa uomo ma ci vien fatto sapere che in quella lingua, cioè l'ebraico, è comune al maschio e alla femmina. Si ha nella Scrittura: Li creò maschio e femmina, li benedisse e li denominò Adamo 83. Quindi non c'è dubbio che la donna con un proprio nome fu chiamata Eva in modo che Adamo, che significa uomo, fosse il nome di tutti e due. Enos significa uomo in un senso che, per quanto affermano gli intenditori di quella lingua, non si può applicare alla donna, e cioè come figlio della risurrezione dove non sposeranno e non saranno sposati 84. Non ci sarà generazione in quello stato a cui ci avrà condotto la rigenerazione. Perciò ritengo che non sia inutile rilevare che nelle generazioni provenienti dal patriarca chiamato Set, sebbene si dica che ha generato figli e figlie, non v'è rammentata esplicitamente alcuna donna. In quelle di Caino al contrario, giunte alla fine, per ultima vi sarà ricordata una donna. Ecco il passo: Matusael generò Lamech che prese due mogli, una chiamata Ada, l'altra Sella. Ada partorì Iobel, il padre di coloro che abitano nelle tende dei pastori nomadi. Il nome del fratello fu Iobal che inventò l'arpa e la cetra. Sella generò Thobel che fu fabbro forgiatore di bronzo e ferro. Sorella di Thobel fu Noemas 85. Fin qui si estendono le generazioni di Caino che in tutto da Adamo sono otto, compreso lo stesso Adamo, cioè sette fino a Lamech che ebbe due mogli. L'ottava è la generazione dei suoi figli, fra i quali è ricordata anche una donna. Nel passo è indicato con finezza che la città terrena sino alla fine avrà delle generazioni carnali che provengono dalla unione di maschi e femmine. Per questo sono rammentate con i loro nomi le stesse mogli di quell'uomo che in quella serie è indicato come l'ultimo patriarca. È un fatto che, fatta eccezione per Eva, non si riscontra prima del diluvio. Dunque Caino, che significa "possesso", fondatore della città terrena e il figlio Enoch, dal quale la città ebbe il nome, che significa "inaugurazione", simboleggiano che questa città ha l'inizio e la fine sulla terra, perché in essa non si ha speranza di altro bene fuor di quello che si può ottenere nel tempo. Così poiché Set, capostipite delle generazioni menzionate, significa "risurrezione", si deve esaminare che cosa la Storia sacra dice di suo figlio.

Enos e la speranza.
18. Anche a Set, dice la Scrittura, nacque un figlio e lo chiamò Enos: questi sperò d'invocare il nome del Signore 86. È un'acclamante affermazione di verità. Dunque vive nella speranza l'uomo figlio della risurrezione, vive nella speranza, finché è esule nel mondo, la città di Dio che è generata dalla fede nella risurrezione di Cristo. La morte di Cristo e la sua vita dopo la morte sono simboleggiate da due uomini, da Abele, che significa lutto 87, e dal fratello Set che significa risurrezione. Da questa fede si genera nel mondo la città di Dio, cioè l'uomo che sperò d'invocare il nome del Signore. Dice l'Apostolo: Siamo stati salvati dalla speranza. Una speranza, che è oggetto di conoscenza, non è speranza. Che cosa si spera se già si conosce? Se speriamo ciò che non conosciamo, aspettiamolo con perseveranza 88. Non si può ritenere che questo concetto sia privo della sublimità del mistero. Certamente Abele sperò d'invocare il Signore perché la Scrittura ricorda che il suo sacrificio era molto accetto a Dio. Anche Set sperò d'invocare il nome del Signore perché di lui è detto nella Scrittura: Dio mi ha concesso un altro figlio in luogo di Abele 89. Perché dunque si attribuisce in particolare ad Enos una dote che s'intende comune a tutti gli uomini di pietà? Era indispensabile che nell'individuo ricordato come primo discendente del patriarca delle generazioni prescelte a una mèta più alta, quella cioè della città celeste, fosse allegoricamente indicato l'uomo, cioè la società umana che non vive secondo l'uomo nella realtà della felicità terrena ma secondo Dio nella speranza della felicità eterna. E non è stato detto: Egli sperò nel Signore, o: Egli invocò il nome del Signore, ma: Sperò d'invocare il nome del Signore. L'espressione: Sperò d'invocare come preannuncio profetico significa che sarebbe sorto un popolo, il quale mediante l'inserimento operato dalla grazia avrebbe invocato il nome del Signore. È il medesimo significato che, espresso da un altro Profeta 90, l'Apostolo riferisce al popolo che partecipa della grazia di Dio: Avverrà che chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo 91. Nella espressione della Scrittura: E gli diede il nome di Enos che significa uomo e in quella che segue: Egli sperò d'invocare il nome del Signore si palesa chiaramente che l'uomo non deve riporre la speranza in se stesso. In un altro testo si legge: È maledetto chiunque ripone la sua speranza nell'uomo 92. Quindi non deve riporla neanche in se stesso affinché sia cittadino della città che non è inaugurata col nome del figlio di Caino nel tempo, in questo incessante e mortale succedersi degli eventi, ma nell'immortalità della felicità eterna.

Enoch il differimento alla fine.
19. Anche la discendenza, il cui patriarca è Set, ha il termine di inaugurazione nella settima generazione da Adamo, Adamo compreso. Il settimo discendente da lui appunto è Enoch che significa "inaugurazione". Ed egli fu anche elevato al cielo perché piacque a Dio e in un numero insigne nell'ordine genealogico, cioè il settimo da Adamo, perché in esso fu reso sacro il sabato. Però dal patriarca di queste generazioni, distinte dalla discendenza di Caino, cioè da Set, è il sesto che corrisponde al giorno in cui fu creato l'uomo e Dio diede compimento a tutte le sue opere. Ma l'elevazione di questo Enoch indica allegoricamente il differimento della nostra inaugurazione. È già avvenuta in Cristo, nostro capo, che è risorto per non morire più ed anche egli è stato elevato. Rimane però da compiere l'inaugurazione di tutta la casa di cui Cristo è il fondamento 93. Essa è differita alla fine quando avverrà la risurrezione di tutti che non morranno più. Non fa differenza chiamarla casa di Dio, tempio di Dio, città di Dio e non discorda dal modo di esprimersi della lingua latina. Virgilio considera la casa di Assaraco molto adatta al dominio perché voleva indicare i Romani che tramite i Troiani discendono da Assaraco 94. Considera anche gli stessi Romani casa di Enea perché i Troiani, venuti sotto la sua guida in Italia, fondarono Roma 95. Il poeta ha imitato la sacra Scrittura, in cui si considera casa di Giacobbe l'ormai numeroso popolo ebraico.

