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2 - Storicità del Vangelo dell'infanzia

tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection

 

CAPITOLO II. — STORICITÀ DEL VANGELO DELL'INFANZIA

Rilievi preliminari. - Nei primi due capitoli del suo Vangelo S. Matteo espone la genealogia di Cristo, la nascita di Gesù, la venuta dei Magi, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti e il ritorno nel paese d'Israele. Luca riporta pure la genealogia del <t Figlio di Giuseppe ", ma la separa dai primi fatti della vita di Gesù. I suoi due primi capitoli contengono un prologo a tutto il Vangelo, l'annuncio della nascita di Giovanni Battista a Zaccaria, l'annunciazione della nascita di Gesù a Maria, la visita di Maria ad Elisabetta, la nascita di Gesù a Betlemme, l'omaggio dei pastori, la circoncisione, la purificazione al tempio, la vita a Nazareth, lo smarrimento di Gesù a Gerusalemme, il ritorno a Nazareth. Questi fatti costituiscono quello che ordinariamente vien detto Vangelo dell'Infanzia.

Questi fatti sono storici? Contro di essi la critica ha presentato argomenti che tendono a rovinare l'insieme delle testimonianze e i singoli fatti. Non possiamo studiare le difficoltà minute e neppure affrontare ad una ad una le obiezioni alla storicità globale di questi capitoli di Matteo e di Luca. Più avanti esamineremo dettagliatamente la concezione verginale. Il nostro scopo è di presentare delle ragioni positive che giustificano il credito che riconosciamo a queste pagine. Prima però precisiamo il problema.

In un libro, che nulla ha perduto del suo valore dimostrativo, (L'Enfance de Jésus-Christ d'aprés les évangiles cahoniques, Parigi 1908) il P. Durand, S. J., fa due rilievi, che l'apologista dovrà sempre avere sott'occhio.
l.o Riguar-do ai fatti. Né Luca né Matteo furono testimoni dei fatti; è pure possibile che la loro testimonianza si basi su fonti orali o scritte che non fossero in contatto così immediato con gli avvenimenti come il resto della storia evangelica. D'altra parte questi fatti ebbero pochi testimoni, e accaddero in un'epoca in cui Gesù non attirava l'attenzione pubblica.
2.o Riguardo al fine che deve raggiungere l'apologista. L'apologetica tende a provare il fatto cristiano e cattolico; ora questa prova è indipendente dalla storicità del Vangelo dell'infanzia perché, anche facendo concessioni al carattere di questo, non ne segue che tutto il valore storico degli altri racconti ne sia compromesso. Di conseguenza due vie sono possibili per provare la storicità di questi racconti: dimostrata l'autorità dottrinale della Chiesa cattolica con argomenti indipendenti dai primi capitoli di Matteo e di Luca, se ne accetta l'insegnamento infallibile circa l'infanzia del Signore; questa risposta generale basta per quelli che credono nell'infallibilità. Per gli altri, e anche per quelli che, pur inchinandosi, cercano di giustificare razionalmente questa credenza, bisogna ricorrere alla prova diretta.

§ 1. - L'autenticità dei racconti.

Prima di servirsi d'una testimonianza, bisogna stabilirne l'autenticità. Negano evidentemente l'attribuzione del Vangelo dell'infanzia a Luca e a Matteo tutti coloro che rigettano l'autenticità degli stessi Vangeli e che ne fanno una creazione anonima, proveniente dalle Chiese cristiane dei primi due secoli. Supponendo dunque dimostrata l'autenticità globale dei Vangeli di San Matteo e di San Luca, dimostriamo che non si ha il diritto di staccarne i primi capitoli

