00 03/09/2009 09:31

Adesso vi cito un articolo dello stesso San Tommaso che mette molto bene in luce questa distinzione tra la teologia e filosofia, è nella prima parte della "Summa Theologiae" (quando dico "Summa" è sempre Theologiae, altrimenti dico "Contra Gentes"), quindi nella prima parte della "Summa", questione 32, articolo 1, (San Tommaso è molto sostanziale, senza fronzoli, però bello), San Tommaso dice: "Impossibile est per rationem naturalem ad cognitonem Trinitatis divinarum Personarum pervenire", è impossibile tramite la ragione naturale giungere alla cognizione della Trinità delle Divine Persone. Veramente San Anselmo tranquillamente pensava che si potesse pensare questa verità con la ragione, San Tommaso dice di no.

È impossibile per principio che la ragione umana giunga alla conoscenza della Trinità delle Persone Divine. E aggiunge: "Per rationem naturalem conosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non ea quae pertinent ad distintionem Personarum", cioè tramite la ragione, con l’aiuto della ragione naturale, si possono conoscere di Dio tutte quelle cose che riguardano l’unità della sua essenza, non quelle cose che riguardano la distinzione delle Divine Persone. Poi dice: "Qui autem", bella questa osservazione: "Qui autem provare nititur Trinitatem Personarum naturali ratione, fidei derogant", chi ci prova a dimostrare la Trinità delle Persone Divine con la ragiona naturale, deroga alla fede, oltraggia la fede. Interessante, uno potrebbe dire: "Ma come, avere questo discorso: consistente significa non contraddittoria rispetto ad altre posizioni".

Quindi è possibile elaborare un sistema di proposizioni che è privo di contraddizioni. Però le proposizioni non significano nulla, o se significano qualcosa non dicono il vero. Però non è possibile costruire un sistema che sia vero e che sia contraddittorio. La condizione sine qua non della verità è che non sia contraddittoria. Perciò nessuna verità su un ambito può contraddire una verità di un altro ambito. Noi abbiamo sia l’evidenza naturale delle verità filosofiche, che l’evidenza soprannaturale delle verità di fede. Le due evidenze, dato che ci forniscono la verità, non possono entrare in conflitto. Nel caso che un conflitto si costituisse, bisognerebbe riesaminare la situazione, cioè con ogni probabilità la nostra ragione non è riuscita o ad afferrare bene la dimostrazione filosofica o ad interpretare bene la Sacra scrittura. Però la colpa non è delle verità, la colpa è del nostro intelletto che non riesce in qualche modo ad afferrarla a pieno.

San Tommaso, dinanzi a Galileo, avrebbe poche critiche, avrebbe detto: "se la terra gira intorno al sole o il sole intorno alla terra non fa differenza, l’uomo rimane sempre centro dell’universo, tramite la sua costituzione metafisica. Non è la sua collocazione topografica che fa la sua centralità". Quindi avrebbe detto: "Il sistema eliocentrico non cambia nulla nella fede" . E’ molto importante questo, il saper distinguere il duplice aspetto della verità naturale e soprannaturale ed ammettere anche la loro perfetta complementarità, senza contraddizioni.

Riposate un pochino, poi di nuovo tornate alla santa predica.


Seconda parte


Secondo San Tommaso la ragione è a servizio della fede in quanto ne dimostra i preamboli, i "praeambula fidei", motivi di credibilità, cosa importantissima. Miei cari, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ha voluto che non solo avessimo la fede soprannaturale, ossia questa luce divina, partecipata alla nostra anima, per contemplare, sia pure in enigma, non ancora faccia a faccia, quello ci è promesso per la vita eterna, quella verità che è nascosta da secoli eterni nell’essenza di Dio, "alla Tua luce, o Signore, vedremo la luce", non solo noi nella fede conosciamo delle realtà di per sé sconosciute alla luce naturale della ragione, ma oltre questo, c’è un ambito esplorabile dalla ragione, con la luce naturale dalla ragione. Nell’ambito soprannaturale, ove si esige un supplemento di luce intellettiva, qui troviamo appunto la virtù della fede.

Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo non voleva solo che l’uomo credesse sentimentalmente: "Io credo perché la fede è così bella!". È vero, è bella la nostra cara fede cattolica, però non basta, non è fede quella, miei cari, i fideisti non credono, è questo il guaio. Dice uno scritto romano del settecento, non ricordo bene di chi "Non è possibile credere, dubitando se Dio si sia rivelato", cioè l’adesione dell’uomo alla fede suppone l’evidenza della credibilità del fatto. Altrimenti io potrei credere a qualsiasi sciocchezza, io potrei credere alla reincarnazione, potrei credere ad Hari Krisna, se mi piacesse. Quindi importante è che io non solo dia l’adesione ad una verità ma che la mia adesione abbia l’evidenza della credibilità.

Motivi di credibilità sono i miracoli del Salvatore. Perché Gesù fa tanti miracoli? Non per accontentare la curiosità della gente, nemmeno per condurli alla fede, perché molti non hanno creduto, il miracolo non obbliga alla fede, però il miracolo dà la credibilità, dà l’evidenza che lì c’è il dito di Dio. Come dice Gesù stesso: "Con il dito di Dio, Io scaccio i demoni". Quindi il miracolo è un motivo di credibilità.

Un altro motivo di credibilità è la grande diffusione della Santa Chiesa. Ma il motivo più grande, il più bello è quello filosofico, è l’analogia fidei, cioè lo splendore dei misteri rivelati, la convenienza della rivelazione rispetto alla ragione naturale dell’uomo. Quindi San Tommaso si adopera bene a spiegare questi preambula fidei, cioè ad elaborare quegli elementi che portano la parte suprema della ragione quasi a contatto, (non a contatto di continuità, ma a contatto analogico, di partecipazione similitudinaria) con quella luce superiore che è la luce della fede.

Questo schema è un po’ neoplatonico, nel senso già detto da Plotino, che la realtà suprema dell’ordine inferiore arriva a contatto con la realtà infima dell’ordine superiore. A contatto, però non nel senso che ci sia una continuità, non che si passi da un ordine all’altro, c’è una certa similitudine, affinità e quindi bisogna coltivare la metafisica, la dottrina dell’essere, che è quella più affine alla dottrina di quell’Essere per sé sussistente, che è l’Essere Increato, che è l’actus purus essendi sussistens, ossia che è Dio. Questo actus purus essendi adesso lo conosciamo metafisicamente, inadeguatamente tramite l’essere comune, oppure si conosce analogicamente tramite la metafisica e poi tramite la fede. Quindi c’è un’affinità tra la fede che ci rivela la pienezza dell’essere sussistente in Dio e la metafisica in quanto tratta dell’essere in quanto essere. Non è la stessa cosa, però c’è un’affinità. Perciò il teologo buono deve coltivare la metafisica, la sapienza filosofica.

Esprimeva Domenico delle Fiandre un’idea che San Tommaso avrebbe subito fatta sua, diceva: "Qui ignorat methaphysicam, in theologia semper erit peregrinus", come la maggior parte dei nostri nuovi teologi. Allora i nostri nuovi teologi, che sono molto nuovi ma poco teologi, ebbene non coltivando sufficientemente la metafisica, combinano dei guai, perché la teologia suppone questa cultura metafisica, presuppone i preamboli della fede.