La città terrena è del tempo.
20. 1. Qualcuno potrebbe osservare: dunque l'agiografo intendeva tessere la genealogia di Adamo tramite il figlio Set per giungere a Noè col quale avvenne il diluvio. Da lui continuò la serie dei discendenti per giungere ad Abramo, dal quale l'evangelista Matteo inizia le generazioni con cui giunge a Cristo, re eterno della città di Dio. Che intento aveva l'agiografo nelle generazioni da Caino e fin dove voleva proseguirle? Si risponde: fino al diluvio col quale fu sterminata tutta la discendenza della città terrena, che fu poi restituita con i figli di Noè. Non sarà possibile infatti che la città terrena e la società degli uomini, le quali vivono secondo l'uomo, vengano a mancare prima della fine del tempo, perché di esso il Signore ha detto: I figli del tempo generano e sono generati 96. La rigenerazione invece conduce la città di Dio esule in questo tempo ad un altro tempo i cui figli non generano e non sono generati. In questo mondo l'esser generato e il generare è comune all'una e all'altra, sebbene la città di Dio abbia anche in questo mondo moltissimi cittadini che si astengono dal generare, ma anche l'altra ne ha per una forma di imitazione, quantunque i suoi cittadini siano in errore. Ad essa appartengono anche coloro che derogando dalla fede della città di Dio hanno dato origine alle varie eresie, perché vivono secondo l'uomo e non secondo Dio. Sono cittadini della città terrena anche i saggi nudisti degli Indiani, di cui si dice che si dedicano nudi alla filosofia nei luoghi deserti dell'India e si astengono dall'aver figli 97. Non è un bene questo se non si adempie a norma della fede nel sommo bene che è Dio. Si sa che prima del diluvio non si usava. Anche Enoch, settimo da Adamo che, secondo la tradizione, pur non essendo morto, fu elevato al cielo, prima di essere elevato, generò figli e figlie, fra i quali Matusalem per il cui tramite si continuò la serie genealogica da consegnare alla storia.

Ripensamenti sulla genealogia di Caino.
20. 2. Ci si chiede quindi perché si allega un numero tanto ristretto di discendenti nella genealogia di Caino se era necessario continuarli fino al diluvio e non era così lunga l'età prepuberale che per cento anni e più non aveva figli. Se l'agiografo non aveva in mente un discendente al quale ricondurre per stretto legame la serie delle generazioni, come al contrario con quelle che provenivano da Set aveva in mente di giungere a Noè, da cui la serie per stretto legame doveva continuare, non era ragionevole omettere i figli primogeniti per giungere a Lamech. Con i suoi figli si chiude la serie nell'ottava generazione da Adamo e nella settima da Caino. Sembra che da quel punto si debba connettere qualche riferimento per giungere al popolo d'Israele, in cui la Gerusalemme terrena offrì un'allegoria profetica alla città del cielo, o al Cristo secondo la carne, che è al di là dell'universo, il Dio benedetto per tutti i tempi 98, autore e re della Gerusalemme celeste. Invece tutta la discendenza di Caino fu distrutta dal diluvio. Se ne può dedurre che in una medesima genealogia sono stati menzionati soltanto i primogeniti. Perché allora sono tanto pochi? Infatti non è possibile che prima del diluvio fossero così pochi, se i genitori non erano impediti dall'impegno di generare a causa di una pubertà centenaria, dato che la pubertà non era tardiva in relazione alla longevità. Erano di circa trenta anni quando cominciavano ad aver figli. Ora otto volte trenta anni (giacché sono otto le generazioni da Adamo ai figli di Lamech) ne fanno duecentoquaranta. Ma che per tutto il tempo fino al diluvio non ebbero più figli? E perché l'agiografo non ha voluto nominare le generazioni successive? Ora da Adamo fino al diluvio sono calcolati dal nostro testo duemiladuecentosessantadue anni, secondo quello ebraico milleseicentocinquantasei. Se riteniamo più verosimile la cifra minore e vengono sottratti dai milleseicentocinquantasei i duecentoquaranta anni, non è credibile che per millequattrocento anni e rotti, che rimangono fino al diluvio, la discendenza di Caino abbia potuto astenersi dall'aver figli.