1. Prove esterne.
- a) I manoscritti e le versioni più antiche e più varie posseggono il testo di questi capitoli corrispondente a quello delle nostre edizioni critiche e nessun testo importante porta tracce di notevoli addizioni e trasformazioni.
- b) Gli autori ecclesiastici del secondo e del terzo secolo, come Giustino ed Ireneo, utilizzano e citano questi capitoli.
- c) Lo stesso fanno gli eretici Cerinto e Carpocrate e nel secondo secolo conosceva questi capitoli anche il pagano Celso (Cfr. Origene, Cantra Celsum, I, XXVIII, P.G. xi. 713; II, xxn, P.G. xv, 852).
- d) Marcione e gli Ebioniti rigettano i racconti dell'infanzia, ma a causa dei loro pregiudizi dominatici che contraddicevano con i fatti raccontati; ora l'antichità cristiana insorse contro queste mutuazioni. Ireneo, Adversus Haereses, I, XXVII, 2 (P.G. vii, 688). Ibid, III, xn, 7 (P.G. vii, 900); Tertulliano, Adv. Marcionem I, i (P.L. u, 242); IV, n (P.L. n, 363)
-e) In uno scritto siriaco dello pseudo-Eus'ebio c'è una notizia secondo cui nel 430 (118-119) sotto il regno di Adriano e il consolato di Severo e di Fulvio (120) e l'episcopato di Sisto vescovo di Roma (circa 115-125) sarebbe sorta una discussione sulla stella dei Magi. Cfr. Nestle, Einfùhrung in das Grie-chische Neue Testament, (Introduz. al N. T. greco) 2.a ed. 1899, p. 210; Th. Zahn; Einleitung in das Neue Testament, (Introduzione al N. T.) t. li, Lipsia, 1921, p. 273
- f) Nel Testamento dei dodici Patriarchii apocrifo giudaico interpolato da cristiani tra il 70 e il 135 d. C, vediamo spesso utilizzato Luca, ad esempio Le. 1, 15 = Ruben, MI, l9=Levi, VI; cfr. anche Lc. 1, 25=Levi. XVI; Lc. 1, 17=Levi. V.

Ecco dunque un primo risultato: all'inizio del secondo secolo sono noti i fatti del Vangelo dell'infanzia; a metà del secolo sono messi in relazione con i testi di Luca e di Matteo né mai si conobbe un testo di Luca e di Matteo che non contenesse questi capitoli.

2. Prove interne.

- A) Matteo. - 1. I primi due capitoli di Matteo sono un tutto omogeneo e coerente, con un solo scopo: dimostrare che Gesù è il Messia e confutare certe allegazioni giudaiche. Il capitolo secondo suppone il primo, perché al versetto 13 del secondo capitolo Giuseppe entra in scena senza essere stato presentato; il versetto 20 del primo capitolo dice che Giuseppe è figlio di Davide, come ha dimostrato la genealogia 1, 1-17; i dubbi di Giuseppe provocano la rivelazione che vien fatta dall'angelo sulla concezione verginale, I, 18-25; l'adorazione dei magi insospettisce Erode che provoca la strage degli innocenti e la fuga in Egitto.

2. I primi due capitoli sono intimamente collegati all'insieme del Vangelo. Il vocabolario, la grammatica e lo stile non differiscono punto dal resto; identica la presentazione dei fatti intimamente connessi con la predizione futura dell'Antico Testamento; la storia dell'infanzia è una preparazione e un riassunto degli sviluppi contenuti nei capitoli III-XXVIII. Nelle due sezioni l'evangelista vuole provare che Gesù è il Messia annunciato dai profeti e che Israele attende: Gesù è l'Emmanuele, annunciato da Isaia, 22, 23 = Is. 7, 14; nato a Betlemme, come aveva predetto Michea: 2, 6 = Mich. 5, 2; andò in Egitto e ne fu richiamato, com'era stato predetto da Osea: 2, 15 = Os. 11, 1; egli abita a Nazareth per adempiere le predizioni dei profeti. Lo stesso metodo si ritrova più oltre. Gesù è annunciato da un precursore: S, 1 = Is. 40, 3; andrà ad abitare a Cafarnao nella Galilea dei gentili: 4, 14 = Is. 9, 1-2; guarisce gli ammalati: 8, 16 = Is. 53, 4; predica in parabole: 13, 3 = Is. 6, 1.

