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3. Origine della credenza. - Allo storico delle idee che cerca i fattori determinanti la fede di Matteo e di Luca, si presentano tre ipotesi. 1. Le idee possono provenire dall'ambiente greco, attraverso una contaminazione del dato cristiano con le leggende pagane; 2. Possono derivare da centri giudeo-cristiani; 3. Possono essere il prodotto della coscienza cristiana.

1. Gl'influssi greci. - Tra gli influssi pagani che poterono avere qualche relazione con la tradizione cristiana, riteniamo soltanto quello dell'ellenismo. Il problema degl'influssi, per avere qualche significato, deve restare nel concreto. Poco importa che gli Australiani o altre popolazioni possano immaginare una concezione senza unione, non avendo questi casi nulla a che fare con noi. Né bisogna dimenticare che la concezione di Gesù non è la produzione di un essere umano, divinizzato in seguito, ma l'incarnazione d'un Dio preesistente. La natura umana riceve l'esistenza non per generazione avvenuta mediante un Dio e una donna, bensì Maria genera soltanto per l'operazione divina, che supplisce miracolosamente l'unione materiale; né c'è produzione d'una nuova divinità, essendo il cristiano monoteista quanto il giudeo. (Cfr. M. J. Lagrange, La Conception surnaturelle du Christ d'après saint Lue, in Revue biblique, 1914, p. 196).

Fatta questa premessa affrontiamo la teoria delle fonti elleniche. a Nel mondo greco-romano, dice Guignebert, si scoprono le analogie più sorprendenti con la storia miracolosa di Gesù " (o. e., p. 135): Perseo nacque dalla vergine Danae e da una pioggia d'oro; Nana, madre di Attis, è incinta perché ha mangiato un frutto di melograno; i grandi uomini come Piatone, Pitagora, Augusto nascono per partenogenesi o per l'intervento d'un Dio. Su queste prove Guignebert basa il seguente ragionamento: "Si capisce molto bene come in ambienti dove circolano tante storie di questo genere, i cristiani, preoccupati di dare una prova decisiva della fondatezza della loro fede nel carattere divino di Gesù, abbiano molto naturalmente pensato alle narrazioni usate per far riconoscere gli uomini segnati del suggello della Divinità. Si sa che in simili casi non c'è un'imitazione cosciente d'una storia determinata, ma c'è l'influsso di una certa atmosfera di credulità. È un fenomeno che troviamo spesso " (ivi, p. 135).

(3) Per stimmatizzare ancora una volta la maniera di Guignebert aggiungo che nei tre passi da lui citati : 1,45 ; 6,42 ; 7,3-5 nulla autorizza a scrivere che Giovanni " non si lascia sfuggire un'occasione " per proclamare che Gesù è figlio di Giuseppe. In 1,45 è Filippo che dice a Natanaele : Abbiamo trovato colui del quale Mosè e i profeti hanno scritto : è Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazareth ; in 6,42 i Giudei mormorano e si chiedono come Gesù possa pretendere di discendere dal cielo, mentre si conoscono suo padre e sua madre: è il figlio di Giuseppe; in 7,3-5, citato solo per fare impressione sul lettore che non andrà a verificare, si tratta dei fratelli del Signore, ma è ima questione completamente diversa. Dunque nei due casi dove Giovanni adopera il termine " figlio di Giuseppe ", lo fa per riportare le parole altrui, dimostrando chiaramente di trasmettere l'opinione altrui, senza tuttavia doverla far sua.