Soluzioni possibili.
20. 3. Ma chi si turba per questo motivo ricordi che, quando mi proposi in qual senso si deve interpretare come fu possibile agli antichi non aver figli per tanti anni, si disse che il problema può avere due soluzioni: o da una tardiva pubertà in relazione alla vita longeva o dal fatto che i figli, inseriti nella genealogia, non furono i primogeniti ma quelli dai quali arrivare al patriarca che aveva in mente l'autore del libro, come Noè nelle generazioni da Set. Quindi nella discendenza di Caino, se non è nominato il personaggio al quale si dovrebbe giungere tramite quelli nominati, se i primogeniti sono omessi, resterà l'ipotesi di una tardiva pubertà. Così un po' dopo i cento anni gli uomini sarebbero divenuti maturi sessualmente e abili ad avere figli in modo che la discendenza si svolgesse attraverso i primogeniti e giungesse fino al diluvio in un determinato numero di anni. Potrebbe anche darsi che per una ragione più arcana, che mi sfugge, la città, che consideriamo terrena, fosse segnalata dalla successione pervenutaci delle generazioni fino a Lamech e figli e poi l'agiografo abbia smesso di menzionare le altre che vi poterono essere fino al diluvio. Vi può essere un'altra ragione per cui la genealogia non viene rassegnata con i primogeniti, in modo che non si debba ricorrere a una pubertà tanto tardiva, e cioè la città che Caino fondò col nome del figlio Enoch poté regnare su un vasto territorio e avere molti re non contemporaneamente ma ciascuno in un proprio periodo ed erano figli e successori dei regnanti. È possibile che il primo di questi re sia stato Caino, il secondo il figlio Enoch che diede il nome alla città fondata come capitale, il terzo Gaidad figlio di Enoch, il quarto Mevia figlio di Gaidad, il quinto Matusael figlio di Mevia, il sesto Lamech figlio di Matusael che è il settimo da Adamo nel ceppo di Caino 99. Questo non significa che il primogenito succedesse necessariamente al padre, ma colui che fosse segnalato da una benemerenza vantaggiosa alla città terrena o da un destino qualsiasi o piuttosto che, quasi per un determinato diritto ereditario, succedesse al padre colui che ne era il prediletto. È possibile che il diluvio avvenne mentre ancora viveva e regnava Lamech, che il diluvio raggiunse e sommerse assieme a tutti gli altri uomini, eccetto quelli che erano nell'arca. Non deve sorprendere se le due stirpi, dato il notevole numero di anni intercorsi, in un lungo spazio di tempo, da Adamo al diluvio, presentino discendenti di numero disuguale, cioè sette nel ceppo di Caino e dieci in quello di Set. Ho già detto che Lamech è settimo da Adamo e Noè decimo. Quindi non è stato menzionato un solo figlio di Lamech, come nelle altre generazioni, ma più perché era incerto chi doveva succedergli quando moriva, se fosse rimasto un periodo di regno fra lui e il diluvio.

Undici numero infausto.
20. 4. Ma comunque sia impostata la serie delle generazioni che decorre da Caino tramite primogeniti o re, mi pare che, accertato che Lamech è il settimo da Adamo, per nessuna ragione si deve passare sotto silenzio l'aggiunta di tanti figli fino a raggiungere il numero undici che è simbolo di peccato. Si aggiungono infatti tre figli e una figlia. Altro possono simboleggiare le mogli, non quel che mi pare doversi esporre in questo momento. Stiamo parlando della discendenza, ma nel testo non si fa cenno da dove provengano. Poiché dunque la Legge si bandisce al numero dieci, e da qui il famoso Decalogo, certamente il numero undici, poiché va al di là del dieci, simboleggia la trasgressione della Legge e quindi il peccato. Perciò fu dato l'ordine che nella tenda dell'Alleanza, la quale era nel viaggio del popolo di Dio come un tempio portatile, si disponessero undici teli di pelo di capra 100. Nella stuoia dal pelo di capra v'è il ricordo del peccato a causa dei capri che andranno alla sinistra 101. Rendendocene coscienti ci prostriamo in esso come per dire ciò che è scritto nel Salmo: Il mio peccato mi è sempre dinanzi 102. Quindi la discendenza, che da Adamo passa per lo scellerato Caino, si chiude col numero undici, da cui è simboleggiato il peccato e il numero ha al termine una donna, perché da questo sesso avvenne l'inizio del peccato per cui tutti dobbiamo morire. Fu commesso appunto perché ne seguisse il piacere della carne che si oppone allo spirito. Per questo anche la figlia di Lamech Noema significa piacere 103. Nella discendenza di Set invece da Adamo a Noè viene segnalato il numero dieci conveniente alla legge. A Noè si aggiungono i tre figli ma, essendo uno incorso nella colpa, due soltanto hanno la benedizione del padre. Così escluso l'indegno e aggiunti al numero i degni di lode si raggiunge il numero dodici che è da segnalare anche nel numero dei Patriarchi e degli Apostoli in vista del prodotto delle due parti del numero sette. Difatti quattro per tre e tre per quattro fanno dodici. Stando così le cose, noto che si deve esaminare e trattare in qual senso le due stirpi, che in distinte serie di generazioni designano le due città, una dei generati dalla terra l'altra dei rigenerati, si confusero commischiandosi al punto che l'intero genere umano, ad eccezione di otto persone, meritò di morire nel diluvio.