Notate che il Concilio Eucumenico Vaticano I autorevolmente stabilisce questo fatto, che la ragione umana può conoscere delle verità naturali rispetto a Dio e scomunica (tuttora scomuniche valide, sapete, anche dopo il Vaticano II), scomunica chiunque osasse dire che non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio e di tanti suoi attributi. Ci sono delle verità naturali che sono dei preamboli rispetto alla fede. E non solo San Tommaso, ma tutta la Chiesa, che fa sua la dottrina di San Tommaso a questo riguardo, ci insegna che bisogna approfondire i preamboli della fede, per avere una fede sempre più matura. Mi commuovo talvolta quando sento delle persone buone, ma un po’ fideistiche, e mi preoccupo per quelle anime. Uno potrebbe dire: "Ma no, padre, non si preoccupi per quelle anime, sono buoni, credono…" invece no, la fede emotiva non è fede, le emozioni non sono il soggetto della fede, soggetto della fede è l’intelletto speculativo, c’è poco da fare. Che uno possa amare visceralmente il Cristo, come dice San Paolo, nei suoi fratelli, va bene, però la fede è assoggettata all’intelletto speculativo.

Per questo motivo è estremamente importante che la fede sia coltivata, proporzionalmente alla cultura del singolo credente, ma sia coltivata in maniera razionale, teologica, teologico-filosofica, perché la teologia implica sempre filosofia. Come l’ordine soprannaturale suppone la natura, secondo quel bel detto dei medioevali, che San Tommaso spesso cita, che dice "gratia naturam non tollit, sed supponit et perficit", (questo scrivetelo a lettere d’oro nelle vostre anime beate, cioè la grazia non toglie la natura, ma la suppone e la porta a compimento), come la grazia suppone la natura, così analogicamente, secondo analogia di proporzionalità propria, la fede suppone l’intelligenza.

Ora San Tommaso si fa esplicitamente la domanda se uno che ragiona troppo, non si metta al di fuori della fede, non diminuisca il merito della fede. Si fa questa domanda, lui è molto interessato a rispondere in un certo senso, ma penso che sia stato onesto a rispondere così nella Summa, questione 32, ove dice: "bisogna distinguere, se uno ha la pretesa di dimostrare la Trinità e dice: se tu apostolo, tu predicatore non mi dimostri la Trinità delle persone divine, io non ci credo" quel tale non ha merito di fede, si chiude alla fede. Però uno che ragiona non già pretendendo la dimostrabilità di quanto non è dimostrabile, ma svolgendo delle dimostrazioni, accettando le premesse della fede cioè svolgendo il lavoro di teologo, questo lavoro di approfondimento razionale della fede non solo non la danneggia, non solo non diminuisce i meriti, ma è segno di grande amore per le verità rivelate. Riguardo ciò che si ama, si è sempre attenti. In fondo la teologia significa usare le premesse della fede ed aggiungendo le premesse della ragione, esplicitare questi stessi principi della fede. La teologia arriva a delle conclusioni, servendosi della ragione, ma partendo dai principi di fede. Un uomo che ama un bene, è sempre attento a quel bene, lo coltiva, quindi se uno ama la verità rivelata da Dio, come potrebbe non pensarci, come potrebbe non coltivarla? In questo San Tommaso è molto amico di San Bonaventura, anche per lui il motore della teologia è l’amore, però l’amore non immediatamente, ma l’amore della verità, caritas veritatis, proprio il carisma dell’Ordo Praedicatorum.

San Tommaso non poteva essere che domenicano, in questo senso, era convinto di fare la carità suprema alle anime, conducendole alla verità. Le praeambula fidei, la cultura filosofica sono indispensabile per avere anche una adeguata cultura teologica.

Ahimè, al giorno di oggi così non è, la filosofia è considerata come qualche cosa di razionalisticamente indipendente e quindi come qualche cosa di immanentistico, che con la fede non ha assolutamente niente a che fare e poi dall’altra parte la fede viene considerata come qualche cosa che deve tenersi ben lontano da qualsivoglia filosofia, addirittura da qualsivoglia pensiero, cosa che è veramente avvilente e mortificante.