In entrambe le parti il Vangelo fa vedere un Gesù povero e trionfante ad un tempo: si fa battezzare da Giovanni, ma lo Spirito lo glorifica; tentato dai demoni, vengono gli angeli a servirlo; vive povero, ma gli elementi, la malattia, la morte, gli spiriti gli sono sottomessi; a una morte ignominiosa succede una resurrezione folgorante. La stessa antitesi nei racconti dell'infanzia: è il figlio di Davide, nel seno d'una povera famiglia; viene alla luce in una stalla, ma la stella dall'Oriente conduce i Magi ai suoi piedi; fugge in Egitto, ma è temuto da Erode. Non c'è quindi motivo di negare all'autore del primo Vangelo la paternità di questi capitoli.

B) Luca. - L'appartenenza dei primi due capitoli all'opera di Luca è messa molto bene in evidenza da un autore non cattolico, al quale è difficile poter negare credito, Erich Klostermann, Das Lukasevangelium, in Handbuch zum Neuen Testament, 2.a ed. Tubinga 1929 p. 4, di cui riassumo il testo con qualche chiarificazione. Data l'unità che la menzione dei tempi imprime ai capitoli (1, 26. 39. 56; 2, 1. 21 s. 42) e il parallelismo del contenuto, almeno per i capitoli I-II e IV-V, bisogna riconoscere che tutti i brani sono coerenti; inoltre portano allo stesso risultato il legame continuo delle scene particolari e la somiglianza nella forma del racconto, la lingua in genere molto semitizzante, specialmente negli inni, le finali 1, 80 e 2, 40; 2, 52, che si corrispondono; infine il carattere generale (qui Klostermann fa suo il giudizio del celebre esegeta J. Weiss): mentre Matteo nel suo Vangelo dell'infanzia rivela tendenze apologetiche e dommatiche, Luca ci racconta un placido idillio. I racconti non hanno altro scopo che se stessi nella loro bellezza edificante; è supposto come noto tutto quello che è locale e giudaico. Così la mentalità di un cristiano venuto dal giudaismo si manifesta nei sentimenti di una famiglia senza figli (1, 25, 36), nell'ideale di pietà (2, 21 s. 25. 36 s. 41) e specialmente nella concezione generale dell'apparizione di Gesù (1, 32 s. 71. 74; 2, 10. 31).

L'analisi dei libri conferma dunque l'esame delle prove esterne. Rigettare i capitoli che raccontano l'infanzia del Signore significa mutilare i libri che li riportano. Ma i fatti sono reali?

§2.-1.0 storicità dei fatti.

1. Argomento generale. - Se Matteo e Luca accettarono nel loro Vangelo il racconto di fatti che, a quanto pare, non facevano parte della catechesi primitiva della Chiesa, è perché consideravano questi fatti come storici. Non è più il tempo in cui si dubitava della sincerità dei Vangeli, " Noi dunque, dice giudiziosamente il P. Lagrange (Evangile selon saint Matthieu, Parigi, 1923, p. 43) concludiamo che il capitolo II di Alt., se isolato, non presenta un aspetto storico da sfidare la critica, deve almeno beneficiare del carattere di tutta l'opera. Tito Livio manifesta chiaramente di non credere alla storia di Romolo e di Remo; perfino Erodoto dalle origini di Ciro elimina la cagna che lo avrebbe allattato; se Mt., che in tutto il suo Vangelo riporta seriamente e coscienziosamente i fatti, espone quelli dell'infanzia come se fossero reali alla pari degli altri, non abbiamo il diritto di smentirlo ". Ciò che è vero di Matteo, lo è a fortiori dell'evangelista Luca il quale in tutto il suo racconto si dimostra storico eccellente. Il prologo contiene una dichiarazione molto netta: conosce i precedenti tentativi, l'inchiesta sarà molto accurata e riporterà tutti i fatti cominciando dal principio. Luca esporrà i risultati di quest'inchiesta con ordine e lo scopo che egli di proposito si prefigge (basare su tali fatti la catechesi cristiana) gl'impone di accettare solo racconti incontestabilmente accertati. Fu detto e ripetuto che la nostra coscienza del cristianesimo sarebbe assai difettosa senza il terzo Vangelo (Cfr. V. Taylor, The Gospel. A short Introduction, 2.a ed. Londra, 1933, p. 86). Se confrontiamo i racconti dell'infanzia di Matteo e di Luca vediamo chiaramente che quest'ultimo ha un carattere biografico più accentuato. Matteo non offre che episodi; Luca segue i fatti; Matteo è preoccupato di una tesi e d'una polemica; Luca conserva al racconto un tono sereno, pieno d'incanto e di dolcezza. Passiamo ora a un'analisi più particolareggiata.