Due città due discendenze.
21. C'è una considerazione da premettere. Le generazioni sono enumerate da Caino e, prima degli altri che succedono, è menzionato colui che diede il nome alla città fondata, cioè Enoch. Poi gli altri vengono annoverati fino a quel termine, di cui ho parlato, quando la discendenza di tutta la stirpe fu sterminata dal diluvio. Invece appena menzionato il figlio di Set, Enos 104, prima di aggiungere gli altri discendenti fino al diluvio, si frappone una frase con le parole: Questo è il libro dell'origine degli uomini, nel giorno in cui Dio creò Adamo, lo creò ad immagine di Dio. Li creò maschio e femmina e li benedisse e nel giorno in cui li creò diede loro il nome di Adamo 105. A mio parere, la frase è stata interposta affinché da Adamo iniziasse la cronologia, che l'agiografo non ha voluto indicare per la città terrena, come se Dio la ricordasse per non farne il computo. La ragione per cui si torna a questo riassunto dopo che è stato menzionato il figlio di Set, l'uomo che sperò d'invocare il nome del Signore 106, sta nel fatto che era conveniente presentare le due città, l'una da un omicida a un omicida, perché anche Lamech confessa alle due mogli di aver compiuto un omicidio 107, l'altra tramite colui che cominciò ad invocare il nome del Signore. Questa è infatti nello stato di soggezione alla morte l'unica importante occupazione della città di Dio in esilio in questo mondo, occupazione che doveva essere inculcata da un solo uomo nato dalla risurrezione di un ucciso. Quell'unico uomo è l'unità di tutta la città dell'alto, non ancora adempiuta ma da adempiere sulla base del preannuncio di questa allegoria profetica. Quindi il figlio di Caino, cioè il figlio del possesso, certamente sulla terra, abbia pure il nome nella città terrena, perché fu fondata col suo nome. Essa da loro appunto deriva perché di essi si dice nel Salmo: Daranno il loro nome alle loro città 108. Perciò li riguarda ciò che è scritto in un altro Salmo: Signore, farai scomparire la loro immagine dalla tua città 109. Invece il figlio di Set, cioè il figlio della risurrezione, speri d'invocare il nome del Signore perché indica allegoricamente quella umana società che dice: Io come un olivo verdeggiante nella casa di Dio sperai nella sua misericordia 110. Non aspiri alla vanagloria di un nome illustre sulla terra perché è felice l'uomo che spera nel nome del Signore e non si è volto a inseguire illusioni di grandezza e menzognere frenesie 111. Dunque dalla tematica delle due città uscite, per così dire, dalla porta comune della soggezione alla morte, che fu aperta con Adamo, l'una nella vicenda del tempo, l'altra nella speranza in Dio per avanzare e giungere al traguardo verso distinti e rispettivi obiettivi, ha inizio la cronologia. Ad essa altre stirpi si aggiungono tenendo presente la derivazione da Adamo. Dalla sua discendenza condannata, come da un solo blocco consegnato al giusto castigo, Dio produce vasi d'ira all'infamia e vasi di misericordia al premio 112 rendendo ai primi con la pena ciò che è dovuto e a questi con la grazia ciò che non è dovuto. Perciò anche nel confronto con i vasi d'ira la città dell'alto apprenda, poiché è in esilio sulla terra, a non fidarsi della libertà del proprio arbitrio, ma speri d'invocare il nome del Signore. Infatti la volontà nello stato di natura, creata buona da Dio buono, ma mutabile da un essere immutabile perché dal nulla, può declinare dal bene per compiere il male che si compie con il libero arbitrio e può declinare dal male per compiere il bene che non si compie senza l'aiuto di Dio.

Il diluvio: fatti e allegorie [22-27]

Amore bellezza virtù.
22. Poiché con il libero arbitrio della volontà il genere umano continuava ad aumentare avvennero la commischianza e, mediante la partecipazione della immoralità, una certa indistinzione delle due città. Ancora una volta il danno ebbe ragion d'essere dal sesso femminile, non nella maniera che si ebbe all'inizio perché non si trattò del caso che donne sedotte dall'inganno di qualcuno inducessero i mariti a peccare. Però fin dal principio le donne, che per i cattivi costumi appartenevano alla città terrena, cioè alla società dei generati della terra, furono amate per la bellezza fisica dai figli di Dio, cioè dai cittadini dell'altra città in esilio nel tempo 113. La bellezza è un bene che è dono di Dio, ma è concessa anche ai cattivi perché non sembri un gran bene ai buoni. Abbandonato quindi il bene grande e proprio dei buoni, avvenne la caduta al bene più basso, non proprio dei buoni ma comune a buoni e cattivi. Così i figli di Dio furono avvinti dall'amore per le figlie degli uomini e per averle come mogli decaddero nella moralità della società terrena abbandonando la religione che osservavano nella società santa. In tal modo la bellezza fisica, che è certamente un bene prodotto da Dio ma temporale carnale infimo, è amata male perché si trascura Dio, bene eterno spirituale perenne, come con la violazione della giustizia l'oro è amato dagli avari non per un peccato dell'oro ma dell'uomo. Così è ogni creatura. Essendo un bene si può amare bene e male, cioè bene nel rispetto dell'ordine, male nella violazione dell'ordine. Ho espresso brevemente questi concetti in un elogio al cero: Queste cose sono tue e sono buone perché Tu che sei buono le hai create. Niente di nostro v'è in esse se non che, violando l'ordine, pecchiamo amando non Te ma ciò che da Te è creato 114. Se il Creatore si ama secondo verità, cioè se non si ama invece di Lui altro che Egli non è, non è possibile che sia amato di amore cattivo. Anche l'amore si deve amare ordinatamente perché con esso si ama l'oggetto che si deve amare affinché sia in noi la virtù con cui si vive bene. Mi sembra quindi che definizione breve e vera della virtù è l'ordine dell'amore. Per questo nel sacro Cantico dei Cantici la sposa di Cristo, cioè la città di Dio, canta: Date ordine in me alla carità 115. Dunque infranto l'ordine di questa carità, cioè dell'affetto e dell'amore, i figli di Dio trascurarono Dio e amarono le figlie degli uomini. Con i due termini si distinguono sufficientemente le due città. Anche essi per natura erano figli degli uomini ma avevano cominciato ad avere un altro nome per effetto della grazia. Nel medesimo libro della Scrittura, in cui si dice che i figli di Dio amarono le figlie degli uomini, si dice anche che essi erano angeli di Dio. Per questo molti pensano che non fossero uomini ma angeli.