In questo senso San Tommaso è veramente è un grande maestro, ci dice che compito della ragione è porsi al servizio della fede, "Philosophia ancilla Thelogiae", vi spiegai già questa espressione molto bella, che non avvilisce per nulla la ragione, la sua autonomia, ma le dà la partecipazione a qualche cosa di più nobile, di più grande ancora. Il compito della filosofia, ancella della teologia è quello anzitutto di approfondire i preambula fidei, cioè colere metaphysicam, coltivare la metafisica, per avere molta convinzione riguardo a ciò che di Dio si può conoscere naturalmente.

Ho già detto, ma qui è il luogo per sottolinearlo, per illustrare questo stato di cose, che un fideista non riesce a dare una risposta soddisfacente. Un fideista dice: "Io amo tanto il Signore" e il poeta dice: "L’amore ti dà alla testa", spesso capita agli innamorati. E’ un gioco molto facile, con questi fideisti viscerali. San Tommaso dice: "Guarda che qui c’è l’obbiettività dell’essere, della realtà, di quella realtà che non si può negare, volendo mantenere in piedi l’evidenza. Questa realtà da cui io parto mi conduce in ultima analisi all’altrettanto obbiettiva, reale esistenza di Dio". Non è che con questo io abbia già la rivelazione, ma è il presupposto della obbiettività della rivelazione.

La Sacra Scrittura non contiene delle traveggole, come per esempio, Geremia avrebbe avuto nel deserto per quanto ha digiunato. Ho sentito anch’io una interpretazione di questo tipo: "Geremia ha digiunato troppo, poi gli è venuto un capogiro..", non è così. Perché? Perché Dio può rivelarsi obbiettivamente, come Dio obbiettivamente esiste e diventare interlocutore dell’uomo. Nella Scrittura non è l’uomo che parla a sé stesso, è Dio che gli parla.

Un altro compito della ragione rispetto alla fede è quello di esemplificare simbolicamente i contenuti della fede, la teologia simbolica, analogie, paragoni etc., esemplifica quelle verità difficili della fede. D’altra parte la stessa Scrittura si serve di questi paragoni con il linguaggio mistico, molto poetico. Per esempio, il Cantico dei Cantici è uno scritto eminentemente spirituale, che però si serve del linguaggio della poesia proprio dell’amore, della poesia riguardante l’amore nuziale, sponsale, per descrivere non tanto il rapporto tra l’anima e Dio, quanto il legame che esiste tra Dio e il popolo alleato con Lui nell’antico Testamento: l’alleanza di Israele con Dio è un’alleanza nuziale.

San Tommaso stesso dirà che la Scrittura volutamente si serve di simboli manifestamente quasi materiali, quasi sconvolgenti nella loro materialità. Un tomistico si metterebbe a ridere se sentisse sacerdoti anche buoni, che vogliono condurre i ragazzi a Dio e poichè sanno che i ragazzi fanno esperienze sentimentali, dicono: "è come quando uno vuole bene ad una ragazza". Non è come quando uno vuole bene, è tutta un’altra cosa voler bene al Signore. Però l’analogia è buona, ma solo come analogia, è questo il punto. Infatti San Tommaso sottolinea che si tratta di un’analogia metaforica.

La metafora è volutamente urtante, perché se fosse troppo spirituale, potrebbe indurci all’idolatria. Una creatura che appaia come angelica, potrebbe essere scambiata con Dio stesso. La Scrittura usa a volte termini materiali, dice che Dio con braccio esteso ha liberato i figli di Israele dalla casa di schiavitù, li ha condotti dall’Egitto alla terra promessa. Tertulliano commenta tranquillamente: "La Scrittura dice che Dio ha un braccio, quindi Dio ha un corpo", ma è un ragionare da testimoni di Jeova ante litteram. La Sacra scrittura volutamente usa il braccio, proprio per dire il contrario, non per dire che Dio ha un corpo, ma per significare la potenza di Dio con un simbolo molto umano, molo materiale, volendo significare, con il linguaggio umano più povero che ci sia, una cosa così sublime.

continua.......