2. Le fonti. - Né Matteo né Luca furono testimoni dei fatti che raccontano, ma dipendono dalle loro fonti orali e forse scritte. Anche qui occorre precisare bene il problema. Supponendo ammesso che Matteo e Luca abbiano utilizzato fonti scritte, non è verisimile che tutta la loro conoscenza dei fatti dell'infanzia di Gesù sia venuta loro da uno o più documenti. Questi racconti erano un patrimonio delle comunità e ne esprimevano la fede. Matteo e Luca avevano le loro informazioni da una tradizione e accettarono il documento solo in funzione di questa fede.

a) Matteo. - I negatori della verità dei fatti pretendono che Matteo o l'ultimo redattore si sia fatto l'eco di una dimostrazione della messianità di Gesù in base ai testi dell'Antico Testamento. Nelle comunità giudaiche a poco a poco sarebbe stata creata una biografia di Gesù lèggendo i libri antichi e attribuendo una realtà a fatti non mai esistiti fuori dell'annuncio dei profeti. Nessuno attribuisce a Matteo la volontà di mentire o di creare; semplicemente si fece l'interprete di sogni anonimi.

Questo punto di vista suppone che la tradizione, fonte di Matteo, sia stata creata sotto la spinta dei testi dell'Antico Testamento. Il primo evangelista può certo giustamente essere considerato come un buon apologista giudaico, che indulge alle esigenze intellettuali dei suoi contemporanei; la storia di Gesù è provvidenziale, perché nella sua vita e nella sua dottrina tutto risponde alle esigenze degli scritti sacri. Ma perché la profezia possa creare la credenza deve essere chiara, nota alle comunità e legata alla fede da un nesso evidente di causa ad effetto. Ora quante volte non si è rimproverato a Matteo di legare i fatti ai testi antichi con un sottile legame? La stella può essere debitrice della sua origine alla profezia di Balaam dove il re è figurato con una stella (Num. 24, 17)? Gesù dovette andare in Egitto perché c'era stato Israele? Gl'innocenti dovettero essere massacrati perché Rachele aveva pianto sulla deportazione dei suoi figli?

La spiegazione più naturale dirà che Matteo o l'apologetica giudaica, se si vogliono moltiplicare i casi, cercò nelle Scritture un certo numero d'analogie per illustrare i fatti reali. L'evangelista si mostra meno preoccupato di accertare la realtà che di sottolinearne l'importanza. Questo metodo non risponde certo alle nostre esigenze intellettuali contemporanee, ma si adattava ai destinatari del Vangelo, unico punto di vista da cui dobbiamo giudicare. La tradizione, che qui si mostra diffusa negli ambienti giudaici o giudeo cristiani, da chi fu creata, se non dagli oracoli profetici? Si dice: dai racconti del folklore! Noi esamineremo questa risposta dopo aver consultato la testimonianza di Luca.

b) Luca. - Molto più spinosa è la questione delle fonti di Luca. V. Hard tur synoptischen Frage. Schliesst Lukas durck 1, 1-3 die Benutzung des Matthàus ausi [Contributi alla quest. sinottica: Luca nel passo 1, 1-3 esclude l'utilizzazione di Matteo?] in Biblische Zeitschrift, t. XIII 1915, pp. 334-337) sostiene che Luca conobbe i primi capitoli e ne tenne conto per completarli. Questo però non è il parere del P. Lagrange, che inclina a credere che Luca non abbia conosciuto i primi capitoli di Matteo (Evangile selon saint Lue, Parigi, 1921, p. 92; cfr. J. Lebreton, La vìe et l'enseignement de Jésus-Christ Nostre Seigneur, t. i, Parigi, 1931, p. 46).