I figli di Dio e le donne belle.
23. 1. Ho lasciato senza soluzione la questione accennata di passaggio nel terzo libro di questa opera, cioè se gli angeli, pur essendo spirito, possono coire con donne 116. Si ha nella Scrittura: Egli rende suoi angeli gli esseri spirituali, cioè rende suoi angeli esseri che per natura sono spiriti affidando loro l'incarico di messaggeri. La parola greca, , che nella forma latina si rende con la parola "angelo", nella nostra lingua si traduce "messaggero". Ma è dubbio se subito dopo ha inteso il loro corpo con le parole: Rende le vampe del fuoco suoi servitori 117, ovvero che i suoi servitori devono ardere di carità come di un fuoco spirituale. Ma la stessa Scrittura, che è sommamente veritiera, afferma che gli angeli sono apparsi in un corpo tale che era possibile non solo vederli ma anche toccarli. Ed è notizia assai diffusa e molti confermano di averlo sperimentato o di avere udito chi l'aveva sperimentato che i silvani e i fauni, i quali comunemente sono denominati "incubi", spesso sono stati sfacciati con le donne e che hanno bramato e compiuto l'accoppiamento con loro. Che certi demoni, denominati "dusi" dai Galli, continuamente tentano e compiono questa porcheria lo affermano parecchi e sono di tale prestigio che negarlo sembrerebbe mancanza di rispetto. Non oso dedurne che alcuni spiriti, presa forma corporea nell'aria, giacché questo elemento è percepito sensibilmente col tatto anche agitando un ventaglio, possono essere soggetti a questa sensualità sicché si uniscono alle donne come è loro possibile. Tuttavia in nessun senso ammetterei che gli angeli santi di Dio abbiano potuto allora decadere in tal modo. Neanche l'apostolo Pietro alludeva a quei tali quando scrisse: Se Dio non ha perdonato agli angeli che avevano peccato ma, rinchiudendoli nelle carceri tenebrose dell'abisso, ingiunse che fossero riservati per essere puniti nel giudizio 118, ma alluse piuttosto a quelli che al principio ribellandosi a Dio decaddero col diavolo, loro principe, il quale per invidia fece cadere il primo uomo con l'inganno del serpente. La sacra Scrittura stessa attesta frequentemente che anche gli uomini di Dio sono stati dichiarati angeli. Si dice di Giovanni: Ecco io mando il mio angelo davanti a te ed egli preparerà la tua via 119. Anche il profeta Malachia per una sua grazia personale, cioè per una grazia impartita personalmente a lui, fu chiamato angelo 120.

Giganti prima e dopo il diluvio.
23. 2. Alcuni sono sconcertati quando leggiamo che da coloro che furono chiamati angeli di Dio e dalle donne da essi amate, non nacquero uomini della nostra specie ma giganti. Reagiscono quasi che, come ho ricordato sopra, ai nostri tempi non siano venute al mondo delle corporature umane che superano la nostra statura. Pochi anni addietro, un po' prima del saccheggio della città di Roma operato dai Goti, venne a Roma col padre e con la madre una donna che con una corporatura in certo senso gigantesca superava di molto gli altri. Avveniva di continuo un'incredibile affluenza di gente per vederla. Ed era di grande ammirazione il fatto che tutti e due i suoi genitori non erano almeno di una statura tale da arrivare agli individui dalla statura più alta che di solito vediamo. È possibile dunque che i giganti nascessero anche prima che i figli di Dio, detti anche angeli di Dio, si unissero alle figlie degli uomini, quanto dire che vivevano secondo gli uomini, cioè la figliolanza di Set con quella di Caino. Infatti la sacra Scrittura, nel libro in cui leggiamo l'episodio, si esprime con queste parole: Avvenne dopo che gli uomini cominciarono ad aumentare di numero sulla terra e nacquero loro delle figlie. Vedendo gli angeli di Dio che le figlie degli uomini erano buone, ne presero per mogli tutte quelle che avevano scelto. Disse il Signore: non rimarrà per sempre il mio Spirito in questi uomini perché sono carne. Sarà la loro vita per altri centoventi anni. V'erano dei giganti sulla terra in quei giorni e dopo il fatto che i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini e generavano per sé i figli, questi erano giganti, uomini famosi nel tempo 121. Queste parole del Libro sacro indicano sufficientemente che in quei giorni v'erano giganti sulla terra, quando, cioè, i figli di Dio presero per mogli le figlie degli uomini perché le volevano buone cioè belle. È abituale in questa parte della Scrittura chiamare buoni anche i belli d'aspetto. Ma anche dopo questa evenienza nacquero dei giganti. Dice infatti: V'erano dei giganti sulla terra in quei giorni e dopo il fatto che figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini. Quindi in quei giorni prima e dopo il fatto. La frase: E generavano per sé mostra con evidenza che anteriormente, prima che i figli di Dio decadessero in quel modo, generavano per il Signore, non per sé, cioè non perché dominava la libidine dell'accoppiamento, ma perché era impegnato il dovere di procreare e non la famiglia della propria presunzione, ma i cittadini della città di Dio. Ad essi dovevano annunziare, come angeli di Dio, di porre in Dio la propria speranza 122, simili a colui che nacque da Set come figlio della risurrezione e sperò d'invocare il nome del Signore. In questa speranza dovevano essere coeredi dei beni eterni con i discendenti, inoltre fratelli dei figli nella soggezione a Dio Padre.

Uomini angeli di Dio.
23. 3. Senza possibilità di dubbio la Scrittura attesta che non furono angeli di Dio nel senso che non erano uomini, come alcuni pensano, ma che certamente furono uomini. Era premesso infatti: Vedendo gli angeli di Dio che le figlie degli uomini erano buone, ne presero per mogli tutte quelle che avevano scelto; però di seguito si ha: Disse il Signore: il mio Spirito mai più rimarrà con questi uomini perché sono carne 123. Con lo Spirito di Dio erano diventati angeli di Dio e figli di Dio ma, decadendo ai beni inferiori, sono considerati uomini in termini di natura e non di grazia. Sono considerati anche carne perché avevano abbandonato lo Spirito e abbandonandolo erano stati abbandonati. Anche i Settanta li hanno denominati angeli di Dio e figli di Dio, ma non tutti i testi hanno la duplice denominazione, alcuni hanno soltanto figli di Dio. Aquila il traduttore, che i Giudei preferiscono, non ha tradotto né angeli di Dio né figli di Dio, ma figli degli dèi 124. Le due versioni sono vere. Infatti erano figli di Dio e in lui Padre erano anche fratelli dei padri, erano inoltre figli degli dèi perché generati da dèi, in quanto con loro anche essi erano dèi, secondo la frase del Salmo: Io ho detto: Siete dèi e figli dell'Eccelso tutti 125. Giustamente quindi si ritiene che i Settanta hanno avuto un'ispirazione profetica in modo che se col suo influsso modificavano qualcosa usando parole diverse da quelle che traducevano, non si deve dubitare che anche questo testo è di derivazione divina. Però si presenta come incerto che per il testo ebraico fosse possibile tradurre i figli di Dio con i figli degli dèi.