Contro questa teoria ci limitiamo ad alcuni argomenti decisivi.
1.o Tra le leggende pagane e la tradizione cristiana c'è tale contrasto, che l'influsso dovuto a un prestito è assolutamente inverosimile. L'idea di verginità era talmente estranea e cosi poco in onore nella mentalità del mondo pagano che non poteva venire da essa;
2.o la tradizione cristiana è immune dal mito pagano;
3.o lungi dall'attribuirgli una deificazione al modo dei pagani, i cristiani lasciarono al loro fondatore una nascita povera e oscura;
4.o l'incarnazione di un Dio preesistente è ignota al paganesimo;
5.o l'analogia con i grandi uomini superficialissima: Piatone ad esempio assomiglia a Gesù unicamente perché Aristione, come Giuseppe, non interviene nella sua concezione. Tutte le leggende pagane suppongono l'azione maritale compiuta dal dio e dal suo fantasma (cfr. Lagrange, Evangile selon saint Matlhieu, p. 44);
6.0 un domma creato in terra greca avrebbe potuto essere accolto nelle comunità palestinesi senza incontrare resistenza? Al contrario, come luogo d'origine, i testi rivelano un ambiente giudeo-cristiano.

Gl'influssi giudaici. - Eliminato l'ambiente pagano, è difficile ricorrere a un influsso puramente giudaico. Però i racconti di Matteo e di Luca hanno tracce incancellabili del vocabolario e di frasi semitiche, alludono a usi e persone che non interessano i cristiani ellenisti; Matteo suppone e non spiega le consuetudini matrimoniali; Luca, anche se non prende da una fonte scritta continua, si basa su documenti di provenienza palestinese, come il Magnificat, il Benedictus, il Nunc dimillis, la genealogia di Cristo. Però, come ammette anche il Guignebert, la Palestina non è un ambiente già favorevolmente disposto a ricevere un domma cosi nuovo, non avendo i Giudei nelle loro credenze nulla che li predisponga ad ammettere che una donna possa restar vergine nel partorire un figlio. Unico testo citabile è quello di Isaia 7, 14: " Ecco una donna non maritata è incinta e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele ".
Ma nessun passo delle tradizioni messianiche posteriori all'esilio, presenta il Messia come dovesse nascere da una Vergine, e soprattutto mai come un Dio fatto uomo.
Prodotto della coscienza cristiana? - Eccoci dunque ridotti a un ambiente cristiano e più precisamente palestinese. Vi sono due teorie.
Harnack sostenne che i cristiani, convinti che il loro Cristo fosse nato dallo Spirito di Dio nel battesimo, e leggendo in greco la profezia d'Isaia dove la parola ebraica almah (Guignebert, non sappiamo perché, scrive sempre Halamah) vien tradotta parthènos, cioè una vergine, proiettarono la profezia mal compresa nel campo della realtà e legarono le loro convinzioni anteriori a quest'esegesi d'Isaia. Qui Guignebert non è lontano dalla verità quando scrive: a Isaia potè venir considerato testimonio profetico decisivo del segno miracoloso ma non fu lui a suggerirlo " (p. 138), perché tanto gli oracoli sul servo di Jahvé, quanto la profezia delI'Emmanueie pare che non fossero familiari ai contemporanei di Gesù.

La seconda teoria, patrocinata da Loisy e Guignebert, vuole che si parta dalla credenza cristiana nella divinità di Gesù per collegarvi la sua nascita verginale quale conseguenza: avendo Dio come padre, non ha ascendenti umani; di qui tutta la storia registrata in Matteo e Luca. Notiamo che tra la morte di Gesù verso l'anno 30 e lo sbocciare di queste storie verso l'8O, al dire di Guignebert (p. 140), c'è ben poco tempo: la prima generazione cristiana non era scomparsa completamente e se essa potè credere alla resurrezione di Gesù poco dopo la morte di Cristo, era necessario un certo tempo per divinizzarlo, lavoro che era finito verso il 50, data delle prime lettere paoline; ma, secondo il sistema critico, Paolo non conosce le leggende di Luca e di Matteo che anzi si contraddicono. Bisogna dunque supporre che in poche decine d'anni sia stato possibile diffondere in tutte le comunità la fede nella concezione verginale e abbellirla con racconti divergenti inventati di sana pianta.