Messa da parte questa relazione tra il primo e il terzo evangelista, dobbiamo chiederci se Luca dipenda da una fonte scritta. Alcuni critici rifiutano questo esame. S. Antoniadis (L'Evangile de Lue. Esquisse de grammaire et de style. Collection de l'Institute néo-hellénique de l'Université de Paris. Parigi, 1930, p. 391) scrive: " Qui non sarà studiata la questione delle fonti di Luca, perché è uno dei problemi dove la critica può fare le più ingegnose invenzioni senza mai provare nulla. Parlare di quello che ci offre il testo è già un soggetto ricco e che porta in se stesso i suoi dati e le sue prove ". Il Padre Lagrange scioglie la questione delle fonti scritte negativamente (Evangile selon saint Lue. p. lxxxix) : " Nulla autorizza la critica a distinguere qui un intermediario scritto tra la tradizione orale e l'autore del terzo Vangelo ". Dello stesso parere sono il P. Médebielle, Annonciation, in Dictionnaire de la Bible. Supplement, t. i, col. 268 e il P. Prat, Jésus-Christ. Sa vie, sa doctrine, son oeuvre, t. i, Paris 1933, p. 25: a Se (Luca) scrisse in stile biblico i primi due capitoli del suo Vangelo, questo non prova che li abbia tradotti da un documento ebraico o aramaico, ma che gli era abbastanza familiare con la versione greca della Bibbia per imitarne la edizione " (Cfr. ivi 1.1, p. 115).

Durand, Dalman, Plummer, Taylor, J. Gresham Machen, Lebreton invece ammettono che l'ipotesi d'una fonte scritta "spiega meglio le particolarità di lingua e di costruzione che si notano in questi due capitoli " (Lebreton, O. e; t i, p. 33). Bisogna proprio riconoscere che gli aramaismi e gli ebraismi sono più numerosi in questi capitoli che in qualsiasi altro luogo di Luca; le citazioni e le frequenti utilizzazioni dell'Antico Testamento, la conoscenza del culto, del tempio e delle cerimonie, l'identificazione al modo giudaico dei personaggi (Zaccaria della classe di Abia, Elisabetta della tribù di Aaron, Anna figlia di Fanuel, della tribù di Aser), particolari che non interessano affatto il lettore, si spiegano più facilmente ricorrendo a una fonte scritta. In questa ipotesi si spiegherebbero meglio le tracce di particolarismi che Luca, discepolo di Paolo, l'apostolo dell'universalismo, lasciò in questi capitoli (1, 32. 33. 68. 69. 71. 73. 74).