I giganti negli apocrifi.
23. 4. Tralasciamo quindi le favole di quei libri della Scrittura chiamati apocrifi perché la loro indimostrabile autenticità non fu evidente ai padri dai quali l'autorità dei libri genuini è giunta a noi mediante una trasmissione molto fedele e notoria. Negli apocrifi, a causa dei molti errori, non si ha alcuna autorità canonica, sebbene vi sia contenuta qualche verità. Non possiamo negare che Enoch, settimo da Adamo, abbia scritto qualcosa per divina ispirazione perché lo dice l'apostolo Giuda in una lettera canonica 126. Ma giustamente i suoi scritti non sono in quel canone delle Scritture che si conservava nel tempio del popolo ebraico per la premura dei sacerdoti che si succedevano. A causa dell'antichità sono stati giudicati d'incerta credibilità, né si poteva dimostrare che fossero gli autentici da lui scritti in quanto non si avevano documenti che secondo le norme li avessero conservati nella serie della trasmissione. Quindi gli scritti, che sono trasmessi col suo nome e contengono sui giganti la favola che non ebbero uomini per padre, dai critici con evidenza sono ritenuti non autentici. Allo stesso modo dagli eretici sono stati rassegnati molti scritti intestati ad altri profeti e i più recenti ad apostoli, ma sono stati tutti estromessi dopo diligente esame dall'autorità canonica col nome di apocrifi. Quindi secondo le Scritture canoniche ebraiche e cristiane non v'è dubbio che prima del diluvio vi furono molti giganti e che furono cittadini della città degli uomini generata dalla terra e che i figli di Dio, i quali discendevano secondo la carne da Set, abbandonata la giustizia, si aggregarono a questa società. E non c'è da meravigliarsi se anche da loro nacquero giganti. Non tutti furono giganti ma furono assai di più che negli altri tempi dopo il diluvio. E piacque al Creatore crearli affinché da questo fatto venisse dimostrato che non soltanto la bellezza ma anche la grandezza e forza fisica non si devono tener in gran conto dal sapiente, il quale ottiene la felicità con beni spirituali e indefettibili di gran lunga più nobili e sicuri e propri dei buoni e non comuni a buoni e cattivi. Un altro Profeta, riferendosi a questa verità, dice: Vi furono i famosi giganti che fin da giovani furono di grande statura e addestrati alla guerra. Il Signore non li ha scelti e non ha affidato loro il cammino della scienza, ma scomparvero perché non ebbero la sapienza e andarono in rovina per la loro stupidaggine 127.

Il diluvio e l'ira di Dio.
24. La parola di Dio: La loro vita sarà di centoventi anni 128 non si deve interpretare nel senso di un preannuncio che dopo quei fatti gli uomini non avrebbero sorpassato i centoventi anni di vita. Troviamo che anche dopo il diluvio superarono perfino i cinquecento anni. Si deve intendere invece che Dio parlò così perché Noè era verso la fine dei cinquecento anni, ne aveva cioè quattrocentottanta che la Scrittura, per un suo modo d'esprimersi, considera cinquecento secondo la figura retorica della parte più alta per il tutto. All'anno seicento, secondo mese, della vita di Noè infatti avvenne il diluvio 129, così i centoventi anni sarebbero stati gli anni avvenire della vita degli uomini che dovevano morire perché, una volta passati, sarebbero stati sterminati dal diluvio. Né si deve credere senza ragione che il diluvio avvenne quando già in terra non si trovavano più coloro che meritavano di soccombere con una morte simile, giacché con essa si compì la vendetta contro gli empi. Non si dice nel senso che un tal genere di morte produca un effetto che potrebbe esser dannoso dopo la morte ai buoni che eventualmente ne morissero. Tuttavia nessuno di quelli, che la sacra Scrittura ricorda come discendenti della stirpe di Set, morì nel diluvio. Per divina ispirazione è narrata così la causa del diluvio: Vedendo il Signore che le malvagità dell'uomo aumentavano sulla terra e che ciascuno nel proprio cuore pensava con pertinacia tutti i giorni ad azioni cattive, Dio pensò al perché aveva creato l'uomo sulla terra e vi ripensò e disse: devo cancellare dalla faccia della terra l'uomo che ho creato, dall'uomo al bestiame e dai rettili fino agli uccelli del cielo perché sono adirato per averli creati 130.

Discorso anagogico della Scrittura.
25. L'ira di Dio non è un turbamento del suo spirito ma un giudizio con cui s'infligge la pena al peccato. Il suo pensare e ripensare agli eventi posti nel divenire è un disegno fuori del divenire. Dio non si pente, come l'uomo, di una sua azione perché di tutte le cose ha un giudizio assolutamente determinato e una consapevole prescienza. Ma se la Scrittura non usasse questi termini non si farebbe ascoltare in forma più accessibile da ogni tipo di uomini, ai quali vuole essere norma, per sbigottire gli orgogliosi, stimolare gli indolenti, animare i desiderosi di sapere, rinvigorire gli intelligenti. Non otterrebbe questi effetti se prima non si piegasse e in certo senso non si inchinasse verso coloro che sono caduti. Ad esempio, il comminare la fine di tutti i mammiferi e volatili enuncia l'estensione della futura ecatombe, ma non minaccia lo sterminio ad esseri animati privi di ragione, come se anch'essi avessero peccato.