Si pretende appoggiare questa spiegazione sopra un testo e sopra un fatto. Il testo è quello di Le. 1, 35b, di cui bisogna presentare almeno due traduzioni:

l.a " Perciò quel che di santo nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio "; 2.a " Perciò il bambino sarà chiamato santo, Figlio di Dio ", o ancora: a Perciò il bambino sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio ". In tutte queste espressioni Figlio di Dio può significare la natura divina di Gesù, ma numerosi commentatori non giungono fino qui, poiché le parole dell'angelo farebbero soltanto " un'allusione alla natura divina di Gesù, più che una reale affermazione ipostatica " (cfr. L. Marchal, Evangile selon saint Lue, nella Sainte Bible, edita da R. Pirot, t. x, Parigi, 1935, p. 30). Inoltre in tutte le espressioni il " perciò " indica una causalità. Se si ammette la prima traduzione, il legame di causalità viene rafforzato: la concezione verginale è la fonte della filiazione divina di Gesù; nel secondo caso la concezione verginale è prima di tutto fonte di santità, a e il legame di causalità che lega strettamente la santità all'azione dello Spirito Santo, si rallenta e indebolisce relativamente alla filiazione ". Non occorre che noi prendiamo posizione nella disputa, poiché, s'intenda 1, 35b in un senso o nell'altro, è chiaro che, in nessuna interpretazione la concezione verginale è il risultato della credenza nella filiazione divina; il rapporto è inverso: Gesù è chiamato figlio di Dio perché nato da una vergine. Il testo dice espressamente questo e più ancora: Luca al versetto 32 aveva già detto: " Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo ": non si deve quindi intendere la relazione di causalità tra filiazione e verginità di Maria come se l'esistenza della filiazione già proclamata dipendesse dalla nascita verginale, ma, grazie alla concezione verginale, Dio dimostrerà che il santo, causato dall'intervento dello Spirito, sarà suo Figlio per un titolo specialissimo. Il legame è quindi nella conoscenza: " sarà riconosciuto, vocabitur, dalla concezione verginale che... ", e nel fatto: un bambino concepito in questo modo ha Dio come padre in un modo tutto speciale, anche se non è figlio di Dio in tutta la forza del termine. Secondariamente Matteo, come Luca, riferisce in modo esplicito la nascita verginale, ma non allude affatto alla filiazione divina. Lungi quindi dal trovare un appoggio nel testo, la spiegazione evoluzionistica urta contro la testimonianza del Vangelo.

Ed ecco il fatto : " Gli ebioniti che conservarono almeno una parte delle tradizioni primitive, tanto da figurare come eretici dal secondo secolo in poi, respingevano la dottrina della concezione verginale. Su questo punto abbiamo le testimonianze formali di Giustino e d'Epifanio (Giust., Dial., 48, 4; Epifanio, Haereses, 30, 14; cfr. Guignebert, o. e, p. 132). Questo compendio è di quelli che falsano la visuale storica. Che si vuole provare? che in seno al cristianesimo c'erano due correnti: l'una che fini col creare la fede nella concezione verginale, l'altra che continuò la tradizione primitiva e confutò questa credenza. Ma non fu mai provato che gli ebioniti si collegasiaro a una tradizione più antica e i Padri, che ci trasmisero qualche notizia sulla loro setta, li collegano a Cerinto e distinguono molto nettamente tra i gruppi ebioniti; alcuni sono ortodossi, e continuano la tradizione giudeo-cristiana della Chiesa primitiva; gli altri sono eretici e professano, tra gli altri, l'errore di credere che Gesù nacque come un altro uomo. L'insieme della loro dottrina si delinea nettamente come un'alterazione d'un dato primitivo, che li condusse allo gnosticismo. L'opposizione di Cerinto al dato primitivo gli era imposta dalle sue idee teologiche: tutto il corporeo è impuro; in Gesù lo spirituale viene da Dio, il materiale può avere origine solo da una normale unione tra Giuseppe e Maria (4).

Conclusione. - Ammessa l'insufficienza della spiegazione ellenistica e giudaica della credenza cristiana è dunque vano cercare in seno al cristianesimo una spiegazione diversa da quella suggerita dagli evangelisti e specialmente da Luca: la fede viene dalla testimonianza di fonti autorizzate, che hanno la loro origine ultima solo in colei che " conservava tutte queste cose nel suo cuore ", cioè la Vergine Maria.