In ogni modo la presente questione non può far deviare l'essenziale del dibattito. Anche se Luca ha riprodotto un originale greco, tradotto un testo semitico, o composto uno scritto giudaico secondo una tradizione orale imitandone il vocabolario, lo stile, il ritmo, le leggi di composizioni letterarie con parallelismo, e quindi ha dato un colore locale alla sua narrazione, tuttavia egli lasciò l'impronta della sua mano e la caratteristica del suo spirito. Se si ammette un documento anteriore si diminuisce di altrettanto la distanza tra il teste e i fatti, però facendolo suo, Luca gli dette una garanzia supplementare non trascurabile. Verso il 60, nei due anni trascorsi da Paolo in prigione a Cesarea di Palestina, Luca potè facilmente informarsi sugli atti del Salvatore: incontrò testi oculari, parenti di Gesù, vegliardi che potevano ricordarne l'infanzia; era possibile che Maria fosse ancora in vita; ad ogni modo né Maria, né Elisabetta, né Anna erano scomparse senza aver comunicato i segreti e le meraviglie della nascita ai fedeli e specialmente alle sante donne che nel Vangelo seguivano il Signore e comparivano in compagnia di Maria. Ora, come fu spesso notato, le donne hanno una parte importante nel terzo Vangelo. " Il racconto di San Matteo è concepito dal punto di vista di San Giuseppe: a lui l'angelo di Dio appare costantemente; invece in san Luca dal principio alla fine la Madre di Gesù rimane il personaggio principale della scena; vi compare tra Elisabetta e Anna, che hanno il compito di proclamarne le grandezze. Oltre Maria, madre di Giacomo e di Giuseppe, e Maddalena, conosciuta dai primi tre evangelisti, Luca ricorda anche Susanna, Marta, sorella di Maria e Giovanna, moglie di Chuza, l'intendente del tetrarca Erode. Molti miracoli, riferiti solo dal terzo Vangelo, sono fatti in favore di donne : la vedova di Naim, la peccatrice dell'ottavo capitolo, la liberazione della Maddalena, la donna guarita dal male che la tormentava da diciotto anni; vi sono anche parecchie scene dove le donne sono in primo piano: l'obolo della vedova, la parabola del giudice iniquo; le figlie di Gerusalemme che compiangono Gesù, l'ospitalità ricevuta in casa di Marta e di Maria, la donna che proclama beata la madre di Gesù. Lo stesso rilievo fu fatto per il libro degli Atti " (Durand, O. e, p. 139-140).

In ogni caso san Luca o la sua fonte attinsero i minuti particolari, che caratterizzano il racconto dell'infanzia, da un ambiente molto intimo alla Vergine o da Lei stessa. Infatti il terzo Vangelo non si limita a ricordare le parole dell'Angelo e di Maria nell'Annunciazione, ma sa anche che la Vergine fu turbata dagli elogi del saluto; riferendo l'episodio di Simeone, nota l'ammirazione di Maria davanti alle visioni profetiche del vegliardo; per Betlemme e Nazareth Luca specifica due volte (Lue. 2, 19. 51) die la madre conservava il ricordo di tutte queste cose nel suo cuore, per ricordarsene e ripensarle con amore e raccontarle più tardi; infine quando il fanciullo è ritrovato nel Tempio, i genitori non capiscono il contenuto della parola di Gesù (Le. 2, 50). Godet, Zahn, Plummer, Ramsay, Sandy, Harnarck, per citare solo i protestanti, ammettono che i racconti evangelici risalgono al circolo che attorniava Maria.

3. Prodotto del folklore. - Se è così diventa certo molto difficile pensare che questi racconti siano stati creati attraverso il folklore. Infatti, secondo alcuni critici, la fede nella messianità di Gesù prodotta dalla fede nella sua resurrezione, avrebbe persuaso i fedeli ad attribuire a Cristo un'origine diversa da quella degli altri uomini. Sotto la pressione dell'idealizzazione sentimentale e della devozione della Chiesa antica, alcune leggende riguardanti grandi uomini, come Sargon, Ciro, Romolo, o anche i miti buddistici, i misteri mitriaci, e le credenze babilonesi, avrebbero servito come sustrato alla credenza cristiana; ma queste posizioni sono troppo spesso ispirate da sistemi filosofici nei quali viene assolutamente proscritto il soprannaturale.

Occorre notare che i seguaci di queste ipotesi sono gli stessi che rigettano l'autenticità dei capitoli, per avere a disposizione un lasso di tempo sufficiente perché abbia a sbocciare e svilupparsi questa sintesi pagano-cristiana; però possiamo chiedere loro perché i racconti di Matteo e di Luca portino l'impronta della semplicità e della sobrietà e riflettano uno stato della credenza cristiana meno sviluppato di quello delle Lettere di Paolo o del Vangelo di Giovanni. Perché fecero uscire Gesù da una famiglia povera, e lo fanno nascere in una stalla? Perché dargli una mangiatoia come culla, un'umile casa per dimora? Perché lasciarono sussistere tanti tratti che sentono di particolarismo dopo che l'universalismo di Paolo aveva trionfato definitivamente? Perché il Verbo di Dio, raggiante di gloria e verità, si presta alle vessazioni di Erode, e ai disagi della fuga in Egitto? D'altra parte il racconto di Luca rivela un'arte consumata. " Questi racconti e i cantici che racchiudono fanno rivivere non il cristianesimo già maturo, che Luca aveva sotto gli occhi quando componeva il suo Vangelo, ma le prime mosse dell'era messianica e i primi raggi dell'aurora " (Lebreton, ivi, p. 83).