Dimensioni dell'arca e del corpo umano.
26. 1. C'è poi l'ordine di Dio a Noè, uomo giusto e, come di lui afferma con verità la Scrittura 131, perfetto nella sua generazione, non certamente come diverranno perfetti i cittadini della città di Dio nella condizione d'immortalità, con la quale saranno eguali agli angeli di Dio 132, ma come possono esser perfetti in questo esilio. Dunque Dio gli ordinò di costruire l'arca con la quale sfuggire alla rovina del diluvio assieme ai suoi familiari, cioè moglie, figli e nuore e con gli animali che per comando di Dio entrarono assieme a lui nell'arca 133. Essa è senza dubbio allegoria della città di Dio esule nel tempo, cioè della Chiesa che ottiene la salvezza mediante il legno nel quale fu appeso il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 134. Le misure stesse della lunghezza, altezza e larghezza dell'arca simboleggiano il corpo umano perché si ebbe l'annunzio profetico che Gesù sarebbe venuto e venne in un vero corpo umano. Difatti la lunghezza del corpo umano dalla sommità della testa ai piedi è sei volte la larghezza da un fianco all'altro e dieci volte l'altezza, la cui misura si ha nel fianco dal dorso all'addome. Quindi se misuri l'uomo disteso, supino o bocconi, è lungo dalla testa ai piedi sei volte più che largo da destra a sinistra o da sinistra a destra e dieci volte più che alto da terra. Per questo appunto è stata costruita l'arca di trecento cubiti in lunghezza, cinquanta in larghezza e trenta in altezza. L'apertura da un lato è la ferita con cui fu trafitto il costato del Crocifisso 135. Per essa entrano quelli che vengono a Lui perché da lì sgorgano i sacramenti con cui sono iniziati i credenti. L'ordine di costruirla con tavole di forma quadra simboleggia la vita dei santi stabile da ogni parte. Difatti da qualsiasi parte volterai un quadrato resterà quadrato. Anche le altre indicazioni sulla costruzione dell'arca sono simboli di realtà riguardanti la Chiesa.

Forma dell'arca e la città di Dio.
26. 2. Ma è lungo continuare per il momento. Ne ho parlato già nell'opera che ho scritto Contro Fausto manicheo 136, il quale nega che nei libri degli Ebrei vi siano profezie riguardanti il Cristo. È anche possibile che qualcuno dia una spiegazione più appropriata anche a me e un altro ad altri, purché queste interpretazioni siano riferite alla città di Dio, di cui stiamo parlando, che è esule viandante in questo fluire di tempi malvagi, simile a un diluvio, se chi interpreta non vuole deviare di molto dal pensiero dell'agiografo. Ad esempio, qualcuno può interpretare la frase: Vi farai locali in basso, al piano due e al piano tre 137 diversamente da come l'ho interpretata io nell'opera citata 138. Dal momento, ho detto, che la Chiesa si raduna da tutti i popoli, l'arca è scompartita al piano due in riferimento alle due categorie di persone, cioè circoncisi e non circoncisi, che l'Apostolo con altri termini chiama Giudei e Greci 139, al piano tre perché dopo il diluvio tutti i popoli ripresero a crescere nelle stirpi dei tre figli di Noè. Ma ognuno può interpretare in altro senso purché non sia contrario alla regola della fede. Inoltre, poiché Dio volle che l'arca avesse locali non solo nel piano inferiore, ma anche in quello di sopra che ha indicato come secondo piano e in quello più in alto ancora, che ha chiamato locali al terzo piano, in modo che il terzo ambiente da abitare s'ergesse dal basso in alto, è possibile in questo brano intendere le tre virtù che raccomanda l'Apostolo: fede, speranza e carità 140. Vi si possono molto più convenientemente individuare i tre gradi di fertilità secondo il Vangelo del trenta, sessanta e cento per uno in modo che in basso soggiorni la castità coniugale, sopra quella vedovile, in alto quella verginale e qualsiasi altro significato di alto valore che si può pensare e dire secondo la fede di questa città 141. Lo direi anche di altri modi d'intendere che si devono esporre in proposito perché, anche se sono commentati in forma diversa, si devono ricondurre all'accordo unitario della fede cattolica.

Il diluvio fra storia e simbolismo.
27. 1. Non si deve pensare che questi eventi siano stati tramandati senza un intento o che vi si deve ricercare soltanto la verità storica senza i vari significati allegorici, o al contrario che non sono avvenimenti ma esclusivamente metafore letterarie, o che qualunque ne sia il senso, non appartengono all'annuncio profetico della Chiesa. Soltanto uno stravagante può sostenere che sono stati scritti senza uno scopo libri conservati con tanta devozione per migliaia di anni nel rispetto di una regolare trasmissione o che in essi si deve tener conto soltanto degli avvenimenti. Per non parlar d'altro, se il numero degli animali costringeva a realizzare un così vasto ambiente dell'arca, niente costringeva a introdurre due e due animali immondi e sette e sette mondi 142. Anche di egual numero potevano esservi accolti gli uni e gli altri. Eppoi Dio, che aveva ordinato di conservarli per mantenere la specie, poteva riprodurli nel modo con cui li aveva già prodotti.

Il diluvio e la legge di gravità.
27. 2. Coloro i quali contestano che non sono fatti ma soltanto allegorie simboliche ritengono, prima di tutto, che non poté verificarsi un diluvio così imponente da far salire l'acqua di quindici cubiti sopra i monti più alti in considerazione della vetta del monte Olimpo. Dicono che sopra di esso non possono addensarsi le nubi perché è così in alto nella volta celeste che non si ha più l'atmosfera dotata di gravità in cui si producono venti, nuvole e piogge, ma non riflettono che v'era la terra, la quale di tutti gli elementi è la più dotata di gravità. Non negheranno certo che la vetta di un monte è terra. Non v'è ragione dunque di ribattere che fu possibile alla terra di elevarsi a quell'altezza e non fu possibile all'acqua se costoro, i quali conoscono la misura e il peso degli elementi, affermano che l'acqua è più in alto della terra perché più leggera. Non possono quindi addurre un motivo per cui la terra più pesante e più in basso abbia occupato per periodi di tanti anni uno spazio dell'atmosfera più immune da movimenti e che questo non fu permesso all'acqua più leggera e più in alto per almeno un breve periodo di tempo.