D'altronde " la storia di Giovanni Battista e quella di Gesù sono collegate secondo le regole del parallelismo, le quali però, lungi dall'esigere somiglianzà perfetta, danno rilievo al pensiero solo con certi contrasti, che si percepiscono tanto più facilmente quanto più l'andamento è parallelo. La storia di Giovanni e quella di Gesù raccontano gli stessi fatti, ma con lineamenti tali da dare a ciascuna vita un vero carattere e anche in modo che una è subordinata all'altra e, se Giovanni appare tanto grande, ciò è solo per far risaltare la grandezza incomparabile di Gesù. L'angelo Gabriele appare a Zac-caria, padre di Giovanni, e a Maria, Madre di Gesù: Zaccaria domanda spiegazioni, Maria vuole essere illuminata. Le due madri s'incontrano; Elisabetta saluta Maria e Giovanni trasalisce di gioia per la presenza di Gesù. I due racconti qui sono certamente connessi, ma solo l'uno conduce all'altro " (Lagrange, L'Evangile selon saint Lue, p. lxxxviii). Ora questo carattere artistico del fondo e della forma in Luca, come l'impronta di storia provvidenziale data da Matteo al suo racconto, fanno vedere che i redattori di questi racconti sono personalità capaci di dare ai fatti attinti dalla tradizione un andamento e un significato particolare. Attribuire loro, da una parte, forza di pensiero poco comune, perfetto tatto nelle narrazioni difficili, senso storico ignoto agli antichi e, dall'altra parte, credulità eccessiva, ingenuità illimitata o una facoltà creatrice di fatti leggendari significa unire in una sola persona attributi contraddittori, ignorati dalla realtà; se Luca e Matteo vollero fare della storia e dell'apologetica, o controllarono sulle migliori fonti i fatti che riferiscono, o hanno voluto ingannarci.

4. L'armonia tra Matteo e Luca e il silenzio di Marco.

- La più forte obiezione, l'unica vera difficoltà contro la storicità dei racconti, viene dagli stessi evangelisti, a) All'interno dei loro vangeli non tradiscono forse uno stato di credenza che esclude la verità dei loro primi capitoli? Il precursore che compare in Le. 7, 19, = Mt. 11, 8 e non sembra conoscere il carattere intimo di Gesù, è colui che in Le. 1, 44 riconosce la sua inferiorità davanti alla Madre del Messia? La parentela di Gesù è proprio la stessa sia quando appare nella vita pubblica e sia nei primi capitoli dove tutto la portava a riconoscere il carattere soprannaturale della nascita e della missione di Lui? b) Antichi e moderni si preoccupano dell'accordo tra Matteo e Luca. Luca non conosceva né imagi, né la strage degl'innocenti, né la fuga in Egitto. Secondo Matteo Gesù è di Nazareth solo accidentalmente. Egli è betlemita di diritto, e) Infine se la nascita di Gesù fu tanto meravigliosa, come poteva un evangelista omettere questi racconti essenziali?

Risposta. - a) Tra la nascita e la vita pubblica di Gesù trascorrono circa trent'anni. La parentela dovette sapere qualcosa delle meraviglie che ne avevano accompagnato la nascita, ma le era certamente sfuggito il senso profondo del mistero, " Constatando ogni giorno che egli non si distingueva dagli altri fanciulli, arrivarono al punto di non attendere più nulla di straordinario da lui " (Durand, ivi, p. 145). Né Luca né Marco videro contraddizioni nel loro racconio e specialmente il caso di Giovanni è molto comprensibile, poiché il precursore sulla missione messianica di Gesù non aveva ricevuto abbastanza lumi onde la sua anima impaziente potesse cogliere il modo dolce e lento del pacifico rinnovatore.