L'ampiezza dell'arca.
27. 3. Dicono anche che l'ampiezza dell'arca non poteva contenere tante specie di animali nei due sessi, due e due degli immondi, sette e sette dei mondi. Mi pare che costoro calcolano soltanto i trecento cubiti di lunghezza e i cinquanta di larghezza e non pensano che altrettanto ve n'è nel piano superiore e altrettanto nel piano più alto e che quindi quei cubiti moltiplicati per tre ne fanno novecento per centocinquanta. Se poi teniamo presente, come con un certo senso critico ha dimostrato Origene, che Mosè, uomo di Dio, come è detto nella Scrittura, istruito in tutta la sapienza degli Egiziani 143, i quali ebbero predilezione soprattutto per la geometria, ha potuto indicare i cubiti geometrici dei quali uno corrisponde a sei dei nostri, ognuno capisce che quell'ampiezza poteva contenere una gran quantità di cose. Cianciano a sproposito coloro i quali obiettano che non era possibile allestire l'arca di tanta ampiezza, sebbene sappiano che furono costruite città grandiose 144, e non tengono conto dei cento anni durante i quali l'arca fu costruita, a meno che una pietra si possa attaccare a un'altra saldata con la sola calcina in modo che un muro gira intorno per alcune miglia, mentre una tavola non possa essere attaccata a un'altra con spranghe, sbarre, chiodi, colla di bitume in modo da fabbricare l'arca protesa da linee rette, non curve, per lungo e per largo. Eppoi non doveva spingerla in mare lo sforzo di uomini, ma per la naturale legge di gravità la sollevava il flutto sopravveniente e affinché, mentre fluttuava, non subisse il naufragio possibile da ogni parte, la proteggeva di più la divina provvidenza che l'umana abilità.

Varie specie di animali.
27. 4. Abitualmente da alcuni con molta pedanteria si propone la domanda sulle bestiole più piccole, come topi e tarantole non solo ma anche cavallette, scarabei, mosche e infine pulci se nell'arca furono di un numero più grande di quello stabilito secondo l'ordine di Dio. Si devono avvertire coloro i quali si lasciano turbare da queste riflessioni che la frase: Quelli che strisciano sulla terra 145 si deve interpretare nel senso che non era necessario accogliere nell'arca gli animali che possono vivere nell'acqua, come pesci, ma anche quelli che vi galleggiano, come molti degli alati. Il comando: Saranno maschio e femmina 146 s'intende dato per la conservazione della specie. Perciò non era necessario che vi fossero gli animali che possono nascere senza accoppiamento da svariate sostanze o dalla loro decomposizione. Se v'erano, è possibile che fossero senza un numero definito come abitualmente sono nelle case. Nel caso poi che il mistero sacro che si compiva e l'allegoria di così alto significato non potevano verificarsi diversamente anche nella realtà storica se nell'arca non erano col numero determinato tutti gli animali che per legge di natura non possono vivere nell'acqua, questo non fu impegno di quell'uomo o di quegli uomini ma di Dio. Difatti Noè non li introduceva dopo averli catturati ma permetteva che venissero ed entrassero. In questo senso s'interpreta la frase: Verranno da te 147, quanto dire non per una azione dell'uomo ma per ordine di Dio. Si deve perciò ammettere che non v'erano animali privi di sesso. Era prescritto tassativamente: Saranno maschio e femmina. È diverso il caso di quegli animali che senza accoppiamento hanno origine da qualsiasi sostanza, poi si accoppiano e generano, come le mosche, e di quelli che non hanno la diversità di maschio e femmina, come le api. Sarebbe sorprendente che vi fossero stati gli animali che hanno il sesso ma non adatto ad avere il feto, come muli e mule. Bastava che vi fossero i loro genitori, cioè la specie delle cavalle e degli asini e altri animali che dalla commistione di specie diverse generano individui di altra specie. Ma se anche questo era di pertinenza del mistero, erano presenti. Anche questa specie ibrida ha il maschio e la femmina.

L'alimentazione nell'arca.
27. 5. Anche il quesito delle forme di alimentazione che potevano avere nell'arca gli animali, i quali, all'apparenza si nutrono soltanto di carne, mette in imbarazzo taluni. Si chiedono se, senza trasgredire l'ordine, vi fossero in sovrappiù animali che la necessità di nutrire gli altri aveva costretto ad introdurre nell'arca ovvero, ed è più attendibile, se fu possibile che oltre la carne vi fossero alimenti convenienti per tutti. Sappiamo infatti che molti animali abitualmente carnivori si nutrono di cereali e di frutta, soprattutto fichi e castagne. Non c'era da stupirsi se quell'uomo saggio e giusto, che anche per divino suggerimento sapeva ciò che a ciascuno conveniva, preparò e ammannì l'alimentazione conveniente a ogni specie. D'altronde la fame costringeva a cibarsi di tutto. E Dio poteva rendere gradevole e nutriente qualsiasi cibo perché Egli avrebbe anche potuto con divina compiacenza accordare che vivessero senza alimenti, se il fatto che si nutrissero non conveniva all'adempimento dell'allegoria di un sì grande mistero. Non è lecito ad alcuno, il quale non sia amante del diverbio, negare che tanti significati storici non siano pertinenti a simboleggiare la Chiesa. Infatti ormai i popoli, uomini mondi e immondi fino a che non si giunga al fine prestabilito, hanno popolato la Chiesa e vi sono accolti in un contesto di unità che, in base a questo significato assai evidente, non è lecito dubitare degli altri che sono espressi in forma un po' più oscura e sono meno comprensibili. Stando così le cose, nessun uomo, anche testardo, oserà pensare che questi eventi siano stati consegnati alla scrittura senza scopo, che non simboleggiano nulla se sono avvenuti o al contrario che sono simboli letterari e non avvenimenti storici e che non si può affermare con probabilità che sono pertinenti a simboleggiare la Chiesa. Si deve invece ammettere che con avvedutezza sono stati consegnati alla storia e alla letteratura, che sono fatti storici, che simboleggiano qualcosa e questo qualcosa è pertinente ad essere allegoria della Chiesa. Ormai il libro continuato fino a questo punto si deve chiudere per esaminare, dopo il diluvio e gli avvenimenti che seguirono, lo sviluppo delle due città, cioè di quella terrena che vive secondo l'uomo e di quella celeste che vive secondo Dio.