b) Tra Matteo e Luca non c'è affatto contraddizione. I punti di vista sono diversi, nessun evangelista, tanto qui che altrove, intendeva raccontare tutti i fatti, dei quali fecero una scelta ispirata dallo scopo cui miravano o dalla destinazione del loro scritto. Matteo, preoccupato1 com'è di far vedere la discendenza davidica, spiegherà come Gesù possa essere detto nazzareno, essendo nato a Betlemme. Luca potè avere motivi a noi ignoti di conservare il silenzio sui Magi, che comporta quello sulla fuga in Egitto e sulla strage degl'innocenti. L'accordo fondamentale sulla nascita verginale ha un peso enorme dopo le divergenze accidentali, né si dimentichi che, se i cristiani ricevettero le due narrazioni, è perché esse attingevano a un fondo comune, in intimo contatto con la realtà. Scrive Durand: " Occorre molta discrezione quando si tratta di dire, non già ciò che un autore ha conosciuto, ma ciò che ha ignorato, perché ha messo questo nel tal posto piuttosto che in quell'altro, e specialmente per quale motivo tace mentre, secondo ogni verisimiglianza, poteva parlare... Spesso c'è più saggezza nell'ignorare che nell'affettare un sapere di cattiva lega. Qui le soluzioni facili e il tono apodittico sono un pregiudizio sfavorevole "(ivi pp. 212-213).

c) II silenzio di Marco, che bisogna avvicinare a quello di Giovanni e di Paolo, si spiega facilmente, avendo lo scopo di riportare la catechesi cristiana; e se i fatti dell'infanzia pungono la nostra curiosità, non hanno però il carattere pubblico della predicazione, della morte e della resurrezione di Gesù.

5. Il confronto con i vangeli apocrifi. - Per escludere l'autorità storica dei primi capitoli di Matteo e di Luca, essi furono relegati al livello della produzione apocrifica del secondò secolo, che nei racconti dell'infanzia tendono a introdurre il meraviglioso a profusione. Un confronto, anche solo superficiale, mette in risalto la differenza che distingue una perla dall'imitazione volgare. La scoperta recente di un brano d'un vangelo apocrifo mostra che questo genere di letteratura si diffuse molto presto tra i cristiani. Il Protovangelo di Giacomo fa di Maria la figlia d'un ricco giudeo, la fa restare al Tempio durante tutta la giovinezza, la fa nutrire da mani angeliche, a quattordici anni le fa rifiutare il matrimonio che le è proposto e, per deciderla, occorre il miracolo del bastone di Giuseppe che sarebbe fiorito o sarebbe venuta una colomba a posarsi sul capo del vegliardo. Il falso si rivela ancor più grossolano nel racconto della nascita: Un'ostetrica, Salome, vuoi accertarsi della verginità di Maria dopo il parto ma resta con la mano disseccata, che però viene guarita al tocco del Fanciullo Gesù. Nel Vangelo di Tommaso Gesù Bambino plasma uccelli d'argilla in giorno di sabato, ed egli se ne giustifica comandando loro di volarsene via; un bambino muore per averlo urtato involontariamente; Giuseppe per due volte corregge Gesù per i suoi capricci. Il Vangelo arabo dell'infanzia è ripieno di storie ridicole e amplifica gli altri apocrifi. Questi racconti insomma portano impresso il segno dell'invenzione tanto da non poter essere accolti dalla coscienza cristiana.

Conclusione. - Imponendo ai fedeli di credere ai fatti contenuti nel vangelo dell'infanzia, la Chiesa non abusa della sua autorità dottrinale e la pratica del suo diritto riposa su basi razionali incontestabili. Le narrazioni dell'infanzia appartengono a opere storiche e beneficiano del loro credito. I credenti non ammettono soltanto la realtà di questi fatti, perché la Chiesa li insegna; essi trovano una giustificazione sufficiente nella testimonianza di Matteo e di Luca.